Lettera aperta a Lutero

                                     Lettera aperta a Lutero
Al fratello  Lutero, pace e gioia dal nostro Signore Gesù Cristo.
Ti meraviglierai forse di questa mia lettera che ti invio fuori tempo, dopo la tua dipartita dalla scena di questo mondo.
Sono stato spinto a questo dai tuoi numerosi figli, che sovente mi scrivono per avere spiegazioni e chiarificazioni riguardo all’interpretazione della Parola di Dio.
Non potendo io raggiungere  ognuno di loro e rispondere ai singoli in maniera dettagliata, scrivo a te, che sei il loro padre spirituale, perché ciò che a te è detto si intenda rivolto a tutti coloro che si considerano figli tuoi nella fede in Cristo Salvatore.
Ti scrivo con l’augurio e la speranza che questa mia lettera ti sia recapitata nella gloria del Paradiso e che tu possa leggerla ed intenderla con quella luce che a nessun cristiano può essere data in questa esistenza terrena.
Parziale è il nostro modo di intendere, parziale è il nostro modo di esprimere con parole le realtà prime ed ultime.  Soltanto chi vede nella gloria di Dio tutto può intendere e giudicare.
Non scrivo adversus o contra ma ad Lutero.
Tu stesso penso deplorerai il vezzo piuttosto diffuso nella storia della chiesa di scrivere contro questo o quell’altro, dimenticando quelle viscere di misericordia, quella caritas senza la quale non ci può essere annuncio di verità o discussione riguardo a ciò che è scritto nella forma dell’immagine e del paradosso.
Non insisterò più di tanto su quella Tradizione che tu rifiuti, come prodotto del Maligno, cercherò di attenermi il più possibile a ciò che è scritto, a quella Parola che, secondo il tuo giudizio,  unicamente ed esclusivamente può essere presa come metro di misura e termine di confronto.
Aprendo tuttavia il tuo trattato “De servo arbitrio” e leggendo le prime pagine, non posso nasconderti un senso di sgomento e di spiacevole stupore per il modo con cui ti rivolgi a quelli che la chiesa cattolica ha chiamato “padri”, con la minuscola certamente, senza alcuna pretesa che possano sedere alla pari con l’unico Padre nostro che è nei cieli.
Il sentimento di astio che provi nei confronti di Origene e Gerolamo è davvero sconcertante al punto che arrivi ad affermare:
“Tra gli scrittori ecclesiastici quasi nessuno ha trattato le Scritture in modo più insulso ed assurdo di quanto abbiano fatto costoro”.
“In verità, Gerolamo e il suo amico Origene hanno riempito il mondo di simili idiozie e hanno dato vita a quest’usanza pestilenziale di non badare alla semplicità delle Scritture”. ( De servo arbitrio )
“Questo è in realtà il modo di fare di Gerolamo, il quale, in più di un caso, in forma insieme arrogante e sacrilega, osa dire che presso Paolo assumono forza argomenti che non ne hanno nei rispettivi passi biblici [ Gerolamo non dice proprio così, ma: “In verità questi passi hanno una forza maggiore presso Paolo che presso i profeti dai quali sono tratti”. ]
Si dovrebbe leggere Gerolamo con grande cautela  e annoverare questa sua osservazione fra le molte empietà da lui scritte ( tale fu la sua sonnolenza ed ebetudine nella comprensione delle Scritture… “) ( De servo arbitrio )
E’ vero che all’inizio delle tue diatribe manifesti un certo rispetto per i padri della chiesa e li chiami beati e di alcuni scrivi addirittura:
“Molti hanno la grazia dell’insegnamento, anche se sono privi d’una grande cultura; altri hanno l’una e l’altra: questi sono i migliori, come san Agostino, san Ambrogio, san Gerolamo.” ( commento lettera ai Romani )
L’impressione generale, leggendo i tuoi scritti, è che tu non nutra gratitudine alcuna verso coloro che la chiesa tiene in onore, eccezion fatta per Agostino, per il quale stravedi, al punto da spingere certe sue affermazioni alle sue estreme conseguenze, così da scrivere il tuo “De servo arbitrio”, dimenticando e mettendo da parte il suo  “De libero arbitrio”.
Comprensibile il tuo desiderio di mettere chiarezza là dove trovi ambiguità e contraddizione. Ma come essere così presuntuosi da attribuire a sé ogni retta intelligenza dei misteri di Dio? A Te e a te solo è riservato il privilegio di essere verace difensore della fede in Cristo.
Nella tua diatriba con Erasmo condanni il suo invito alla prudenza ed alla moderazione allorché si tratta di definire le realtà della fede.
Ammesso ed accettato che certe verità nella Scrittura sono indiscutibilmente chiare e sono oscure soltanto per le intelligenze ottenebrate dal Satana, non ammetti alcuna possibilità di errore per chi  legge  con retto intendimento.
Al primo posto naturalmente, termine indiscutibile di confronto, sta la tua intelligenza, inviata dal cielo alla terra per illuminare una chiesa immersa da secoli, che dico, da più di un millennio, nella notte più oscura. Secoli di tenebre dunque permessi dal Signore perché rifulga finalmente nel mondo il tuo astro luminoso, l’unico capace di leggere le Scritture in una luce diversa, così come unicamente accetta e gradita a Dio.
Ma con ciò cominci già con l’asserire un assioma non dimostrabile: che non c’è luce delle Scritture se non a partire da Lutero.
E tutti quelli che sono venuti prima di te? Quale intelligenza riconosci loro riguardo alla Parola di Dio?
Non gradisci e non dai credito a quelli che  sono stati riconosciuti santi e beati dalla chiesa.
Rifiuti il magistero di quest’ultima, in maniera radicale; consideri opera del Maligno tutto quello che è uscito dai Concili e dal Collegio dei vescovi riuniti intorno al papa.
Alla fine rimani tu e solo tu, quasi novello Cristo mandato a portare luce a quella Parola che già di per sé è luce e potenza di salvezza.
“Tu, ( Erasmo ) non approvi questa mia audacia o comunque si voglia chiamare questo mio proposito ( di basarmi solo sulle Scritture ).
Non per nulla sei influenzato da una vasta schiera di eminenti dottori che hanno ricevuto l’unanime consenso di tanti secoli e fra i quali si trovano profondi esegeti delle Sacre Scritture, come pure grandi santi, alcuni martiri, e molti uomini famosi per i loro miracoli.
Aggiungici poi i recenti teologi, le numerose scuole, i concili, i vescovi, i papi. Insomma dalla tua parte sta la scienza, l’ingegno il numero, la grandezza, la profondità, la forza, la santità, i miracoli e cos’altro ancora?
Dalla mia invece stanno solamente Wyclif e Lorenzo Valla, benché anche Agostino, che tu trascuri, sia interamente con me.
Resta dunque il solo Lutero, un semplice privato, apparso da poco sulla scena insieme ai suoi amici, fra i quali non si trova altrettanta scienza, né ingegno, né numero, né grandezza, né santità, né miracoli e che non sarebbero neppure capaci di guarire un cavallo zoppo.” ( De servo arbitrio” )
Ma cominciamo dai primordi della storia della chiesa.
Parliamo un po’ di quei padri , verso cui non nutri alcuna stima ed alle cui definizioni teologiche attribuisci l’inizio di ogni male e di ogni errore.
Non ti vanno a genio né Origene né Gerolamo.
Dimentichi forse e non tieni in considerazione alcuna il fatto che, se oggi possiamo leggere la Bibbia, lo dobbiamo innanzitutto a loro, per l’amore e lo zelo con cui hanno studiato, confrontato con spirito critico, le versioni esistenti ai propri tempi per  salvare il testo originale, in modo che si potesse tramandare ai posteri?
E’ vero che nelle esegesi e nei  commenti a loro attribuiti c’è a volte un eccesso di allegorismo che va oltre il testo. Ma perché non riconoscere loro alcuna paternità nei nostri confronti? Non sono stati proprio loro a spianarci la via per una fondata e meditata interpretazione della Scrittura? Con una diversità però: che in essi non trovo alcuna presunzione di verità, semmai la consapevolezza che ogni interpretazione   non si può proporre se non come opinione personale, in attesa che sia fatta propria e confermata da tutto il corpo della Chiesa.
Nessun uomo di per sé solo è la Chiesa,  non può collocarsi nel corpo di Cristo se non là dove il corpo stesso chiede di essere completato. Ogni membra è completamento del corpo, nessun membro staccato può vivere e presumere di una verità e di una luce che non è concessa semplicemente al singolo, ma alla totalità.
Non nego e riconosco che tu sei portatore di verità che vanno considerate e vagliate, ma non sei la Verità in assoluto che è Cristo e che si dona in toto soltanto alla  Chiesa.
Non c’è verità attestata dal singolo che si debba accogliere, se non in una sorta di continuità omogenea del presente col passato, per cui la Chiesa di ieri conferma la Chiesa di oggi, la Chiesa di oggi pone le premesse per la Chiesa del domani.
La verità dunque nella sua totalità non appartiene semplicemente alla Chiesa, ma alla Chiesa nella totalità dei suoi tempi, in un divenire che approfondisce, chiarisce, arricchisce ogni sua definizione.
Il magistero della Chiesa può dunque fare errori in un tempo e per un tempo per bocca e per mano di questo o quel singolo, ma quel che non viene da Dio sarà vagliato da Dio stesso e non passerà in quel santo deposito che ha nome di Tradizione.
Contesta questo o quell’errore della Chiesa e dei suoi singoli, non rigettare quella Tradizione che è garanzia di Verità per ogni credente in ogni tempo. Ma tu confondi volentieri la Tradizione con il tradizionalismo, ciò che appartiene a questo e a quel tempo con ciò che segna ogni tempo. Di ogni erba fai un fascio e tutto condanni e bruci nel fuoco della tua ira, senza amore e senza discernimento.
Se una Chiesa con l’errore non è benedetta da Dio e  un solo errore vale come mille,  tu stesso finisci con l’attribuire alla tua nuova Chiesa quell’infallibilità che neghi a quella storicamente fondata ed accreditata. Nessun errore  nella tua dottrina? Tutto così chiaro e così certo?
E’ forse questo o quell’errore, questo o quel peccato trovato nel capo o nei capi terreni che ti impedisce di riconoscere la Chiesa cattolica, come quella fondata da Cristo stesso? E quale altra chiesa potremmo mai immaginare? Quella ideale, frutto del nostro pensiero?
Con quale scopo? Perché la chiesa reale diventi un ideale sbagliato del passato e quella ideale diventi realtà del presente, fondata in Verità, semplicemente perché tale giudicata da Lutero?
Non pensi di peccare un po’ di presunzione? Non pensi che altra chiesa non c’è se non quella che è nata dall’annuncio del Vangelo, fatto dagli apostoli?  Vano dunque è stato il sacrificio di Cristo, se non è morto e risorto per una chiesa reale, storicamente data e definita.
Metti in discussione la legittimità del papa eletto in Roma, come diretto successore di Pietro. Affermi che dovrebbe essere eletto in maniera democratica, per pura convenzione, dal collegio di tutti i  vescovi riuniti, senza pretesa alcuna di una successione da Pietro. E cosa cambia? Di fatto nessun altra Chiesa è storicamente trovata se non quella che si è riconosciuta sotto l’autorità del vescovo di Roma.
Esistono altre chiese è vero, ma la loro legittima discendenza da Pietro anche per loro non è dimostrata e neppure è dimostrabile. Non per questo si può annullare e non considerare la loro realtà, fatta da figli di Dio, che cercano la salvezza di Cristo Salvatore.
Riguardo alla tua avversione al tomismo e a tutto ciò che sa di filosofia greca, condivido pienamente e sono in sintonia col tuo sentire.
Giusto e santo mettere in guardia chiunque da una lettura della Parola che non sia fatta semplicemente con la Parola, ma non puoi condannare ed escludere da una amicizia e da una fraternità chi batte vie diverse dalla tua e dalla nostra.
Ti confesso che non sono mai riuscito a leggere se non poche pagine degli scritti di Tommaso; mi danno allo stomaco, ma devo pur riconoscere che altri  trovano questo teologo fecondo e rigoroso.
E perché non accetti che nella chiesa vi sia una diversità che va messa a confronto perché si abbia un completamento l’uno dell’altro nell’unica fede?
Termine unico di confronto è la Parola di Dio: sono d’accordo. Ma i sussidi e gli aiuti di cui ci serviamo possono essere diversi.
Non sta a noi lanciare anatemi con chi  segue esegeti che non sono di nostro gradimento. Tu fai salvo il solo Agostino, che anche la chiesa cattolica tiene in sommo onore, eppure nel suo pensiero ci sono punti oscuri che vanno approfonditi e chiariti. E tutto questo senza misconoscere l’importanza dei suoi scritti ed il contributo molto grande che ha dato per l’intelligenza delle Scritture.
La verità o meglio le verità di fede non possono emergere se non da un confronto sereno fra i vari membri della chiesa, tutto rimettendo a chi è in autorità. Si devono evitare scontri violenti che portano ad una dilacerazione senza fine del corpo di Cristo. L’unità della chiesa non è un dato, ma un fatto, non è garantita da Dio indipendentemente dalla volontà dell’uomo e da una sua buona coscienza.
Non è detto che tutto si debba e si possa comprendere hic et nunc, e non si deve cadere in una lettura semplicistica e letterale della parola di Dio. Sotto il velo dell’immagine possono nascondersi verità di cui solo col tempo è dato conoscere lo spessore, l’altezza e la profondità.
Non sono d’accordo con te quando asserisci che nella Scrittura niente è detto in forma oscura. Gesù parla in parabole perché soltanto l’uomo che scava in profondità nella Parola ne possa attingere la ricchezza di significati.
Se la Bibbia è il libro di tutti i cristiani, da tutti non è ugualmente inteso. Non solo: ciò che in un tempo è appena intuito, nei tempi a seguire può essere meglio compreso e spiegato. Non semplicemente dal singolo e per il singolo, ma dalla chiesa intera per il bene di tutti.
Altro è seminare la Parola in un terreno mai coltivato, altro è seminare là dove è già stato seminato nei tempi passati. Il terreno ripulito per anni e reso fecondo dall’apporto di fertilizzanti, porta sempre con sé qualche seme cattivo. Non c’è mai stata e non ci sarà mai una semina sul pulito e neppure un raccolto che non debba essere vagliato e trattato con discernimento da Colui che è unico giudice, senza possibilità di appello a persona diversa.
Voler sradicare le erbacce a tutti i costi può essere estremamente dannoso. E’ volontà di Dio che si eviti questo pericolo e che la zizzania cresca assieme al buon grano.
Ma tu vorresti far piazza pulita di ogni inganno ed errore, senza tolleranza e paziente attesa, nell’illusione di una chiesa fatta di giusti che tuttavia portano in sé l’ingiustizia che tutti ci accomuna come figli di Adamo. A nulla vale il monito della sapienza divina: “C’è un tempo per parlare e c’è un tempo per tacere”.
Allorché si profila una spaventosa e dolorosa divisione nel corpo di Cristo, considera anche la possibilità e l’opportunità di tenere chiusa la bocca.
Ami la Verità che è Cristo? Ama anche l’uomo che da Cristo è amato. Se Dio tollera l’albero che non dà frutto, perché tu vuoi anzitempo sradicare?
Non dai peso ai giudizi della chiesa, e quale peso si deve dare a te che sei solo uno dei tanti membri della chiesa?
Ma lasciamo da parte qualsiasi preambolo ed entriamo subito in medias res come dicevano gli antichi.
Le tue critiche e la tua opera di demolizione spaziano in lungo ed in largo e noi che raccogliamo il tutto dobbiamo pur darci qualche criterio e priorità nel considerare e nel rispondere.
Partiamo da una delle affermazioni che sono un caposaldo della tua dottrina: l’uomo è salvato dalla sola fede in Cristo, senza le opere della Legge.
Che l’uomo sia salvo solo per la fede, è fuori discussione. Concordo pienamente. Ma altro è asserire indipendentemente dalle opere altro dire senza le opere.
Che la fede possa stare da sola indipendentemente dalle opere è indiscutibile verità. E’ la fede in Cristo, ovvero nella sua morte e resurrezione che opera in noi la salvezza e non le nostre opere.
Siamo salvati soltanto per grazia e non per i nostri meriti. La fede è innanzitutto realtà spirituale, del tutto interiore, che si può misurare ed è misurata soltanto dal Cristo, dal momento che è il frutto ed il risultato del nostro rapporto con Cristo.
Qualcuno si può salvare, come il ladrone, per una semplice confessione di fede, senza che gli sia dato il tempo dell’operare.
Non per questo sempre ed ovunque la fede si risolve in una semplice invocazione di salvezza e proclamazione di Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore nostro.
Se la fede ci salva indipendentemente dalle opere, non per questo la fede è senza le opere.
Non le opere frutto dell’uomo vecchio, ma le opere che la fede porta con sé, in quanto creatrice per grazia divina dell’uomo nuovo.
Hanno importanza soltanto le opere che sono espressione di fede in Cristo Salvatore e non quelle che si pongono in alternativa alla fede, come meritevoli di per sé di vita eterna.
Non c’è fede in atto che possa evitare e sfuggire ad una verifica da parte di Dio. In altre parole c’è una fede autentica fondata in verità, accreditata ed accolta da Dio e c’è una fede falsa ed ingannevole, che alla fine è rigettata dal Signore.
A questo punto dobbiamo fare un passo indietro e cercare di intenderci sul significato della parola fede.
C’è una fede che significa semplicemente credere che Dio esiste, che di per sé non ha alcun valore. I demoni non credono semplicemente che Dio esiste, ancora di più l’esistenza di Dio è per loro una certezza. Ma cosa giova loro un simile credere?
Non è questa la fede a cui, tu, Lutero, richiami ogni cristiano.
Aver fede in Gesù Salvatore significa porre in Lui la propria fiducia, in maniera incondizionata, mettendosi alla sua sequela, confidando nella sua grazia, dopo aver riconosciuto e confessato il proprio peccato e la propria incapacità ad osservare i dettami della Legge.
Che sia questa l’unica fede accetta a Dio, penso che sia fuori discussione e che anche  tu convenga con me.
Ma anche la fede che si pone alla sequela di Cristo deve essere da Lui verificata. C’è una vera sequela, c’è pure una falsa sequela.
Non può esserci verifica alcuna se non da parte di Cristo. Se la sequela di Cristo è un cammino da percorrere, l’inizio di un cammino di per sé non garantisce del suo compimento e del raggiungimento della meta. Diciamo meglio: la meta, che è la vita eterna, è garantita una volta per sempre da Gesù, in virtù della grazia che ci è data per la sua morte e resurrezione. Ma ciò che è prestabilito e garantito da Dio dall’eternità, deve trovare il proprio assenso nel tempo dell’uomo e non una volta soltanto allorché col battesimo si entra nella vita nuova, ma ogni giorno, ogni momento allorché ci è chiesto di dimorare nella nuova vita. Se il Signore Gesù ci chiede di dimorare in Lui, dal momento che Lui stesso dimora in noi, questo significa che è sempre aperta una via di fuga.
Qual è questa fuga? Come si manifesta in pratica?
Come disobbedienza alla volontà di Dio.
Ma come si esprime la volontà di Dio, allorché ci è chiesto di confessare i nostri peccati, di essere da essi liberati immergendoci nel  lavacro di Cristo, che è il battesimo, per camminare in novità di vita?
E’ l’apostolo Paolo che ci dà una risposta risolutiva e chiarificatrice.
“La fede viene dall’ascolto e l’ascolto dalla Parola di Dio”.
Altra parola non dobbiamo ascoltare se non quella di Dio, nell’abbandono della parola falsa ed ingannevole del Maligno, per lasciare posto nel nostro cuore esclusivamente alla parola del Signore.
Altro è udire la parola, altro è ascoltarla, altro è conoscerla, altro è metterla in pratica. Non gli uditori della Parola, ma i facitori della Parola avranno la vita eterna.
La fede dunque nella sua accezione gradita a Dio è semplicemente ed esclusivamente obbedienza alla volontà di Dio, quale si esprime attraverso l’ascolto della sua Parola. E questo è talmente sicuro ed assodato che gli stessi pagani che non conoscono Cristo, possono entrare nella vita eterna, incontrando il Salvatore , nell’obbedienza alla sua volontà, così come essa si esprime attraverso l’obbedienza alla  voce della coscienza. Non una qualsiasi voce, s’intende, perché nel cuore dell’uomo c’è anche la parola del Maligno.
In virtù del sacrificio del Cristo non c’è uomo, in qualsiasi luogo della terra, in qualsiasi tempo, al quale non giunga la potenza redentrice del Cristo, allorché si fa obbediente alla Sua voce così come si fa sentire nel segreto del cuore.
E con ciò siamo entrati nel mistero del giudizio divino che unico potrà separare le pecore dai capri, quelli che hanno ascoltato la  voce del Cristo da quelli che hanno ascoltato la voce del Maligno.
“Chi crede obbedisce, chi obbedisce crede”. Lo spiega molto bene Bonhoeffer, uno dei tanti fratelli della chiesa riformata.
Se il credere riguarda esclusivamente la dimensione interiore della fede, l’obbedienza che è fare ne è la sua espressione esteriore.
L’ espressione esteriore della fede, come pure quella interiore, non possono essere vagliate ed autenticate dall’uomo, ma solo da Dio. Perché c’è anche un fare che esprime non l’obbedienza, ma la nostra disobbedienza a Dio.
Un fare che opera indipendentemente dalla fede e dalla grazia di Cristo, in virtù di quel residuo di bontà che ci è lasciato da Dio dopo il peccato originale. Perché l’uomo, pur vivendo da nemico di Dio, per Suo dono può ancora compiere qualcosa di buono in questa vita, ma nessun bene che possa condurlo alla vita eterna. Ciò che è semplicemente dato per natura deve essere rivisitato e sovravestito dalla grazia di Cristo Salvatore.
L’uomo, pur essendo malvagio, può anche fare qualcosa di buono. Non vale l’affermazione contraria cioè che l’uomo pur essendo buono può anche fare qualcosa che è male.
Che l’uomo sia insanabilmente malvagio, questo è fuori discussione ed hai ragione , Lutero, a gridarlo e a ripeterlo con forza. E’ la pura verità, attestata, certificata dalla Parola di Dio, senza nulla aggiungere e senza nulla togliere.
La parola peccato nel suo significato primo, indica l’andare fuori strada, il proprio smarrimento nel deserto, l’aver mancato la meta, il non sapere dove si va, la mancanza di guida e luce nel cammino.
Era la parola tipica dei beduini del deserto allorchè volevano dire che si erano persi. Il fatto che l’uomo abbia smarrito la via della salvezza, per aver rigettato in Eden l’albero della vita, non significa che non abbia alcuna nozione di bene e che nulla di buono possa operare, pur essendosi staccato da Dio. Per grazia di Dio, gli è stato lasciato da Dio stesso un residuo di bontà naturale, un dono  perché non smarrisca la nozione di bene, ma in virtù di essa possa comprendere il proprio stato di separazione dal Creatore ed accogliere il Cristo Salvatore.
Il peccato d’origine non ha portato semplicemente alla conoscenza del male, ma alla conoscenza del bene e del male, cioè ad una dimensione in cui l’uomo, pur essendo nemico di Dio,  da un punto di vista etico può ancora fare  qualcosa di buono.
Ma anche questo è dono di Dio, un qualcosa di non meritato eppure lasciato, per rendere possibile un ritorno dalla conoscenza del bene a Colui che Unico è Bene.
Il conflitto etico si può risolvere all’interno dell’uomo senza chiamare in causa Cristo Salvatore, e può portare come nei farisei alla dannazione. Viceversa un conflitto etico aperto al Salvatore, obbediente alla sua voce e non semplicemente ai dettami della Legge, diventa conditio sine qua non per la salvezza,  allorchè l’uomo dopo avercela messa tutta, dichiara il proprio fallimento, confessa il proprio stato di peccato e si apre alla grazia portata dal Cristo.
La salvezza che viene dalla fede non si pone dunque in alternativa alla Legge, ma a quella salvezza che confida unicamente in una propria osservanza della Legge, escludendo l’opera del Figlio di Dio.
Dunque l’uomo si salva non per le opere, ma per le fede che opera in Cristo e per Cristo, non come semplice assenso della psiche alla Sua salvezza, ma come obbedienza dello spirito alla Sua volontà, di cui la Legge è momento iniziale, non terminale.
Termine ultimo di salvezza è soltanto nel confronto della coscienza con la voce del Salvatore, così come è storicamente data ad ogni uomo  in virtù del sacrificio di Cristo.
Non è l’affermazione di una novità nella chiesa, ma il ritorno a quella prima novità che era fuori discussione nei primi secoli del cristianesimo, così come attestato chiaramente dai padri, che anche tu, o Lutero, dovresti rivalutare e considerare diversamente.
L’immagine di un uomo buono, insidiato dal Maligno, non fa parte della Tradizione della chiesa, ma di una pseudo tradizione creata dal Satana per deviare ed offuscare le menti.
Più propriamente dobbiamo parlare di un uomo malvagio, perché tale fatto dal peccato d’origine, insidiato, cercato, amato, inseguito da Cristo Salvatore.
Nella chiesa la luce di Cristo e le tenebre del Satana si danno continuamente battaglia in uno scontro mortale in cui l’uomo si gioca il suo eterno destino.
Combatti, o Lutero, il male che è nella chiesa! Non rigettare ciò che vi è di vero, giusto, santo! La chiesa in qualsiasi caso è luogo privilegiato di salvezza, in cui Cristo ha posto la sua dimora, benché la sua opera sia insidiata dal Maligno.
Rifiutando e rigettando la Chiesa, rigetti non solo l’uomo che è in essa trovato, ma anche il Cristo che si è in essa posato.
Tutto chiaro dunque, e perfettamente d’accordo: Lutero con Cristoforo, cattolici con protestanti?
Non ancora, bisogna esaminare tutto a fondo per non lasciare dubbi e zone d’ombra in cui gioca il malinteso.
Non sempre il tuo pensiero, o Martino, mi risulta coerente ed in linea con la Parola di Dio.
La tua concezione della fede sembra oscillare tra una fede autentica che si lascia vagliare e giudicare dal Cristo, ed una fede dubbia, in cui entrano aspetti non propriamente legati alla sola ed esclusiva obbedienza alla volontà di Dio.
E’ vero che la fede investe la totalità del nostro essere: e nel nostro essere entra anche la dimensione emotiva, ma l’uomo psichico, a detta di Paolo, deve cedere il posto all’uomo pneumatico o spirituale.
Parlando coi fratelli della chiesa riformata in molti trovo una concezione della fede che non va oltre la realtà psichica.
Basta credere col cuore e si è già salvi, basta dare il proprio assenso interiore all’opera di Cristo e tutto il resto non ha importanza.
Una simile fede, lasciamelo dire, assomiglia molto a quella chiesta dai maghi, allorché di fronte ai loro credenti affermano che, se non si ha fede in loro, nessun miracolo si potrà verificare.
In veste cristiana, mutatis mutandis, è come dire che non può esserci il miracolo della salvezza senza questo assenso interiore.
Un simile assenso si muove in un campo puramente psichico, più o meno razionale, può anche fare appello alle forze dell’irrazionale, ma non è questa la fede che Gesù chiede a noi.
Gesù chiede a noi, innanzitutto l’obbedienza alla sua volontà.
Può sembrare un controsenso che ci chieda di obbedire alla sua volontà quando non siamo in grado di farla, così come è chiaramente attestato dalla Parola di Dio. Ma l’obbedienza alla volontà di Dio è posta come condizione sine qua non per un rapporto fondato con Dio: Ascolta Israele! Non avrai altro Dio di fronte a me…
Gesù non è venuto ad abolire la Legge, ma ad adempierla, perché in Lui e per Lui ciò che è impossibile ad ogni uomo, sia reso possibile dal Figlio dell’uomo mandato e disceso dal cielo.
Noi non siamo in grado di fare la volontà di Dio, eppure ci è chiesto di adempierla, non accogliendo semplicemente la salvezza del Cristo in una sorta di inerte passività, in cui tutto è dato all’uomo e nulla è a lui chiesto. Non è garantito tutto sin dall’eternità indipendentemente da un nostro impegno amoroso nei confronti del Cristo Salvatore.
Se non c’è la tensione del volere, uno sforzo da parte nostra, la grazia di Cristo non ci è data. Al contrario entra in noi e ci sorregge soltanto nella misura in cui il nostro sforzo si dispiega, entra in atto. Nella reale e comprovata consapevolezza della nostra incapacità, ecco che viene in nostro soccorso la potenza di Cristo Salvatore.
La salvezza non è data ai bontemponi ed agli sfaccendati, a quelli che pretendono di sedere alla mensa di Cristo, soltanto perché si dichiarano suoi discepoli. La fede si manifesta non solo a parole ed in una dimensione puramente psicologica. Non c’è fede che non diventi attuale se non nel desiderio, che è sforzo, impegno totale nel fare la volontà di Dio. Quando ce l’avremo messa tutta, e avremo ciononostante toccato il fondo della nostra miseria, soltanto allora Cristo verrà in nostro soccorso e potremo gridare con Davide:
Felice colpa!
E a questo punto non si può ignorare quello che noi cattolici consideriamo il punto dolens della dottrina della Chiesa Riformata: la negazione del libero arbitrio, l’affermazione di una ingiustificata ed incomprensibile predestinazione degli uni alla vita eterna, degli altri alla dannazione eterna, indipendentemente da ogni loro impegno e tentativo a ben fare. Perché se la vita eterna è semplicemente un dato e non anche un fatto, posso anche dormire sonni tranquilli e prendere sottogamba il comando di Dio: in qualsiasi caso la salvezza è garantita unicamente in virtù della morte e resurrezione del Cristo.
Ben ha sottolineato Kieerkegaard quale inganno dietro una certa concezione della fede.
Vero è che vi è una consequenzialità e coerenza logica del tuo discorso, o Lutero. Data per certa una salvezza che è solo per fede, cioè per intima adesione all’opera di Dio, senza riscontro nel suo essere come obbedienza sempre in atto alla volontà dello stesso Dio, ben ci può stare la tua concezione fatalistica dell’esistenza e la tua negazione del libero arbitrio.
E non comprendi il paradosso del discorso di Paolo, allorchè parla della predestinazione e ti lasci fuorviare da Agostino, e porti alle estreme conseguenze il suo discorso riguardo al servo arbitrio.
E non comprendi che se è equivoca e discutibile una libertà legata all’anima creata, è fuori discussione una sovrana e originale libertà dello spirito insufflato direttamente da Dio. Ma andiamo per ordine. Innanzitutto il discorso di Paolo riguardo alla predestinazione. Ne ho già parlato ampiamente nel commento alla lettera ai Romani, versetto per versetto e non intendo ripetere.
Diciamo più semplicemente che per Dio la salvezza è un fatto già preordinato nell’eternità in Cristo e per Cristo,e che pertanto dal punto di vista dell’eterno Signore, la salvezza non si va ripetendo nel tempo. Il Signore non può parlare dell’uomo, se non come di una creatura predestinata alla salvezza. E non ti confonda il fatto che se alcuni sono predestinati alla salvezza e altri alla dannazione si possa trarre come conseguenza che tutto ciò avviene in noi non per un libero arbitrio, ma per un servo arbitrio. Si sceglie liberamente di essere salvati in Cristo, si rifiuta liberamente la sua opera di redenzione. E con ciò gli uni sono predestinati alla salvezza, gli altri alla dannazione, perché non c’è altra salvezza stabilita dall’eternità se non nel Figlio e per il Figlio di Dio. Per una migliore comprensione ti rimando ai miei scritti.
Leggendo il tuo trattato sul servo arbitrio, opera che tu ritieni unica degna di essere salvata, mi colpisce la povertà e l’inconsistenza delle tue motivazioni, prima ancora l’assoluta certezza di quanto vai asserendo come vero.
Prima ancora di leggere il tuo scritto mi è venuto il terribile sospetto che, seguendo la scia degli antichi pagani e  di Agostino,  tu creda nel destino così come comunemente inteso e così come era compreso dalla mentalità e dalla cultura greca.
Aperto il tuo trattato cosa trovo scritto?
“Quale fanciullo non comprende che cosa significano vocaboli come “piano”, volontà, mettere ad effetto, sussistere?
Ma per quale ragione queste nozioni sono per noi cristiani così impenetrabili al punto che è una curiosità sacrilega e inutile trattarle e conoscerle, quando i poeti pagani e lo stesso popolo incolto le ha spesso in bocca nell’uso più comune?
Quante volte il solo Virgilio ricorda il Fato!” “ Ogni cosa se ne sta certa per legge”; “Sta fisso per ciascuno il suo giorno”; “Se il destino davvero ti chiama”; “Se mai tu potessi spezzare gli acerbi fati”…
Per questo i pagani hanno inventato le tre Parche: immutabili, implacabili, inesorabili.
Quegli uomini sapienti hanno compreso quello che i fatti stessi provano con l’esperienza; vale a dire che a nessuno uomo sono mai riusciti i suoi piani, ma che a tutti le cose sono andate a finire diversamente da quel che ci s’aspettava … Da qui proviene un detto diffusissimo sulla bocca di tutti: “Sia fatta la volontà di Dio”;  e ancora: Se Dio, vorrà, faremo”; “Così ha voluto Dio”; e Virgilio dice: “Così piace agli dei; così avete voluto”. Con ciò vediamo che nel popolo la dottrina della predestinazione e della prescienza di Dio non è certo meno radicata che la nozione stessa della divinità. E coloro che hanno voluto apparire saggi, si sono dati a vani ragionamenti, finché, essendosi ottenebrato il loro cuore, sono divenuti stolti, come è detto nel capitolo 1 dell’epistola ai Romani ( Rom. 1,21 seg. ), e hanno negato e volontariamente ignorato ciò che i poeti, il popolo e la loro stessa coscienza considerano quanto di più comune, certo e vero.” ( De servo arbitrio  )
Se è vero che la Bibbia non si può comprendere se non con lo spirito di chi l’ha scritta, mi stupisce il fatto che tu non ti renda conto che altro è lo spirito degli scrittori pagani, altro quello degli agiografi della Scrittura.
Leggi le parole che vengono da Dio con lo spirito dell’uomo naturale che è prodotto del Maligno. Quale luce ci viene dall’uomo, se Dio stesso vuol gettare una luce sull’uomo: la sua, beninteso, non la nostra?
Se il Figlio ringrazia il Padre di aver celato queste cose ai dotti e ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli, comincia anche tu a farti piccolo.
Metti da parte la sapienza di questo mondo che è stoltezza davanti a Dio ed entra nella follia della Parola  che a nessuno è dato intendere se non per grazia divina.
Se Gesù parla in parabole perché udendo semplicemente  non si comprenda, come puoi pensare che ci possa essere intelligenza della Scrittura in maniera pronta ed immediata da parte di tutti gli uomini, in virtù di una chiarezza formale che Cristo stesso smentisce?
Semplicità non è sinonimo di semplicismo e la vera conoscenza non si può mettere sullo stesso piano della più diffusa ignoranza.
Comprendo la tua avversione ad Origene e a Gerolamo.
Non condividi e non accetti la loro concezione dell’uomo come essere tridimensionale.
Ti metti dalla parte di Agostino, per il quale l’uomo, conforme alla mentalità greca, è unità di corpo ed anima: non comprendi lo spirito come terza dimensione dell’essere creato.
Eppure la primitiva intuizione di questi due padri della chiesa andava approfondita e valorizzata. Ma poi è venuto Agostino ed ha fatto piazza pulita, e quel che è peggio la chiesa l’ha seguito, se pur con incertezza.
E guarda caso, tu che condanni la teologia della chiesa cattolica, per certi aspetti sei figlio suo, molto più di chi ti scrive questa lettera.
Perché se Cristoforo potesse fare una critica alla sua chiesa, sarebbe semplicemente questa: Troppo spazio si è dato al pensiero di Agostino a scapito di quello di Origene e di Gerolamo.
Va rivalutata e ripensata la concezione dell’uomo come essere tridimensionale. Non è un prodotto della cultura di questi due grandi padri della chiesa e neppure frutto della loro fantasia, ma luce data  da una lettura attenta ed approfondita della Parola di Dio, sin dalla giovinezza, con dedizione assoluta.
Se tu riuscissi o Martino a distinguere lo spirito dall’anima, potresti comprendere come la prescienza divina non sia affatto in contrasto con il libero arbitrio dell’uomo, che non è innanzitutto attributo o prerogativa dell’anima, ma dello spirito.
L’idea di una prescienza divina comporta una necessità di quanto preconosciuto. Ma è poi vero che tale prescienza arriva fino al nome degli eletti?
Riguarda in toto l’uomo ed il suo mondo, o lascia aperti alcuni spazi allo spirito creato, perché l’esistenza non sia una semplice finzione, come a teatro, dove gli attori recitano a memoria, un copione già prestabilito da altri?
Dio conosce tutto indistintamente o conosce soltanto quello che vuole conoscere? Mi dirai che in Dio non ci possono essere dei limiti alla propria conoscenza.
Ti risponderò che l’amore di Dio è tanto più grande e più vero proprio per questo: non impone se stesso  ma semplicemente si propone. Non c’è proposta di amore secondo verità che non riconosca all’altro piena libertà di scelta e con ciò stesso la rinuncia ad una preconoscenza in rapporto alla risposta che sarà data.
Non può esserci conoscenza dell’adesione altrui se non nel momento che è in atto, non riguardo al futuro.
Dio può imporre all’uomo i suoi doni, non se stesso come dono. Se fosse così saremmo dei semplici manichini ed automi, non figli degni di sedere in eterno accanto al Cristo, primogenito dei molti fratelli.
Ma tutto questo si può intendere soltanto attraverso le categorie dello spirito, che non si possono identificare con quelle dell’anima: vengono prima e sono il fondamento del nostro rapporto con Dio.
Dio è spirito,  non si può accedere a Lui se non attraverso le vie dello spirito da Lui donato, ovvero insufflato.
Il destino eterno dell’uomo non può essere  giocato dall’anima creata dal nulla, ma da quello spiraculum vitae, spiraglio di vita, che è ingresso nell’eternità di Dio.
Si nega con ciò ogni prescienza divina? Niente affatto. Come potrebbe Dio reggere l’universo se non preconoscesse tutto ciò che Egli ha creato dal nulla? E cosa ha creato dal nulla se non tutto ciò che appartiene alla materia ed all’anima?
Nell’ambito di una conoscenza globale di tutto ciò che riguarda il nostro corpo e la nostra psiche, Dio lascia aperto all’uomo un varco spirituale che gli consente piena libertà di andare avanti o indietro.
Non c’è certezza della vita eterna, se non dopo il giudizio finale di Dio. Se così non fosse, come potremmo parlare di giudizio? Se tutto fosse già deciso nell’eternità e dall’eternità, quale senso dare alla storia dell’uomo? Perché mai un passaggio dall’essenza in Eden, all’esistenza dopo Eden? C’è un tempo gravido di promessa, di paziente attesa, di manifestazione finale dell’amore divino, di adesione e di rifiuto che non è semplice finzione. Quale senso dare alla preghiera se tutto è già prestabilito in eterno?
Nell’ambito di una preconoscenza globale Dio può lasciare aperti dei varchi spirituali in cui intervenire nel tempo e col tempo.
E’ lo spirito dell’uomo che deve cambiare, non la storia nella sua dimensione esteriore, più appariscente e superficiale.
Gli accadimenti della storia possono anche rimanere immutati secondo la prescienza divina, ma il nostro spirito può viverli in maniera diversa, con o senza la fede in Cristo.
Non c’è preghiera accetta al Padre se non quella del Figlio. E cosa dona il Padre a quelli che glielo chiedono se non lo Spirito Santo?
“Se voi dunque sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il padre vostro darà lo spirito Santo a quelli che glielo chiedono?”
E’ vero che ci sono anche i miracoli di guarigione fisica e psichica che si ottengono attraverso la preghiera. Ma non è questa la preghiera risolutiva del nostro rapporto con Dio, portante la nostra fede.
Non è preghiera nello spirito, ma preghiera secondo l’anima, ed in quanto tale è preconosciuta da Dio.
Lo spirito dell’uomo si pone in maniera libera rispetto alla preconoscenza divina, in quanto questa non vuol uscire dai limiti che si impone il vero amore.
Ci può anche essere una violenza ed una forzatura dal cielo che segue le vie dello spirito, soprattutto nei piccoli e nei malati mentali, nei neonati, cioè in tutti coloro che hanno un rapporto più diretto con Dio, rispetto a coloro che sono cresciuti nell’anima e nel corpo.
Ma alla fine dei conti il nostro spirito dovrà dire un sì o un no di portata eterna. In quale forma? Non è dato intendere. Perché le categorie dello spirito vanno oltre quelle dell’anima.
Dio non ode e non ascolta semplicemente quello che esce dalla bocca dell’uomo, ma entra nelle profondità dei cuori, per discernere, giudicare, riconoscere come proprio o rigettare.
Vuoi la prova più sicura , o Lutero, che Dio non può, perché non vuole, conoscere gli eletti fino al loro nome?
Dimmi se nella Bibbia si fa il nome di un solo predestinato alla dannazione, nel momento in cui la sua vita è in atto?
Spero che tu non voglia tirarmi in ballo Giuda, come figlio della perdizione.
Figlio della perdizione è il Satana e tutti coloro che sono nati da lui. Giuda fino al momento del tradimento è e rimane uno dei dodici eletti dal Signore. Soltanto dopo la sua scelta di rinnegamento, si adempirà in lui e con lui la profezia che vuole Gesù tradito da uno dei suoi.
Poteva anche essere un altro, ma in questo modo e non diversamente si sono adempiute le profezie. Non c’è adempimento delle profezie, in senso risolutivo del rapporto con Dio, se non nel rispetto della libertà spirituale dell’uomo. Le profezie sono date sempre in un modo nebuloso, con contorni non ben definiti, che ammette la possibilità di un intervento divino in senso contrario, come risposta alla preghiera  che è nello Spirito e conforme allo Spirito. Le profezie si comprendono sempre col senno di poi: di mezzo c’è pur sempre un libero spirito dell’uomo. “Allora… così si adempì quanto scritto in… detto da…”
In un modo definito e chiarito soltanto nel momento in cui ciò che è predetto diviene attuale e reale.
Andrò ancora oltre, caro Martino. Più lo spiraglio iniziale dello spirito divino si allarga e si potenzia, più si cresce in santità, più diviene reale e terribile la possibilità di una caduta alla fine della corsa.
Questo il senso delle parole di Paolo, che dopo aver parlato della propria elezione, attende con timore e tremore il giorno del giudizio.
Perché ben comprende la possibilità si essere squalificato, dopo aver fatto da araldo agli altri.
“Molti mi diranno in quel giorno, non abbiamo noi profetizzato, cacciato i demoni, fatto molti prodigi in tuo nome!”.
Gesù non smentisce: semplicemente li chiama operatori d’iniquità, quell’iniquità che è frutto del rifiuto di Cristo ed appropriazione indebita del suo dono, iniquità che è compresa soltanto nello spirito e dallo Spirito di Dio. Iniquità che è sempre alle porte e che ha nome di Diavolo: cacciato una volta dal Cristo tenterà fino alla fine dell’esistenza terrena di rientrare in quella casa in cui aveva preso dimora.
Non lasciamoci prendere dal sonno della morte e non dormiamo sugli allori. Ci è chiesto di vegliare e di pregare per non entrare in tentazione, per non far entrare il tentatore.
Il mio discorso ti potrà sembrare oscuro; solo perché non ammetti che lo spirito sia una vera e propria dimensione originata dal soffio dello Spirito divino.
Se lo spirito è portatore di una libertà semplicemente “generata”, l’anima è portatrice di una libertà creata dal nulla.
Due libertà che si sovrappongono l’una all’altra nel rapporto con Dio? Niente affatto! La libertà dell’anima è stata fatta in rapporto al creato, quella dello spirito è data in rapporto al Creatore.
L’anima in rapporto al creato, allorchè collocata in Eden, può fare quello che vuole, purchè sia guidata ed illuminata da uno spirito obbediente al Creatore.
Adamo in virtù dell’anima poteva mangiare liberamente dei frutti del giardino, ma la sua anima o psiche non poteva entrare a far da padrona, in modo abusivo, in quella dimensione che ha il nome di spirito.
Non avrebbe più conosciuto semplicemente quel bene garantito da uno spirito buono, ma anche il male, conseguenza di uno spirito originato, staccatosi dallo spirito creatore.
Nel peccato entrano dunque l’anima e lo spirito, ma in maniera diversa ed inversa rispetto alla volontà di Dio. Lo spirito che doveva far da guida e da luce all’anima, chiusosi al dono dello Spirito Santo, dà via libera all’anima, consentendogli di travalicare l’ambito assegnatogli da Dio. Con quale luce e con quale guida, dopo il rifiuto di Cristo, albero della vita, portante il frutto che è vita eterna?
Ambiguità e contraddizioni di ogni genere per l’anima trascinata e trascinante nel peccato.
Non c’è per l’uomo via d’uscita dal proprio stato se non aprendo il proprio spirito allo Spirito Santo donato dal Cristo: come nell’essenza, così nell’esistenza, come in Eden, così fuori di Eden.
Non c’è libertà dell’anima che non sia condizionata e legata a quella dello spirito. Se lo spirito sceglie Cristo ne deriverà un’anima improntata dal Cristo, conforme alla volontà di Dio.
Se lo spirito rifiuta il Cristo, l’anima ne porterà tutte le conseguenze.
Non perderà la nozione di bene, ma avrà anche quella di male, e quel che è peggio si creerà una propria autonomia rispetto allo spirito, adeguandosi al sonno di morte in cui questo giace dopo il peccato.
Non puoi chiedere all’anima quella facoltà o libertà di scelta in rapporto al Creatore che è data solo allo spirito.
Ogni scelta dell’anima in rapporto a Dio è come un giro vizioso che questa dimensione decaduta dallo stato originale compie su se stessa senza uscire dal proprio stato di peccato.
Non si potrà parlare di un’anima libera e capace di fare il bene se non quando lo spirito dell’uomo avrà dato il suo assenso all’opera di salvezza portata dal Cristo.
“Voi sarete liberi se vi libererà il Figlio dell’uomo”.
Quale è questa libertà fatta ed operata del Cristo se non quella dell’anima, inficiata ed impedita dal peccato originale?
Ma ancor prima della libertà dell’anima, vi è la libertà primaria ed originaria dello spirito a cui l’anima è associata.
Una libertà primaria, benché si sia volta in una direzione contraria alla volontà del suo Creatore, per misericordia divina può ancora essere richiamata da questi in virtù di Cristo Salvatore.
Soltanto dopo il giudizio universale lo spirito dell’uomo potrà dirsi per sempre escluso da Dio, privato di qualsiasi possibilità di scelta.
Lo spirito degli eletti, scegliendo il Figlio mandato dal Padre e il Suo dono, si identificherà con lo Spirito Santo, di modo che non sarà possibile alcuna dissociazione.
Lo spirito dei malvagi, sarà escluso per sempre dal dono del Cristo, non potrà più sceglierlo, perché l’offerta è fatta nel tempo e col tempo. Allorchè rifiutata non sarà più ripetuta. Non ci sarà un’altra opera di salvezza che venga dal cielo.
Fatto schiavo dal Satana, per una scelta libera ma deplorevole, l’uomo ha un’ultima possibilità di appello in giudizio.
E tutto questo in virtù del Cristo e della sua opera di salvezza.
Se lo spirito ci appare chiuso e sordo, ribelle ad ogni obbedienza al suo Creatore, può ancora dare il suo assenso alla salvezza portata dal Figlio di Dio. Non semplicemente seguendo le categorie dell’anima, che pure possono fare da pedagogo ed aiutarlo ad andare nella direzione giusta, ma rapportandosi direttamente a Dio attraverso quelle categorie che vanno oltre la semplice ragione o psiche e che si possono riassumere in quella parola che ha nome di fede.
E’ vero che siamo salvi solo per la fede in Cristo Gesù, ma deve essere una scelta dello spirito, nello spirito.
L’anima può anche capire il suo stato miserando, può sollecitare lo spirito, non può sostituirsi allo spirito. L’atto di fede che è per la vita eterna ha un significato esclusivamente spirituale. Può scavalcare ed essere scavalcato in ogni momento da un’anima, che pretende di arrivare a Dio in maniera propria e diretta ignorando le vie dello spirito scelte da Dio.
Ed anche in questo modo gli ultimi saranno primi e i primi ultimi, perché l’ultimo arrivato può attingere attraverso lo spirito alla grazia divina, in virtù della quale la salvezza ci è data semplicemente ed esclusivamente come dono di Dio.
Il primo arrivato può essere risucchiato da una dimensione spirituale della fede ad una puramente psichica, non conosciuta e non riconosciuta da Dio come via di salvezza, ma come affermazione di una propria via di salvezza, che non accoglie  Cristo Salvatore.
Molte altre cose potremmo ancora dire o Lutero, col rischio di tediare quelli che ci ascoltano.
Ma non posso ignorare che un pungolo mi ferisce il cuore ogni volta che sento uno dei tuoi figli che irride ogni scelta di verginità.
Se è vero il tuo motto: “Sola Scriptura”, come puoi ignorare che è Gesù stesso che elogia coloro che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli?
E’ vero che non tutti capiscono “questa parola”, ma c’è anche un non capire che accoglie con rispetto, ammirazione, amore, tutto ciò che è dato da Dio per l’edificazione comune.
Se l’amore è condivisione, quale amore più grande di quello che scegliendo la verginità fa propria la condizione degli ultimi, di coloro che sono eunuchi dal seno della madre e di coloro che sono stati fatti tali dagli uomini? E’ il segno di un’appartenenza piena ed incondizionata a Cristo come unico sposo, anticipazione di quel legame eterno con Dio che unico ha valore. Una povertà semplicemente subìta di per sé nulla testimonia dell’amore di Dio, una povertà liberamente accolta e scelta dà lode a Cristo che vuol essere tutto in tutti, già a partire da questa esistenza terrena, segnata da povertà, ambiguità, mutilazioni di ogni genere anche in ciò che  noi reputiamo strutturale nell’uomo.
Come concludere Lutero questo breve e semplice confronto?
Con l’esaltazione unanime e concorde di quella Parola che dopo aver creato tutte le cose, ancora una volta le fa nuove in Cristo, per la salvezza di tutti coloro che credono nel suo nome.
“Esultate giusti, nel Signore,
ai retti si addice la lode.
Confessate il Signore sulla cetra,
sull’arpa a dieci corde salmeggiate a lui.
Cantate a lui un canto nuovo,
salmeggiate con bellezza, acclamando;
perché retta è la parola del Signore
e tutte le sue opere nella fedeltà.
Ama pietà e giudizio,
della misericordia del Signore è piena la terra.
Dalla parola del Signore
furono fissati i cieli;
e dallo spirito della sua bocca
tutte le loro schiere.
Raccoglie come in un otre le acque del mare,
pone in custodie gli abissi.
Tema il Signore tutta la terra,
da lui siano scossi gli abitanti del mondo;
perché egli disse, e le cose furono;
egli comandò, e furono create.
Il Signore dissipa i consigli delle genti,
annulla pure i pensieri dei popoli
e annulla i consigli dei principi;
ma il consiglio del Signore
rimane in eterno,
i pensieri del suo cuore
di generazione in generazione.
Beata la nazione il cui Dio è il Signore,
il popolo che si è scelto in eredità.
Dal cielo ha guardato il Signore,
ha visto tutti i figli degli uomini.
Dalla dimora che si è preparata
ha guardato su tutti gli abitanti della terra,
lui che ha plasmato a uno a uno i loro cuori,
lui che comprende tutte le loro opere.
Non si salva il re per la sua grande potenza
né il gigante sarà salvato per la sua molta forza:
fallace è il cavallo per la salvezza,
per il suo molto vigore non sarà salvato.
Ecco gli occhi del Signore
su quelli che lo temono,
su quelli che sperano
nella sua misericordia,
per liberare dalla morte le anime loro
e nutrirli in tempo di fame.
L’anima nostra sopporta, e attende il Signore
perché è nostro aiuto e protettore,
perché in lui gioirà il nostro cuore
e nel suo santo nome abbiamo sperato.
Venga la tua misericordia, Signore, su di noi,
così come in te abbiamo sperato.

A Lutero, a tutti i figli suoi e fratelli nostri, un abbraccio da Cristoforo.

 

 

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