La figura di Cristo nelle Epistole

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La figura di Cristo nelle Epistole di san Paolo

di Romano Guardini  -  frammenti da - La figura di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento – ed. Morcelliana

 

Chi ricorra al Nuovo Testamento per sapere chi sia il Signore, può fare un’esperienza curiosa.

Senza volerlo egli penserà che saranno i Vangeli a servirgli di guida e di questi, anzitutto i primi, cioè i Sinottici. E se avrà una qualche idea del sistema moderno di ricerca delle fonti storiche, porrà al primo posto il Vangelo di Marco, o si proporrà in cuor suo di cercare il Marco delle origini e la fonte dei versetti… ma ben presto rileverà come i Sinottici, presunti facili, siano, in realtà, tutt’altro che semplici. E se saprà scrutare sufficientemente in profondità, si accorgerà anche donde provenga tale parvenza di semplicità, cioè dal fatto ch’egli ha considerato la figura di Gesù dal lato della sola umanità, trascurando o stimando leggenda quanto di essa va oltre l’umana natura… Ed allora lo studioso che sta cercando uno spiraglio attraverso il quale entrare nell’argomento che l’attrae prosegue nelle indagini e perviene a Giovanni. Questo si presenta già più accessibile, ma non proprio del tutto, non quanto basti affinchè abbia la sensazione si essersi messo per la via giusta. Ancora un passo avanti ed eccolo a Paolo. Qui sente ben presto di essere in porto: chi ci schiude la via per penetrare nel mondo del Nuovo Testamento non sono né i Sinottici , né Giovanni, nessuno quindi dei Vangeli, ma Paolo e appunto per il fatto di essersi trovato nella identica situazione in cui ci troviamo noi stessi.

Paolo è l’unico apostolo che non abbia visto con i propri occhi Gesù durante la sua vita terrena… di Lui Paolo aveva avuto notizie solo come ne possiamo avere noi: dall’esterno, ad opera di quelli che riferiscono di Lui e per gli effetti che da Lui si ripercossero nella storia, poi dall’interno, allorché il Signore lo chiamò e gli si rivelò nello Spirito e nel cuore. E allorché Paolo delinea la propria figura di Cristo, attinge dunque fondamentalmente alle stesse fonti alle quali noi pure facciamo ricorso: al messaggio tramandato e alla propria esperienza. Ciò che manca a noi, e che ebbe invece  così grande parte nei riguardi dei primi apostoli, vale a dire l’essere stati testimoni oculari… mancava anche a lui, e non saremo certamente in errore asserendo che ciò lo abbia addolorato molto… ma appunto per essersi trovato in tali condizioni nei riguardi delle sue cognizioni sulla vita terrena di Gesù, egli è proprio l’uomo che fa al caso nostro. E se qualcuno afferma di comprendere il Nuovo Testamento senza far ricorso a Paolo, è da temersi che non sia riuscito a comprendere ancora molto della vera figura di Cristo.

Negli Atti degli Apostoli si narra come la giovane Chiesa conducesse dapprima una esistenza tranquilla, anche allora completamente basata sull’Antico Testamento, circondata d’amore ed insieme di rispetto dal popolo. I detentori del potere tentarono due volte di farsi avanti, senza riuscire, però, a scuotere la fermezza degli apostoli, mentre temevano, inoltre, il popolo. Ed ecco che si mette in evidenza un uomo, all’ardore pneumatico del quale scoppia l’incendio: Stefano. Lo si incolpa di avere offeso la Legge e lo si trascina innanzi ai giudici. Ottenuta la parola per difendersi dall’accusa, egli parla, e lo fa, tutto permeato com’è dalla grazia di Cristo, con tanta foga e potenza da incidere nei loro cuori. Ed essi digrignando i denti contro di lui, urlano, lo proclamano colpevole e lo sospingono subito violentemente fuori della città per lapidarlo. E si legge: “I testimoni deposero le vesti ai piedi di un giovane chiamato Saulo: Poi il racconto prosegue: “E Saulo consentì alla  morte di lui”. E avvenne allora una grande persecuzione contro la Chiesa, e Saulo, infierisce con la minaccia e con la strage contro i discepoli del Signore. “Saulo devastava la Chiesa, entrava per le case e quanti trovava, uomini e donne, li cacciava in prigione  “ ( At. 8,1 ss. ).

Ottenuto l’incarico di dare ulteriore sviluppo alla persecuzione, egli si muove alla volta di Damasco. Ma lungo la strada Gesù gli appare all’improvviso, come si narra nel nono capitolo degli Atti degli Apostoli.

Che uomo era Paolo? Possiamo desumerlo dalle sue epistole…

Sarà forse opportuno cominciare col dire che Paolo non era prestante nella persona e aveva una certa timidezza nel tratto… nella seconda epistola ai Corinzi egli dice delle voci che corrono sul conto suo, secondo le quali egli sarebbe umile tra la gente, tanto da non osare di parlare, mentre di lontano si farebbe coraggio, sì da scrivere lettere aspre. Piccinerie, queste, che egli ha disprezzato certamente nel suo spirito, e cristianamente compatite, ma proprio queste piccinerie incidono in profondità e dicono molto.

A ciò si aggiunga quanto egli dice, nella stessa epistola, dello “stimolo” che ha nella carne e dell’angelo di Satana che lo schiaffeggia, di liberarlo dal quale ha pregato tre volte il Signore per poi doversi accontentare di sentirsi rispondere. “Basti a te la mia grazia”! ( 2 Cor. 12,7 ss. ).

Qualunque sia l’interpretazione congetturale che si voglia dare a tutto ciò, se ne deve concludere che, in ogni caso, Paolo non deve avere avuto la freschezza naturale dell’uomo perfettamente sano e completamente sicuro di sé.

Se ci si immedesima nel suo modo di pensare e di esprimersi e nel suo temperamento, si potrà forse dire anche di più. Egli sembra essere stato uno di quegli uomini che attirano le calamità, che predispongono contro di sé la loro sorte, un uomo tormentato.”Io gli mostrerò quanto dovrà patire per il mio nome” ( At 9,16 ), aveva detto di lui il Signore ad Anania, e queste parole si riferiscono anzitutto alla sua vita di apostolo, ma rivelano anche qualcosa dell’essere suo. Paolo ha dovuto soffrire molto, continuamente e per tutto. Leggiamo in proposito gli appassionati ultimi capitoli della seconda epistola ai Corinti.

Altrettanto si può dire della sua vita  morale e religiosa. Egli voleva divenire buono, giusto, santo, ma riteneva di potervi riuscire facendo violenza a se stesso, considerava la bontà come una continua imposizione a base di devi e non devi, così che era sempre in uno stato di tensione della volontà. In lui erano potenti energie religiose: ardeva di zelo per la legge e la santità di Dio. Ma tali energie erano sorde, inceppate, e quindi finivano per intossicare se stesse; il suo zelo era violento e non illuminato, atto soltanto ad assoggettare e demolire.

Paolo era tormentato da due forti passioni: da una sensualità potente e da una grande ambizione. È assurdo precisare se fosse anche avido di possedere: comunque è singolare come egli sia il solo degli apostoli che parli di collette. Egli vuol dominare tali istinti, e li contiene, ma essi gli si voltano contro, turbinano, ribolliscono. Lotta contro ciò che è malvagio, riesce a piegarlo, ma sperimenta anche che il male diviene sempre più insidioso. In se stesso, nelle sue membra, egli sente il contrasto di due potenze, una buona e una cattiva. Ma non riesce a fare in modo di dare libero il passo a quella buona e di soggiogare con la grandezza dell’animo quella malvagia e piuttosto, odia se stesso, si fa violenza e finisce per sentirsi sempre più disperatamente misero.

La legge è tutto per lui. Egli si adopera con zelo per rispettarla, si sacrifica e si fa violenza per le mille e le diecimila prescrizioni che fanno della vita una schiavitù, una esistenza contro natura.

Da esse egli vede dipendere la rettitudine, ma non può conseguirla, perché vuol basarsi sulle sole sue forze. Egli percepisce come tutto ciò che è cattivo si desti proprio sotto la costrizione della Legge, ciononostante non riesce ad uscire dal vortice angosciante perché l’unica conseguenza che ne sa dedurre è quella di essere ancora più severo verso se stesso. Assolutamente privo di libertà, anela ad essa, ma già per il solo fatto di desiderarla ritiene di essere in fallo…

Sulla via di Damasco venne per Paolo la grande ora. Una luce lo irraggia. Non è retorica questa, ma verità, perché si tratta qui di luce interna, spirituale, divina, luce che lo abbatte e, come si costaterà in seguito, gli toglie la vista. Qualcuno però, parla e si designa come Colui che Saulo ha perseguitato, come Gesù Cristo.

Nella figura spiritualmente luminosa di Stefano, negli uomini e nelle donne incamminati per le vie del Signore, egli ha odiato quello stesso Cristo, e forse proprio perché non riusciva a trovare una diversa maniera per difendersi da un ardentissimo desiderio che lo sospingeva verso di Lui. Cristo lo aveva già toccato, ed ora egli gli va incontro apertamente. Tutto ciò è ormai evidente.

 

Il brano  riportato a frammenti è tratto dall’opera di Romano Guardini “ La figura di Gesù Cristo nel Nuovo Testamento”.

Guardini, abbiamo letto, sottolinea l’importanza della lettura delle epistole di Paolo e degli Atti degli Apostoli per una migliore e sicura intelligenza dei Vangeli. Nulla di assolutamente personale, ma quanto sperimentato e conosciuto da coloro che amano la Parola di Dio e cercano una intelligenza che vada oltre il velo del semplice senso letterale.

È Paolo in definitiva la chiave che apre l’ingresso nel senso spirituale delle parole e della vita di Gesù. La Parola non si comprende se non in virtù della Parola: è regola aurea.

Chi più dell’Apostolo ci aiuta a comprendere i santi Vangeli?

Paolo è l’Apostolo più vicino a noi, non soltanto perché non ha conosciuto Gesù secondo la carne, ma anche perché porta alla luce  tutto quel sottofondo spirituale dell’uomo che  trova la propria soluzione e giustificazione soltanto nella grazia del Salvatore mandato dal cielo.

Gli Evangelisti annunciano la Parola semplicemente, Paolo l’annuncia alla luce della propria esperienza di uomo risorto in Cristo.

E non capisce Paolo se non chi è come lui tutto preso da una sincera volontà di essere obbediente a Dio in tutto e per tutto.

Colui che può sembrare l’eccezione, non è compreso se non quando diviene la regola, il modello di ogni santità, nello spirito di osservanza del primo e più grande comandamento: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze.

Se non c’è questa totalità dell’impegno, il Vangelo è lettera morta. Non è parola per la salvezza, ma parola per la dannazione, perché il cuore falso convincerà se stesso di giustizia e non di peccato, facendosi meritevole di un giudizio di eterna condanna da parte di Dio.

Perché mai Gesù parla in parabole? Per rendere più chiaro, più semplice ed intellegibile un discorso o al contrario perché appaia oscuro quello che è fin troppo chiaro? Perché tutti possano comprendere, anche quelli che stanno fuori o perché comprendano soltanto quelli che sono entrati dentro? “ Parlo in parabole perché sentendo non intendano, né io li risani”.

Giustamente Guardini rileva che i Vangeli non sono di facile comprensione. Tutto diventa più chiaro solo quando siamo rivestiti dal Signore di occhi nuovi, illuminati da una luce diversa che viene dal cielo. Se è difficile entrare da soli nel senso nascosto della Parola di Dio, tutto è più facile quando seguiamo l’apostolo Paolo.

Non basta leggere i Vangeli, bisogna leggere la spiegazione che ne dà l’Apostolo. Non la parola dell’uomo illumina la parola di Dio, ma è la stessa Parola di Dio che getta una luce su se stessa, per chi ha orecchi di ascolto. E lo fa in virtù dell’insegnamento di un uomo che riassume in sé e porta alle estreme conseguenze della fede in Cristo tutto il proprio vissuto, senza celare ambiguità e contraddizioni, senza falsità ed ipocrisie, unicamente desideroso di compiacere a Dio in tutto e per tutto.

La complessità delle parabole, ripercorre la molteplicità di aspetti di un cammino spirituale che vuol raggiungere ed ottenere quella semplicità del cuore che unicamente è gradita e accetta a Dio.

Le parabole sono complesse nello sviluppo interno del discorso, sono assolutamente semplici nella loro conclusione. Partono da realtà e situazioni diverse, per approdare all’unica àncora di salvezza che ha nome di Cristo.

La conclusione è sempre la stessa: non c’è salvezza senza la fede in Cristo Salvatore e non è fatto salvo chi non è perduto. Ciò che è sicuramente vero e fuori discussione per Dio Padre non lo è altrettanto per l’uomo che  di fronte al Salvatore si pone in una posizione di giudizio e di superba sufficienza a se stesso. Se Cristo è venuto per i peccatori, per riportare all’ovile la pecorella smarrita, allora va fatta salva la situazione di chi peccatore non è e cerca un’altra via di salvezza che è quella dell’osservanza della Legge e di una giustificazione che gli è accreditata dallo stesso Dio.

E allora la parabola, partendo dal punto di vista dell’uomo che si crede giusto, deve ribaltare un giudizio falso e frettoloso, fatto in proprio ed affermare un peccato che abbraccia tutto il genere, per concludere nella necessità di una salvezza che è donata gratuitamente da Colui che è stato mandato dal cielo.

C’è un solo giusto ed è Cristo Gesù: in Lui e per Lui, in virtù della sua morte e resurrezione i molti sono giustificati e  ottengono in dono la salvezza per la fede nel Salvatore.

Non c’è parabola che non sia esaltazione dell’unico giusto e dell’unico santo: speranza e gioia per chi crede in Cristo , giudizio di condanna ed amarezza senza fine per chi rifiuta il Salvatore.

Il Vangelo è annuncio di una grande gioia: in Cristo la terra è riconciliata col cielo, coloro che si sono perduti ritrovano la via della salvezza, i peccati sono  perdonati, un cuore nuovo è dato all’uomo, perché senta e comprenda quanto grande l’amore di Dio Padre.

Tutto semplice e tutto facile dunque? Niente affatto, perché l’uomo è di dura cervice, non vuole vedere e non vuole comprendere la necessità di una morte che è per la vita. La mancanza di fede rende vano il sacrificio di Cristo e nasconde ai nostri occhi la grandezza e la bellezza dell’Amore divino.

L’uomo che con il peccato di Adamo si è condannato alla solitudine, dopo aver crocifisso Cristo si trova ancora più solo, senza gioia e senza speranza.

Non comprende il Vangelo chi non è come Paolo, chi non si riconosce e non fa proprio il suo cammino spirituale, che è passaggio dalle tenebre alla luce, dalla consapevolezza del proprio peccato alla consapevolezza dell’amore di Dio, così come si è a noi tutti manifestato in virtù della morte e resurrezione del Figlio suo.

Le lettere che Paolo invia alle comunità da lui fondate altro non sono che la spiegazione del Vangelo, così come è dato comprendere soltanto attraverso un cammino di salvezza, che l’Apostolo prima di altri ha percorso.

“Fatevi miei imitatori come anch’io lo sono di Cristo”. Se Cristo è l’unico vero modello di santità, è pur vero che non è compreso se non in virtù di un modello a noi più vicino che è l’apostolo Paolo.

La conversione di Paolo non è un semplice prodotto del pensiero, o sforzo etico, ma è innanzitutto un fatto, un evento: l’incontro con Gesù risorto sulla via di Damasco.

L’iniziativa è sempre di Dio e nessuno va al Figlio se non è attirato dal Padre che è nei cieli.

Una nuova luce, misteriosa ed inaccessibile investe la nostra vita: non abbiamo occhi per portarla e abbiamo bisogno di una vista spirituale che Dio ci dona attraverso la sua Chiesa.

L’uomo vecchio è fatto uomo nuovo, vede diversamente non soltanto se stesso in rapporto a Dio, ma anche Dio in rapporto a se stesso. Scopre il proprio peccato di fronte al Signore, ma anche l’infinita sua misericordia. Se noi siamo nulla, Lui è tutto, se noi siamo poveri, Lui ci arricchisce di ogni dono spirituale, se noi siamo ingiusti, Lui ci fa giusti.

Paolo è tutto questo e solo questo: un morto che è tornato in vita, un ingiusto che è stato fatto giusto, un cieco che ha trovato in Cristo non una semplice luce, ma la luce che conduce a vita eterna.

 

Riconsideriamo insieme a Guardini alcune caratteristiche fondamentali della personalità dell’Apostolo.

Nell’ora di Damasco, Paolo viene liberato dal giogo che lo opprimeva col dover operare da sé, e, conseguentemente, dal tormento assillante di non potervi riuscire. Impara, così, quanto esprimerà più tarsi con queste parole: “Vivo, ma non sono io a vivere: è Cristo che vive in m,e”. e con queste altre: “Da me solo nulla posso, ma posso tutto in Colui che mi dà la forza, in Cristo”.

Per il tramite di Cristo viene a noi la grazia divina, ed è essa che agisce, ma insieme la grazia opera tutto: illumina la conoscenza, libera la coscienza, infiamma il cuore, muta la volontà, eleva e dà ali all’essere, e proprio così l’uomo è quello che deve essere…

Una singolarità colpisce, la visione è una luce. Colpito da essa, Paolo cade a terra, accecato, e una voce dice: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?”. Poi soggiunge: “Io sono Gesù che tu perseguiti”. Dunque Paolo non ha scorto il volto del Signore sulla via di Damasco. Non è nelle nostre intenzioni fare affermazioni affrettate, e ci chiediamo se Paolo abbia sollevato mai gli occhi – dello spirito, beninteso – alla sua figura, al suo volto.

Comunque, in chi legge le sue epistole si forma il convincimento che il Gesù Cristo di cui esse trattano è più potenza in atto, energia creativa, luce illuminante, vita irradiante e creante che non una figura fisica sulla quale si possa fissare lo sguardo, un volto da poter rimirare. Quest’ultima possibilità si ha per il Gesù dei Sinottici. Anche in Giovanni la si riscontra, ma soprattutto in Matteo, in Marco e in Luca. In essi egli è il Gesù che ci viene incontro per la via, che guarda verso di noi, che ci rivolge la parola, che agisce. Ciò costituisce la più spiccata singolarità degli evangelisti, il loro privilegio prezioso, ma nello stesso tempo un elemento che ci dà l’impressione di essere tanto lontani dalla loro narrazione, in quanto non abbiamo mai visto con gli stessi nostri occhi il Signore. Ed appunto per questo ci sentiamo, invece, tanto più vicini a Paolo, e forse non ci inganniamo reputando che egli non tanto guardi a Cristo come figura e come volto, quanto lo senta come potenza. Con quest’ultima espressione non intendiamo, ovviamente, una energia religiosa impersonale, ma sempre Lui, Gesù, nella sua persona divina, il Signore nostro vero Dio e vero Uomo, e non, però, come figura, ma come potenza in atto che agisce, che impera, che crea; come creatore di un’opera prodigiosa, immensa, di un’opera che può paragonarsi soltanto alla creazione del mondo…

Il mondo paolino è tutto pieno di questo Cristo. Egli agisce negli uomini, nel singolo credente, come nella Chiesa. Egli impera su tutte le cose create. È in tutto, e tutto è in Lui. “In Lui, infatti, viviamo, ci muoviamo e siamo” disse Paolo agli uomini dell’Areòpago parlando di Dio, e tali parole le ripeterebbe anche nei riguardi di Cristo. “Nel nome di Dio”, si saluta e si ringrazia, si giudica e si ammonisce, si fa il bene e si sopporta il male, si esercita la pazienza e si conseguono vittorie. Essere cristiano significa essere partecipe di Lui. Vivere da cristiano vuol dire che Egli respira ed opera in noi. Il meraviglioso mistero della vita cristiana consiste nel fatto che Egli vive in ogni credente la sua vita umana e divina, in una singolarità sempre nuova, che non si ripete mai, rimanendo sempre l’Uno, l’Uguale, l’Immenso. In ognuno di noi Egli nasce, cresce, “si avvia alla maturità”…

Cristo è nell’uomo, e l’uomo è in Lui. E quando l’uomo crede e riceve il battesimo, accade in esso qualche cosa di singolare, afferma Paolo. Egli viene a trovarsi in comunanza di esistenza con Cristo, proprio come se questi penetrasse in lui e vi permanesse come figura a dominarlo, come forza ad agire in lui. E quando Gesù si è stabilito dentro di noi vuole rivelarsi nell’esistenza umana…

Nell’uomo che si unisce al Signore nella fede entra una nuova figura e una nuova forma, lo stesso Cristo risorto nella sua mistica spiritualità. Egli si impadronisce di quest’uomo e, così com’è, lo plasma nella sua particolarità di essere e di vita, nei suoi doveri, nei suoi destini. Con ciò Cristo rinnova il ciclo della sua esistenza di Uomo-Dio, come vita eterna di origine divina, nel suo Spirito, in questo uomo vagante nel tempo. Egli rivive in lui la sua fanciullezza, la sua adolescenza, la sua maturità, il compimento del suo eterno destino.

Ma la possanza di Cristo è anche nella totalità, nella Chiesa. La stessa impronta che caratterizza il singolo cristiano caratterizza anche il complesso della cristianità, vi domina, vi urge, vi agisce, ne soffre danno. Allorché Paolo perseguita Stefano, Cristo gli grida: “Saulo, Sauolo, perché mi perseguiti?”: poiché è Cristo che viene oppresso nelle persecuzioni alla Chiesa, come è Cristo che soffre per le divisioni, per gli irrigidimenti, per le ingiustizie che possano turbarla. Poiché Cristo domina in una stessa maniera tanto l’individuo quanto la comunità, il rapporto del credente nei riguardi della Chiesa è, così, diverso da quello che abitualmente si riscontra in ogni altra società umana. In essi circola, infatti, una stessa linfa, palpita una stessa vita, impera la stessa figura umana e divina… ma la Chiesa va ben più lontano dalla cerchia rappresentata dal complesso degli uomini. Le epistole agli Efesini e ai Colossesi dicono come sia piaciuto a Dio di “riunire sotto un solo capo, in Cristo, tutto ciò che è in cielo e in terra, affinchè Egli sia “il capo del corpo della Chiesa, Egli, il principio, il primogenito dai morti, affinchè si elevi, primo fra tutti. Perché così gli piacque, che in Lui fosse tutta la pienezza” ( Col. 1,18-19 ). In tal modo la Chiesa è orientata alla creazione, destinata ad attirarla nell’ambito di quel primo inizio in Cristo. Da ciò deve sorgere l’universo della libertà suprema, “il nuovo cielo e la nuova terra” ( Ap. 21,1 ) della fine.

Questo Cristo che domina così nell’uomo siede alla destra del Padre. E noi intendiamo appieno Paolo allorchè afferma che il Cristo che domina in noi è nello stesso tempo nell’alto dei cieli e ci innalza a Lui. Egli ci conquista interiormente , urgendo sulla essenza viva dell’anima nostra, ci trae a sé dall’alto, facendoci udire la sua voce dal trono della sua eterna maestà. Ma Egli è anche il Veniente che si approssima avanzando dalla fine dei tempi. Emergendo dal misterioso interno della profondità di Dio, Egli penetra nell’uomo per manifestarsi nella sua esistenza ed alla fine spinge nel tempo per scuoterlo e prepararlo all’evento supremo. Così il mondo di san Paolo è tutto pieno di Lui. Egli è ovunque.