Articoli

Cap.5

Cap. 5
Esorto dunque gli anziani fra voi, io anziano con loro e testimone delle sofferenze di Cristo, partecipe  anche della gloria che sta per essere manifestata: 2 pascete il gregge di Dio fra voi, sorvegliandolo non forzatamente, ma volontariamente secondo Dio, né con avidità, ma di buon animo, 3 non spadroneggiando sulle persone avute in sorte  ma divenendo modelli del gregge; 4 e apparendo il supremo pastore riceverete l’immarcescibile corona di gloria. 5 Parimenti voi giovani, siate sottomessi agli anziani! Tutti allacciatevi intorno gli uni con gli altri l’umiltà perché Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà grazia. 6 Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi innalzi  al tempo opportuno, 7 avendo gettato su di lui tutta la vostra preoccupazione, poiché a lui importa di voi. 8 Siate sobri, vegliate! Il vostro avversario, il diavolo, come leone ruggente va  in giro cercando chi divorare; 9  resistetegli saldi per la fede sapendo che le stesse sofferenze accadono ai vostri fratelli nel mondo. 10 Il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamato alla sua eterna gloria in Cristo Gesù, avendo sofferto per breve tempo, egli stesso vi perfezionerà, fortificherà, darà fondamento. 11 A lui è  potenza per i secoli. Amen
12 Per mezzo di Silvano fedele fratello, come reputo, vi ho scritto con poche parole esortandovi e attestando che questa è la vera grazia di Dio in cui state! 13 Vi saluta la chiesa eletta con voi in Babilonia e Marco , figlio mio. 14 Salutatevi gli uni gli altri con bacio di amore! La pace sia con voi tutti che siete in Cristo.

“Esorto dunque gli anziani fra voi, io anziano con loro e testimone delle sofferenze di Cristo, partecipe  anche della gloria che sta per essere manifestata: 2 pascete il gregge di Dio fra voi, sorvegliandolo non forzatamente, ma volontariamente secondo Dio, né con avidità, ma di buon animo, 3 non spadroneggiando sulle persone avute in sorte, ma divenendo modelli del gregge;

Le raccomandazioni finali sono innanzitutto per i presbiteri a capo della comunità, perché adempiano fedelmente il loro mandato di pastori e custodi del gregge. Chi  è vissuto più a lungo può vantare una testimonianza fatta più forte dalle  sofferenze del Cristo, e una speranza fatta più grande dall’imminenza di una fine gloriosa. Non si può condurre al pascolo del Signore il suo gregge se non vigilando attentamente su di esso, perché non perisca sotto gli assalti del Maligno. La dedizione al proprio compito sia assoluta, da null’altro agita, spinta, motivata  se non dall’amore del Signore, che vuole salve tutte le sue creature. Gratuitamente abbiamo ricevuto, gratuitamente dobbiamo dare. Con ogni gioia e con ogni celeste soddisfazione si deve fare da sorveglianti: tutto donando e niente chiedendo alle pecore affidate in custodia, non facendo da padroni ma servendo umilmente, portando sempre ed ovunque in se stessi Cristo, modello di ogni santità gradita ed accetta al Padre.  
“Nell’immagine della Chiesa come gregge del Signore, il presbitero è colui che lo pasce , che ne ha l’amministrazione, che ne è il sorvegliante. Ci sono tutti i  nostri quattro termini: presbiteri, gregge, sorveglianti, pascere. Il linguaggio quindi è classico, circola nella comunità cristiana primitiva, è ben comprensibile e veicola una applicazione particolare del discorso fatto precedentemente sulla vocazione cristiana e sulla imminenza della fine. Il ministro della Chiesa non ha un potere da esercitare, ma un compito. Il termine “potere”                                          (exousia), nel Nuovo Testamento è usato quasi sempre contro i demoni. Dio da exousìa contro i diavoli, ma non da exousìa agli uni rispetto agli altri. Non potere: è forza, è dono di amore, è potenza di servizio, è luce di sapienza.” (Umberto Neri)
“4 e apparendo il supremo pastore riceverete l’immarcescibile corona di gloria.”

Quando apparirà il supremo pastore di tutti, ogni pastore della sua chiesa riceverà la corona di gloria, quella eterna, non soggetta a corruzione, che il Signore ha messo in serbo per ogni  fedele servitore.

“5 Parimenti voi giovani, siate sottomessi agli anziani! Tutti allacciatevi intorno gli uni con gli altri l’umiltà perché Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà grazia.”

I giovani stiano sottomessi agli anziani, non semplicemente per riguardo della loro età, ma come pastori eletti da Dio per la loro salvezza. Nessuno presuma di poter camminare da solo, avendo forze a ciò sufficienti. Si procede come in cordata, allacciati gli uni gli altri, obbedendo umilmente per non essere sciolti dalla comunione in Cristo. Dio si oppone ai superbi che confidano in se stessi, dà grazia agli umili che si sottomettono alla Chiesa obbedendo ai suoi insegnamenti, consigli, direttive.
“Ora l’apostolo si rivolge ai giovani: altro ministero, diverso e per noi più difficilmente qualificabile, subordinato a quello dei presbiteri. Ci sono strutturazioni nel corpo ministeriale della Chiesa e i giovani sono subalterni ai presbiteri, dediti a servizi ausiliari; sarebbe sbagliato intendere il termine giovani come categoria anagrafica. Indubbiamente vi erano anche giovani di età, come i presbiteri non erano dei ragazzini, ma non  è questo il fattore specifico; “giovane” qualifica un ministero subalterno, coadiuvante il ministero presbiterale e in rapporto diretto con esso. Troviamo negli Atti degli Apostoli un riferimento ad essi nell’episodio di Anania e Saffira: “Si alzarono allora i più giovani e, avvoltolo in un lenzuolo, lo portarono fuori e lo seppellirono… Quando i giovani entrarono, la trovarono morta e, portatala fuori, la seppellirono accanto a suo marito” (Atti 5,6. 10). (Umberto Neri)

“6 Umiliatevi dunque sotto la potente mano di Dio, affinché egli vi innalzi al tempo opportuno, 7 avendo gettato su di lui tutta la vostra preoccupazione, poiché a lui importa di voi”.

Ci si umilia sotto la potente mano di Dio per essere da lei protetti, guidati, corretti ed alla fine esaltati. Più ci si fa piccoli per essere protetti, più la mano si fa grande per proteggere. Ogni nostra preoccupazione deve essere rimessa al Signore, a Lui data come di getto, con piena fiducia, nulla tenendo in riserva propria. Perché al Signore importa di noi. Non è disinteressato alla nostra sorte, ma massimamente importa a Lui della nostra vita. Siamo oggetto di un amore eterno che non vuole perderci, ma a sé ricondurci in maniera stabile e definitiva.
“Il riferimento a un salmo (salmo 54,23 ) aggiunge una indicazione ulteriore. Quanto è stato detto va conseguito in una profonda pace, data dal sapere che tutto sarà rimesso a posto, in ordine, e che Dio è vicino. Egli sta per tornare ed è vicino a colui che lo invoca con cuore sincero, perciò si può vivere, in questo tempo escatologico, liberi da ogni preoccupazione. Il preoccuparsi sarebbe contravvenire all’indicazione fondamentale della sobrietà. Nulla tanto ingolfa nelle realtà mondane quanto la preoccupazione per l’oggi e, peggio, per il domani”. (Umberto Neri )

8 Siate sobri, vegliate!

Si è sobri per la preghiera, si è sobri per la veglia. La preghiera ci dona la luce divina per andare avanti, il pane disceso dal cielo perché non vengano meno le forze; la veglia ci dà la garanzia di un cammino sicuro e protetto dalle insidie del Maligno. C’è una sola garanzia per rimanere in Cristo: la sobrietà. C’è una sola garanzia perché il Maligno non prevalga su di noi: ed è ancora la sobrietà.
Gli uomini di questo mondo molto spendono, si affannano, si danno da fare  per alimentare ed accrescere una vita destinata a perire: noi cristiani ridurremo al minimo i nostri impegni terreni per dare disponibilità piena in tempo, risorse ed energie all’opera del Signore.

“Il vostro avversario, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare;  resistetegli saldi per la fede sapendo che le stesse sofferenze accadono ai vostri fratelli nel mondo.”

Nessuno si faccia illusioni o idee sbagliate: la guerra contro il Maligno non conosce sosta ed allentamento. Il Satana è un leone affamato che gira continuamente intorno ai cristiani cercando chi divorare. La guardia deve sempre essere alta: basta poco per essere sopraffatti. Non c’è resistenza alcuna alla potenza del diavolo se non in virtù di una potenza più grande che ha nome di fede in Cristo. E non c’è rafforzamento più grande della fede di quello dato dalle sofferenze patite per Cristo, con Cristo, non semplicemente come singoli, ma come membra della Chiesa.
“Bisogna riconoscere che la prima lettera di Pietro è un grande affresco in cui c’è tutto, che definisce veramente l’animo del popolo di Dio e disegna in modo incantevole il suo volto in questo tempo, che è l’ultimo. Prima aveva elencato i tanti avversari: i padroni burberi e aspri, i mariti increduli che minacciano, i re, i magistrati, i persecutori, i calunniatori ignoranti e malvagi, quelli che colpiscono la carne, quelli che picchiano ingiustamente i cristiani innocenti. Adesso, però, li riassume in uno solo: “il vostro nemico”. Rispetto a tutti questi avversari, ve ne è uno particolarmente pericoloso, di cui occorre tenere conto ancora di più: è il diavolo. Non si può parlare di coscienza escatologica se si attenua la coscienza dell’esistenza del nemico e della sua operazione. Chi svuota i testi biblici che riguardano l’avversario, vive completamente al di fuori della coscienza escatologica. Le due cose si tengono l’una con l’altra, sono strettamente congiunte: il tempo escatologico è il tempo in cui il diavolo si aggira cercando chi divorare, ed è il nostro tempo. Altrimenti si ha consapevolezza del pericolo e della realtà soltanto ad un livello, nonostante tutto, ancora molto superficiale ed esteriore. Il mistero dell’ultimo tempo è il mistero di questa grande insidia demoniaca contro il corpo del Cristo che è la Chiesa, del grande dragone che vuole rapire il bimbo generato dalla donna (confronta Apocalisse 12,4-6)… Ma come si fa ad opporsi al diavolo? Oltre al non dormire e, per non dormire, all’essere sobri si aggiunge il resistere saldi in virtù della fede… La fede non è soltanto un’opinione giusta alla quale ci atteniamo, non è una convinzione che custodiamo cara nel cuore; la fede è energia del Dio vivente che opera attraverso di noi e in noi: nella forza della fede, si vince. E il diavolo contro questa potenza di fede non può nulla. Resistetegli salvi in virtù della fede. È la fede che dà salvezza e vittoria; la fede evidentemente nutrita, la fede consapevole, la fede coerente, la fede cioè che è abbandono di se stessi a Dio e che è il non modernizzarsi, rifugiandosi su garanzie che soltanto la terra, il mondo e la realtà globale del peccato promettono.” (Umberto Neri)

10 Il Dio di ogni grazia, che vi ha chiamato alla sua eterna gloria in Cristo Gesù, avendo sofferto per breve tempo, egli stesso vi perfezionerà, fortificherà, darà fondamento. 11 A lui è la potenza per i secoli. Amen

Bellissima conclusione della lettera. Nessuna ansia, preoccupazione, timore deve albergare nei nostri cuori: la salvezza è opera di Cristo, non un faticoso prodotto della nostra vita. Non c’è grazia che non venga dall’unico Dio, il Signore nostro Gesù Cristo. Non noi abbiamo chiamato Lui , ma Lui ha chiamato noi. Affidiamoci e abbandoniamoci alla sua iniziativa, non mettendo avanti la nostra volontà, ma facendoci obbedienti alla Sua, nell’ascolto della Sua Parola.
Il tempo di questa sofferenza terrena è un nulla in confronto al tempo della beatitudine eterna. Colui che ci ha chiamato ad un’uscita da questo mondo, perché ci mettiamo in cammino verso un altro mondo, ci “fortificherà”, ci renderà forti e adatti per un’impresa; ci “perfezionerà”, porterà alla perfezione l’opera di rinnovamento in noi iniziata; “darà fondamento”, darà se stesso, come garanzia sicura ed incorruttibile, per un buon esito finale del viaggio che facciamo per Lui, con Lui, in Lui.

“12 Per mezzo di Silvano fedele fratello, come reputo, vi ho scritto con poche parole esortandovi e attestando che questa è la vera grazia di Dio in cui state! Vi saluta la chiesa eletta con voi in Babilonia e Marco , figlio mio. 14 Salutatevi gli uni gli altri con bacio di amore! La pace sia con voi tutti che siete in Cristo”.

Quello che si dice tra fratelli di fede, va scritto da un fratello nella medesima fede. Gli occhi e le orecchie indiscrete degli estranei si devono evitare. Se le parole sono di Pietro, la scrittura è di Silvano, “fedele fratello, come reputo”. C’è bisogno di esortazione per tutti e di essere confermati da coloro che Gesù ha messo a capo della sua Chiesa. Pietro si manifesta palesemente come presente alla Chiesa e pronto a garantire per essa, con quella luce particolare che il Signore gli ha donato e garantito. Con una presenza fisica finalmente stabilita e trovata in Babilonia, cioè in Roma, con una paternità spirituale voluta dal Signore e attestata da chi è figlio: Marco. Il saluto di tutti, fra tutti, sia come il bacio dell’amore divino, che tocca ogni profondità del cuore. In tutti sia impresso il sigillo della pace portata dal cielo in terra dal nostro Salvatore Gesù Cristo.

 

Cap.4

Cap. 4
Avendo dunque Cristo sofferto nella carne anche voi armatevi dello stesso pensiero, perché chi ha sofferto nella carne ha cessato col peccato, 2 per vivere il tempo rimanente nella carne non più secondo le cupidigie degli uomini, ma secondo la volontà di Dio. 3 E’ sufficiente infatti il tempo passato per aver operato la volontà dei pagani avendo camminato in scostumatezze, cupidigie, ubriachezze, gozzoviglie, bevute e infami idolatrie. 4 Perciò sono sorpresi, non correndo voi insieme verso lo stesso disordine di dissolutezza e diventano maldicenti; 5 renderanno conto a colui che è pronto a giudicare vivi e morti. 6 Per questo infatti anche ai morti ha annunciato la buona notizia, così che siano giudicati secondo gli uomini nella carne, vivano invece secondo Dio nello spirito. 7 Ora si è avvicinata la fine di tutte le cose. Siate temperanti dunque e siate sobri per le preghiere. 8 Prima di tutto abbiate un amore costante gli uni verso gli altri, perché l’amore copre una moltitudine di peccati! 9 Siate ospitali di gli uni verso gli altri senza mormorazione! 10 Secondo il carisma che ciascuno ha ricevuto siate serventi con esso gli uni per gli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio! 11 Se qualcuno parla, parli  con parole di Dio; se qualcuno serve, serva come per l’ energia che Dio provvede, affinché in tutte le  cose sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale è la gloria e la forza per i secoli dei secoli amen. 12 Amati, non siate sorpresi per l’incendio che accade fra voi a prova per voi, come se vi capitasse qualcosa di strano, 13 ma come partecipanti alle sofferenze di Cristo rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria vi rallegriate esultanti. 14 Se venite oltraggiati per il nome di Cristo, beati voi, perché lo spirito della gloria e di Dio riposa su di voi. 15 Nessuno di voi soffra come omicida, o ladro, o malfattore, o come delatore; 16 se invece soffre come cristiano non si vergogni ma glorifichi Dio con questo nome. 17 Perché è  tempo che cominci il giudizio dalla casa di Dio; se però comincia prima da noi, quale  sarà la fine dei disobbedienti al Vangelo di Dio? 18 E se il giusto si salva a stento, dove appariranno l’empio e il peccatore? 19 Perciò anche coloro che soffrono secondo la volontà di Dio rimettano al fedele Creatore le loro anime attraverso opere buone.

 

“Avendo dunque Cristo sofferto nella carne anche voi armatevi dello stesso pensiero, perché chi ha sofferto nella carne ha cessato col peccato, 2 per vivere il tempo rimanente nella carne non più secondo le cupidigie degli uomini, ma secondo la volontà di Dio.”

Non ci sono molte vie di salvezza per l’uomo: ce n’ è una sola ed è quella intrapresa dal Cristo, perché ne seguiamo le orme.
Non c’è vita senza morte e non c’è liberazione dal peccato se non in virtù della sofferenza della carne. Per carne si deve intendere la nostra realtà naturale fatta di corpo materiale e di anima. Nell’uomo c’è anche una terza dimensione, quella dello spirito. Non sta scritto che la nostra realtà spirituale sia passibile di sofferenza. Al contrario è proprio in virtù di uno spirito visitato e colmato dallo Spirito Santo che noi tutti possiamo dire con Paolo: Sovrabbondo di gioia in ogni mia tribolazione. Per quel che riguarda la nostra realtà data dalla carne e dal sangue, è necessario passare attraverso molte tribolazioni. Non solo quelle che ci verrebbero in ogni caso dalla nostra natura di essere mortali, ma ancora di più  quelle che ci vengono da una scelta libera e responsabile di Cristo Salvatore. Se l’uomo che non vuole la salvezza fugge lontano dalla croce, chi vuol essere fatto salvo in Cristo la deve scegliere volontariamente come strumento di redenzione. Uno strumento che non può operare da solo, ma  nell’ottica di una accettazione e di una appropriazione da parte nostra di ciò che è  volontà di Dio. Non possiamo avere pareri diversi e discordanti riguardo alla salutare necessità di una sofferenza della nostra carne, perché anche Cristo ha sofferto nella carne.
“Armatevi dello stesso pensiero”. È molto  più di una semplice solidarietà nella croce per Cristo. È una vera e propria armatura che di per sé attesta il nostro stato di guerra, non alla ventura con la nudità dei nostri mezzi, ma rivestiti delle armi a noi donate dal Cristo.
Senza questo armamento, la guerra è persa in partenza e la sofferenza della carne finirà per schiacciarci ed annientarci.
“perché chi ha sofferto nella carne ha cessato col peccato,”
Chi ha già scelto e sperimentato questa sofferenza dimostra con ciò la sua volontà di rottura col peccato e il desiderio di una vita diversa, che è già in atto.
“Voi che avete subito sofferenze nella persecuzione – dice il nostro testo – voi confessores (coloro che in diverse forme avevano testimoniato la fede senza consumare il martirio, cioè gran parte della comunità cristiana a cui si rivolgeva) ringraziatene Dio: la persecuzione è occasione di un rinnovamento totale, di un vivere come nuove creature e di una rottura con il mondo e con il peccato, incomparabile rispetto a tutto ciò che avete vissuto prima, e quindi una attuazione delle virtualità del battesimo di eccezionale valore ed efficacia”. (Umberto Neri)
“2 per vivere il tempo rimanente nella carne non più secondo le cupidigie degli uomini, ma secondo la volontà di Dio”.
Se resta ancora un tempo da vivere nella carne dovrà essere non più secondo le cupidigie degli uomini, ma secondo la volontà di Dio. Non si può, ed è altamente sconsigliabile, interrompere un cammino già intrapreso. Bisogna andare avanti fino all’esito finale che è conseguimento della vita eterna. E non si deve pensare di aver già sofferto abbastanza. Il tempo della sofferenza passata è nulla in confronto a quello da noi vissuto alla maniera dei pagani.

“3 E’ sufficiente infatti il tempo passato per aver operato la volontà dei pagani avendo camminato in scostumatezze, cupidigie, ubriachezze, gozzoviglie, bevute e infami idolatrie.”
Se si vuol guardare al passato, per giustificare le sofferenze già portate, è sufficiente il tempo trascorso vivendo come vogliono i pagani:
Scostumatezze, cupidigie, ubriachezze vengono da una mente e da un cuore perversi che cercano la propria soddisfazione e la propria gioia in ciò che è altro dal Signore e dalla sua volontà.
Gozzoviglie e bevute attestano di per sé la schiavitù ai piaceri del ventre e un uso smodato di ciò che  entra per la gola. 
Infami idolatrie: sono l’espressione più grave del nostro peccato e del nostro asservimento al Maligno, quando qualcosa o qualcuno prende in noi il posto che spetta unicamente al Signore.

“4 Perciò sono sorpresi, non correndo voi insieme verso lo stesso disordine di dissolutezza, diventano maldicenti;…”

Inevitabile il confronto e lo scontro del cristiano con coloro che non credono. La diversità, che è donata dal Signore, suscita sorpresa e fastidio in coloro che vivono seguendo le passioni della carne e devono pur parlare male di una santità incomprensibile. Non aspettiamoci il plauso del mondo per le virtù donate dal cielo; se il vizio può lasciare indifferenti, la virtù  addirittura può essere messa sotto accusa e derisa.

“5 i quali renderanno conto a colui che è pronto a giudicare vivi e morti.”

Non si illudano coloro che vivono senza timore di Dio. Il giudizio del Signore è  un dato ed un fatto: ancora viventi in questa vita o morti  ad essa il giudizio è già attuale. Perché chi non crede è già condannato.
“Ma renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti”. Cristo si manifesterà nell’ultimo giorno, ma è già pronto a giudicare i vivi e i morti. La formula stereotipa: “Dio giudicherà i vivi e i morti”, fa parte della catechesi primitiva. La troviamo negli Atti degli Apostoli (10,42); nella seconda lettera a Timoteo (4,1) e nella prima lettera ai Tessalonicesi (4,15). Perché si dice “i vivi e i morti?”. Non sono tutti morti quelli che sono giudicati? La frase è in rapporto al ritorno del Cristo, che troverà la generazione di quel tempo viva e le precedenti già morte (cf. 1 Tessalonicesi 4,15). (Umberto Neri)

“6 Per questo infatti anche ai morti ha annunciato la buona notizia, così che siano giudicati secondo gli uomini nella carne, vivano invece secondo Dio nello spirito.”

Pietro riprende il discorso già fatto. Dopo la sua morte Cristo è sceso in Spirito nel regno dell’oltretomba per annunciare la salvezza a coloro che erano già morti nel tempo della sua venuta. Si adempie così per tutta l’umanità di ogni tempo il disegno dell’eterna salvezza in Cristo. Abbiamo già detto che si deve intendere secondo l’immagine. Non si può parlare di una salvezza retroattiva , ma di una salvezza che è operante per tutti allo stesso modo. La salvezza di chi è morto prima della venuta del Salvatore non è diversa dalla salvezza di chi è venuto dopo. Vi è un giudizio di Dio per tutti gli uomini nel tempo della loro vita nella carne, perché tutti possano vivere secondo Dio nello spirito.
Perché si insiste sulla discesa di Gesù agli Inferi? Dato per certo che il sacrificio di Cristo ha una portata ed una efficacia, per così dire. universali, e tutti interessa e chiama in causa, cosa si vuol dire di più? Noi pensiamo che si voglia sottolineare come tutti gli uomini, di tutti i tempi, prima o dopo la venuta del Cristo, debbano confrontarsi con lo stesso Cristo in virtù dell’annuncio del Vangelo. Non sappiamo come e non ci è detto, ma è pienamente giustificato pensare che non può esserci per alcun uomo, giudizio ultimo e definitivo, senza un confronto con Cristo Salvatore, vincitore della morte. Non c’è salvezza senza fede in Cristo: se i tempi e le circostanze di questa vita non offrono a tutti la possibilità di “essere evangelizzati”, Gesù stesso provvederà per questo , e vi ha già pure provveduto, in modo opportuno e a tempo opportuno. Rimane il mistero riguardo al come, ma è una certezza e una verità testimoniata dalla Parola di Dio.
“Per questo fu proclamato il Vangelo anche ai morti: perché siano giudicati, si, secondo gli uomini, nella carne, ma venivano, secondo Dio nello spirito”. Il guaio di molti interpreti è di mettere questo testo in rapporto con quello precedente sulla discesa agli inferi; allora si caricano i due termini, sommandosi l’uno con l’altro. Là si dice che il Cristo andò a predicare, qui si dice che i morti furono evangelizzati, e come conseguenza si interpretano i due testi in termini essenzialmente salvifici. Ma l’idea della lettera mi pare diversa. Si chiude la pericope con un nuovo incoraggiamento a pazientare nella persecuzione e lo si fa con il procedimento di una ricapitolazione verbale e tematica, riprendendo i termini di 3,18 (“messo a morte nella carne, vivificato nello spirito”) e di 4,5 (“giudicare i vivi e i morti”); il pensiero risultante è dunque questo: anche noi, come il Cristo, subendo la persecuzione e il falso giudizio umano veniamo uccisi nella carne ma la nostra vita non cessa perché – avendo un giorno, morti quali eravamo, udito e accolto il Vangelo – siamo divenuti viventi una volta per tutte, in una vita nuova secondo Dio. Il Vangelo è stato annunciato ai morti e noi, da morti che eravamo, abbiamo recuperato una vita eterna. Anche se gli uomini, giudicando nel loro modo (che qui è contrapposto al modo con cui giudica Dio), ci condannano nella carne, noi rimaniamo in quella vita che nessuno ci può togliere, perché già siamo viventi, in Cristo, della vita eterna. Ecco la grande consolazione data alla Chiesa perseguitata”. (Umberto Neri)

“7 Ora si è avvicinata la fine di tutte le cose.”

Per chi ha fede in Cristo la storia è già al suo epilogo finale. Non c’è più fondata aspettativa in una qualche novità di questa vita. Tutto è compiuto, e noi dobbiamo vivere con il cuore e con la mente in continua tensione verso le cose del cielo, per essere trovati  degni di vita eterna in virtù della fede nel Salvatore Gesù Cristo.
“La realtà di questo tempo escatologico già inaugurato esige un comportamento adeguato, esige un modo di sentire, di pensare, di agire e di muoversi conforme all’emergenza che stiamo per vivere. La vita escatologica, dunque, è una caratterizzazione fondamentale che deve essere dominante nella Chiesa. Se cessasse di essere il popolo che si sente pellegrino e che attende il Signore perché sa che è alle porte e bussa, come dice l’Apocalisse, la Chiesa cambierebbe completamente il suo volto, si deformerebbe letteralmente e non sarebbe più ciò che il Signore vuole che essa sia. Il modo di vivere conforme all’imminenza dello eschaton non si deve tenere come se il Signore stesse per tornare, ma poiché il Signore sta per tornare… Il compito del credente, per vivere conforme alla verità dell’eschaton ormai imminente, è di seguire i numerosi consigli dell’apostolo: sono indicazioni e precetti molto urgenti, dati talvolta con brevi parole, con discorsi che si racchiudono in pochi versetti, ma senza frammentarietà perché, come abbiamo visto, il filo è tracciato in modo estremamente netto”. (Umberto Neri)

“Siate saggi dunque e siate sobri per le preghiere.”

È saggio colui che comprende e fa proprio il tempo opportuno per la salvezza: è già dato e non possiamo vivere diversamente se non nella fede in ciò che Cristo ha già operato per noi e in noi, perché abbiamo vita eterna. Bando dunque a pensieri ed opere che non sono di utilità alcuna, quando  non sono di danno. È lecito chiedersi quale rapporto abbiano con la parola di Dio, in quale conto la tengano, in che modo la conoscano o se non la conoscano affatto, la maggior parte dei nostri cristiani che sembrano dar peso ed importanza a tutto, fatta eccezione, per la preghiera. In alcuni casi la preghiera è considerata addirittura una perdita di tempo, una fuga da un impegno vero e concreto nei confronti del Signore. Con tutto quello che c’è da fare a questo mondo per i poveri, per i sofferenti e i bisognosi, sembra proprio che la preghiera si debba tutt’al più lasciare a qualche monaco di professione, che è pur sempre l’eccezione dell’esistenza e non la norma.  Quali siano i frutti di una simile mentalità ben li vede e li conosce chi ha intelligenza delle cose del Signore. I cuori diventano sempre più aridi e freddi, privi, perché deprivati, della carità divina, di quell’amore donato dal cielo, che unicamente attesta di noi che siamo figli di Dio. Nessuna parola di lode al Signore esce dalle nostre bocche, perché il cuore riposa altrove. E quale invocazione di salvezza, di misericordia, di perdono per i peccati che attestano di per sé che non viviamo in uno stato di grazia, ma di peccato?  Quale vuoto di preghiera  c’è nei singoli,  nelle case, nelle chiese! La preghiera se non è del tutto assente è ridotta alle sue forme minime , più povere, disadorne e meno illuminate, quasi dei resti fossili, dai quali a malapena si intravede l’originaria realtà. Abbandonata la preghiera coi salmi e con i canti più belli e più illuminati della Tradizione cristiana, tutto si riduce a qualche pater, ave, gloria, detto in fretta, a stento, con una monotonia della voce che già di per sé attesta e dice la noia del cuore. È  la morte della preghiera e non il venire meno delle grandi opere di “carità” che innanzitutto manifesta la nostra lontananza da Dio. Se non c’è amore a Dio, chiaramente e apertamente a lui espresso, manifestato in virtù della parola,  chiesto con uno spirito di continua ed incessante supplica, che ne è della nostra fede in Cristo? Nessuna gioia celeste è trovata nei nostri cuori, nessuna parola di pace, conforto, speranza per chi ci sta vicino esce dalla nostra bocca. Il mutismo più assoluto domina sovrano nei nostri rapporti con il Creatore e con le sue creature. Grande è il numero dei demoni muti che hanno preso dimora nei cuori degli uomini, anche se molto parlano, urlano, gridano… ma solo per dare la morte e non per comunicare la vita che dura in eterno.
Il primo segno di un cuore morto alla vita del Signore? L’assenza di una preghiera continua ed incessante, il venir meno del nome di Dio sulla propria bocca: non si parla con Dio né si parla di Dio. Un libro di don Divo Barsotti porta il titolo “ La preghiera lavoro del cristiano”. Ma chi ha interesse e chi vuol comprendere?
Nessuna fatica è più benedetta dal Signore di quella della preghiera, fatta con la Parola e nella Parola..
“Tutte le miserie del mondo si danno convegno nel mio cuore per implorare la misericordia di Dio, e tutte le bellezze dell’universo, tutte le grazie che Dio spande nell’universo, tutte si riassumono in me perché da me si innalzi un ringraziamento per tutte quante le cose, una lode per tutta la divina bontà che Dio ha effuso nell’universo; ecco la vocazione cristiana. Il binomio benedettino “ora et labora” non va inteso: “prega in tal modo che la preghiera sia il tuo vero lavoro?”. Le altre cose, sì, devi farle, non è detto che tu debba trascurarle, ma come un professore che fa anche da mangiare quando ritorna a casa se non ha la donna di servizio, o come un padre di famiglia che va a visitare gli infermi nell’ospedale se ha tempo di farlo.  Così noi tutti dobbiamo fare anche le altre cose che ci sono imposte per doveri di stato, per doveri particolari di condizione di famiglia; ma prima di tutto in quanto cristiani bisognerà rispondere alla parola di Cristo “bisogna sempre pregare” (cf. Luca 18,1). Il lavoro fondamentale, il principale fra tutti, quello che ci definisce come cristiani, come figli di Dio, dovrà essere precisamente la nostra preghiera… Una preghiera che deve essere molto spoglia, molto libera, molto intima, molto segreta, che deve essere un’attenzione dell’anima a Dio piuttosto che un formulare continuo di giaculatorie. Può essere una preghiera di silenzio, una preghiera di lode, di adorazione, un abbandono a Dio che è pura misericordia, sia quello che sia, deve essere però continua preghiera, continuo rapporto dell’anima con Lui, per noi e per tutti, continua implorazione della misericordia divina per noi e per tutti, continua adorazione per noi e per tutti, in tal modo che nel nostro cuore tutto il mondo si riassuma per implorare misericordia, per cantare lode a Dio.” (da “La preghiera, lavoro del cristiano”, di Divo Barsotti).
“Siate dunque saggi e sobri, per dedicarvi alla preghiera”.
“Il proprio di questo testo, che non è esclusivo nel Nuovo Testamento ma che merita comunque particolare attenzione, è il collegamento fra sobrietà e saggezza. Siate saggi e siate sobri. Non sono due indicazioni diverse, perché la sobrietà è una condizione per la saggezza. È quel mantenersi lucidi che era imposto, per esempio, ai sacerdoti in Israele, che non dovevano mai lasciarsi andare all’ebbrezza e che non dovevano bere bevande inebrianti per non errare nei giudizi e per continuare a sapere discernere, sempre, molto attentamente, il sacro dal profano, il giusto dall’ingiusto. La sobrietà è anche non distrazione, non dissipazione, limite ai pensieri; è il rimanere nella concentrazione sull’essenziale e nella semplificazione suprema del pensare e dell’agire, in modo da prendere una direzione netta e perseguirla con costanza e coerenza; è l’allontanamento dall’affollarsi nel nostro cuore di preoccupazioni, pensieri, discorsi, occupazioni che, più o meno buoni in se stessi, sono comunque mondani. La saggezza è pure una categoria escatologica classica. Questa saggezza si contrappone alla stoltezza, alla mancanza di accortezza di chi non pensa al giorno finale, di chi non distingue quanto va custodito da quanto è superfluo o meno importante. Il Signore è alle porte, già si sente bussare. Stolto il servo che il Signore ha preposto alla sua casa o al quale ha dato un compito e che ritiene che lo sposo tardi; si dà a picchiare i servi e le serve, a mangiare e a bere, finché il Signore non ritorna nel mezzo della notte, lo trova nelle gozzoviglie e nel disordine e lo punisce ponendo la sua sorte fra gli infedeli (cf. Luca 12,42-48). Stolte sono le vergini che non sanno attendere nel modo dovuto il ritorno dello sposo e che si trovano perciò con le lampade spente (cf. Matteo 25,1-13). A questa stoltezza di chi non sa o non ne predispone tutto per il momento dell’incontro e di chi dice in cuore suo che il padrone tarda, si contrappone la saggezza, la sapienza, che deriva dalla sobrietà e che nella sobrietà è custodita”. (Umberto Neri)

“8 Prima di tutto abbiate un amore costante gli uni verso gli altri,”
Preghiera incessante verso Dio, amore costante verso gli uomini: sono i tratti distintivi della vera fede in Cristo.
“perché l’amore copre una moltitudine di peccati!”

Se la nostra vecchia natura di uomini peccatori può ancora riemergere, l’amore fraterno costante e continuo attesta di per sé una potenza di resurrezione per noi acquisita ed in noi consolidata dalla grazia del Signore. Altro è fare il peccato per debolezza, altro è amare il peccato. La  potenza dell’amore sia in noi preponderante e prevalente rispetto ad ogni residua forma di peccato.
“La primarietà del precetto della carità è ribadito più volte nel Nuovo Testamento. L’amore è chiamato il precetto per eccellenza; così anche il comandamento nuovo. È ciò che caratterizza il pensiero del Signore nel modo più profondo e che caratterizza e qualifica la nuova era, la nuova economia: l’amore è la realtà più grande di tutte ed è anche il comandamento riassuntivo di tutta la legge… È il precetto attuando il quale si attua tutto; l’amore è il dono che, posseduto, fa possedere tutto”. (Umberto Neri)

“9 Siate ospitali  gli uni verso gli altri senza mormorazione!”

Un cuore fatto largo dal Signore dà maggiore spazio al Creatore ma anche alle sue creature, a cominciare dai fratelli di fede. L’ospitalità deve essere sincera e sentita, senza mormorazione, fatta cioè nella gioia, non come un dovere ma come manifestazione di un amore di Dio in noi traboccante che si riversa sugli altri.

“10 secondo il carisma che ciascuno ha ricevuto siate serventi con esso gli uni per gli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio!”

Non c’è dono di grazia che non venga dal Signore: in maniera ed in misura diversa, ma sempre a lode del solo Signore, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
Non dobbiamo servirci dei doni per scopi nostri, non conformi alla volontà di Dio, ma dobbiamo servire ai doni, per il bene di tutto il corpo di Cristo. Non siamo innanzitutto fruitori di doni del cielo, ma buoni dispensatori e amministratori di una medesima grazia che nei singoli si manifesta in modi diversi, per il bene di tutti.
“Anche questa indicazione è, inconfondibilmente, escatologica. Cosa sono infatti i carismi? I testi del Vangelo nei quali se ne parla sono tutti in un contesto escatologico. Pensiamo alla parabola dei talenti (Matteo 25,14-30), pensiamo, ancora, all’insegnamento riguardo all’amministratore della casa, che deve amministrare i beni a favore dei servi, elargendo loro il cibo in tempo opportuno, in attesa del ritorno del Signore (Luca 12,42-48); pensiamo alla parabola delle mine, parallela a quella dei talenti (Luca 19,12-27): “Di ritorno… fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato”. Pensiamo a S. Paolo quando, ad esempio, ricorda che ciascuno sarà giudicato secondo il modo con cui ha gestito i carismi, i doni che ha ricevuto da Dio, se si  è servito di essi bene o male, se ha edificato con pietre preziose o con paglia (1 Corinzi 3,5-17). Tutti i discorsi sui carismi sono discorsi impostati, nel Nuovo Testamento, in chiave escatologica, perché sono le realtà dell’intermedio, date da Dio da amministrare in attesa del rendiconto, alla fine. La prospettiva escatologica è perseguita dunque, con grande coerenza, anche in questo punto e il nostro testo distingue la dottrina sui carismi per contenere, in poche parole, quasi tutto: che ciascuno li possiede, che sono molteplici e che sono elargiti da Dio (grazia). L’esortazione riguarda tutti, nella presupposizione che ciascuno nella Chiesa abbia ricevuto uno o più carismi. Si riferisce a tutta la Chiesa, non solo a uomini dotati di capacità eccezionali, “carismatici”. Nella comunità cristiana ciascuno amministri bene il proprio carisma perché non c’è alcuno che non abbia ricevuto una carisma. “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello spirito per l’utilità comune” ( 1 Corinzi 12,7) e non c’è un membro del corpo senza funzione (cf. 1 Corinzi 14,26); questo è un presupposto elementare del discorso del Nuovo Testamento. Non esiste, come dicono i padri, un membro, piccolo fin che si voglia, che non abbia il proprio senso. Anche la particella minima del corpo non è senza senso. “A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo” (Efesini 4,7); a ciascuno in modo distinto secondo il disegno di Dio, diversificato per ciascuno ma convergente all’unico fine… Il carisma è una modalità garantita da Dio, sostenuta da Lui e, anzi, da Lui imposta, perché guai se uno che ha una carisma non lo esercita! Esso è strumento del servire, non  occasione dell’emergere, ma esattamente il contrario: strumento del sottomettersi quali servi gli uni degli altri”. (Umberto Neri)

“11 Se qualcuno parla, parli  come con parole di Dio; se qualcuno serve, serva come per la energia che Dio provvede, affinché in tutte le  cose sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale è la gloria e la forza per i secoli dei secoli amen”.

Tutto si dica e tutto si faccia per l’edificazione del corpo di Cristo e per la glorificazione di Dio.
Dalla nostra bocca escano soltanto parole di Dio, in Lui fondate, da Lui agite, per Lui dette. Non siamo più padroni delle nostre labbra e neppure delle nostre opere. Apparteniamo a Cristo e tutto dobbiamo fare secondo la sua volontà ad esaltazione e glorificazione di Dio Padre.  L’uomo schiavo del Satana vive in virtù della forza del Maligno, noi viviamo in virtù della potenza di resurrezione per noi acquisita e a noi donata dal Cristo.
“Chi parla, lo faccia come con parole di Dio, chi serve lo compia con l’energia ricevuta da Dio”. Si specifica: chi parla, chi serve; c’è una divisione fondamentale tra i carismi di profezia, insegnamento ecc. e i carismi di servizio di carità; cioè tra il carisma sapienziale e il carisma assistenziale, per così dire. Il primo si manifesta nell’esercizio della parola e dell’insegnamento; il secondo nell’esercizio concreto della carità. Pietro non vuole con ciò escludere che questi doni possano essere compresenti nella stessa persona, ma essenziale è che tutti sono necessari e della medesima gloria, del medesimo significato, convergenti alla stessa unità, derivanti dal medesimo ed unico Signore… Bisogna attenersi ai carismi, senza uscire dall’ambito del dono di Dio, non osare dire o fare alcunché che non sia donato da Dio. Si devono esercitare i carismi senza uscire dall’ambito del dono carismatico, nell’esercizio della propria attività nella Chiesa. Tu parli? Sia nella luce, nella forza, nella chiarezza del tuo carisma che tu parli, servo del Vangelo e suo annunciatore. Tu servi? Non sia tanto come esplicazione della tua vitalità incontenibile o del tuo desiderio spontaneo di metterti in rapporto con gli altri, ma nella forza che ti viene da Dio, come Dio ti ispira, come Dio ti muove, con le motivazioni che Dio dice al tuo cuore: come con la forza che viene da Dio. Perché in tutto venga glorificato Dio. Qual è il fine dei carismi? La glorificazione di Dio, attraverso la considerazione, per il manifestarsi delle opere di grazia, potenza, bontà, saggezza che Dio ispira e che Dio sostiene”. (Umberto Neri )
“12 Amati, “
Non semplicemente da Pietro, ma prima di tutto dal Signore. Sempre ed ovunque portiamo nei nostri cuori e sulle nostre labbra questa consapevolezza: è la nostra forza vincente sopra ogni male ed ogni prova.

“non siate sorpresi per l’incendio che accade fra voi a prova per voi, come se vi capitasse qualcosa di strano,”
Non ci deve stupire che intorno a noi si accenda violento ed improvviso l’incendio: è per la purificazione dei nostri cuori e non per la nostra rovina. Nulla di strano e di imprevisto ma tutto ampiamente profetizzato dallo stesso Gesù.
Fa meraviglia il contrario: quando intorno a noi regna la tranquillità e l’unanime consenso degli uomini. Vuol dire che viviamo nella pace donata dal Satana e non siamo ancora entrati in guerra contro di lui alla sequela del Cristo.

“13 ma come partecipanti alle sofferenze di Cristo rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria vi rallegriate esultanti.
14 Se venite oltraggiati per il nome di Cristo, beati voi, perché lo spirito della gloria e  di Dio riposa su di voi.”

Non avrà parte alla gloria di Cristo chi non avrà condiviso la sua sofferenza e la sua umiliazione ad opera dell’uomo.
“Beati siete quando gli uomini vi odiano e quando vi mettono al bando e ingiuriano e respingono il vostro nome come cattivo a causa del figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno e saltellate, ecco infatti la ricompensa vostra è grande in cielo. Allo stesso modo infatti facevano ai profeti i vostri padri… Piuttosto guai quando di voi bene diranno tutti gli uomini: allo stesso modo infatti facevano ai falsi profeti i vostri padri.” ( Luca 6, 22 e 26 )
“Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi”. Il credente, essendo unito al Cristo nel suo mistero pasquale, partecipa alla sua opera di salvezza (cf. Colossesi 1,24), quando soffre, soffre comunque con il Cristo, quando vive, vive comunque con il Cristo, quando muore, muore comunque con il Cristo. Questo vale genericamente per il cristiano in quanto “di Cristo”, quanto più per il cristiano che patisce violenza a motivo della fede. Egli partecipa del martirio stesso del Cristo, del suo sacrificio vicario, della sua offerta gradita a Dio. Questa persecuzione non deve stupire ma, anzi, far gioire, perché prepara a ricevere il premio: “perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi” (v. 13). La croce è la via che si percorre con il Cristo verso la resurrezione e la beatitudine. La garanzia più sicura che noi parteciperemo alla gloria del Cristo è che partecipiamo alla Sua sofferenza; anzi, in qualche modo condizione per essere partecipi della gloria del Cristo è che  cominciamo, intanto, a portare su di noi anche la sua pena: “Se uno mi vuole servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà” (Giovanni 12,26); “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16,24)…
“Rallegratevi. È un comando preciso, è un comando che Pietro non esita a dare poiché sa che la fede può generare questa gioia, anzi che la fede, se è reale, non può non generarla. Rallegratevi ora, guai se non lo fate! Ma questa gioia non è evidentemente da intendersi in senso psicologico, quasi frutto di autolesionismo; è il partecipare della passione di Cristo con una consapevolezza di fede e con intima profonda accettazione della benedizione che in essa è racchiusa”. (Umberto Neri)

“15 Nessuno di voi soffra come omicida, o ladro, o malfattore, o come delatore; 16 se invece soffre come cristiano non si vergogni ma glorifichi Dio con questo nome.”

È motivo di vergogna  soffrire come omicidi, ladri, malfattori, delatori, perché si fanno le opere malvagie degli  uomini; è motivo di gloria davanti a Dio soffrire come cristiani, perché si fanno le opere di Cristo.
“Nel linguaggio ebraico la santificazione del nome è il termine che indica esattamente il martirio, perché è proprio sacrificando per Dio tutto se stesso, la propria vita, che il credente mostra in modo massimo di porre il nome del Signore al di sopra di ogni cosa. Possiamo ancora ricordare il testo ben noto del Vangelo di Giovanni dove l’evangelista riporta le parole di Gesù a Pietro: “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”, e aggiunge: “questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio (Giovanni 21,18-19), quale sarebbe stato cioè il modo con cui avrebbe subito il martirio.” (Umberto Neri)

“17 Perché è   tempo che cominci il giudizio dalla casa di Dio; se però comincia prima da noi, quale sarà la fine dei disobbedienti al Vangelo di Dio?”.

Il giudizio ultimo è alle porte e comincerà da quelli che sono dentro la Chiesa del Signore. Cosa pensare e cosa dire di coloro che rifiutano l’annuncio della buona notizia?

“18 E se il giusto si salva a stento, dove appariranno l’empio e il peccatore?”

La via larga, che vuole tutti salvi, può anche essere un pio desiderio del nostro cuore, non disprezzabile in sé, ma quale conferma dalla parola di Dio? “Molti sono i chiamati, pochi gli eletti”. Un certo buonismo e una certa rincorsa alle folle, con l’offerta di una salvezza a poco prezzo,  può risolversi  in un terribile inganno.

“19 Perciò anche coloro che soffrono secondo la volontà di Dio rimettano al fedele Creatore le loro anime attraverso opere buone.”

Sofferenza secondo la volontà di Dio ed opere buone: sono espressione di una fede autentica, degna di essere approvata dal Signore. Se la croce purifica i cuori, le opere buone manifestano il loro rinnovamento, e una presenza viva ed operante in noi della grazia santificante.

 

Cap.2

Cap. 2
Avendo deposto  dunque ogni malizia e ogni inganno e ipocrisie e invidie e ogni maldicenza, 2 come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale , affinché con esso cresciate per la salvezza, 3 se avete gustato che buono è il Signore. 4 Accedendo a lui come a pietra vivente,  rigettata dagli uomini ma scelta da Dio e onorata, 5 anche voi  come pietre vive siate edificati, come casa spirituale per un sacerdozio santo, per offrire vittime spirituali gradite a Dio per mezzo di Gesù Cristo. 6 Poiché è contenuto nella Scrittura: Ecco, pongo in Sion una pietra angolare, eletta, preziosa e chi crede in essa non si vergognerà. 7 A voi dunque l’onore, ai credenti; per i non credenti, invece, la pietra che rigettarono i costruttori,  questa è diventata testa d’angolo 8 e pietra d’inciampo e sasso di scandalo. Questi inciampano disobbedendo alla parola; a ciò anche sono stati posti. 9 Ma voi siete stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo di acquisto, perché  annunciate le grandezze di colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; 10 voi che un tempo eravate non popolo, ora invece popolo di Dio, voi a cui non  era stata fatta misericordia, ora invece  oggetto di misericordia. 11 Amati, vi esorto come stranieri e pellegrini di astenervi dai desideri carnali che fanno guerra contro l’anima, 12 avendo buona la vostra condotta fra i pagani, perchè in ciò in cui vi maledicono come malfattori, osservando dalle buone opere, glorifichino Dio nel giorno della visita. 13 Siate sottomessi ad ogni istituzione umana a motivo del Signore, sia al re come  sovrano 14 sia ai governatori come suoi inviati  per punire quelli che fanno il male, a lode invece di quelli che fanno il bene. 15 Poiché questa è la volontà di Dio: che voi, facendo il bene, facciate tacere l’ignoranza degli uomini stolti, 16 come liberi, non avendo la libertà come coperta della malizia,  ma come schiavi di Dio. 17 Onorate tutti,  amate i fratelli, temete Dio, onorate il re. 18 Voi schiavi siate sottomessi con ogni timore ai padroni, non solo ai buoni e ragionevoli, ma anche ai perversi; 19 questo infatti è grazia, se per coscienza di Dio qualcuno sopporta afflizioni, soffrendo ingiustamente. 20 Quale gloria infatti c’è, se peccando ed essendo schiaffeggiati pazientate? Ma se facendo il bene e soffrendo pazienterete, questo è grazia presso Dio. 21 A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi,  lasciandovi un esempio perché seguiate le sue orme. 22 Colui che non fece peccato né fu trovato  inganno nella sua bocca, 23 il quale ingiuriato non rispondeva con ingiuria, soffrendo non minacciava, ma consegnava la sua causa a colui che giudica con giustizia, 24  che i nostri peccati egli stesso portò  nel suo corpo sul legno della croce, perché sottratti ai peccati viviamo per la giustizia,  per la cui cicatrice siete stati sanati. 25 Eravate infatti come pecore erranti, ma ora siete stati convertiti al pastore e  sorvegliante delle anime vostre.

“Avendo deposto  dunque ogni malizia e ogni inganno e ipocrisie e invidie e ogni maldicenza, 2 come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale , affinché con esso cresciate per la salvezza, 3 se avete gustato che buono è il Signore.”

L’uomo vecchio è stato spogliato  di ogni peccato. Non semplicemente di questo o quel peccato , ma di ogni sua forma, che Pietro riassume in pochi termini.
Malizia: è tutto ciò che ci appartiene  come nostra peculiare proprietà; ha due volti, uno interiore e uno esteriore. Il primo è  il marchio dello schiavo impresso sul nostro cuore dal Maligno, il secondo  sono le azioni esteriori che vengono da questa schiavitù.
Inganno: è l’illudere e l’essere illusi, perché non si è radicati nella verità.
Ipocrisie: è tutto ciò che scaturisce da un cuore falso, che inganna gli altri dopo aver ingannato se stesso.
Invidie: è la ricerca dell’affermazione del proprio io, in contrasto con qualsiasi altro io, compreso quello divino. Maldicenza: è il male che prima ancora di essere trovato nelle azioni è trovato nelle parole. 
“Deposta dunque ogni malizia, ogni frode e ipocrisia. Questa deposizione è un termine usato, a mio parere, con allusione abbastanza trasparente al rito sacramentale della spoliazione degli abiti prima del battesimo. Come prima di essere battezzati deponete i vostri abiti nella piscina battesimale, così deponete ora ogni cattiveria, che è il segno dell’uomo vecchio”. (Umberto Neri)

“2 come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, affinché con esso cresciate per la salvezza,”

Non si nasce alla fede come adulti, ma come bambini, e chi è bambino deve innanzitutto cibarsi del latte: non quello che è dato dalla carne e dal sangue, ma dallo Spirito Santo: questo si deve cercare, questo si deve succhiare, per questo e con questo si deve crescere. Latte schietto, per sua propria natura, non miscibile e non compatibile con nessun altro latte.
“L’immagine è dunque chiara: come un bimbo ha subito bisogno di attaccarsi al seno materno per nutrirsi e strilla finché non gli si dà da succhiare il latte, così anche voi strillate perché vi si dia il latte, bramate il latte spirituale; non potete accontentarvi di aver ricevuto la vita nuova, dovete curarla, custodirla, animarla, potenziarla, vivificandovi incessantemente con l’attingere alla sorgente della grazia, della conoscenza e dell’amore di Dio…
Spirituale (letteralmente razionale). Questo latte è qualificato letteralmente come latte razionale, termine ancora ermeneutico che impone il trasferimento dall’immagine alla realtà spirituale. Razionale, nella lettera ai Romani, è il culto che non consiste nell’offerta di sacrifici materiali, ma nell’offerta più profonda e totale di noi stessi… Razionale è un termine analogo, come valore, a “spirituale”, che vedremo ricorrere più volte nel capitolo seguente, dove si parla di Tempio e di vittime spirituale (2,5) per trasferire l’indicazione biblica su tori, agnelli, capre o colombe, dall’immagine alla realtà. Puro (senza inganni). Di nuovo un termine sapienziale, che ricorre nel libro della Sapienza (7,13) in senso molto preciso, che si addice alla parola di Dio trasmessa in modo autentico: bramate la Parola pura, non adulterata, trasmessa così come Dio l’ha consegnata nelle sue Scritture, trasmessa così come lo Spirito Santo muove gli evangelizzatori a proclamarla. Solo questo è il nutrimento non adulterato, che veramente nutre e fa crescere.” (Umberto Neri )

“3 se avete gustato che buono è il Signore.”

“Il versetto è una citazione molto opportuna del salmo 34: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore” (salmo 34,9). Questo salmo, ripreso ancora altre volte era certamente usato nella liturgia della iniziazione cristiana per la facile applicazione al battesimo e alla eucaristia”. (Umberto Neri)
Nessuno si accosta ad un latte diverso da quello già assaporato, se non ha acquisito un gusto nuovo, che è quello dato dal Signore. Non cerca il latte del Signore se non chi ha abbandonato colui che dispensa un cibo per la morte eterna. E non abbandona il Malvagio, se non chi ha trovato il vero eterno bene: colui che è Buono, il Signore Iddio che si è manifestato in Cristo Gesù.
Non comprende chi non è andato oltre la dimensione etica dell’esistenza, e non si è posto alla sequela di Cristo.

“4 Accedendo a lui come a pietra vivente,  rigettata dagli uomini ma scelta da Dio e onorata, 5 anche voi  come pietre vive siate edificati, come casa spirituale per un sacerdozio santo, per offrire vittime spirituali gradite a Dio per mezzo di Gesù Cristo.

Non c’è vicinanza al Signore, se non quando la nostra vita si accosta alla Sua. Perché il nostro Dio a differenza degli idoli  inanimati è pietra vivente in Cristo Gesù, a noi donata, da noi toccata come roccia inamovibile di eterna salvezza. Rigettata dagli uomini, come cosa di nessun valore, è stata eletta da Dio come pietra preziosa sulla quale è costruito un edificio di incomparabile bellezza e di incrollabile potenza, che è la sua Chiesa. Accostàti a Cristo, a lui assimilati, in virtù dello Spirito Santo siamo fatti edificio spirituale, perché il tempio di Dio sia innalzato nel nostro cuore, perché in noi e non fuori di noi sia trovato il nostro Signore, per un sacerdozio santo, in virtù del quale ognuno di noi offre a Dio il proprio sacrificio spirituale. Non quello di vitelli e capri, ma quello della propria vita. E tutto questo è possibile soltanto in virtù dell’unico sacrificio  gradito al Padre: quello dell’eterno Figlio Suo. Nel suo sacrificio è il nostro sacrificio, nella sua morte la nostra morte, nella sua resurrezione la nostra resurrezione. Non c’è celebrazione liturgica se non in virtù di questo accostamento tra noi ed il Cristo, tra  una vita creata  assimilata, cioè fatta simile, a quella del Creatore.
“L’accedere al Cristo, pietra viva, come tempio, nel battesimo, coincide con l’essere edificati insieme con gli altri credenti nella Chiesa, come pietre vive. Il battesimo comporta un collegamento essenziale, inevitabile, con gli altri membri della comunità cristiana, per costituire insieme con loro, non da soli, un tempio per il Signore… Non è un’avventura mia personale. Sono un mattone. Un mattone non ha senso da solo, perché nè ripara dal sole, né ripara dall’acqua, meno che mai permette di abitarvi sotto: non ha senso. L’idea degli altri precede l’idea di me come singolo, io sono sentito come in comunione con gli altri e sono scelto da Dio, in quanto – come dice il concilio Vaticano II –appartenente al popolo. La scelta del popolo precede la scelta del singolo. Ma come, il popolo non è fatto di tanti singoli? Certamente! Però il singolo è scelto in base alla volontà di scegliere e di costituire il popolo del Signore; quindi la Chiesa è anche madre, perché la scelta della Chiesa precede la scelta del singolo. Io sono scelto dentro alla Chiesa. Una interpretazione individualistica del cristianesimo, come avventura personale per la salvezza, è esclusa totalmente e inoltre è esclusa qualsiasi interpretazione “laicistica”, nel senso di non prevalentemente sacrale. I mattoni hanno la loro individualità, ma sono scelti tutti insieme e sono costruiti per essere un tempio. Interpretare il cristianesimo come finalizzato ad altro, che non sia il culto, la lode, l’onore reso a Dio, il rapporto con Dio, l’intimità della comunione con lui, l’essere abitazione di lui e abitare in lui, è un atto falso ed erroneo.…
Per un sacerdozio santo. Siamo sacerdoti ma non popolo di preti. “Prete”, contrazione di presbitero, è colui che esercita uno specifico ministero nella chiesa. Sacerdote, invece, è colui che ha un compito di responsabilità primaria rispetto al culto. La Chiesa non è un popolo di preti (guai se tutti fossero preti, sarebbe un incubo), ma certamente è un popolo di sacerdoti. I preti sono sacerdoti, certo, ma in primo luogo in quanto appartenenti al popolo di Dio e poi per un titolo particolare, connesso con il loro ministero, ma anche gli altri sono sacerdoti.
Per la costruzione di un edificio spirituale. Il tempio è spirituale, è casa spirituale “per un sacerdozio santo”. È una precisazione che potrebbe apparire anche superflua, ma in realtà ci aiuta a uscire dalla tentazione di intendere in modo un po’ troppo statico questo edificio. Siamo edificio. L’edificio cosa fa? Niente. Le pietre cosa fanno? Niente, stanno lì ferme. Il loro compito è di star ferme, guai se le pietre si dessero da fare! Stanno lì ferme, non si agitano. Noi invece siamo costruiti come tempio santo, ma per offrire vittime spirituali: essendo un sacerdozio siamo chiamati ad esercitare il sacerdozio, a esercitare un’attività, a vivere come consacrati. Tempio e sacerdozio sono termini fortemente connessi l’uno all’altro: l’uno sottolinea l’avere Dio presente in mezzo a noi; l’altro il rapportarci a Dio con il nostro agire, con il nostro culto attualmente offerto a Dio.
Per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo. L’offerta di questi sacrifici spirituali nel tempio di Dio si compie mediante Gesù Cristo. La mediazione del Cristo è una sottolineatura tipicamente neotestamentaria: come si è edificati in tempio accedendo al Cristo, che  è pietra di fondamento senza la quale il tempio non cresce (le pietre si edificano l’una sull’altra, ma tutte sul Cristo che le regge), così si esercita, il sacerdozio offrendo vittime spirituali mediante il Cristo; nell’eucarestia è lui stesso l’offerto ed è il sacerdote: in tutta la vita di culto, di preghiera, di lode al Dio cristiano, è lui che fa salire la supplica, la lode, l’intercessione a Dio. Il sacerdozio è esercitato sempre mediante lui che lo assume nella sua mediazione. Lo assume in sé e lo fa proprio ed è lui solo che rende la nostra offerta gradita a Dio. Il testo permette di per sè una duplice interpretazione, perché offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo, può significare che l’offerta di sacrifici avviene per la mediazione di Cristo, oppure che, per tale mediazione, essa è gradita; ma l’alternativa è apparente perché “per mezzo di Cristo” si riferisce ad ambedue gli elementi: l’offerta è possibile solo mediante Cristo ed è bene accetta soltanto attraverso di lui.” (Umberto Neri )

“6 Poiché è contenuto nella Scrittura: Ecco, pongo in Sion una pietra angolare, eletta, preziosa…”

La prima testimonianza, il primo annuncio dell’evento salvifico, ci è dato dalla Scrittura. L’evento è innanzitutto un fatto che viene dal cielo, un’operazione divina,  per mano dell’Onnipotente Dio. Non si colloca in un punto qualsiasi della terra, ma è trovato in Israele, sul monte Sion.  Prima ancora di  ciò che è operato, va esaltato Colui in virtù del quale il Padre ha operato. È pietra vivente, perché ha in sé la vita, è pietra angolare perché fondamento di ogni costruzione spirituale, eletta, perché unicamente gradita a Dio, preziosa, perché non c’è vita se non in Lei e per Lei.
“I testi sono ricavati da diversi luoghi della Scrittura, ma contribuiscono tutti a illuminare la funzione e la natura del Cristo. Il termine “pietra” richiama dunque immediatamente alla memoria altri luoghi della Scrittura in cui è contenuto il riferimento messianico. La mnemotecnica è usata largamente nel mondo rabbinico e così mostra di fare e di praticare l’autore, che su questa raccolta di testi lavora molto abilmente. Le citazioni non sono semplicemente accostate l’una all’altra, ma fortemente elaborate e integrate in un discorso organico il cui senso complessivo è che Dio ha posto in Sion il suo Cristo – l’ha manifestato cioè in Israele – eletto e glorioso, quale unica salvezza: solo chi crede in lui non è condannato (cf. Atti 4,12 – in relazione alla citazione del salmo 118,22 - : “In nessun altro c’è salvezza”).” (Umberto Neri)

“e chi crede in essa non si vergognerà ”.

Non c’è esistenza che non si risolva in una fede, e non c’è fede che non debba  confrontarsi con quella che discriminata è anche discriminante. Non c’è Salvezza se non in Colui che è stato mandato dal cielo. Unica è la fede che porta con sé ogni gioia, qualsiasi altra fede sarà di vergogna nel giorno del giudizio ultimo e definitivo.

“7 A voi dunque l’onore, ai credenti,”

A chi l’onore che rimane in eterno? A noi, che crediamo in Cristo Salvatore, Figlio di Dio. E per quelli che non credono?

“per i non credenti, invece, la pietra che rigettarono i costruttori, questa è diventata testa d’angolo 8 e pietra d’inciampo e sasso di scandalo;”

Per coloro che non credono in Cristo Gesù, una brutta notizia sarà loro riservata nel giorno del giudizio, foriera dell’angoscia che introduce alla dannazione eterna. La pietra scartata come di nessuna importanza è diventata  testa d’angolo, quella che regge l’edificio della vita, una pietra in cui non si inciampa con il minore dei mali, ma con il più grande e terribile, con la caduta nella morte eterna. Non una pietra qualsiasi che accetta anche di non essere guardata e considerata, ma rupe di salvezza a tutti visibile e a tutti donata, diventata scandalo per chi non crede, scandaglio dei cuori, misura di ogni vicinanza o lontananza da Colui che è La Verità.

“Questi inciampano disobbedendo alla parola, a ciò anche sono stati posti”.

Non un qualsiasi inciampo è per la dannazione eterna, e non una qualsiasi pietra è causa di eterna caduta, ma la roccia vivente di Dio, che è Cristo, eterna Parola del Padre.
Chi obbedisce alla Parola di Dio troverà in questa roccia rifugio sicuro contro il Maligno e fortezza inaccessibile alle potenze del male, una scala che porta al cielo, in direzione unica e sicura. Non c’è possibilità alcuna di errore per tutti coloro che sono in salita, se pur collocati in punti diversi: alla fine si troveranno tutti fra le braccia dell’unico Dio.
“Ecco la funzione del Cristo: se ci si appoggia su di lui, in lui si diventa tempio santo, ma se lo si rifiuta, in lui si trova motivo di caduta come inciampando in un sasso. Questo è quello che è accaduto direttamente ai responsabili di Israele e, attraverso di essi, a tanta parte del popolo primogenito”. (Umberto Neri)

“a ciò anche sono stati posti”.

Non si può parlare di destino dell’uomo se non in rapporto alla Parola; perché dall’eternità è stabilito in cielo che chiunque crede alla Parola abbia vita eterna e chi non crede morte eterna.
Intendi rettamente. Il discorso di Pietro si pone sulla stessa linea di quello di Paolo. È detta in maniera sintetica la dottrina della predestinazione. Se agli uomini di quel tempo era cara questa dottrina, che considera ogni uomo un diversamente predestinato, tutto questo non si attualizza e non si realizza se non per una nostra libera scelta.
Due possibilità sono stabilite e definite dall’eternità per ogni creatura: o rimanere in Dio o porsi fuori di Dio. Chi crede in Cristo diventa per definizione divina un eletto, un predestinato alla vita eterna in virtù di libera adesione all’opera del Cristo. Chi non crede in Cristo diventa al contrario, per la ragione contraria, un predestinato alla morte eterna. Non per causa primaria, che vuole tutti gli uomini salvi in Cristo, ma per causa secondaria, che lascia aperta all’uomo in virtù di una libertà creata, la possibilità di un rifiuto del dono che è dato dal cielo.
È volontà di Dio che tutti gli uomini siano salvi in Cristo Gesù: per Dio siamo innanzitutto predestinati alla salvezza.
L’uomo che non fa sua la volontà di Dio ed afferma una propria volontà, non smentisce la primaria volontà di Dio, che è predestinazione alla vita eterna, ma rende reale ed attuale una diversa volontà, che è predestinazione alla morte eterna. Sovrana nella storia è la volontà di Dio.
Non accogli e non fai tuo un disegno di eterna salvezza? Non affermi e non confermi una tua volontà diversa da quella del tuo Creatore, semplicemente crei e dai fondamento a una sua diversa volontà, non di salvezza ma di dannazione. Vi è in Dio una volontà originaria rispetto alla volontà della creatura, vi è pure in Lui una volontà derivata rispetto alla volontà della stessa creatura. Per la prima vi è predestinazione alla salvezza per chi crede in Cristo Gesù, in virtù della seconda vi è dannazione eterna per chi non crede nel medesimo Cristo Gesù. Discriminante è la volontà dell’uomo, non quella di Dio. Chi vuole altro da quello che vuole Dio, afferma in sé e per sé una diversa volontà di Dio, non la predestinazione alla vita eterna, ma la dannazione alla morte eterna. Vuoi tu la morte e non la vita? Ebbene, se le cose stanno così, lo vuole anche Dio; non per una decisione dell’ultima ora, ma perché così stabilito dall’eternità.
Pietro non si discosta in nulla dall’insegnamento di Paolo. In poche parole dice la stessa cosa.


“9 Ma voi siete stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo di acquisto,”

La contrapposizione tra coloro che non credono e coloro che credono è netta e ben delineata: non c’è via di mezzo o una diversa possibilità. Eterna rovina per i non credenti in Cristo, sovrana esaltazione per tutti coloro che sono entrati nella sua opera di salvezza. Nessun titolo per i primi, ogni onore e gloria ai secondi.
Stirpe eletta: non una qualsiasi stirpe ma quella unicamente accetta al Padre.
Regale sacerdozio. Non un comune sacerdozio, ma quello che è esclusivo dei re.
Gente santa: non una gente che può stare con le altre della terra, ma una gente separata e divisa per una sorte diversa.
Popolo di acquisto. Non un popolo senza prezzo, ma popolo che Dio si è acquisito con il sangue prezioso del Figlio suo.
E a quale scopo?

“perché  annunciate le grandezze di colui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua luce meravigliosa.”

La grandezza  di Dio è già di per sé piena, non ha bisogno di essere accresciuta, ma proprio perché sovrabbondante d’amore vuol riempire di sé ogni creatura e non lasciare zona vuota o di ombra. È data per essere liberamente accolta e fatta propria;  e tutto ciò è reso possibile dall’annuncio degli eletti, annuncio che passa da bocca in bocca, annuncio che porta in sé lo stupore, la gioia, la meraviglia, l’entusiasmo di chi è passato dalle tenebre del Maligno alla luce del Salvatore.

“10 Voi che un tempo eravate non popolo, ma ora popolo di Dio, voi a cui non ne era stata fatta misericordia, ora invece essenti oggetto di misericordia.”

Prima della venuta di Cristo eravamo nulla. Ci era negato anche il titolo e l’attributo di popolo, perché un popolo ha una terra propria ed un re proprio: noi eravamo come pecore disperse nel deserto: nessuno, nella terra di nessuno.
E chi ci ha cercato, chi ha avuto di noi misericordia? Il Signore che è nei cieli. Per noi disceso sulla terra, ha fatto di noi un popolo santo, di suo particolare possesso, popolo Dio per elezione divina, perché non noi abbiamo eletto Lui, ma Lui ha eletto noi.

“11 Amati,”

E’ un dato di fatto, una realtà, sperimentata e conosciuta da tutti coloro che fanno parte del popolo di Dio: un popolo fatto santo, cioè separato, per una diversità che deve tuttavia dar prova di sé, custodita e conservata in questa vita per entrare nell’altra vita.

“vi esorto come stranieri e pellegrini di astenervi dai desideri carnali che fanno guerra contro l’anima.”

Siamo un popolo, santo, eletto da Dio per annunciare la grandezza del suo nome, ma siamo anche un popolo in cammino dietro Cristo per raggiungere una dimora eterna.
Diversa la nostra guida, diversa la nostra meta, diverso il nostro cammino: Come dobbiamo dunque comportarci in questa vita? In conformità alla chiamata, che già hic et nunc fa di noi cittadini del cielo e di conseguenza stranieri e pellegrini su questa terra.
Straniero è  chi accidentalmente ed occasionalmente si trova in un paese che è altro dal proprio. Lo straniero conserva intatta la propria identità rispetto ad ogni diversità trovata. Non si integra in alcun modo, né desidera assimilarsi ad altro popolo che non sia quello da cui ha avuto la vita. Il popolo di Dio è altro dai popoli di questa terra. Si può integrare una diversità trovata in questo mondo, non quella  creata da Colui che non è di questo mondo. Viviamo nel mondo, ma non siamo del mondo. La nostra patria è nei cieli, accanto a Colui che ci ha generato ad una vita nuova. Viviamo con i piedi per terra, ma con la testa nei cieli, in una continua ed incessante tensione verso le cose dell’alto. Ed è proprio questa tensione, che non accetta allentamenti, che fa di noi persone in continuo spostamento dalle regioni terrene a quelle celesti. Lo straniero è diverso dall’emigrante. Questo si sposta per una integrazione che è sempre sulla linea di questo orizzonte terreno, lo straniero prima ancora di spostarsi è uno che si sente spostato, strappato dalla terra che sente propria, ma solo per un tempo ben definito e delimitato, che non oscura e non tocca il sentimento di una vita trovata in verità e carità. Chi è straniero per Cristo, se pur ha residenza fissa fra un popolo a cui si sente estraneo e dal quale è sentito estraniato, ha il cuore sempre in movimento. Vuol raggiungere in maniera stabile e definitiva l'’autore ed il perfezionatore della propria salvezza. Agli occhi del mondo può anche apparire un sedentario ed un disimpegnato, perché  non cerca e non desidera alcuna novità, cambiamento, progresso in una dimensione orizzontale. Agli occhi dello spirito, nel profondo del proprio cuore appare un pellegrino, uno che cammina senza sosta verso una meta, di cui conosce il fine, ma non il quando e il come. Il pellegrino non è come il nomade. Il nomade trova la propria casa in un luogo qualsiasi di questo mondo, il pellegrino in nessun luogo di questo mondo. Cerca altro da ciò che appartiene a questa terra, e non lo trova, se non in un continuo rinnegamento e superamento di  ciò che è immediatamente dato. Come figli della promessa,  in Cristo abbiamo la caparra dello Spirito Santo, ma vogliamo e cerchiamo quella pienezza che già è stata per noi acquistata in cielo dal Salvatore. Nessuna finzione nel cuore di chi si sente come forestiero e pellegrino in questo mondo. In altre parole: non ci è detto da Pietro di vivere come se fossimo stranieri e pellegrini su questa terra, ma di vivere nella piena consapevolezza del nostro essere in questa terra come pellegrini e stranieri. La novità della nostra vita non è data dalla nostra estraneità ad essa, ma al contrario, la nostra estraneità ad essa è data da una novità già assicurata, pregustata, assaporata, in maniera tale che altro non possiamo cercare e volere se non la pienezza ultima e definitiva. Il nostro essere stranieri e pellegrini è ben altro da un semplice stile di vita, un costume da noi trovato buono e adatto per avere vita eterna. Al contrario è logica conseguenza di una vita divina che è già in noi in atto per grazia del cielo. Non abbiamo una terra in questo mondo, ma neppure la desideriamo e la cerchiamo: abbiamo già trovato la nostra. Non godiamo dei beni del mondo, se non in maniera del tutto sporadica ed occasionale. Nulla ci è di peso e di impedimento e nulla crea in noi aspettative diverse, perché già tutto possediamo, conosciamo, sperimentiamo in Cristo.
Siamo stranieri e pellegrini senza invidia e senza rimpianti, sovrabbondiamo di gioia  nel Signore che ha preso possesso del nostro cuore e che ci attira a sé in maniera sempre più piena, completa, definitiva.
Oggi non ci sono più i pellegrini come un tempo, tutt’al più si fa qualche pellegrinaggio, ma le parole di Pietro sono sempre attuali e attuabili. Non importa dove si dimora con il corpo, importa dove si dimora col cuore. Non importa il possesso dei beni di questo mondo, importa il possesso dell’unico eterno bene, che è il Signore nostro. Nulla dobbiamo realizzare  in questa vita, perché già tutto è stato realizzato per noi e  in noi dal Cristo. Il mondo ci vede come persone del tutto inutili, da cui nulla si spera e di cui si fa volentieri a meno. Non siamo in cordata per creare un mondo migliore. Nella nostra povertà ed indigenza possiamo anche essere trovati come un impedimento ed un intralcio per il benessere dell’umanità. La nostra ricchezza e la nostra pienezza è quella del cuore, visitato e colmato dalla presenza del Cristo.
Viviamo in maniera pacifica ogni avversità che ci viene dal di fuori, ma anche le avversità che troviamo dentro di noi, che sono le passioni della carne.

“vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri carnali che fanno guerra contro l’anima.”

Viviamo in continuo stato di guerra: è vero! Ma è una guerra del tutto particolare, non è di aggressione o di difesa, ma semplicemente di astensione. Già liberati dalle passioni della carne, dobbiamo semplicemente girare alla larga da esse. Non provocarle a cimento e neppure affannarci in complesse, costose e faticose fortificazioni.  Basta rimanere  e dimorare nella salvezza già operata dal Cristo, non andare fuori per cercare una nostra guerra, e neppure preoccuparci di costruire altre difese e protezioni che non siano già date dal nostro Salvatore. Si è veri stranieri e veri pellegrini in questo mondo, soltanto in Cristo e per Cristo, nella Sua Chiesa e con la Sua Chiesa.
Come vive chi è pellegrino e straniero in questa terra? È subito detto.

“12 avendo buona la vostra condotta fra i pagani, perché in ciò in cui vi maledicono come malfattori, osservando dalle buone opere, glorifichino Dio nel giorno della visita.”

Innanzitutto con  la nostra vita dobbiamo attestare e testimoniare cha siamo nati ad un’altra vita. Non interessano le cose del mondo, ma unicamente ciò che è volontà di Dio. “Siate santi, perché io sono santo”. Una morale fine a se stessa e conforme a quella del mondo manifesterebbe un nostro essere dal mondo, come il mondo.
Avere una buona condotta non è possibile e non si giustifica se non in virtù di una retta e buona coscienza, che nel suo essere fondata nell’unico Dio, da Lui agita e conformata, fa di noi un cuore solo ed anima sola. Gli uomini di questo mondo possono avere tante morali, che stanno l’una accanto all’altra. Noi cristiani abbiamo una sola morale  che è quella che ci è data dall’obbedienza a Cristo Gesù. Se sconcertano le morali diverse trovate in questo mondo, stupisce e riempie di fondata meraviglia una morale che ha molti toni, ma una sola e medesima voce. I pagani possono maledire i cristiani, attribuire a loro ogni sorta di male, ma è la realtà stessa delle cose, così come da tutti trovata, che smentisce ogni calunnia. I cristiani, se pure non hanno alcuna pretesa di essere buoni, compiono opere buone. Sono diversi, è vero, ma un giudizio sbagliato e falso viene poi ribaltato dai fatti. Perché i cristiani appaiono in tutto e per tutto diversamente rapportati a ciò che è bene e a ciò che male. Sono portatori di una giustizia diversa che rimanda ad un Dio diverso. Se è vero che per ogni uomo viene il giorno della visita del Signore, tale visita per i pagani è anticipata, rafforzata, confermata dalla testimonianza di vita dei cristiani. Se vi sarà in coloro che oggi si comportano come un non popolo  volontà di bene e desiderio di verità, a nessun altro Dio daranno lode se non a quello testimoniato loro dai cristiani. Nessuno che voglia Dio potrà mai maledire coloro che sono rinati dall’unico Dio.
Questo è ciò che deve stare unicamente a cuore ad ogni creatura: che ogni bocca dia lode al suo Creatore. Non c’è altro scopo ed altro fine della vita che si possa dire primario rispetto alla glorificazione del Signore Dio nostro.
Chi cerca altro, chi dà esempio di qualcosa di diverso e dà un’altra testimonianza, se pur parla di Verità, è testimone della Menzogna. La creatura è fatta per dar lode al Creatore per magnificare la sua bontà, bellezza, munificenza. Molti hanno la pretesa di essere testimoni autentici di Dio. Ma quale inno di lode al Signore scaturisce dalla loro bocca e quali bocche sono aperte da questi testimoni all’inno che unicamente interessa e ha valore per la vita eterna? Non l’inno ai valori da noi trovati e coltivati come buoni, ma l’inno all’unico valore che è buono: Gesù Cristo Salvatore, Figlio di Dio. Troppe filosofie della religione entrano nella testa ed escono dalla bocca dei più autorevoli predicatori odierni. E dov’è l’inno di lode esaltato ed esaltante al Signore nostro Dio? Il coro di coloro che danno gloria a Cristo Salvatore si accresce sempre più o va sempre più diminuendo? Non è forse giunto il momento di parlare meno di Dio e di invocare di più il suo nome? Quale triste spettacolo ci danno oggi gli esegeti più di moda e più in auge! Non danno lode a Dio, ma a se stessi, non annunciano Cristo Salvatore, ma se stessi come salvatori. E tutto questo in una tale confusione di idee, proposte, iniziative, che fanno la Chiesa sempre più deserta e povera di adoratori di Dio in Spirito e Verità.
Questo per quel che riguarda il rapporto con Dio. E per quel che riguarda il rapporto con le creature e con quel sistema creato dal diavolo, che tutte le accomuna ed unisce, quella realtà che la Bibbia definisce con il generico nome di mondo? Come deve comportarsi ed essere trovato chi porta il nome di cristiano?

“13 Siate sottomessi ad ogni umana istituzione”

Il discorso di Pietro, a questo punto, si fa per molti oscuro, addirittura provocatorio, al punto da suscitare, ira, indignazione, rigetto. Nasce  il sospetto che non sia parola dell’apostolo Pietro, ma il frutto di qualche manipolazione del testo originale, operata dai figli del Maligno.
Come è possibile che la vita nuova in Cristo chieda la sottomissione a ciò che ci appare manifestamente come espressione del mondo e del potere che satana ha su di esso? Se già un cambiamento è stato operato da Dio nei nostri cuori e nella nostra mente, non dobbiamo preoccuparci di cambiare  le istituzioni, il contesto sociale, le leggi che regolano questa esistenza? Come si può scacciare il Satana, mettersi al servizio di Dio, perché in tutti si attualizzi la sua opera di redenzione, se accettiamo il male che c’è nel mondo e non entriamo in guerra contro di esso? Cosa pensare, cosa dire,  cosa fare? Stare sottomessi? E non è forse fin troppo chiaro, che si deve fare esattamente l’opposto? Cioè ribellarsi e disubbidire?

“a motivo del Signore”,

Pietro, rincara la dose. Non solo dobbiamo stare sottomessi sic et simpliciter, ma per dichiarata ed esplicita volontà di Dio. Che si debba stare sottomessi a causa di forze superiori alle nostre, può essere comprensibile, ma che si debba stare sottomessi a motivo del Signore… qui l’assurdo è portato al massimo. È come dire che nulla potrà e dovrà cambiare in questo mondo. Ed allora quale vita nuova ci è donata dal Signore in Cristo Gesù ? Qui casca l’asino, perché chi cerca, vuole, desidera un mondo migliore non ha ancora compreso che tutto è già stato compiuto dal Salvatore. Non c’è nulla di rivelante per quel che riguarda la verità e la salvezza che già non sia stato operato da Cristo con la sua morte e resurrezione. La salvezza non va cercata nell’economia di questo mondo, ma nell’economia di un altro mondo che ha nome di regno di Dio o regno dei cieli. Chi lotta per una società migliore, ha già scartato la pietra d’angolo, è già inciampato in essa, è già caduto nella fossa profonda della perdizione, dalla quale può salire soltanto la voce falsa ed ingannevole del Diavolo, se pure scimmiotta, imita, fa propria, grida  la Parola di Dio. “Tutto è compiuto”, sono le parole di Gesù. Non può esserci opera nostra in questa vita se non nella sottomissione all’unica opera di salvezza compiuta  dal Cristo. Se siamo già stati tutti salvati, non c’è nessuno da salvare, resta semplicemente l’annuncio e la testimonianza della venuta del Salvatore, che ha fatto nuove tutte le cose, non quelle fuori di noi, ma quelle che sono dentro di noi, ovvero la realtà spirituale che se pur s’incontra e s’intreccia con la realtà materiale, la sottomette a sé e la scavalca. Il regno di Dio è già venuto ed è dentro di noi. Chi guarda, cerca, opera in una dimensione diversa che non è quella del cuore, si troverà smarrito e confuso. Perché il mondo dopo Gesù è ancora quello prima di Gesù. Soltanto guardando ai cuori, ad essi parlando, per essi lottando, troveremo  che il Regno di Dio è già venuto. Ed è opera dello Spirito Santo che Gesù ha reso, cioè dato, per noi sulla croce ed ancora più è disceso sulla Chiesa nel giorno della Pentecoste. Chi non è pago della dimensione interiore e cerca fuori ed oltre essa, rimarrà deluso. Ma allora non si deve fare nulla per un mondo migliore? Quale il nostro impegno? Innanzitutto quello dell’annuncio del Vangelo, in una continua ed ininterrotta preghiera di lode al Signore: una testimonianza piena di virtù donate dal Cristo,  una vita sobria, materialmente ridotta all’essenziale che cerca e vuole le cose dell’alto per ridurre a nulla i desideri della carne. Nessun impegno sociale, per quanto dettato da nobili sentimenti, può snaturare la nostra vocazione di creature fatte nuove dal Cristo, che innalzano al cielo un perenne ed ininterrotto inno di lode al Cristo salvatore. Non siamo innanzitutto dispensatori di un cibo materiale, ma di un cibo spirituale, che in ogni tempo, in ogni situazione, in ogni uomo, fa nascere, alimenta, dà forma ad una nuova vita che porta il sigillo dello Spirito Santo.

“Non possiedo né argento né oro, ma nel nome del Signore ti dico alzati e cammina”. ( Atti 3,6 ) E tutto questo in un’esistenza, che è coesistenza con un mondo vecchio, che è stato, è e sarà sempre in mano al Maligno, fino al giorno della venuta del Figlio dell’uomo, allorché ogni potere sarà tolto al Satana. Cristo non è venuto per toglierci dal mondo, ma per liberarci dal male che è nel mondo. Con noi o senza di noi, il mondo continuerà la sua folle corsa verso la distruzione finale. E bada bene di non cadere negli ingranaggi di questa macchina micidiale che macella ogni carne che trova nel suo campo d’azione. La nostra storia di redenti è quella di fuoriusciti che, se pur vivono nel mondo, devono tenersi ad una certa distanza dal potere di questo mondo, che è in mano al Maligno. Chi può comprendere comprenda. Gli altri continueranno a far politica, a far opera di mediazione, a promettere ciò che in definitiva Cristo non ha promesso in questa vita. Cercheranno di smussare gli angoli e le punte di ogni contrasto, per mettere insieme tutti gli uomini, in nome di principi universali, che per quanto buoni, sono astratti, cioè tirati fuori dall’opera e dalla persona di Cristo Salvatore. Si potrà anche accrescere il culto dell’uomo: dell’uomo buono s’intende e non più di quello cattivo. Ma quali risultati? La catastrofe più completa e la dannazione eterna per tutti quelli che hanno annunciato un vangelo diverso che non è quello di Gesù Cristo. Il mondo continuerà la sua folle corsa verso la distruzione, guidato dal suo principe. “ Sorgerà popolo contro popolo e regno contro regno e ci saranno carestie e terremoti in vari luoghi… si tradiranno l’un l’altro e si odieranno… per il moltiplicarsi dell’iniquità si raffredderà l’amore dei molti”. ( Matteo 24,7 e seguenti ).
E tu credi ancora in un mondo migliore e difendi con la spada gli uomini che ritieni migliori? Confida nel Signore e avrai maggior profitto. Rifugiati nella Chiesa che in questo mondo vive come pellegrina e straniera. Fuggi lontano dalla chiesa che vuol mettere le sue radici in questa terra, avida di potere mondano, ornata di ricchezze materiali, che mentre annuncia la novità, ovunque spande l’odore nauseabondo della morte. Visione pessimistica dell’esistenza? Nient’affatto! Ma giusto, santo, dovuto realismo che non corre dietro all’illusione, perché già dimora nella pienezza di vita donata dal Cristo. Certamente, se possibile, per quanto compatibile con la nostra condizione di pellegrini, dobbiamo collaborare con ogni iniziativa che vuol alleviare la sofferenza dell’uomo. Daremo in elemosina i nostri beni, non ci uniremo alle schiere dei bontemponi e dei malfattori, daremo il voto al partito che, almeno in apparenza, ci sembra più vicino ai valori cosiddetti cristiani.
( e potrà anche essere un’ illusione e una delusione. Non ci ostineremo e non difenderemo ad oltranza, oltre ogni evidenza ). Ma tutto questo senza compromettere la nostra identità di creature fatte diverse dal Cristo, senza confonderci con gli uomini che si dicono di questo mondo, per esso vivono, si affannano, danno la vita. Senza abbassare il vessillo di Cristo, unico nostro re in eterno, senza abbandonare la nostra vocazione di pellegrini, che si fermano solo per procurarsi il minimo indispensabile necessario per andare avanti nel cammino. Che non entrano più di tanto nelle questioni che dividono popolo da popolo, uomo da uomo, se non per annunciare  Cristo salvatore, non da questo o da quel male,  da questo o quel malvagio ma dal Satana, autore di ogni male. Non entriamo nell’inganno di ogni guerra che l’uomo fa contro l’uomo. La nostra guerra è contro i principati e le potestà di questo mondo, che tengono l’uomo schiavo del peccato. Soldati sempre in viaggio, verso il regno dei cieli, non portiamo con noi nessuna arma materiale e carnale, ma sempre ed ovunque proclamiamo Cristo Salvatore. Non c’è salvezza se non per chi si unisce alla carovana di pellegrini, che guidata da Cristo risorto è in viaggio verso il regno dei cieli, unica, vera, terra promessa da Dio. Molti annunci di salvezza si levano da ogni parte del mondo, con voci e toni diversi. La Chiesa porta al mondo un solo annuncio: Cristo è risorto, coloro che tutti credevano morto è vivente in mezzo a noi: non c’è salvezza, se non in Lui e per Lui.
Se non c’è in noi questa consapevolezza di una redenzione già avvenuta, di una reale presenza in mezzo a noi del Salvatore nostro, di una vita eterna già donata, che purtuttavia  chiede di metterci in viaggio con la Chiesa di Cristo verso l’eterna dimora…, se tutto questo è considerato pura fantasia, fuga ed evasione dalla vita reale e dai suoi problemi, qui finisce il nostro rapporto con Dio e con la Sua Parola. Il discorso di Pietro ci apparirà sempre più frutto di una mente delirante ed insensata.

“Siate sottomessi… sia al re come sovrano 14 sia ai governatori come suoi inviati  per punire quelli che fanno il male a lode invece di quelli che fanno il bene.”

E cosa ne sarà della regalità di Cristo?  Non è di questo mondo e non appartiene a questo mondo. Il mondo ha strutture proprie che, seppure sbagliate, guidate, sorrette dal Maligno, non impediscono e non intralciano la nostra realtà di cittadini diversi, di una realtà diversa, che è quella portata dal Cristo. Il Salvatore non ha vinto il Male che è nel mondo sradicandolo dal mondo, ma dal cuore di chi vuole essere redento. Si vince il male facendo il bene, non semplicemente togliendolo dalla circolazione. Quand’anche fosse tolto il male che è trovato fuori di noi, ciò non impedirebbe il riemergere e l’affermarsi del male che è dentro di noi. Gesù è sceso nel profondo del nostro cuore e qui ha combattuto l’ultima estrema, definitiva guerra contro il Satana, togliendogli ogni potere. Ma rimane il potere del Maligno su questo mondo. Potere che Il Signore non gli ha ancora tolto, potente sugli increduli, impotente su coloro che credono in Cristo. Ma allora agli occhi di coloro che non credono quale prova possiamo dare di un annuncio fondato in Verità?
La vittoria del bene creato in noi dal Cristo, sul male trovato da noi nel mondo.
Le istituzioni di questo mondo, se pur non sono rette da uomini illuminati da Dio, possono diventare per noi strumento di redenzione, perché la vittoria di Cristo sul Maligno, comporta di necessità che anche chi fa il male possa diventare strumento di Dio per il nostro bene.
Allorchè il giusto soffre per l’ingiusto diventa simile al Cristo e manifestazione palese ed aperta della Sua vittoria sul Maligno che, se pur manifesta in questo mondo tutta la sua potenza, non può intaccare l’opera di salvezza di Gesù.

“15 Poiché questa è la volontà di Dio: che voi, facendo il bene, facciate tacere l’ignoranza degli uomini stolti,”

Come si mette a tacere l’ignoranza degli stolti che non credono in Cristo Gesù? Non ribattendo ragione a ragione. Non c’è nulla da dimostrare e nessuno da convincere: è la nostra realtà di uomini nati a vita nuova, quale è trovata nelle opere che noi compiamo che chiude ogni bocca ingannatrice. Non opere di bene qualsiasi, ancora nell’ordine della morale umana, ma opere che vengono dallo Spirito Santo e attestano non della nostra bontà ma della bontà di Colui che ha preso possesso dei nostri cuori. Se gli uomini vedendo le nostre opere non danno lode a Dio, vuole dire che non facciamo le opere di Dio. Ci sono anche le opere dell’uomo che danno lode all’uomo. Sono un inganno, una falsità, un’appropriazione indebita del bene, che manifestano non l’appartenenza a Dio, ma la schiavitù del Maligno. Perché Satana può anche rivestirsi di angelo di luce e fare opere potenti tali sa sedurre, se fosse possibile, gli stessi eletti. Tutto ciò che non rimanda e non conduce a Cristo è opera del Satana, perché non c’è salvezza nell’uomo, se non quella operata da Cristo. Non può esistere con gli uomini di questo mondo vera e fondata comunione e fraternità se non nel bene e per il bene operato in noi dal Salvatore mandato dal cielo. Senza dubbi e fraintendimenti di sorta, ma nella proclamazione aperta e conclamata di tutti a tutti che non c’è altra salvezza all’infuori di quella portata dal Figlio di Dio. Togli dal Vangelo la fede in Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto per donarci vita eterna, e cosa ti rimarrà?  Una storia, bella, straordinaria fin che vuoi, un racconto da cui si può ricavare una morale condivisibile dai molti, ma non troverai più nella parola di Dio alcuna potenza di resurrezione per la vita eterna. La vittoria di Cristo sul male non si afferma con il dilatarsi e con l’accrescersi nel mondo dei valori da lui portati. Interessa innanzitutto quella comunità di redenti che ha nome di Chiesa, il cui capo è Gesù. Chi si pone fuori di essa o non entra in essa rimarrà per sempre mondo, cioè realtà non redenta da Cristo, in cui satana esercita il suo dominio. Il Diavolo può fare male a coloro che sono suoi schiavi, non a chi, riscattato da Cristo, è passato ad un’altra schiavitù, e ad un altro padrone. Se la schiavitù del Satana  è negazione di qualsiasi libertà, nella schiavitù del Cristo, troviamo la realizzazione piena della nostra libertà di figli di Dio, che vinciamo il male, non solo facendo il bene, ma portando e sopportando le ingiustizie operate dal Maligno. Segno di vittoria sul Diavolo, ma anche d’amore per coloro che sono suoi strumenti, perché vedendo la nostra pazienza devono confrontarsi con una potenza diversa, diversamente operante nel mondo: la potenza di Cristo, portatrice di un amore che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, per la salvezza di ogni creatura, nessuno escludendo, neppure chi si manifesta ed opera palesemente come  nemico.
Non è libero se non chi  è schiavo di Cristo. Una schiavitù liberamente scelta, accolta, fatta propria e per questo assimilante al Salvatore e Redentore nostro, Cristo Gesù.

“16 come liberi, non avendo la libertà come coperta della malizia,  ma come schiavi di Dio.”

Passo di difficile lettura. Chi è veramente libero dal male, perché liberato dal Cristo, non può rivendicare una propria libertà, di essa ricoprirsi e di essa ammantarsi. Ogni autonomo esercizio della  libertà rispetto a ciò che nel mondo conosciamo come bene o come male, è un inganno ed una menzogna. È una coperta che nasconde la nostra strutturale malvagità, in quanto figli del Maligno. Soltanto chi apertamente si manifesta come schiavo di Cristo, può per ciò stesso affermare la propria libertà, acquisita nel Salvatore ed in virtù del Salvatore. Qualsiasi rapporto immediato con la nostra conoscenza del bene e del male è di per sé frutto del peccato d’origine, espressione e manifestazione di una libertà perduta nel bene e di una schiavitù acquisita nel male. Non c’è bene o male da noi operato o da operare che non debba confrontarsi con l’approvazione e la volontà  di Cristo, fondamento della nostra libertà: una libertà originariamente data e creata e per questo sempre riportante e rimandante al suo Creatore, che la illumina, la guida, la fa operare in conformità all’amore che l’ha voluta. Non è libero se non chi si sente schiavo e non è schiavo se non chi si sente libero. Non siamo liberi di scegliere, e di fare il bene che vogliamo: è questa l’espressione massima della schiavitù del Maligno. Siamo liberi quando facciamo la volontà di Colui che ci ha fatto liberi, ma con ciò confessiamo, proclamiamo il passaggio ad un’altra schiavitù e ad un altro padrone. Chi è schiavo del Satana, come figlio obbediente fa le opere del Satana, se pur si ammanta di libertà. Chi è schiavo di Cristo, fa le opere del Cristo, non presume di se stesso e non confida in  una libertà in proprio e impropria, ma cerca, ama, attualizza le istanze e le necessità di una schiavitù liberante, a noi acquisita in virtù del sacrificio del Cristo: una schiavitù che ci fa creature nuove, figli di Dio, fatti simili all’eterno Figlio, il primogenito dei molti. Liberati dal Cristo, nel Cristo troviamo il senso primo ed ultimo della nostra libertà, il suo fondamento e anche il suo fine, che è l’assimilazione del nostro essere creato a quello di  nostro Creatore.
Un discorso un po’ lungo e forse contorto quello che stiamo facendo ma che può servirci a comprendere il seguito della lettera di Pietro.

“17 Onorate tutti,  amate la fratellanza, temete Dio, onorate il re.”

Onorate tutti: perché non c’è peccatore, per quanto grande, che non sia oggetto dell’unico Amore.
Amate la fratellanza: quella vera, s’intende, che è data da Cristo, il primogenito, il nostro fratello più grande.
Temete Dio: non c’è timore in senso positivo se non quello che da tutti è dovuto a Dio.
Onorate il re: non in quanto fa parte dei tutti che dobbiamo onorare, ma in quanto diverso, perché diversamente pesante su di noi. Onorando il re, onoriamo una sovranità su di noi voluta o permessa da Dio per la nostra santificazione. Non c’è strumento così malandato che Cristo non possa rendere utile per la nostra salvezza. Non c’è malvagità da noi sopportata che Dio non possa convertire in nostro bene. Nessun onore è da noi dovuto ai re di questo mondo, se non come obbedienza alla volontà di Dio, per Sua esplicita dichiarazione e comando. E quando il re è un malvagio? Stai sottomesso ugualmente, porterai al culmine nella tua vita la salvezza operata dal Cristo.

“18 Voi schiavi siate sottomessi con ogni timore ai padroni, non solo ai buoni e ragionevoli, ma anche ai perversi; 19 questo infatti è grazia, se a causa della coscienza di Dio qualcuno sopporta afflizioni, soffrendo ingiustamente”.
Siamo al culmine di un discorso. Adesso tutto è chiaro e non c’è più possibilità di replicare o di avanzare dubbi. L’obbedienza a tutto e a tutti  è segno ed espressione di vittoria, e non di sconfitta, di potenza e non di debolezza. Non è per un mondo migliore, ma per una nostra migliore assimilazione al Salvatore nostro Gesù Cristo, che abbandonata la gloria del cielo ha umiliato se stesso assumendo la nostra natura perché noi potessimo assumere la Sua. Obbediente non solo al Padre che è nei cieli, ma anche all’uomo che lo ha messo in croce su questa terra, ci ha con ciò liberati dalla schiavitù del Satana.
Se noi sopportiamo afflizioni, soffrendo ingiustamente a causa dei malvagi, non giustifichiamo con ciò ogni male, ma affermiamo la nostra vittoria in Cristo su ogni male, rendendo impotente il Satana che ci  tiene in schiavitù e palesando a tutti la via della vera libertà, mettendo a morte il peccato e nello stesso tempo facendo salvo il peccatore. I malvagi, dal nostro esempio, dal nostro patire ingiustamente, conosceranno le vie dell’amore, che unico sa patire ingiustizia per far salvo colui che la compie. Non è approvata l’ingiustizia, ma è spianata all’ingiusto la strada dell’amore e del cambiamento.
Non è ancora la restaurazione finale di tutte le cose;  il Satana rimane il principe di questo mondo, ma soltanto per chi vuole restare con l’antico padrone e rigetta quello nuovo. Non ci giochiamo la salvezza e la dannazione eterna, se non esclusivamente in rapporto a Cristo Gesù e alla sua opera di redenzione. Tutto questo ripugna alla nostra coscienza? Ci sembra viltà e non umiltà stare sottomessi ai prepotenti? Ci sembra meschina debolezza non unirci a coloro che lottano per un mondo migliore estromettendo dal mondo la fede in Cristo? Vuol dire che siamo schiavi di una coscienza malvagia, in cui forte è la voce del Satana, insignificante ed inascoltata la voce di Dio.
Stolto l’uomo che si appella alla propria coscienza. Non si nasce con una buona coscienza, ma con una cattiva coscienza: non è buona coscienza gradita a Dio Padre se non  quella fatta tale dal Figlio suo.

“20 Quale gloria infatti c’è, se peccando ed essendo schiaffeggiati pazientate? Ma se facendo il bene e soffrendo pazienterete, questo è grazia presso Dio.”

Può darsi che la nostra pazienza, altro non sia se non tolleranza e sopportazione. Chi fa il male a questo mondo può anche incorrere nel castigo di chi presiede alle istituzioni terrene. Nessun merito nel sopportare il castigo dovuto e meritato: l’onore e la gloria  sono dovuti a coloro che pazientano subendo un castigo non meritato, ingiustamente afflitti e castigati dagli uomini, tutto sopportando in virtù di una coscienza fatta nuova dal Cristo.

“21 A questo infatti siete stati chiamati, perché anche Cristo patì per voi,  lasciandovi un esempio perché seguiate le sue orme.”

Non c’è verità e vita nuova se non in colui che redento dal Cristo a lui è fatto simile. Non innanzitutto nella gloria, ma nella umiliazione, che è per il riscatto di tutta l’umanità.
Chi segue vie sue, che non sono quelle del Cristo, non è benedetto dal Padre. Potrà avere anche molti seguaci e discepoli, potrà farsi un nome ed una fama, anche di santo: non è gradito al Signore ed è da Lui rigettato. “Non vi ho mai conosciuto: allontanatevi da me  operatori di iniquità”. ( Matteo 7,23 ). Eppure nel nome di Gesù avevano fatto prodigi ed opere grandi, ma non sono entrati nella sua morte e resurrezione.  Si sono creduti vivi, senza essere morti, hanno fatto cose grandi per gli altri, ma non hanno compreso né fatta propria in sé la grandezza dell’opera del Cristo.
Detto questo alcune precisazioni si devono pur fare per non essere fraintesi. Se  si deve pazientare con chi fa il male, questo non significa dare la propria approvazione e il proprio consenso. Il male va sempre condannato e rigettato.
La pazienza e la tolleranza di ogni ingiustizia è sempre relativamente a quanto ci riguarda e a quanto ricade su di noi. Una nostra libera scelta, che è opera della grazia di Cristo, non giustifica ogni sofferenza che l’uomo crea ingiustamente al proprio simile. Il rispetto e l’obbedienza ad ogni autorità, non comporta di per sé sempre ed in ogni caso l’obbedienza a colui che la rappresenta. Certamente non bisogna enfatizzare le colpe e gli sbagli di chi è in autorità in questo mondo. C’è un modo di far politica e di entrare nei contrasti che non sana, ma aggrava le ferite. Come forestieri e viandanti su questa terra, dobbiamo  tenere le dovute distanze dalle questioni e dalle lotte che mettono l’uomo contro l’uomo. C’è sempre il rischio di perdere tempo inutilmente, di prendere delle cantonate, di arrestare il nostro cammino verso il cielo, di smarrire la via che unicamente interessa. Ma bisogna pur dire che la storia conosce tempi e situazioni diversi, per quel che riguarda l’ingiustizia che è operata da chi è in autorità.
Ci sono anche i tempi e i frangenti difficili e drammatici delle guerre combattute con le armi, in cui non è giustificato un atteggiamento di neutralità disarmata e si deve pur prendere posizione contro chi fin troppo palesemente opera il male. Il cristiano scenderà sul campo di battaglia chiedendo luce al Signore,  ascoltando la buona coscienza donata dal Salvatore. Bisognerà anche mettere in conto il martirio per difendere i deboli e gli oppressi. Nessun appoggio, nessun sostegno è da noi dovuto a chi opera il male, seppure è costituito in autorità presso gli uomini. In ogni caso in ogni situazione, luce delle menti e guida dei cuori sarà lo Spirito Santo  donato dal Signore, che si pone sempre al di sopra di ogni principio giustificato dall’uomo. In tempo di guerra l’amore può spingere a dare ospitalità al nemico, o al contrario ad operare per la morte di chi è responsabile di  oppressione e malvagità. La libertà che ci è data in Cristo è sempre legata e condizionata dalla sua volontà, quale è dettata da una coscienza fatta nuova, che non sempre si incontra e si identifica con quella degli altri. A volte invece dell’entrata in guerra, il Signore può suggerirci la fuga e la lontananza, il ritiro in una vita di semplice preghiera. Non esiste di per sé una guerra giusta, perché chi subisce il male lo compie a sua volta. La violenza subita dall’uno è anche quella provocata dallo stesso. Non si difendono le ragioni della giustizia umana, ma quelle della giustizia divina, che vede oltre e diversamente. Scrive don Neri:
“Il testo, dobbiamo ammetterlo, suona come scandaloso perché urta il nostro sentire comandando non un generico rispetto delle istituzioni giuridiche, dell’auctoritas, ma la subordinazione. Occorre però precisare il contenuto esatto di questa indicazione. Ci sono due “come”: “sia al re come sovrano, sia ai governatori come suoi inviati per punire i malfattori e premiare chi fa il bene”. L’obbedienza è in rapporto alla funzione delle autorità, a ciò che esercitano di fatto, e non alle loro persone in sé, secondo una deificazione o mitizzazione di questi personaggi. Non ci si deve sottoporre a loro in quanto tali, in quanto uomini, ma in quanto esercitano quel determinato ufficio. Pietro non contesta la legittimità del potere assoluto, lo registra come realtà in atto e dice di sottomettersi non al re in quanto Tiberio o Caligola, ma al re in quanto re, ai governatori e ai magistrati in quanto il loro compito è di punire il male e di premiare il bene. La differenza non è piccola. Egli non si sognerebbe mai di dire che bisogna obbedire alle autorità sempre, perché fin dall’inizio della vita cristiana si è precisato in modo estremamente rigoroso che è meglio obbedire a Dio che agli uomini (cf. Atti 5,29). L’obbedienza intesa come cieca sottomissione non è una virtù e non è mai stata intesa così. San Basilio, per esempio, è durissimo a questo riguardo: come è severo nel richiedere la sottomissione, così lo è altrettanto nel richiedere la disobbedienza immediata nei confronti di chiunque ordinasse qualcosa di contrario alla legge del Signore. Pietro dice la stessa cosa: si deve obbedire ai magistrati in quanto inviati per punire il male e premiare il bene. È escluso che si possa fare del male per essere premiati da loro, perché in quel momento stesso il loro potere non è più legittimo e non ci si deve sottoporre ad un comando iniquo. Questa sottomissione a tutti non è la sottomissione a Hitler, che comanda di uccidere degli innocenti, e non è la deificazione dell’imperatore. Obbedite al re in quanto sovrano, cioè in quanto è colui che sta sopra, che ha la presidenza: giuridicamente non c’è nessuna intronizzazione divinizzante dell’imperatore ed egli è ricondotto al suo rango di sovrintendente. È molto importante capirlo, perché altrimenti si rischierebbe di equivocare e di fare del nostro brano un testo ciecamente legittimista. Il cristiano non è mai stato un legittimista e, se vogliamo proprio dire che c’è un legittimismo cristiano, ci sono anche altre precisazioni che ne specificano la natura. Per amore (letteralmente a motivo) del Signore. Ecco il vero motivo. Sottomettetevi non per averne vantaggi o lode, non per conquistare a vostra volta potere, non per sfuggire alle loro minacce, tanto non servirebbero, ma a motivo del Signore. Il vero movente non è dunque il loro potere , neppure il fatto che le leggi siano così, ma il Signore, al quale in ultima analisi voi vi sottoponete, e la vostra scelta è di una vita conforme alla sua volontà. Come uomini liberi. Altra precisazione decisiva, di un ebreo che ha ricevuto l’Antico Testamento e tutta la tradizione santa dei padri: sottomettendovi, occorre che rimaniate liberi. Il sottomettersi non è quindi il diventare schiavi di uomini e gli ebrei veri, credenti, sono un po’ tutti come Mardocheo che, alla soglia del re, si rifiutava di piegare la schiena davanti ad Aman : lui, a costo di provocare una catastrofe, davanti ad Aman  non piegava la schiena, perché questo piegare la schiena non era essere liberi, bensì rendere culto a una uomo (cf. Ester 3,2). Non fatevi schiavi di alcuno, dice ancora S. Paolo, perché siete stati riscattati, siete liberi, siete figli di Dio (cf. Galati 5,1). Il cristiano deve avere la consapevolezza di questa sua libertà e non può farsi schiavo perché derogherebbe, se questo accadesse, alla propria dignità di figlio di Dio, al suo compito di glorificare e di rendere culto a Dio soltanto. La libertà dal mondo, dal peccato, dalle passioni, da ogni legge, la libertà da ogni uomo è una categoria capitale del pensiero cristiano. La legge cristiana è una legge di libertà, come dice ancora la lettera di Giacomo: “Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla. (1,25). “Come servitori di Dio”. Perché si è liberi? In quanto servi di Dio. È questo che definisce il motivo della libertà: non si potrebbe essere servi di Dio, se ci si facesse volontariamente schiavi di una creatura. L’unico che comanda è il Signore, l’unico superiore è lui – come dice anche San Basilio – cosicché, comunque si obbedisca, si obbedisca sempre al Signore. O si obbedisce a lui che direttamente prescrive, o si obbedisce agli uomini a motivo di lui, ma sempre quindi al Signore. Non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia. Ma questa libertà, precisa subito Pietro sulle orme della lettera ai Galati, con una formula che sembra ripresa addirittura letteralmente di là, “non deve servire di velo per la malizia” cioè non deve servire di manifesto per l’immoralismo, per fare quello che si vuole. La libertà non è l’arbitrio con cui tu credi di poter fare quello che tu vuoi, perché anzi è una libertà che si esprime nell’obbedire puntualmente alla volontà di Dio che si è espressa. Dice la lettera ai Galati: “Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri (5,13)”. Le indicazioni di Pietro sono quindi nitide e il cristiano non può agire in modo contrario alla coscienza o essere arbitrario. Non c’è nessuno immoralismo cristiano. Mentre nel mondo gnostico dottrine sulla libertà del redento, dell’illuminato, portavano a conseguenze tragicamente immoralistiche , qui il saggio sulla libertà e sulla liberazione del cristiano non è un porsi al di là del bene e del male, perché non bisogna servirsi di questa parola d’ordine per fare quello che si crede. Il redento è libero perché può fare il bene, perché è soggetto a Dio soltanto e ne è figlio. Nella società civile i credenti non sono né greggi di schiavi né spiriti licenziosi, la loro identità è di immensa dignità, quale noi oggi, nonostante tante presunzioni, siamo ben lontani dall’avere conseguito.” ( don Umberto Neri )

“22 Colui che non fece peccato né fu trovato  inganno nella sua bocca, 23 il quale ingiuriato non rispondeva con ingiuria, soffrendo non minacciava, ma consegnava la sua causa a colui che giudica con giustizia, 24  che i nostri peccati egli stesso portò  nel suo corpo sul legno della croce, perché sottratti ai peccati viviamo per la giustizia,  per la cui cicatrice siete stati sanati.”

Nessun giusto è stato trovato da Dio in questo mondo se non l’eterno Figlio Suo, fattosi carne. È lui il modello di ogni santità accetta al Padre. Si è fatto come noi perché noi fossimo fatti come Lui. Non ha reso male per male ma ha portato nel suo corpo ogni male e lo ha fatto perire con la morte in croce. Liberati dal peccato, ci ha fatti creature nuove in virtù della Sua resurrezione, perché non viviamo più per il Maligno autore del peccato,  ma per l’eterno Creatore di ogni bene. Salvàti una volta per sempre per il sangue versato sulla croce dal Cristo, in esso lavati, da esso purificati, sempre ed ovunque portiamo in noi i segni di una vita che è passata e passa attraverso la morte. La cicatrice  da cui è uscito  il sangue che ci ha purificato e ci ha liberato da ogni peccato, ogni giorno ci dona il medesimo sangue nella celebrazione eucaristica. Se pur Cristo ha sofferto una volta per sempre, finché dureranno i tempi dell’uomo, dall’unica e medesima cicatrice  che ci ha dato vita nuova, sempre uscirà il sangue che alimenta, fa  nuova ed attuale  la salvezza che è venuta dal cielo.

“25 Eravate infatti come pecore erranti, ma ora siete stati convertiti al pastore e  sorvegliante delle anime vostre.”

Caduti nelle mani di un padrone sbagliato, eravamo come pecore erranti nel deserto. Un popolo disperso e smarrito ha ritrovato finalmente in Cristo il pastore ed il sorvegliante delle proprie anime, Colui che ci pasce con un cibo di vita eterna, colui che si è posto accanto a noi perché in virtù della sua potenza non ricadiamo nell’antica schiavitù.

 

Cap.3

Cap. 3
Similmente le mogli siano sottomesse ai loro mariti, affinché anche se alcuni non obbediscono alla parola, per mezzo della condotta delle mogli siano guadagnati senza parola, 2 avendo osservato la vostra pura condotta nel timore. 3 Delle quali sia ornamento non l’esterno di trecce di capelli e l’ adornarsi di ori o il vestirsi di abiti, 4 ma l’uomo nascosto del cuore nell’ incorruttibile ornamento del mite e tranquillo spirito, che è prezioso davanti a Dio. 5 Così infatti un tempo anche le sante donne speranti in Dio adornavano se stesse sottomettendosi ai propri mariti, 6 come Sara obbedì ad Abramo chiamandolo signore, della quale siete diventate figlie facendo il bene e non temendo nessuno spavento. 7 Voi mariti, similmente siate coabitanti secondo la conoscenza, come per un più debole vaso quello femminile, siate attribuenti loro onore come anche a coeredi  della grazia della vita così che non siano ostacolate le vostre preghiere. 8 Infine poi siate tutti unanimi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, umili, 9 non rendendo male per male od oltraggio per oltraggio, al contrario invece benedicendo perché per questo siete stati chiamati, affinché ereditiate la benedizione. 10 Infatti colui che vuole amare la vita e vedere giorni buoni trattenga la lingua dal male e le labbra per non dire inganno! 11 Si allontani poi dal male e faccia il bene, cerchi la pace ed essa persegua; 12 perché gli occhi del Signore sono suoi giusti e i suoi orecchi verso la loro preghiera, ma il volto del Signore contro chi fa il male. 13 E chi è colui che farà del male a voi se sarete diventati zelanti del bene? 14 Ma qualora anche soffriste a causa della giustizia, beati voi! Ma  di loro non abbiate paura, né siate turbati. 15 Invece santificate nei vostri cuori il Cristo Signore, sempre pronti a difesa a ognuno che chiede a voi ragione circa la vostra speranza, 16 ma con mitezza e timore avendo una coscienza buona, affinché in ciò per cui siete sparlati siano svergognati quelli che oltraggiano la vostra buona condotta in Cristo. 17 E’ meglio infatti, se lo voglia la volontà di Dio, soffrire  facendo il bene che facendo il male. 18 Perché anche Cristo una volta per tutte soffrì per i peccati, giusto per gli ingiusti, per avvicinarvi a Dio, messo a morte sì nella carne ma reso vivo nello spirito. 19 In questo anche agli spiriti in carcere, andato, annunciò la salvezza, 20 a quelli essenti disobbedienti un tempo quando la pazienza di Dio attendeva fiduciosamente, nei giorni di Noè quando si preparava l’arca in cui pochi, cioè otto anime furono salvate per mezzo della acqua. 21 La quale essendo antitipo anche voi adesso salva come immersione, non deposizione di sporcizia della carne, ma richiesta a Dio di una coscienza buona per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo, 22 che è andato alla destra di Dio in cielo essendo stati sottomessi a lui angeli e potestà e potenze.

1 Pietro cap. 3
“Similmente le mogli siano sottomesse ai loro mariti, affinché anche se alcuni non obbediscono alla parola, per mezzo della condotta delle mogli siano guadagnati senza parola, 2 avendo osservato la vostra pura condotta nel timore.”
Vi è un’obbedienza più difficile da comprendere, che pure è da noi dovuta per amore di Cristo a coloro che entrano nella nostra vita di forza, come estranei, e vi è un’obbedienza anche e soprattutto alle persone che vivono accanto a noi in un legame spirituale.
Innanzitutto il vincolo coniugale che vede la donna in una posizione di maggiore debolezza rispetto all’uomo. Quale donna, già per sua natura non è tentata di prevaricare e di prevalere sul proprio marito? Le mogli siano esempio di sottomissione al marito, non solo a quelli che hanno fede in Cristo ma anche a quelli che non hanno fede.
Non c’è solo la testimonianza che è data dalla parola , ma vi è anche quella che è data dall’obbedienza alla parola. La nostra obbedienza al Signore ha una ricaduta di grazia non solo su di noi, ma anche sulle persone con cui viviamo, soprattutto per coloro che formano con noi una sola carne.
“Siano guadagnati”, come anche primariamente Cristo ci ha guadagnati al Padre in virtù di una vita per noi sacrificata.
Le ragioni di verità che noi possiamo portare davanti a una persona, se pure hanno una loro forza, non hanno la potenza che è donata da Dio a coloro che si fanno obbedienti a tutto e a tutti per Suo amore. In un tempo in cui si pensa che il dialogo possa e debba entrare in tutti i rapporti umani, a cominciare dai più stretti, ci è detto da Pietro che non in questo modo si risolvono i problemi relazionali. Non dobbiamo innanzitutto preoccuparci di creare un confronto tra le nostre idee e convinzioni e quelle degli altri, ma di dare esempio di sottomissione umile e silenziosa. Chi tace consente, dice il proverbio. Cristianamente non è così. In certe situazioni il silenzio è affermazione massima della Parola di Dio che mette a tacere ogni lingua, a cominciare dalla nostra.  Altro è il tacere che è disobbedienza a Dio, altro è il tacere che si fa per volontà di Dio. Se non parla la nostra bocca, parlano per noi le nostre azioni e le buone opere, che attestano chiaramente una retta coscienza che riposa nella certezza della verità.  “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedendo le vostre buone opere glorifichino il Padre che è nei cieli”. Non le opere che esaltano la nostra grandezza, ma quelle che manifestano la pienezza di gioia di un cuore che ha fatto piccola la propria parola, perché sia in noi esaltata e magnificata l’opera del Signore. 
“Non bisogna forzare il senso del testo, quasi che ci fossero due modi di annuncio: uno con la parola e uno silenzioso. No, c’è un solo modo di annuncio perché, come abbiamo già ricordato, “la fede è dall’ascolto (fides ex auditu), ma l’ascolto è mediante la parola di Dio ( auditus autem per verbum Christi )” ( Romani 10,17). La testimonianza silenziosa è ciò che provoca la domanda, che porta a chiedere e ad ascoltare, è ciò che affascina in modo da generare il desiderio dell’ascolto o che apre all’adesione a quanto si era udito senza cura. La testimonianza compiuta è sempre resa dalla parola; la testimonianza silenziosa è preparatoria e concomitante, ma non sostitutiva dell’ascolto e della voce. È importantissimo questo, perché al riguardo ci sono dei grossi pregiudizi, molto diffusi ancora nel mondo di oggi e elevati a principio, per cui in certi ambienti non si deve parlare del Vangelo. Una accecamento a mio parere gravissimo: un inganno, in buona fede, con una specie di pregiudizio contrario alla parola, dimenticando che è lei lo strumento della trasmissione della verità, è lo strumento di cui Dio si è servito. L’adesione è sempre alla Parola, e dalla testimonianza si è guadagnati ad ascoltarla e a crederla”  (Umberto Neri)

“avendo osservato la vostra condotta pura nel timore.”

È condotta pura quella che non ha doppi fini, non per timore dell’uomo, ma solo ed esclusivamente per timore di Dio: non passa inosservata, né da coloro che ci vedono da vicino e neppure da coloro che ci vedono da lontano.

“3 Delle quali sia ornamento non l’esterno di trecce di capelli e l’ adornarsi di ori o il vestirsi di abiti, 4 ma l’uomo nascosto del cuore nell’ incorruttibile ornamento del mite e tranquillo spirito, che è prezioso davanti a Dio.”

Niente di più spontaneo e di naturale per una donna della continua ricerca di un abbellimento del  proprio corpo: non possiede arma più potente della bellezza fisica per conquistare l’uomo. Per alcune donne diventa quasi una autentica forma ossessiva e maniacale: ne abbiamo un continuo esempio sotto gli occhi, oggi più che mai. La donna che ha già trovato in Cristo il proprio sposo spirituale ha un atteggiamento diverso nei confronti del proprio sposo secondo la carne. Non vuole portarlo a sé, ma vuole portarlo a Cristo. Cerca nell’amore dell’uomo il proprio completamento, ma solo nel Signore e per il Signore. Non trascura il decoro della propria persona, ma sempre in una misura improntata alla modestia, che manifesta da un lato riguardo e rispetto per il proprio uomo, e nel contempo ancora di più rivela il proprio amore per Dio. Un amore pieno e ridondante che porta con sé ogni pace e gioia; un amore che unicamente compie uno dei miracoli più grandi: mette a tacere il mormorio o brusio, pieno di ansia e infelicità che così facilmente la donna riversa sul proprio uomo.

4 ma l’uomo nascosto del cuore nell’ incorruttibile ornamento del mite e tranquillo spirito, che è prezioso davanti a Dio.”


Non c’è creatura peggiore della donna brutta nel cuore, che non porta in sé e con sé la mitezza e la tranquillità di uno spirito che non si corrompe, prezioso davanti a Dio. Troppo spesso e troppo facilmente gli uomini, vedono ed apprezzano la bellezza femminile esteriore, assai raramente quella interiore.

“Così infatti anche un tempo le sante donne speranti in Dio adornavano se stesse sottomettendosi ai propri mariti”,

Donne di simil fatta sembrano sempre donne di altri tempi, cioè donne la cui diversità ha lasciato un segno ed un ricordo nella memoria collettiva.
Qual è l’ornamento più bello, più grande, più prezioso per una donna che ha posto in Cristo la propria speranza? La sottomissione al proprio marito. Un amore fatto  di affetto silenzioso, di obbedienza continua, di servizio pronto. Non c’è fascino più grande di quello di quello che porta in sé e con sé la donna che sa tenere chiusa la bocca anche quando potrebbe dire ed avrebbe da dire. Scioglie i cuori più duri, fa bella e visitata da Dio la propria famiglia. Ogni gioia ed ogni sofferenza traspaiono sul suo volto in maniera velata, contenuta, espressione esteriore di un’obbedienza interiore al Signore che sa mettere a freno ogni atteggiamento impulsivo e scomposto.


“6 come Sara obbedì ad Abramo chiamandolo Signore, della quale siete diventate figlie facendo il bene e non temendo nessuno spavento.”

Come Abramo è il primo modello di una fedeltà coniugale in Cristo, così va detto di Sara, sua sposa. Un rapporto a due non facile e non sempre limpido e trasparente che conosce anche una complicità nella menzogna e nella finzione, è riscattato da un’obbedienza che ha il cuore femminile.

Sara in tutto e per tutto obbedì ad Abramo, chiamandolo Signore, a lui sottomessa, a lui legata sempre ed ovunque anche nei momenti più difficili ed oscuri della vita. Se di ogni uomo redento in Cristo si può dire, per quel che riguarda la fede, che è figlio di Abramo, così di ogni donna si deve dire che è figlia di Sara,  per l’obbedienza al proprio sposo.
Primo segno della fede in una donna? Una diversa ed illuminata sottomissione al proprio uomo, con ogni opera buona e con un cuore che riposa sereno, senza timore e spavento alcuno, fatto forte dal Signore.

“7 Voi mariti, similmente siate coabitanti secondo la conoscenza, come per un più debole vaso quello femminile, siate attribuenti loro onore come anche a coeredi  della grazia della vita così che non siano ostacolate le vostre preghiere.”

Se alla donna è chiesta l’obbedienza al marito, al marito è chiesto un comportamento illuminato da una conoscenza che viene dal Signore. Nessun sopruso e nessuna violenza nei confronti di una creatura più debole e fragile, ma un atteggiamento vigile e attento ai bisogni altrui, senza presunzione alcuna di superiorità. E  questo nella consapevolezza che la donna è coerede della vita che è donata dal Signore:  tutto ciò che è dato all’uno è anche per l’altra e viceversa. Non è possibile una preghiera ininterrotta al Signore se non in una comunione piena e responsabile dei cuori che vogliono camminare e crescere insieme nella grazia che viene dal cielo. Quando il rapporto a due si incrina, la preghiera diventa più difficile e faticosa. Non si può andare avanti, se non c’è volontà di sanare contrasti, incomprensioni, atteggiamenti di reciproca insofferenza.
“Pietro si è pronunciato dunque su tre delle forme più diffuse di potere opprimente che ci possono essere: il potere politico (lo Stato, il re e i governatori), il potere economico (i padroni) e il maschilismo familiare (i mariti). Riguardo a tutte e tre dà a chi le patisce l’indicazione di sottomettersi, ma riguardo a tutte e tre dà chiaramente l’indicazione di non temere e di essere liberi, per il Signore.
Con il versetto sette, infine, il discorso sulla vita familiare passa al termine corrispettivo e cioè al comportamento dei mariti verso le mogli, esprimendosi nettamente in parallelo con la lettera agli Efesini sul rapporto schiavi-padroni (cf. Ef. 6,5-9). Là Paolo faceva un invito stranissimo, quasi incomprensibile, perché dopo aver detto: “ Schiavi, obbedite ai vostri padroni”, aggiungeva: “Anche voi padroni comportatevi allo stesso modo verso di loro”; qui Pietro invita le mogli a sottostare ai mariti e dice agli uomini: voi fate ugualmente…
Perché partecipano con voi della grazia della vita”. L’identità del cristiano, ha detto fin dall’inizio l’apostolo, è la grazia di una vita nuova tesa alla speranza viva, alla eredità alla quale siete stati chiamati, cioè alla salvezza prossima a manifestarsi (cf.  1,3-5). Se questo deve essere il vero vanto, le vostre mogli hanno una gloria in sè non inferiore alla vostra. L’eredità che è preparata per loro è la stessa che è preparata per voi, sono coeredi, insieme con voi. Non partecipano dell’eredità attraverso di voi, ma sono direttamente oggetto dell’amore di Dio e destinatarie dei beni dei cieli. Quindi c’è uguaglianza al livello più alto, più incontrovertibile e inconfutabile, uguaglianza sul piano essenziale della vocazione cristiana…
Così non saranno impedite le vostre preghiere. Qui ci sono due interpretazioni possibili e, secondo me, ambedue presenti: la prima è l’ammonizione evangelica a chi ha qualcosa contro un altro ad interrompere la sua offerta davanti all’altare, riconciliarsi prima con suo fratello e poi tornare (cf. Matteo 5,23-24). Se uno vive nel disaccordo con i propri intimi, nella propria famiglia, la sua preghiera è ostacolata. Il cristiano è costituito come sacerdozio santo per offrire vittime spirituali (cf. 2,5), ma non può offrire vittime prima di essersi riconciliato, di aver ristabilito cioè nel profondo del suo essere, nell’intimo della sua vita familiare, quell’armonia che sola rende legittima la preghiera. La seconda interpretazione, a mio giudizio prevalente, è che nella famiglia sono i mariti ad avere in modo diretto il compito sacerdotale, come nella famiglia ebraica. Sono gli uomini maturi, i mariti, che indossano il tallit e vanno nelle sinagoghe, pregano e alzano le mani. E le donne non partecipano alla preghiera? Ma certo! La figura della donna in Israele è stupenda. È lei che domina nettamente nella vita religiosa della famiglia, organizza il sabato ed è di fatto il perno della vita di fede della casa. Ma il compito sacerdotale, il compito di intonare la preghiera, dirigerla e concluderla, svolgendo nella famiglia la funzione di sacerdote, il sacerdozio ministeriale, è dell’uomo, del marito. Non c’è nulla da fare e da sindacare e bisogna saperlo perché si capisca la parola di Pietro: “affinché non siano impedite le vostre preghiere”. È il pensiero anche della prima lettera di Timoteo: “Voglio dunque che gli uomini preghino in ogni luogo alzando mani sante senza ira e discussione” (1 Timoteo 2,8). Le parole di Pietro, quindi non fanno solo riferimento alla norma generica che impone armonia e pace come requisiti per pregare, ma anche alla necessità che i mariti vivano in quella condizione (senza ira, senza minacce) che consente loro di esercitare in famiglia il compito sacerdotale.” (Umberto Neri)

“8 Infine poi siate tutti unanimi, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, umili, 9 non rendendo male per male od oltraggio per oltraggio, al contrario invece benedicendo, perché per questo siete stati chiamati, affinché ereditiate la benedizione.”

Nella comunità degli eletti dobbiamo essere tutti un cuor solo ed un’anima sola, pieni di viscere di misericordia gli uni verso gli altri, umili, come coloro che sono consapevoli di nulla possedere in proprio, ma di aver ricevuto tutto in dono. Non si deve rendere male  per male e pagare con la stessa moneta chi ci ha portato  oltraggio. La nostra bocca sia piena di ogni benedizione. Un cuore non incline alla benedizione aperta e conclamata è un cuore che non ha conosciuto l’amore del Signore.  Benedetti in Cristo dal Padre, benediciamo nello stesso Cristo, per fare grande il suo nome, perché tutti conoscano la sovrabbondanza di un amore che vuol riversarsi in tutti i cuori. Niente a che vedere con le buone maniere del comportamento umano, ma una vera e propria chiamata, una vocazione che è il tratto distintivo di ogni cristiano. Gli altri facilmente maledicono, noi ancor più facilmente benediciamo, perché questa è volontà di Dio: che tutti gli uomini siano resi consapevoli che ogni bene è venuto a noi dal cielo. Ma bisogna aprire la mente per invocarlo, la bocca per annunciarlo, il cuore perché possa entrare  e trovare stabile dimora.
“affinchè ereditiate la benedizione”. La benedizione da noi accolta e portata su questa terra in un tempo e per un tempo deve diventare bene perenne, ereditato dal nostro Signore, che ci ha benedetto con ogni benedizione spirituale in Cristo Gesù.
“Benedire chi maledice è proprio della vocazione cristiana; si deve arrivare fino a questo punto: non soltanto di ricambiare col bene il bene ricevuto, nella gratitudine, il che è ovvio, ma di vincere il male con il bene. Dice il testo: “Non prendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma, al contrario, rispondete benedicendo, poiché a questo siete stati chiamati (v. 9). Contrapporsi al male con il bene è tutt’uno con la chiamata cristiana, perché il Cristo fu maledetto e non rispose con maledizioni, né con oltraggi agli oltraggi ricevuti, ma benedisse e perdonò: “Padre, perdona loro” (Luca 23,34). In questo sta tutto il discorso della pace e del pacifismo cristiano; la grande obiezione che si fa contro i discorsi più radicali contro la violenza, è che in questo modo si lasci prevalere il male, non soltanto a danno personale ma anche altrui. La risposta cristiana è semplice, elementare: il bene non è una rassegnazione passiva, una sconfitta che si subisce; il bene è una potenza, energia di Dio operante nella storia, che vince. Il bene conquista e sconfigge il male, il bene soltanto mette fine alla catena delle vendette e delle ritorsioni, della prepotenza e del sopruso. “Non lasciarti vincere dal male – altrimenti entri nella sua logica, rispondendo con violenza alla violenza, con l’uccidere chi uccide – ma vinci con il bene  il male” (cf. Romani 12,19-21 ). Ecco il pacifismo autenticamente cristiano, che non è di rassegnazione e di sconfitta. Chi non ha la fede difficilmente crede fino in fondo a questa potenza vittoriosa del bene. Chi ha la fede sa, invece, che quando ci si consegna a Dio e si affida a Dio la propria causa, Dio interviene. È una scelta di fede che, se noi abbiamo il coraggio di fare, non sarà mai smentita, perché Dio non delude e non abbandona…
Come si è chiamati a sopportare ingiustamente, così si è chiamati a benedire chi maledice. Non semplicemente a fare il bene, non semplicemente a soffrire con pazienza, ma a soffrire ingiustamente. “A questo siete stati chiamati” : è un richiamo fortissimo all’essenziale della vita cristiana, come è delineato nel momento elementare, assolutamente incipiente e generante, della chiamata alla fede e della adesione a Cristo Gesù, nella iniziazione cristiana. L’esempio di Cristo è alla radice di tutto. Il battesimo chiama ad agire così, perché anche  Cristo ha sofferto ingiustamente. Non ha chiamato semplicemente a ricambiare il bene con il bene, a essere buoni, ma a ricambiare con il bene il male, perché il Cristo ha fatto così.” (Umberto Neri)

“10 Infatti colui che vuole amare la vita e vedere giorni buoni trattenga la lingua dal male e le labbra per non dire inganno!”

Falso ed ingannevole è ogni amore alla vita che non sia in Cristo e per Cristo. Nessun giorno può dirsi buono senza la benedizione del Signore. Non esca dunque dalla nostra lingua parola alcuna che non sia di lode al Signore e di benedizione per le sue creature. Non inganniamo con le labbra gli uomini già ingannati dal Maligno, ma diciamo la verità a tutti senza timore.

“11 Si allontani poi dal male e faccia il bene, cerchi la pace ed essa persegua;”

Non c’è vicinanza alla Verità che non sia lontananza dal peccato. Non opera il bene se non colui che fugge da ogni male. Non possiede la pace chi non la cerca e la persegue come l’unico bene prezioso.

“12 perché gli occhi del Signore sono sui giusti e i suoi orecchi verso la loro preghiera, ma il volto del Signore contro chi fa il male”.

Non si illuda di godere dello sguardo amoroso del Signore chi vive nell’ingiustizia del Maligno, e non pretenda di arrivare con la preghiera alle orecchie del Padre che è nei cieli chi ha chiuso le proprie orecchie all’ascolto della parola che genera la fede. Chi non ha fede in Cristo Gesù porterà su di sé il peso di un volto divino, fatto duro a causa del nostro peccato.

“13 E chi è colui che farà del male a voi se sarete diventati zelanti del bene?”

Liberati dal potere del Maligno, chi potrà fare a noi del male, se saremo perseveranti nelle opere di bene che vengono dalla fede in Cristo?

“14 Ma qualora anche soffriste a causa della giustizia, beati voi!”

C’è una sofferenza che viene a noi non in quanto ingiusti, ma in quanto fatti giusti dal Cristo. E questa è somma benedizione, perché è segno inconfutabile della nostra assimilazione a Gesù Salvatore, quando abbiamo parte alla croce da lui portata per la salvezza dei molti.

“Ma  di loro non abbiate paura, né siate turbati”.
Nessuna paura e nessun turbamento del vecchio uomo può entrare in noi: siamo creature fatte nuove in virtù di uno Spirito nuovo.

“15 Invece santificate nei vostri cuori il Cristo Signore”,

Un solo pensiero è entrato nella nostra testa come chiodo fisso: santificare nei nostri cuori il Signore Cristo,  Lui volendo,  Lui cercando, Lui amando, in maniera unica ed esclusiva.

“sempre pronti a difesa a ognuno che chiede a voi ragione circa la vostra speranza”,

La diversità di chi è discepolo di Cristo non passa inosservata: derisa e calunniata dai più, trova sempre qualche cuore che vuol sapere e conoscere. Sempre pronti a difesa ( apologia ), renderemo ragione a chiunque della speranza che è nei nostri cuori, perché la disperazione portata dal demonio  sia vinta dall’annuncio della vittoria del Cristo, che ci ha liberato da colui che ha il potere della morte. Molto spesso si sottolinea l’importanza di una difesa e di una spiegazione fatta a rigore di logica, sottolineando la razionalità della speranza cristiana. Ci sembra che Pietro non sia tanto interessato all’aspetto razionale di un discorso, quanto alla sua serietà e veridicità. È vero quello che esce dalla bocca di un cuore fondato in Colui che è verità. Quando c’è in noi il Signore, sarà il suo Spirito a mettere sulle nostre labbra le parole che portano luce e volontà di conversione. La testimonianza delle persone dotate di maggiore razionalità, non per questo solo è più potente ed efficace di quella data da una mente semplice, povera per quel che riguarda la logica del discorso, ma saldamente radicata nella fede. La potenza della Parola non si risolve nella forza della sua struttura logica, ma dalla prontezza, e dall’autenticità di una mente sempre aperta all’opera dello Spirito Santo. È scritto che non dobbiamo preoccuparci di quello che dobbiamo dire: sarà lo Spirito Santo a parlare in noi, in modo diverso a secondo di persone e situazioni diverse, irradiando non la luce che viene dall’uomo, ma quella che passa da uomo a uomo per volontà e grazia di Dio. Sempre pronti, non perché fatti forti  da un discorso razionalmente ben costruito, ma da una presenza continua al Signore che parla in noi e attraverso noi.
Molte persone si danno da fare per difendere le ragioni della fede: molto meglio l’apologia che viene da una vita in santità, sempre presente al Signore, sempre pronta a rendere conto con la parola, perché sempre presa dall’ascolto  della Parola. Troppi inutili discorsi riguardo a Cristo. Molto meglio la testimonianza di chi vive in uno spirito di perenne preghiera, aperto in ogni momento all’opera dello Spirito Santo.  Menti insigni ed eccelsi oratori sanno accendere grandi fuochi, ma sono fuochi di paglia. Il tempo manifesterà quel che vale la parola di ognuno. Non basta un semplice indottrinamento ed un maestro persuasivo: prima ancora della parola che esce dalla sovrabbondanza della ragione, c’è quella che esce dalla sovrabbondanza di un cuore fatto pieno dalla presenza del Cristo.
“pronti sempre a rispondere (pros apologhìan ) a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”.
Qui si ha proprio l’impressione di essere in un processo descritto dagli “Acta martyrum”. Cristo si può santificare con la bocca, nella proclamazione, nel canto, nella liturgia, ma intanto, mentre vi torturano e vi minacciano di morte, voi nel cuore dite sempre: “Tu solo sei il Signore, Cristo Gesù”. Pronti a rendere ragione (v.15) si applica a tutta l’esistenza cristiana, ma qui, soprattutto, emerge di fronte alla persecuzione o di fronte alla irrisione, come prontezza alla difesa. Apologhia è un termine giuridico, come troviamo nell’epistolario Paolino: “nella mia prima apologia non c’era nessuno a difendermi”. (2 Timoteo 4,16), e richiama direttamente il momento in cui il martire è davanti al giudice inquirente che sta per pronunciare la sentenza. Non si è capaci di  questa difesa se non si è, a questo riguardo, pronti. In cosa consiste questa prontezza? Non è questione di preparare discorsi. “Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o che cosa dire; perché lo spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire (Luca 12,11-12). Non preparate le cose che dovrete dire perché sarà lo spirito Santo a comunicarvele in quel momento. Le parole non sono nostre, vengono da altrove; è un momento talmente emergente e singolare, talmente benedetto perché lo spirito Santo riposa sopra di voi, che vi sarà data una sapienza alla quale non potranno resistere tutti i vostri oppositori e coloro che vi contraddicono. L’esser pronti non è l’avere preparato l’arringa di difesa, ma consiste, questa è una indicazione precisa, nel sapere il perché della vostra speranza, con lucidità, con chiarezza, in modo convincente. Ciascuno  di voi ha aderito al Cristo con coscienza, sapendo quello che faceva; dovete dunque sapere quello che avete fatto, il perché credete. I cristiani sono popolo profetico, e l’annuncio della verità è posto sulla bocca di tutti; non si può essere nella incapacità di giustificare la professione della fede. È importantissimo per la vita familiare e per la vita sociale, perché fa parte della vocazione cristiana, è un compito ineludibile. Tutti hanno il diritto di chiedere al credente una testimonianza chiara e limpida del perché crede e del che cosa spera. L’immagine di questo popolo mite, umile, modesto, inerme, come abbiamo visto ad esempio per la donna e per lo schiavo, emerge e acquista una statura e una potenza impensabile, una grande gloria… Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto (letteralmente timore). Il rendere ragione, a sua volta, non può essere orgoglioso: è gioioso, franco, non titubante, non esitante, non tremante, ma non è orgoglioso e non è vanteria; anche allora il volto del cristiano non deve tendersi e contrarsi nella violenza e nella tensione, deve rimanere il volto dell’agnello, della persona buona, mite e dolce.” (Umberto Neri)

“16 ma con mitezza e timore avendo una coscienza buona, affinché in ciò per cui siete sparlati siano svergognati quelli che oltraggiano la vostra buona condotta in Cristo.”

Mitezza, timore, buona coscienza: sono garanzia di Verità.
Mitezza: appartiene al cuore che non vuole convincere, perchè già convinto dal Signore; non vuole attirare a sé , ma tutti portare a Cristo.
Timore: non  quello  creato dall’uomo e volto all’uomo. Vero timore è quello che viene da Dio e che guarda a Dio.
Buona coscienza: non esiste una buona coscienza data all’uomo per natura: è buona coscienza quella creata in noi dalla fede in colui che unicamente è buono.

“affinché in ciò per cui siete sparlati siano svergognati quelli che oltraggiano la vostra buona condotta in Cristo”.
Davanti a Dio, innanzitutto. Qualsiasi buona condotta in Cristo, va esaltata a Sua lode. Parli male di chi è discepolo di Gesù? Cerchi di far ricadere su di lui il peso della vergogna che l’uomo riversa sull’uomo? Ebbene sappi che in cielo si parla male di te: con vergogna è detto il tuo nome, come di un reprobo e di un predestinato alla dannazione.

“17 E’ meglio infatti, se lo voglia la volontà di Dio, soffrire  facenti il bene che facenti il male.”

Non sempre è lodato chi fa il bene. A volte si va incontro a sofferenze e ad umiliazioni molto grandi. Ma se è volontà di Dio che si debba soffrire facendo il bene, questa è una grazia che viene dal cielo: è la nostra assimilazione al Cristo Figlio di Dio.

“18 Perché anche Cristo una volta per tutte soffrì per i peccati, giusto per gli ingiusti, per avvicinarvi a Dio, messo a morte sì nella carne ma reso vivo nello spirito.”

Cristo una volta per sempre ha sofferto per i peccati. Ciò che nessun figlio di Adamo poteva fare, a causa della propria ingiustizia, l’ha fatto l’unico  giusto davanti a Dio Padre: l’eterno Figlio suo Gesù Cristo. Ha portato su di sé i nostri peccati sul legno della croce. Con la propria morte ha messo a morte l’uomo peccatore, con la propria resurrezione l’ha fatto rinascere a vita nuova. Coloro che un tempo erano i lontani, ora sono i vicini a Dio Padre, in virtù di una atto di giustizia compiuto una volta per sempre dal Cristo. Messo a morte dall’uomo nella carne, per lo stesso uomo è stato reso vivo nello spirito, per liberaci dal potere del Maligno, perché in Lui e per Lui abbiamo vita eterna.

“19 In questo anche agli spiriti in carcere, andato, annunciò la salvezza, 20 a quelli essenti disobbedienti un tempo quando la pazienza di Dio attendeva fiduciosamente, nei giorni di Noè quando si preparava l’arca in cui pochi, cioè otto anime furono salvate per mezzo della acqua.”

È affermata e proclamata la portata universale del sacrificio del Cristo. La grazia che ne è venuta dal cielo è per tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni spazio, anche per coloro che sono morti prima che il disegno salvifico di Cristo avesse compimento. E ancor più  per coloro che sono vissuti nel tempo della paziente attesa, allorchè Dio aveva tenuto come in sospeso quella che doveva poi diventare una decisione finale irreversibile. Il versetto non è di facile interpretazione. Non si può intendere se non rimovendo la lettura più accreditata nella Chiesa che vuole il sacrificio di Cristo come assolutamente necessario, per volontà di Dio, fin dall’eternità.
Di eternamente stabilito, ovvero di eternamente stabile, è soltanto la volontà di Dio di sacrificare il proprio Figlio, come atto estremo d’amore, qualora la creatura non  avesse accolto come il fondamento ed il fine della vita Colui nel quale e per il quale tutti sono stati creati, senza la cui luce, guida, grazia non vi è per l’uomo nessun cammino verso la vita eterna e nessun approdo ad essa.
L’Assoluta necessità del sacrificio del Cristo  si è venuta determinando nella storia  a causa del  peccato di Adamo, che liberamente, per volontà propria, ha rifiutato il Figlio di Dio. Quale la risposta da parte del Signore? Non ha reso pan per focaccia e male per male, ma ha mandato sulla terra lo stesso Figlio, perché il giusto pagasse per gli ingiusti. Portando su di sé nella propria carne il nostro peccato Cristo lo ha fatto morire sulla croce e ci ha fatti rinascere In Lui e per Lui a vita eterna. Quella che era  eternamente una semplice possibilità dell’amore divino, quasi l’ultima cartuccia, quella di riserva, la più grande, la più potente, oltre la quale nulla si poteva pensare, ( Scrive san Giustino che neppure il Diavolo avrebbe mai potuto immaginare qualcosa di simile ) … tutto questo si è reso necessario alla luce dei fatti, per il peccato compiuto da tutti in Adamo, un peccato che non ha conosciuto nei tempi successivi dell’esistenza umana alcun ravvedimento e pentimento, o volontà di ritorno all’amore di Dio Creatore. Il peccato dei figli di Adamo si è venuto sempre più accrescendo in forme e misure tali che vi fu un tempo in cui addirittura Dio pensò di distruggere l’uomo dalla faccia della terra. “ Ora vedendo Dio che si erano moltiplicate le cattiverie degli uomini sulla terra e chiunque ponderava nel suo cuore accuratamente malvagità tutti i giorni, ripensò Dio all’aver fatto l’uomo sulla terra e ponderò. E disse Dio: cancellerò via l’uomo che ho fatto, dalla faccia della terra, dall’uomo fino al bestiame e dai rettili fino ai volatili del cielo, poiché sono preso da furore di averli fatti. Noè invece trovò grazia al cospetto del Signore Dio” ( Gen 6, 5-8  dai Settanta).
Memore del suo eterno proposito d’amore il Signore salvò Noè unico giusto e la sua famiglia dal diluvio delle acque, perché nella nuova generazione si attuasse l’eterno disegno d’amore, che vuole tutti gli uomini salvi in virtù del sacrificio del Cristo.
“Disse il Signore Dio dopo aver ben pensato: “ Non continuerò più a maledire la terra per le opere degli uomini, poiché giace il pensiero dell’uomo, fin  nei dettagli, nelle malvagità, dalla giovinezza. “ ( Gen. 8,21 dai Settanta ).
Con la morte e resurrezione di Gesù l’opera salvifica  ha avuto il suo adempimento finale . Ma bisogna pur dire che è già chiaramente in atto in modo irreversibile dai tempi dei figli di Noè. Si può anche avere legittimamente dei dubbi per  l’umanità dei tempi che vengono prima del Diluvio. E a questo punto ci è dato di comprendere il discorso di Pietro. Rileggiamo attentamente:

“19 In questo anche agli spiriti in carcere, andato, annunciò la salvezza, 20 a quelli essenti disobbedienti un tempo quando la pazienza di Dio attendeva fiduciosamente, nei giorni di Noè quando si preparava l’arca in cui pochi, cioè otto anime furono salvate per mezzo della acqua.”

La rivelazione di Cristo salvatore a tutta l’umanità è stata annunciata, resa attuale ed operante dallo Stesso Cristo dopo la sua morte, quando in Spirito  scese nel carcere del regno dei morti, per liberare  coloro per i quali il giudizio era stato sospeso in attesa di quella rivelazione a loro non ancora annunciata e di quella salvezza per essi non ancora operante.
Il discorso si deve intendere in immagine. Si vuole semplicemente dire che per nessun uomo da Adamo in poi c’è salvezza se non in virtù del Salvatore mandato dal cielo. Se qualcosa rimaneva di incompiuto e di non completo tutto è compiuto con la morte e resurrezione del Cristo. ”Una volta per tutte”, un tempo per ogni tempo. Non si tratta di una salvezza retroattiva, ma di un modo di esprimersi in immagine, per far intendere che la salvezza di Cristo è efficace per tutti gli uomini, di tutti i tempi, anche per le prime generazioni di cui si parla in Genesi, riguardo alle quali possono emergere, dubbi, domande, incertezze. Comunque la si voglia intendere non c’è salvezza senza Cristo, e non c’è uomo che si possa collocare prima o fuori di questa salvezza, che ha operato tutto in tutti.

“21 La quale essendo antitipo anche voi adesso salva come immersione, non deposizione di sporcizia della carne, ma richiesta a Dio di una coscienza buona per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo, 22 che è andato alla destra di Dio in cielo essendo stati sottomessi a lui angeli e potestà e potenze.”

Il riferimento è  all’acqua che è stata riversata sull’Arca di Noè. È detta antitipo, cioè immagine relativa a, con qualche rettificazione di senso: la prima acqua fu di salvezza perché tenne in vita, risparmiò quelli che erano nell’Arca, in virtù di una semplice rimozione di ogni sporcizia della carne. La seconda, che è l’acqua battesimale, non semplicemente  tiene in vita, ma dona vita nuova, in virtù dell’immersione nel sangue versato dal Cristo. Morti in Lui e con Lui, per Lui e con Lui risuscitiamo a vita eterna, deponiamo la cattiva coscienza acquistata in Adamo e ci è fatto dono di una buona coscienza a noi acquisita dal Figlio di Dio. E con ciò si conclude per sempre la storia della salvezza. Dopo la resurrezione , Cristo è tornato a sedere alla destra del Padre dopo aver sottomesso a sé angeli, potestà e potenze a Lui ribelli. E, aggiungiamo noi, con il Vangelo secondo Giovanni, dopo averci preparato un posto nella casa del Padre.
“per mezzo dell’acqua (meglio: attraverso l’acqua). Bisogna intendere bene. Gli otto non furono salvati “dall’acqua”, ma “dall’arca”, passando attraverso l’acqua. L’arca iniziò a navigare e l’acqua non li travolse.
“Figura, questa, del battesimo, che ora salva voi (letteralmente relativamente a ciò, come antitipo ora il battesimo salva anche voi). L’operazione raffigurata dall’arca si realizza ora pienamente nel battesimo salvifico. L’arca che salvò otto persone era il “tipo”, l’immagine prefigurante che ora si compie nella realtà: l’antitipo (ciò che corrisponde al tipo, la realtà da essa preannunciata) è il battesimo che ora salva. Ora, in contrapposizione ad allora (v. 20) è nuovamente la sottolineatura delle diverse epoche della storia della salvezza.” (Umberto Neri)

Cap.1

Prima lettera di Pietro
Premessa  ( da Umberto Neri – Vivere una vita nuova – Catechesi biblica sulla prima lettera di Pietro – ed. Ancora )
“La prima lettera di Pietro è un testo fondamentale, capace di costituire la base per un’interpretazione globale del Vangelo; la sua lettura guida a una comprensione sicura ed elementare del messaggio di Cristo, della vita cristiana, della realtà della nuova economia della grazia, su cui poi tutto può costruirsi e innestarsi. Appartiene, come la prima lettera di Giovanni, a quei documenti che nella loro globalità dicono praticamente tutto, secondo impostazioni diverse, ma tutto. Un testo quindi da cui assolutamente non si può prescindere e che ha, rispetto ad altri, il vantaggio di essere completamente orientato all’etica, al comportamento.
È uno dei documenti del Nuovo Testamento che contengono le esposizioni più ampie e più dettagliate del comportamento cristiano, del come deve agire e comportarsi il credente. Quindi non è una specie di summa spersonalizzata di etica cristiana, ma un’esposizione compiuta di tutto l’agire conforme alla volontà del Signore, considerato in una prospettiva teologica e spirituale determinata e inconfondibile. La lettera vuole aiutarci a vivere nel modo adeguato la situazione peculiare e ineliminabile che accompagnerà la Chiesa in tutto il suo percorso, quella della diaspora, della vita in mezzo a persone che non condividono la nostra fede e non conoscono la nostra speranza. È un documento cioè fortemente caratterizzato, in base ad una scelta che vedremo e che avremo continuamente occasione di rivedere. Un documento che ha sempre goduto di grandissima autorità nella Chiesa, anche perché gli si attribuisce la paternità di Pietro, il fondamento, la roccia sulla quale la Chiesa è costituita”.

Capitolo 1
Pietro apostolo di Gesù Cristo agli eletti pellegrini della disseminazione del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia, 2 secondo la preconoscenza di Dio Padre nella santificazione dello Spirito per l’obbedienza e la aspersione del sangue di Gesù Cristo, grazia a voi e pace sia moltiplicata.
3 Benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo che secondo la sua grande misericordia ci ha  rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva 4 per un’eredità incorruttibile, senza macchia e immarcescibile, conservata nei cieli per voi 5 che nella potenza di Dio siete custoditi per mezzo della fede per la salvezza, preparata per essere rivelata nel tempo ultimo. 6 Perciò  esultate in lui anche se ora è necessario che siate un po’ rattristati con varie prove, 7 perchè il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che perisce ma tuttavia è provato col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo, 8 che amate,  pur senza averlo visto, nel quale ora, non guardando ma credendo, esultate con gioia indicibile e gloriosa, 9 ottenendo il fine della vostra fede: la salvezza delle anime. 10 Su questa salvezza ricercarono e investigarono i profeti che  profetizzarono sulla grazia a voi destinata, 11 investigando su quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva  le sofferenze destinate a Cristo e le glorie dopo queste cose. 12 E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, erano ministri di quelle cose che ora vi sono state annunciate  per mezzo di coloro che vi hanno predicato il vangelo, nello Spirito Santo mandato dal cielo, sulle quali cose desiderano gli angeli chinarsi per guardare. 13 Perciò avendo cinto i lombi della vostra mente, sobri, perfettamente sperate in quella grazia  che vi sarà data nella rivelazione di Gesù Cristo. 14 Come figli dell’obbedienza non conformatevi alle concupiscenze di prima, quando eravate nell’ ignoranza 15 ma secondo il Santo  che vi ha chiamati anche voi diventate santi in ogni comportamento, 16 poiché è scritto: Voi sarete santi, poiché io sono Santo. 17 E se chiamate Padre colui che giudica senza riguardo alle persone secondo l’opera di ciascuno, con timore spendete il tempo del vostro pellegrinaggio, 18 sapendo che non con cose corruttibili, con argento o oro, foste riscattati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, 19 ma con il prezioso sangue di Cristo, come di agnello senza difetto e senza macchia, 20 preconosciuto già prima della fondazione del mondo, ma manifestato,  alla fine dei tempi per voi 21 che per opera sua credete in Dio che l’ha risuscitato  dai morti e ha dato a lui gloria, cosicchè  la vostra fede e la speranza siano in Dio. 22 Avendo purificato le vostre anime nell’obbedienza alla verità per un amore fraterno senza ipocrisia, amatevi gli uni gli altri intensamente, di puro cuore, 23 essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna. 24 Poiché ogni carne è come l’erba e tutta la sua gloria è come fiore d’erba; si secca l’erba e il fiore cade; 25 ma la parola del Signore rimane in eterno. Ora questa è la parola  annunciata a voi.


“Pietro apostolo di Gesù Cristo agli eletti pellegrini della disseminazione del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia,”

Il saluto iniziale è senza dubbio uno dei più belli delle lettere apostoliche e per certi aspetti richiama quello di Paolo nella lettera ai Romani. Come L’Apostolo indirizza la sua lettera  agli abitanti in Roma, volendo nella città eterna significare la totalità dell’Impero, che era allora il mondo conosciuto, così l’indirizzo della lettera di Pietro ha un respiro, per così dire molto ampio: è rivolto a tutte quelle regioni che hanno conosciuto il suo annuncio  e che rappresentano pertanto l’umanità già  evangelizzata,  nell’attesa e nell’auspicio che ogni uomo conosca la salvezza che è venuta dal cielo.
Se la lettera ai Romani è per così dire il manifesto della fede in Cristo, scritto da Paolo, qui abbiamo il manifesto della stessa fede fatto dall’Apostolo Pietro. Ed è significativo che a Pietro nessuna altra lettera sia attribuita. Basta questa: in essa è in sintesi efficace il senso della vera fede in Cristo, per tutti gli uomini che sono stati raggiunti dalla predicazione. E non ci deve stupire che la lettera nel suo contenuto molto ricalchi il discorso di Paolo. Non è ragione sufficiente per negare a Pietro la paternità di questo scritto. Vi è una fondamentale unità e coerenza dell’annuncio della salvezza in Cristo Gesù che è trovata e verificata in tutti gli scritti del Nuovo Testamento, se pur in una forma letteraria diversa, che è irrilevante per la nostra intelligenza della fede. È sempre l’unico e solo Spirito Santo che parla con voci diverse, in un’unità armonica di pensieri e di sentimenti,  formata, per così dire dal coro degli apostoli.
Le ragioni e i problemi legati alla forma letteraria, non devono portarci fuori strada. Giova ricordare che a quei tempi, considerata la difficoltà tecnica della scrittura, ci si affidava a dei copisti, scribi o scrivani del mestiere, molte volte non privi di una certa capacità formale, capaci, in qualche modo, all’occorrenza, di trascrivere quanto dettato in una forma discretamente elegante e comprensibile a tutti.
Non è certo il caso dell’apostolo Paolo il cui linguaggio “barbarico”, come è da alcuni definito, è fortemente originale, con caratteristiche proprie inconfondibili.
Nel caso di Pietro ci sembra non sia sufficiente l’analisi stilistica per negare la paternità della lettera. Come poteva un semplice pescatore esprimersi in una simile  perfezione formale, se pur non eccelsa? Il linguaggio abbastanza elevato, può essere pienamente giustificato dall’apporto del copista. “ Per mezzo di Silvano fedele fratello, come reputo ho scritto con poche parole…” Così è detto alla fine della lettera di Pietro.
Questi copisti, come si vede, non necessariamente erano uomini di mondo. Più comunemente erano fratelli di fede, collaboratori degli apostoli, non privi di intelligenza riguardo alle cose di Dio, in grado pertanto di dare un contributo non semplicemente tecnico manuale. E possiamo dire che questo è una costante di tutta la storia della Chiesa. Benchè la Tradizione della Parola sia passata attraverso la penna di numerosi copisti, che a volte sono intervenuti sul testo di proposito e non con un semplice errore di trascrizione, rimane una fondamentale unità, coerenza e fedeltà rispetto al messaggio originario. Le cosiddette varianti dei diversi codici, a parte gli evidenti errori di trascrizione, in genere rappresentano un miglioramento e non un peggioramento e deterioramento del testo più antico. Benchè l’ispirazione divina si debba attribuire unicamente agli agiografi, non si può ignorare e misconoscere che una certa ispirazione va riconosciuta anche ai copisti e ai traduttori. Significativo è il caso della Vulgata, la versione in latino della Bibbia fatta da san Gerolamo. La Chiesa non riconosce questo testo come ispirato da Dio, come quello ebraico e  quello greco, detto dei Settanta.  Eppure, chi ha familiarità con questa traduzione trova in essa una incomparabile bellezza e ricchezza di significati. Non è affatto un meno, ma un più rispetto a primitivi testi. E non a caso e senza ragione la Chiesa per secoli ha letto la Bibbia nella versione della Vulgata. L’analisi linguistica del moderno storicismo per due millenni non ha avuto nella Chiesa storia alcuna, neppure in una forma embrionale; non solo perché mancavano gli strumenti della moderna analisi scientifica. Non se ne avvertiva l’importanza e l’utilità. La Chiesa si è riconosciuta nella traduzione latina attribuita a Gerolamo. E non semplicemente per il suo genio letterario e per la sua conoscenza delle lingue antiche, ma ancor più ed ancor prima perché questo grande padre della Chiesa non ha creato una propria tradizione, ma si è inserito nel solco dell’unica Tradizione riconosciuta ed accreditata dal popolo di Dio. Gerolamo ha lavorato su preesistenti traduzioni  che avevano il benestare della Chiesa, comunemente usate nelle celebrazioni liturgiche. Se si può parlare di novità e di diversità è solo nel tentativo di riportare in vita il testo ispirato in tutta la sua bellezza e ricchezza di significati. Se ci ha messo del suo, non lo ha fatto ad arbitrio, ma a ragion veduta, tutto vagliando in maniera scrupolosa e soprattutto nulla traducendo se non in uno spirito di preghiera continua e di perenne invocazione dello Spirito Santo.
Non si può rigettare o minimizzare o mettere in discussione l’importanza di un testo che la Chiesa per secoli ha fatto suo, in maniera esclusiva, come voce della parola di Dio, unica per tutti credenti: termine indiscutibile di ogni confronto dottrinale. In un tempo in cui si sono cercate altre vie ed altre traduzioni è lecito chiedersi se si può parlare di progresso nella lettura e nell’intelligenza della Parola o di un deplorevole regresso. Non possiamo mettere sotto i piedi, tout court, la Tradizione della Chiesa, e per Tradizione innanzitutto si deve intendere la trasmissione della parola rivelata.
Detto questo, a difesa dell’importanza della Tradizione, ricordando che la paternità della prima lettera, che porta il nome di Pietro, è sempre stata accreditata all’Apostolo Simone, a differenza della seconda omonima lettera, alcune considerazioni riguardo al titolo o attributo che Pietro dà a tutti coloro che vogliono o possono dirsi cristiani.
“… agli eletti pellegrini della disseminazione…”.

In tre parole   ( eletti, pellegrini, disseminazione ) è definita la nostra eterna realtà, la nostra condizione attuale, la nostra vocazione in quanto popolo di Dio.
Non si è figli di Dio se non per elezione divina. “Non voi avete eletto me, ma io ho eletto voi”. Non si vive in questa dimora terrena se non come pellegrini. Da ultimo non siamo vero seme di Cristo se non in quanto dispersi su tutta la terra, cioè chiamati all’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini, in ogni parte del mondo, perché l’albero piantato in Israele dopo aver dato i suoi frutti ai vicini, dia il suo seme di vita nuova a tutti coloro che sono lontani.

“2 secondo la preconoscenza di Dio Padre nella santificazione dello Spirito per l’obbedienza e la aspersione del sangue di Gesù Cristo, grazia a voi e pace sia moltiplicata”.

Nessun cristiano può dirsi come un fungo spuntato all’improvviso in maniera imprevista ed imprevedibile. Prima ancora della conoscenza di Dio che a noi è data, vi è la conoscenza che Dio ha di noi. Da sempre siamo nella sua mente, come frutto di un eterno progetto di salvezza attuato da Gesù Cristo, non semplicemente per tutti noi ma per ognuno di noi. Siamo preconosciuti non solo come popolo, ma come singoli. Il Signore ci “ama” dall’eternità come individui diversi l’uno dall’altro. La salvezza viene dall’Uno che è eterno, ma per ognuno di noi c’è un tempo, uno spazio, una condizione esistenziale diversi. Quanto basta perché l’amore di Dio per le sue Creature sia innanzitutto avvertito da esse  come amore sponsale, che se pur ha una sua dilatazione fra i molti, in sé e per sé è innanzitutto amore fra due. Nulla di casuale è dato e trovato nella vita del singolo, ma tutto è conforme ad una pienezza d’amore donata dal cielo, che fa propria non semplicemente la realtà dell’umanità tutta, ma la realtà creata e generata di ogni uomo: come creata originariamente da Dio, ma anche come generata dal peccato d’origine, di cui tutti ugualmente siamo responsabili e complici, se pur  trovati nell’esistenza diversi e bisognosi di interventi diversificati, che  si collocano tuttavia nell’ambito dell’unica salvezza che viene dal Cristo. Nessuno si lamenti per la propria condizione esistenziale. È la migliore e la più opportuna per la nostra salvezza. Non l’abbiamo scelta noi, ma il Signore, come la più idonea, efficace, confacente al dono della sua grazia. Nessuno nasce maledetto da Dio, ma in Cristo e per Cristo tutti siamo benedetti per eterna volontà del Padre.
Un popolo di pellegrini e di disseminati è innanzitutto un popolo di uomini oggetto di eterna benedizione e di predilezione divina. Ma non si comprende se non si entra in una dimensione diversa, che non è semplicemente quella dell’anima intesa come psiche, ma quella dell’anima intesa come spirito.
Se la nostra chiamata è alla santità: “Siate santi perché io sono santo”, tale santità ha innanzitutto connotati spirituali. Interessa la totalità delle dimensioni umane, ma innanzitutto lo spirito che Dio ha insufflato in noi, che è all’origine della vita. Dapprima l’uomo è terra plasmata, il corpo, poi spirito insufflato da Dio, infine anima creata dal nulla. Non uno spirito è associato all’anima, ma un’anima è associata allo Spirito. Se l’anima è creata ad immagine di Dio, prima ancora lo Spirito è immesso in noi dall’alitare di Dio.
La santità ha importanza ed interesse innanzitutto per quel che riguarda lo spirito. Troppo spesso si guarda alla redenzione come rinascita in carne e anima. E si vuole anticipare i tempi in questa terra. E si arriva ad una santità falsa ed ingannevole che vuole e pretende da Dio la salute e l’efficienza del corpo e della mente. Mens sana in corpore sano. E cosa dire e come considerare coloro che sono e rimangono malati e segnati nel corpo e nella mente? Si può sempre sperare nel miracolo. Ma quando mai è dato e garantito tale miracolo? L’unica santità sicuramente data a tutti è quella dello spirito. E lo spirito ha categorie proprie che vengono prima di quelle dell’anima e del corpo. Chi non sa vedere l’opera dello Spirito in una mente e in un corpo malati è molto lontano dall’autentica fede. Avrà perenne rigetto di una povertà benedetta da Dio. Chiederà vanamente nella preghiera un corpo ed un mente efficienti, nella presunzione di una santità valutabile e misurabile secondo gli schemi della ragione umana. Che la fede non sia di per sé assolutamente irrazionale, dobbiamo consentire, ma non si può consentire che la fede necessariamente passi attraverso la logica della ragione umana e l’efficienza fisica.
La santità riguarda innanzitutto lo spirito ed interessa ed accomuna, sano e malato, intelligente e deficiente. Ciò che è dato dall’eccellenza dello spirito  non è conosciuto e giudicato se non da Colui che è Spirito. Una Chiesa che non trova al proprio interno spazio alcuno e giustificata collocazione per mentecatti ed infermi di ogni tipo è una Chiesa senza Dio. Certamente va stimata e considerata l’eccellenza del corpo e dell’anima, ma soltanto quando si accompagnano all’eccellenza dello Spirito. Quale la grandezza d’ingegno di un Gerolamo, Agostino, Origene, senza la grandezza dello Spirito? Dovremmo mettere all’ultimo posto coloro che la Chiesa mette tra i primi posti.
Se grande fu in questi uomini l’intelligenza, ancor più grande il loro cuore, se sovrabbondante di grazia l’anima, ancor più lo spirito.
Se i primi saranno trovati ultimi e gli ultimi primi, ciò non si giustifica e non si comprende se non per le ragioni dello Spirito, che  vengono prima di quelle dell’anima.
Una predicazione che arriva  nel profondo dell’anima e non tocca lo Spirito neppure in superficie è vana ed inefficace: non conduce a vita eterna. Nel momento stesso in cui molti esclude dalla salvezza, sarà essa stessa esclusa dalla grazia del Salvatore. Non ci meravigli che proprio i malati e i mentecatti siano i primi ad accorrere al Signore: è la potenza dello Spirito creatore che attira a sé ogni spirito creato.
Come avviene la santificazione dello spirito? La risposta di Pietro è chiara e puntuale: “per l’obbedienza e l’ aspersione del sangue di Gesù Cristo”, grazia a voi e pace sia moltiplicata” Non è santo nello spirito se non colui che è stato santificato dallo Spirito. E tutto questo non è opera nostra, ma di Gesù Cristo. Non per la nostra ma per la Sua obbedienza a Dio Padre, non per il sangue da noi versato ma per il sangue da Lui versato per la purificazione e la salvezza dei molti.
“ Non si parla soltanto di sangue versato. Il sangue asperso è il sangue gettato, spruzzato, sopra di noi. Con questo sangue noi entriamo in contatto personale, le gocce di questo sangue ci toccano, ci macchiano, o meglio ci lavano e rendono bianche le nostre vesti, che sono immerse nel sangue dell’agnello ( Cf Ap. 7,14 ). Allora il Cristo è il termine e il tramite della fede, nella quale si entra con l’atto di obbedienza all’opera salvifica compiuta da Dio mediante il sangue di Cristo… Ecco allora il contenuto della formula trinitaria incontrata in questi primissimi versetti della lettera: dal Padre siamo preconosciuti ed eletti, per essere – nello Spirito – santificati, estraniati a tutta la realtà creaturale e immersi nella sfera divina attraverso la fede nel Cristo, l’aspersione del suo sangue e la redenzione del Cristo da noi accolta.” ( Umberto Neri )
L’obbedienza del Figlio deve diventare l’obbedienza di ogni figlio. Come Cristo è stato obbediente in tutto al Padre, così anche noi dobbiamo entrare in questo spirito di sottomissione, che è poi obbedienza a tutto e a tutti. Non c’è vera fede senza vera obbedienza. Allorchè entrati nell’obbedienza della fede diventa per noi efficace il sangue versato da Cristo. In questo sangue dobbiamo essere lavati, purificati dai nostri peccati. Fede, perché i nostri cuori siano aperti all’intervento divino e battesimo, perché il peccato sia tolto da noi in virtù di un lavacro spirituale che è aspersione nel e col sangue di Cristo. Come non c’è battesimo senza fede, così non c’è fede senza battesimo. La fede ci apre alla grazia, nel battesimo siamo rivestiti della medesima grazia.
“Grazia e pace sia moltiplicata”. La grazia data dal Cristo porta con sé ogni pace, e non una volta per sempre, ma in un divenire continuo che ci vede crescere di giorno in giorno in una moltiplicazione di doni celesti.

“3 Benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo che secondo la sua grande misericordia ci ha  rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti,”

“Sia benedetto Dio. È l’inizio tipico della preghiera ebraica, recepito nel Nuovo Testamento: “ Benedetto sei tu o Signore…” La maestra di preghiera per la Chiesa è stata la sinagoga; questa preghiera però è trasfigurata dall’evento nuovo che tutto trasforma, l’evento di Cristo… Ogni popolo ha la sua interpretazione di che cosa è la preghiera; non è indifferente il modello al quale la Chiesa si ispira: non si può insegnare a pregare in altro modo che passando attraverso l’Antico Testamento; così ha fatto Gesù, manifestamente, nello stesso Padre nostro, che egli stesso ha insegnato, così nuovo e così ebraico; così ha fatto la comunità apostolica, ponendo nelle mani dei fedeli e sulla loro bocca il libro dei salmi; e così fa la Chiesa tuttora dando il salterio.
“Padre del Signore nostro Gesù Cristo”. Ecco subito la qualifica in senso cristiano: il Dio che oggi noi conosciamo è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ma lo conosciamo come e perché è Padre del nostro Signore Gesù Cristo, quindi con il suo nome compiuto, nella sua rivelazione piena e adeguata. Non possiamo rivolgerci a lui se non perché è Padre del Signore nostro Gesù Cristo ed è attraverso questo suo Figlio che noi, come figli, ci rivolgiamo a lui chiamandolo “Padre”. Anche gli Ebrei lo chiamavano Padre, ma noi lo chiamiamo Padre del Signore nostro Gesù Cristo”: per noi questo termine acquista un peso incomparabilmente maggiore, perché in Cristo siamo realmente, nello Spirito, suoi figli. Rispetto al mondo ebraico è una novità completa.” ( Umberto Neri )
Gloria, onore e benedizione dunque al Signore nostro, che ci ha rigenerati a una speranza sempre viva. Non è rigenerato se non colui che è stato trovato morto. La speranza dei redenti non si colloca sul piano di una qualsiasi altra speranza: non ci proietta semplicemente verso una vita migliore ma è passaggio dalla morte alla vita. È a noi data dal vivente, perché in Lui e per Lui anche noi da morti siamo fatti vivi. E tutto questo è opera dell’eterno Figlio Suo Gesù Cristo:  nella sua morte è la nostra morte, nella sua resurrezione la nostra resurrezione. In poche parole è riassunto il senso della nostra fede. Fede, innanzitutto, in una misericordia divina che si esprime secondo una moltitudine di doni e molteplicità di interventi, che si riassumono tuttavia in un evento centrale,  realtà fondante e portante di una speranza  sempre attuale e fattuale. Se Cristo non fosse risuscitato dai morti, vana sarebbe la  fede. L’annuncio di una vita nuova, allora, altro non può essere che l’annuncio della resurrezione di Cristo da morte. Questa la grande novità della storia, questo l’inizio di una nuova generazione. È sempre l’unico e medesimo Vangelo che passa da bocca a bocca, da apostolo ad apostolo. Non ogni apostolo è lo stesso apostolo, non ogni lingua è la stessa lingua: sempre ed ovunque chi è apostolo proclama la risurrezione di Cristo da morte. Molto  si indaga e si studia riguardo alla diversità trovate nelle parole degli apostoli. Ma non si va mai oltre l’aspetto formale: l’annuncio è uno ed uno solo, e al centro sta la risurrezione da morte del Cristo. L’evento finale dell’amore di Dio, diventa per noi l’evento iniziale del nostro cammino di salvezza. Tutto finisce e tutto comincia con un solo atto e da un solo fatto. Se per Dio si è con ciò esaurita la sua opera di salvezza, per noi ne è soltanto l’inizio e la condizione sine qua non. Non ci può essere fede in Cristo che non sia fede nella sua morte e resurrezione per la vita del mondo. Qualsiasi diverso approccio al Cristo è falso e menzognero: non conduce sulla retta via, ma è smarrimento dell’unica via che conduce alla vita eterna.
Molto si parla di Gesù Cristo, della sua diversità ed eccezionalità rispetto ad un qualsiasi altro uomo; troppo poco si parla della sua resurrezione da morte. Non è vero cristiano se non colui che si unisce al coro degli eletti che vanno gridando ai quattro venti: “Colui che tutti dicono morto è vivente”. Non semplicemente vivo come un sopravvissuto alla croce, ma vivente come colui sul quale la morte non ha potere alcuno, perché vive in eterno.
Non è vera fede in Cristo se non quella che è proiettata da subito in una dimensione senza tempo, non quella che cerca e vuole dal Salvatore una vita migliore, ma quella che chiede ed ottiene una vita eterna.

“per una speranza viva 4 per un’eredità incorruttibile, senza macchia e immarcescibile “

Sarebbe ben poca cosa e non risolutiva di ogni perché dell’esistenza, una eredità che non ci liberi dalla corruzione della carne e dalla macchia del peccato. Ciò che è destinato a marcire non è degno di un’opera divina.
“Cosa vuol dire che tale speranza è un’eredità? Vuol dire che non è meritata, sopravviene: non le si addicono né merito né conquista…” ( Umberto Neri )

” conservata nei cieli per voi”

E neppure si può pensare ad una trovata di Dio dell’ultima ora, ma tutto è accaduto conforme ad un eterno progetto d’amore, che manifestatosi nel tempo, non può e non vuole morire nel tempo.
“Il regno è già preparato, è pronto, è già là che attende; non siete voi a costruirvi la vostra beatitudine, come non siete voi a meritarla o a conquistarla. Dio l’ha preparata per darvela. “  ( Umberto Neri )

“5 che nella potenza di Dio siete custoditi per mezzo della fede per la salvezza, preparata per essere rivelata nel tempo ultimo.”

“E’ un passo di grande bellezza. Ci sono due custodie: dell’eredità tenuta in serbo e di voi che dovete conseguirla.” ( Umberto Neri )
La salvezza che viene dalla fede sarà rivelata nel tempo ultimo, ma è già attuale e già manifesta i suoi frutti. Noi, gli eletti, i predestinati alla salvezza, già godiamo di una particolare attenzione da parte di Dio. Come piccoli deboli e indifesi il Signore si prende cura di noi, per portarci all’età adulta dell’uomo che vive nella visione eterna del suo Creatore.
Come non ricordare le parole di Dio rivolte ad Abramo, padre della fede? “Non temere, Abramo, io sono scudo  per te; la tua ricompensa sarà oltremodo grande”. (Gen 15,1) Prima di tutto il resto è dato a noi conoscere un amore che si fa nostro scudo e nostra speranza. L’uomo vive con il timore della vita e muore con il terrore della morte. Non così chi è redento dal Cristo: siede nella pace tra le braccia di un Padre amoroso che sempre ed ovunque si prende cura di noi, proteggendoci dalle insidie del Maligno e da ogni suo inganno. C’è chi cerca protezione nelle potenze di questo mondo, c’è chi si affida alla potenza di Dio, in essa dimora, in essa trova una fondata pace.

“6 Perciò  esultate in lui anche se ora è necessario che siate un po’ rattristati con varie prove,”

La vita del cristiano è  gioia e pace. Nonostante le afflizioni che in un tempo e per un tempo possono darci tristezza, la nostra esistenza è improntata per grazia di Dio verso un sentimento di esultanza in Cristo Salvatore.
E non ci devono turbare le svariate prove a cui siamo sottoposti per la fede in Cristo. Ogni prova porta nel suo immediato una tristezza ed uno scoraggiamento, ma tutto è presto superato allorché rientriamo con la mente e con il cuore in uno spirito di preghiera perenne. Le prove possono spezzare quel sentimento di pace e di serenità che costantemente dimora in noi. Bisogna recuperare e riprendersi al più presto, ritornando alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio, che è potenza di resurrezione ma anche pace, gioia, serenità. Nei momenti di sconforto, datti alla preghiera; non semplicemente a quella che esce dal tuo cuore ma a quella che il Signore stesso mette sulle tue labbra, come preghiera di Gesù. È preghiera accetta e gradita al Padre, da Lui benedetta ed esaltata. La preghiera di Gesù farà il tuo cuore simile al suo, capace di ogni lode e di ogni rendimento di grazie a Dio, ma anche capace di allargare se stesso nei momenti della prova. “poiché nell’angustia, Signore, mi hai dilatato”.  Prima ancora delle preghiera da noi creata c’è la preghiera a noi insegnata e consegnata dal Cristo. I salmi  e  il Padre nostro sono l’ espressione più alta della preghiera, perché non preghiera di un qualsiasi figlio di Dio, ma dell’eterno Figlio che è Cristo Gesù.

“7 perchè il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che perisce ma tuttavia è provato col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo”,


Una fede che non sia provata e riprovata, non dà alcuna garanzia di verità e di autenticità. Se già i beni di questo mondo devono dimostrare quello che valgono allorché saggiati dall’uomo, ancor più la nostra fede, provata da Dio, deve manifestare la sua purezza ed integrità. Qualsiasi corruzione o contaminazione va rimossa, non per opera dell’uomo, ma del Signore. Perché nel giorno della rivelazione di Gesù Cristo  lode, gloria ed onore siano a Lui resi con quella perfezione che appartiene esclusivamente a Dio e a coloro che da Dio sono nati.

“ 8 che amate,  pur senza averlo visto, nel quale ora, non guardando ma credendo, esultate con gioia indicibile e gloriosa, 9 ottenendo il fine della vostra fede: la salvezza delle anime”

Pochi hanno visto Gesù nella carne, nessuno l’ha visto e lo vede  nella gloria del Padre, ma il suo amore è stato diffuso in tutti i cuori di coloro che credono, in virtù dello Spirito Santo. Un amore ben vivo e sempre presente che ci porta a Lui con moto spontaneo ed immediato, agito da una potenza divina. A Cristo attirati, in Cristo siamo fatti pieni di una gioia che non può essere espressa dalla bocca dell’uomo, perché non viene dall’uomo. Gioia indicibile e gloriosa, che ci è donata da Colui che siede in eterno nella gloria del Padre.
Pur non vedendo Cristo glorioso, la fede nel suo nome, ci dà, qui ed ora, un assaggio dell’eterna beatitudine. Anche noi possiamo dire con Maria: “L’anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio salvatore”. La gioia che viene dallo Spirito ha carattere spontaneo ed immediato,  non ha bisogno di alcuna mediazione dei sensi, ma sgorga in noi qual rivo di acqua viva che ci conduce a vita eterna. Se la fede ha come fine la salvezza, verso la salvezza siamo già avviati ed incamminati,  in un’esultanza di gioia, che attesta di per sé la certezza della vittoria sulle potenze del maligno.

“10 Su questa salvezza ricercarono e investigarono i profeti che  profetizzarono sulla grazia a voi destinata, 11 investigando su quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva  le sofferenze destinate a Cristo e le glorie dopo queste cose.”

La salvezza, riguardo alla quale hanno ricercato ed investigato i profeti, è già a noi garantita. La grazia profetizzata è già data. Non c’è più bisogno di investigare riguardo ai tempi a ai momenti. Le sofferenze di Cristo hanno già avuto il loro compimento ultimo con la sua morte in croce. I profeti hanno profetizzato le sofferenze di Cristo e le glorie che sarebbero venute dopo. Noi, i redenti, i salvati, siamo testimoni di un’opera già avvenuta, i cui frutti sono già conosciuti, di cui ci nutriamo, in cui cresciamo fino alla statura dell’uomo perfetto.

“12 E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, erano ministri di quelle cose che ora vi sono state annunciate  per mezzo di coloro che vi hanno predicato il vangelo, nello Spirito Santo mandato dal cielo, sulle quali cose desiderano gli angeli chinarsi per guardare.”

C’è chi ha testimoniato prima e c’è chi testimonia dopo. Ciò che viene prima è dato in vista di ciò che viene dopo. Nella parola dei profeti abbiamo una conferma anticipata della salvezza che ci è data in Cristo Gesù. E l’artefice della Rivelazione è sempre l’unico e medesimo Spirito. Tanto grande è la salvezza operata dal Figlio di Dio che gli stessi angeli dal cielo volgono il loro sguardo sulla terra per ammirare le meraviglie preannunciate dai Profeti ed annunciate dagli Apostoli. Il Dio glorificato in terra ha fatto ancora più grande la sua gloria in cielo.

“13 Perciò avendo cinto i lombi della vostra mente, sobri, perfettamente sperate in quella grazia  che vi sarà data nella rivelazione di Gesù Cristo.”

Si cingono i lombi del corpo per camminare più speditamente, perché ogni rivestimento non sia di impedimento e di impaccio nella corsa. Si cingono “i lombi della mente” per togliere, rimuovere, rendere inoperanti tutte quelle sovrastrutture razionali e psicologiche che sono un ostacolo ed un impedimento per un retto uso della ragione, la cui vocazione prima è quella di magnificare il Signore,  Creatore nostro. Una mente pura, non impedita, è anche una mente sobria, che non conosce smarrimenti ed oscillazioni, che porta alla perfezione la nostra speranza che ci è data nella rivelazione di Gesù Cristo.
“Cinti i lombi della vostra mente”. “ Il riferimento alla mente è un termine ermeneutico per dire che bisogna trasferire al piano spirituale l’immagine, che è un’allusione al libro dell’Esodo ( cf. 12, 11 ), dove si danno le indicazioni per il modo di consumare l’agnello pasquale. Il popolo d’Israele, raccolto nelle singole case, è in attesa di ricevere l’ordine di Dio di partire per la terra promessa, carico di doni e non scacciato. Questo ordine di partenza va preparato con la consumazione dell’agnello e degli azzimi, in modo rituale e, pronti per la partenza; non si deve essere sdraiati comodamente sui divani, ma in piedi, con i calzari e con i lombi cinti, quindi pronti a muovere il passo immediatamente quando fosse venuto l’ordine di Dio. L’immagine usata da Pietro indica dunque la necessità di una vita pasquale, in conformità alla natura dell’esistenza cristiana che è un passaggio dalla tenebra alla luce, dalla mortalità e dai patimenti del mondo all’incorruttibilità e alla gioia sconfinata dell’eternità. È compiuta, celebrata, in virtù del sangue dell’agnello versato per noi: attraverso questo sangue siamo condotti al monte santo di Dio, a celebrare eternamente la sua festa, come Israele fu condotto all’uscita dall’Egitto fino al Sinai. Cinti i lombi della vostra mente, allude a tutto questo contesto…” ( Umberto Neri )

“14 Come figli dell’obbedienza non conformatevi alle concupiscenze di prima, quando eravate nell’ ignoranza 15 ma secondo il Santo  che vi ha chiamati anche voi diventate santi in ogni comportamento, 16 poiché è scritto: Voi sarete santi, poiché io sono Santo.”

Figli dell’obbedienza: bellissima definizione dei cristiani. Nati dall’obbedienza del Figlio di Dio, siamo fatti simili a Lui, cioè obbedienti in ogni cosa al Padre. Come il Figlio non fa niente da sé ma tutto in obbedienza al Padre così anche noi cerchiamo e vogliamo unicamente la Sua volontà.
È l’obbedienza il nostro carattere distintivo, quella che fa di noi creature nuove e diverse a somiglianza del Cristo. E non si deve intendere semplice obbedienza ai comandamenti di Dio, lasciando un qualche spazio al nostro libero agire in rapporto a ciò che ci sembra buono, ma è una vera e propria trasformazione di tutto il nostro essere che non impronta più a sé la propria vita, ma a quella del Cristo. Di modo che non siamo più noi a vivere, ma è Cristo che vive in noi. Non  è vera libertà   se non quella che viene dalla potenza di Dio, perché non facciamo più la nostra ma la Sua volontà. Chi si è fatto servo di Cristo perde ogni propria libertà per riavere e ritrovare l’unica vera libertà, che  non semplicemente vuole e desidera, ma realizza ed attualizza in sé la volontà di Dio.  Chi ama la propria libertà, conoscerà la propria schiavitù ad una potenza di peccato, chi perde la propria libertà in Cristo e per Cristo conoscerà la libertà dei figli di Dio, che non semplicemente vogliono, ma fanno la Sua volontà.
“Come figli d’obbedienza””. La formula “figli di” è di tipo semitico: figli della luce, delle tenebre, del giorno, della notte, dell’ira. Qui qualifica essenzialmente la natura nuova come obbedienza; essa deve essere l’abito del vostro agire, il comportamento così abituale da caratterizzarvi totalmente e globalmente. Figli di obbedienza non vuole dire soltanto “obbedienti”, è più forte; come i figli della luce sono coloro che sono tutti avvolti nella luce, l’obbedienza deve essere la nuova natura che nulla lascia a una falsa autonomia dell’uomo, nella pretesa e nella ricerca della quale l’uomo deviò da Dio e si allontanò dalla comunione con lui. Questa obbedienza  non è soltanto estrinseca, esterna ad una norma tratta dalla Scrittura o dalla tradizione vivente della Chiesa, ma dipende anche da una forza interiore che non dobbiamo mortificare, dallo Spirito Santo che parla in noi per suggerirci il modo di aderire a quella norma. Tutto il nostro comportamento deve essere un adeguarci allo Spirito, che ci sollecita a compiere la volontà di Dio e un adeguarci alla legge divina quale ci è stata trasmessa, comunicata, messa nelle mani e ripetuta agli orecchi. Quindi l’obbedienza diventa, in questo senso, la qualifica totale dell’essere cristiano, che coinvolge ogni istante del suo agire e da cui non ha mai diritto di allontanarsi.” ( Umberto Neri )

“non conformatevi alle concupiscenze quando eravate nell’ignoranza”.

Dobbiamo andare in controtendenza rispetto al libero andazzo di prima. Non più conformandoci ai desideri che sono propri dell’uomo che vive nell’ignoranza di Dio e della sua opera di salvezza, schiavo di una potenza di perdizione che lo trascina con sé , ma rinnovando il nostro comportamento secondo la potenza di colui che ci ha chiamati alla santità. Vi è un solo Santo in eterno, ed è solo in virtù della sua santità che anche noi siamo fatti santi, cioè diversi rispetto ad ogni libero operare secondo natura.
Se prima erano i desideri della carne che ci davano una forma spirituale, brutta e degenere, ora è lo stesso Spirito di Dio che dà una forma ai nostri desideri, facendoci conformi in tutto e per tutto all’autore della nostra salvezza. In questo modo si realizza ed attualizza in noi la nostra eterna vocazione ad essere figli di Dio in eterno,  conforme a quanto sta scritto: “sarete santi, poiché io sono Santo”.

“17 E se chiamate Padre colui che giudica senza riguardo alle persone secondo l’opera di ciascuno, con timore spendete il tempo del vostro pellegrinaggio,”

Il tempo di questa esistenza è soltanto tempo di passaggio ad un’altra vita. Dobbiamo vivere su questa terra come pellegrini, in viaggio verso una terra ultima e definitiva: incuranti del giudizio delle genti, aventi il cuore e la mente fissi unicamente nella volontà del Padre che è nei cieli e che nei cieli ci chiama. Un viaggio che conosce una sola meta, non può vederci come pellegrini stanchi e distratti, inclini ad ogni deviazione a destra e a sinistra. Il tempo di questo pellegrinaggio sia da noi speso nel timore di Dio, da Lui confortati, guidati e sorretti, ponendo ogni fiducia nel suo amore che sempre ci accompagna.
“Il Padre nostro che ci ha insegnato il Cristo, al quale evidentemente il testo prima di tutto allude, era la preghiera universale cristiana che tutti conoscevano e che si diceva in ogni celebrazione liturgica; “Abbà, padre” (Rom. 8,15; Gal. 4,6) è l’invocazione dello spirito che è in noi. Chiamare Dio come padre, in questo senso forte, invocarlo come papà è lo specifico cristiano. Non è semplicemente la confessione di lui come creatore provvidente di tutta la creazione, ma è l’accomunarci, in qualche modo, al figlio del suo amore, che è il Cristo Gesù; è il renderci partecipi del rapporto che, con Dio, ha il Cristo; è un rapporto di intimità inaudito. Come ha ben mostrato Jeremias (Abbà, Brescia 1976), questo modo di rapportarsi a Dio non ha confronti con ciò che è praticato in altre religioni nè in altri tempi, neppure con ciò che era praticato in Israele che pure chiamava Dio e, tanto spesso, “Padre”. È bene e giusta questa confidenza, dice S. Pietro, ma sappiate che questo padre giudica senza favoritismi personali… L’elezione non fonda la presunzione di privilegio, ma fonda un compito, genera una speranza viva. L’elezione è una glorificazione, ma non è il principio della presunzione di una privilegio davanti al Dio giudice… Attenti, dice Pietro, a non muovervi con leggerezza e presunzione, perché il vostro papà è colui che giudica senza favoritismi personali. L’appartenere alla Chiesa fonda il timore più che superarlo… L’intimità nuova che si è stabilita fra noi e Dio deve fondare un nuovo, ben più profondo timore. Più si ha avuto in dono, più Dio chiede. (Umberto Neri ).

“18 sapendo che non con cose corruttibili, con argento o oro, foste riscattati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, 19 ma con il prezioso sangue di Cristo, come di agnello senza difetto e senza macchia,”

Che la nostra vita sia un bene prezioso è attestato dal nostro stesso Creatore. Non solo ci ha dato un tempo la vita, ma ha dato la sua stessa vita per il nostro riscatto dal potere del Maligno.  Eravamo perduti e non siamo stati abbandonati a noi stessi, eravamo schiavi del forte ed è intervenuto per noi Colui che è più forte. E non siamo stati riscattati con ciò che è già trovato in natura, ma con ciò che può essere versato solamente per libera elezione, non con il sangue di qualsiasi animale, ma con il prezioso sangue di Cristo, come di agnello senza difetto e senza macchia. E come dubitare dell’amore che Dio ha per ognuno di noi?
Non c’è esistenza, per quanto piccola ai nostri occhi, che non sia fatta grande dalla grandezza del sacrificio del Figlio di Dio. Grande nella sua manifestazione, parimenti grande nella sua concezione.

“20 preconosciuto già prima della fondazione del mondo,”

Dall’eternità il sacrificio del Figlio è nella mente del Padre quale espressione ultima del suo amore per le sue creature.
Non si mantiene e non si perfeziona nel tempo se non ciò che è reputato da sempre un bene prezioso, unico e insostituibile.

“ma manifestato,  alla fine dei tempi per voi.”

Ciò che è da Dio preconosciuto prima della creazione del mondo, è  manifestato alla fine dei tempi, per il bene nostro e di tutte  le creature. È tracciato l’arco di tempo entro il quale ha il suo concepimento, il suo progresso, la sua realizzazione ultima, la storia di questo mondo. All’inizio vi è il progetto dell’amore divino, alla fine l’attuazione e la manifestazione di questo progetto. Tutto l’accaduto  non ha importanza e valore se non in quanto parte integrante, preparazione, occasione,  realizzazione piena e definitiva dell’unico e vero amore che è quello dell’unico vero Dio, che si è manifestato in Israele. Non esiste una storia dell’uomo, fatta dall’uomo, se non come inganno del Satana, che innalza ogni io creato al di sopra del solo Io increato.

“21 che per opera sua credete in Dio che l’ha risuscitato  dai morti e ha dato a lui gloria, cosicchè  la vostra fede e la speranza siano in Dio.”

La storia ha come fine la salvezza dell’uomo e l’esaltazione del suo Salvatore. In virtù del Cristo siamo fatti credenti nel Padre che lo ha resuscitato dai morti e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, così che la nostra fede e la nostra speranza in Dio non siano infondate.
Fede e speranza in Dio non sono prodotto della fantasia umana, sua arbitraria ed ingiustificata creazione, ma sono frutto della grazia di Dio, di ciò che il Creatore ha pensato nell’eternità, reso attuale nel tempo, fatto perenne con sigillo indelebile.
“E’ il Cristo che ristabilisce il rapporto dell’uomo con Dio attraverso le due determinazioni fondamentali della fede e della speranza. Egli è il tramite della nostra fede perché l’oggetto del nostro atto di fede è lui e il suo rapporto con il padre; non può accostarsi a Dio chi non crede; ma cosa vuol dire credere? “Se crederai nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rom. 10,9): questa è la fede. E la speranza cristiana è l’attesa certa della nostra glorificazione in Cristo, in forza di Cristo stesso, della sua grazia e della sua promessa. Credere che esista un essere infinito, provvido e giudice, al quale si renderà conto, è poco: la fede, nella sua determinazione piena, tanto da meritare il nome di fede all’interno della dottrina e della teologia cristiana, è fede in Dio che  ha risuscitato Cristo costituendolo Signore, o reciprocamente, in Cristo Signore risuscitato da Dio Padre (conf. Atti 2,36). La speranza non è semplicemente l’aver fiducia in Dio che guarda tutte le sue creature e che quindi aiuterà anche me; è speranza di conseguire la vita eterna e la glorificazione infinita mediante il Cristo, in analogia alla sua glorificazione in Lui. Quindi noi formuliamo la fede ed emettiamo l’atto della nostra speranza mediante il Cristo. È mediante lui che la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio, ci dice Pietro. È un testo molto importante, immenso.” (Umberto Neri )

“22 Avendo purificato le vostre anime nell’obbedienza alla verità per un amore fraterno senza ipocrisia, amatevi gli uni gli altri intensamente, di puro cuore”

L’obbedienza a Dio fa pure le nostre anime, cioè le libera da tutte le sozzure, sovrastrutture, incrostazioni create dalla disobbedienza di Adamo. Non è capace di vero amore se non il cuore puro, cioè purificato dal Cristo in virtù dell'obbedienza. La sovrabbondante ricchezza dell’amore che lo Spirito Santo ha riversato su di noi trabocca su tutte le creature, non indistintamente, ma a cominciare da quelle che ci sono più vicine,  dai fratelli di fede. Si ama Dio perché si è da Lui amati, si amano i fratelli perché fatti oggetto dello stesso amore. Un amore che non è innanzitutto per Dio e per coloro che hanno fede in Cristo, non porta in sé alcuna chiarezza e non dà alcuna garanzia di verità. Non è chiaro donde venga, perché venga, quando e come si riversi nei cuori e si travasi dall’uno all’altro. Non c’è altro amore all’infuori di quello che  è a noi donato dal cielo. Per la nostra salvezza, perché siamo creature perdute e destinate alla dannazione eterna. In virtù del sacrificio del Cristo, perché i molti tornino ad essere una sola cosa in virtù dell’eterno primogenito Figlio di Dio. Un amore inconsapevole del proprio fondamento e del proprio fine, quando si rivolge verso l’alto si manifesta come idolatria, quando si rivolge verso il proprio simile  conosce soltanto la rapina e l’indebito possesso della vita altrui.
“La fede sfocia nella carità e si esprime nella carità: è operante mediante la carità ed è talmente connessa con essa che chi non ama non ha conosciuto Dio. La mancanza dell’opera della fede mostra inconfutabilmente l’assenza della fede viva. Si è salvati per la fede, ma come faccio a sapere se la possiedo davvero? Dall’amore: se non amo non ho la fede perché la loro concatenazione è intrinseca ed inscindibile… Devo amare sul serio e in modo intenso, forte: un rapporto sentito, vissuto con forza, non indifferente ma appassionato; per così dire, un amore sottratto alle passioni, perché di spirito e grazie, eppure appassionato… L’autore prescrive un amore non ipocrita, non fatto di parole, ma reale e intenso, e come di fratelli. I fratelli sono qui innanzitutto i membri della comunità credente, perché si rivolge ad essi come referenti primi del comando, ma non vengono esclusi affatto gli altri.” (Umberto Neri)

“ 23 essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna”.

C’è bisogno di una rigenerazione dall’alto, non dal seme corruttibile di Adamo, ma dal seme incorruttibile di Dio. È Cristo, l’eterno Logos o Verbo del Padre, che dopo averci generato una volta, ogni giorno ci genera di nuovo, in virtù della potenza della sua Parola  letta, meditata, proclamata, e alla fine mangiata nella celebrazione eucaristica.
“Qual è questo seme incorruttibile generatore? Il discorso si basa tutto su una teologia della parola di Dio che noi in gran parte abbiamo perduto e dobbiamo recuperare. La parola di Dio che vi è stata evangelizzata, la parola del kerygma, e che è specificata in modo molto semplice come “parola viva e permanente” questa è il seme che pone in essere la nuova generazione. È mediante la parola che mi è data la fede ed è mediante la fede che io nasco come figlio di Dio: “A coloro che credono ha dato il potere di diventare figli di Dio” (cf. Giovanni 1,12). Tutti i sacramenti sono sacramenti “della fede” (sacramenta fidei ), e se manca la partecipazione alla fede della Chiesa ( è la fede della Chiesa che battezza ) non c’è battesimo. Quindi ciò che mi genera è la Parola, in quanto la Parola soltanto può far nascere la fede, secondo la concatenazione espressa da San Paolo ai Romani: “Dunque la fede dipende dall’ascolto, ma l’ascolto si attua per la parola di Cristo” (Rom. 10,17). (Umberto Neri)

“24 Poiché ogni carne è come l’erba e tutta la sua gloria è come fiore d’erba; si secca l’erba e il fiore cade; 25 ma la parola del Signore rimane in eterno. Ora questa è la parola  annunciata a voi.”

Bellissima conclusione del discorso. Se confidi nella carne, la vedrai morire. E il suo fiore? Dura ancora meno. Presto appare ed ancora più presto cade a terra. Dapprima tiene alto il capo, per fare bella mostra di sé, poi l’abbassa per nascondere i segni del proprio invecchiamento, infine cade a terra, si secca e scompare nel nulla.
Ma la Parola del Signore, dura in eterno! Non ha in sé l’appariscente bellezza del fiore, ma porta frutti di vita celeste, che non verranno mai meno, ma sempre allieteranno e nutriranno coloro che siedono alla mensa di Dio Onnipotente.

 

Informazioni aggiuntive