Attualità dell'eresia di Pelagio

Attualità dell’eresia di Pelagio
Considerazioni di Cristoforo

Possiamo affermare con fondate ragioni che l’eresia di Pelagio trascorre e percorre l’intero corso della storia della Chiesa.
Se pur in forme velate e nascoste, camuffata sotto il velo di filosofie diverse, continua tutt’oggi la sua opera devastatrice. È prodotto del Satana per eccellenza, grazie al quale Egli nasconde il peccato, ne travisa il significato, crea illusione di una salvezza senza Cristo.
Nella sua violenta diatriba contro la Chiesa, Lutero afferma con forza  e ribadisce con insistenza che tutta la cristianità del suo tempo segue l’eresia di Pelagio.
E bisogna pure riconoscere che la coscienza di peccato così viva nella prima comunità cristiana  si è venuta in seguito affievolendo e perdendo, lasciando posto alla buona volontà dell’uomo, che con le proprie forze, in virtù della conoscenza del bene e del male, sarebbe in grado di fare la volontà di Dio: capax Dei, come si dice anche oggi, in una forma malandrina che porta i cuori lontano dall’amore di Dio e fuori dalla sua volontà.
Lutero ben comprese la gravità e la serietà del nostro peccato, che è innanzi tutto davanti a Dio, così come recita il salmo.
Il peccato non è realtà temporanea o situazione occasionale ed accidentale, ma è strutturale all’essere della creatura, che dopo la colpa originale, perde la grazia di Dio e non è più in grado di fare la Sua volontà.
Quale la conseguenza del peccato d’origine? La conoscenza del bene e del male. Tale conoscenza di per sé non è sufficiente per reintegrarci nell’amore di Dio. Attesta di per sé non il possesso del Signore, ma la perdita di un legame assoluto ed indissolubile della creatura col Creatore. Mentre all’inizio Adamo conosce soltanto l’opera di Colui che è Bene, dopo il peccato conosce anche l’opera di Colui che è malvagio.
Ed è proprio l’ambiguità e l’ambivalenza del suo rapporto col bene e col male che lo qualifica come uomo malvagio, destinato da Dio alla dannazione eterna. Perché questa dissociazione del suo essere, dilaniato tra una volontà di bene ed un’altra ad essa avversa che lo porta a compiere il male, testimonia di per sé, in maniera indiscutibile, che si è allontanato dal Creatore, chiudendosi in una dimensione etica che può anche procedere da sola senza la grazia di Dio, cioè senza essere rivisitata e rivista dall’opera salvifica del Cristo.
Non si può dire che l’uomo è buono nonostante qualche volta faccia il male, ma al contrario si deve dire che è malvagio, nonostante qualche volta faccia il bene. Una volontà di bene non attesta necessariamente un desiderio di salvezza ed una risposta all’amore salvifico del Signore. Più semplicemente può significare e manifestare una presunzione di giustizia, che  procede anche da sola in virtù della propria natura, data e creata col peccato d’origine. Posta in un punto neutro tra il bene ed il male, al di fuori e al di sopra di essa, la volontà dell’uomo sarebbe per propria natura capace di autodeterminarsi per la salvezza, in virtù di uno sforzo in proprio ed improprio che può anche mandare Dio Salvatore in pensione e pretendere addirittura il suo plauso di fronte alle opere buone da noi compiute. L’Artefice della salvezza diventa semplice spettatore della nostra opera di autosalvazione. Può solo  ratificare e confermare la nostra presunzione di giustizia. Ma se Cristo mette il dito sulla piaga, ecco la reazione più violenta ed il rifiuto più assoluto, che arriva ad una condanna di morte.
Così la storia della salvezza continua e si ripete nel tempo. Da un lato la Parola di Dio, che accusa l’uomo di peccato , per aprirlo alla fede in Cristo. Dall’altro lato l’uomo presuntuoso di bene, che può andare avanti da solo con le proprie forze, rinnegando con ciò l’opera di Dio e rifiutando la potenza vivificante che ci è donata in virtù della morte e resurrezione del Cristo.
La conoscenza del bene e del male generata dal peccato non attesta di per sé una capacità di ritorno al Creatore indipendentemente da un Suo intervento salvifico. Di per sé dice semplicemente che l’uomo è creatura decaduta dallo stato di grazia, destinato alla dannazione eterna, se pure nella sua vita è trovato un residuo di bene. Perché il bene che troviamo e conosciamo in noi stessi e da noi stessi altro non è che un “lascito” della grazia originale. Se Dio dopo il peccato di Adamo ci avesse tolto ogni conoscenza del bene, non saremmo più neanche in grado di cercare Colui che è Bene e di desiderare un ritorno alla totalità del dono e alla pienezza della vita. Pur essendo malvagi, il Signore ci dona la capacità di fare anche qualcosa di buono, ma si tratta pur sempre di un residuo di grazia, qualcosa di semplicemente lasciato, in vista della redenzione e del riscatto finale. Di nostro c’è soltanto il male.
Lutero ben ha compreso tutto questo, ma è poi caduto in una sorta di fatalismo, che ricalca la classica filosofia greca del destino. La salvezza è opera della sola grazia di Dio; coglie gli uni e tralascia gli altri,  indipendentemente dalla loro volontà di Bene. Non ci poteva essere conclusione e soluzione più sbagliata al problema del libero o servo arbitrio, esaltando un’arbitrarietà dell’operare divino che predestina alcuni alla salvezza, gli altri alla dannazione, per un imperscrutabile eterno disegno.
Per i Riformatori, la lotta contro il Pelagianesimo, si riduce all’esaltazione di una grazia che procede da Dio, irrelata alla volontà dell’uomo. La fede che salva, da ascolto della Parola di Dio, cioè da obbedienza ad Essa in pensieri, parole, ed opere, diventa un semplice e puro esercizio psicologico, di conversione del proprio cuore alla credenza che solo Dio salva, perché di fatto ci ha già salvato, in maniera gratuita. Irrilevante e fuorviante un nostro impegno che coinvolga la totalità del nostro essere. Se la fede è un puro gioco ed esercizio mentale di assenso all’opera di Dio, reiterato e conservato nel tempo, cade ogni importanza della propria volontà al ben fare e cade nello stesso tempo ogni grazia di tipo sacramentale che possa autenticare o rafforzare la nostra fede in Cristo. Assieme all’importanza dei sacramenti viene meno anche l’importanza della Chiesa istituzionale, come luogo privilegiato di salvezza, voluto dallo stesso Cristo.
La fede, come assenso psicologico al Cristo ed alla sua opera è pienamente sufficiente a se stessa e garantisce di per sé sola salvezza eterna. Di tutto il resto si può e si deve fare a meno.
È ribadita l’esclusiva importanza della Parola di Dio, come unico vero grande sacramento, non in quanto potenza vivificante, cioè capace di creare e ricreare in noi l’uomo nuovo ma soltanto in quanto luce che porta alla fede in una salvezza già operata dal Cristo, suo corroborante e fortificante.
Questo in sostanza la dottrina di Lutero, se pur variamente intesa dalle varie chiese della riforma, dove la vicinanza al fondatore del Protestantesimo e la distanza dalla Chiesa cattolica  sono più o meno accentuate. Il volto per così dire buono della Chiesa Riformata è da noi trovato in Kierkegaard ed in Bonhoeffer, i quali tentano una interpretazione in positivo dell’originario pensiero di Lutero. Vero è che per certi aspetti molto si staccano dal protestantesimo tradizionale, nei confronti del quale portano avanti una onesta e disincantata polemica.
Il protestantesimo, se pur in forme diverse e con accenti più o meno forti, ha identificato la sua lotta contro il Pelagianesimo, nella lotta contro la Chiesa cattolica, a suo dire,  massima espressione della più grande eresia di tutti i tempi.
Fatto salvo un giudizio positivo riguardo all’importanza di un ritorno alla lettura, alla meditazione e proclamazione della Parola di Dio, ci sembra tuttavia di poter affermare con amore fraterno che la Riforma non solo non ha sradicato e combattuto il pensiero di Pelagio, ma al contrario lo ha rafforzato, consolidando vecchie strade ed aprendone delle altre.
Il rifiuto della Tradizione di cui è custode la Chiesa di Roma, per esplicita volontà di Cristo, ha giustificato interpretazioni personali della Scrittura, del tutto sbagliate e fuorvianti.
Il protestantesimo non ha portato ad una lettura accresciuta e rafforzata della Parola, ma semplicemente ad una lettura fuorviata e traviata, non illuminata dalla Tradizione, molto spesso anzi in contrasto con essa. L’individualismo, ed il conseguente sincretismo religioso affondano le loro radici proprio nella Riforma. Un’opinione vale un’altra ed ognuno può intendere quello che vuole. Allorchè si guarda e si cerca una unità ed una comunione, non lo si può fare se non mettendo tutto assieme e conciliando anche gli opposti.
La Menzogna ha pari diritto rispetto alla Verità e la Luce può stare anche accanto alle tenebre. Quando tutto si risolve nell’ambito della semplice coscienza ed intelligenza individuale quale senso parlare di Verità?
L’eresia di Pelagio ne esce rafforzata ed il Diavolo ride sotto i baffi.
Lutero sottolinea a forti tinte una salvezza che è dono gratuito di Dio, sola gratia, ma sembra non dare la dovuta importanza ai frutti della grazia. Se la salvezza si ottiene per la sola fede, indipendentemente dal nostro impegno e dalla nostra volontà, io posso anche dormire sonni tranquilli: tutto è dato per scontato. Lo stesso peccato rientra in un eterno progetto di perdono e di redenzione, il cui prezzo è pagato esclusivamente dal Cristo. Dove si trova e dov’è trovato il punto di verifica della propria fede? Nella stessa fede. In una sorta di circolo vizioso dove tutto è ricondotto alla fede e tutto è giustificato in virtù di essa.
Non così insegna l’Apostolo Paolo: “la fede viene dall’ascolto e l’ascolto dalla parola di Dio”. La fede che tutto giustifica deve essere a sua volta giustificata. E non è giustificata se non con e nella misura dell’obbedienza alla volontà di Dio, così come è da noi conosciuta in virtù dell’ascolto della Parola.
Chi non fa la Parola, non ascolta la Parola, e chi non ascolta la Parola non possiede la fede.
La fede che va innanzitutto esaltata è la fede che è operata dall’ascolto. Non si ascolta, perché si ha, sic et simpliciter, il dono della fede, in maniera del tutto arbitraria per un imperscrutabile disegno divino, ma si ha la fede perché si ha volontà di ascolto. E la volontà di ascolto non è semplicemente data, è ancor prima richiesta, come conditio sine qua non del nostro rapporto con Dio. In questa volontà di ascolto si gioca il senso della nostra libertà nei confronti del Creatore. Non puoi dire di aver fede se non è trovata in te ciò che è frutto della fede, ovvero l’obbedienza alla volontà di Dio. Certamente non tutte le opere dell’uomo vengono dalla fede, ma non c’è giustificazione alcuna in una fede non confermata dalle opere. La fede che salva è molto di più e qualcosa di diverso dal semplice assenso psicologico all’opera di redenzione del Cristo.
Non ci può essere un sì a Cristo della fede, che non sia un sì dell’uomo nella totalità del proprio essere, così come è comandato dal primo e più grande comandamento. “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze.
Paradossalmente la lotta di Lutero contro  la tepidezza del pietismo e del devozionismo  della Chiesa cattolica, lungi dal portare ad un impegno più grande e più illuminato nell’osservanza del comando di Dio, si risolve nella sovraesaltazione assai poco edificante di una salvezza che è data “sola gratia” in virtù di una fede, di cui l’uomo è portatore soltanto per un imperscrutabile disegno eterno, che predestina gli uni alla salvezza, gli altri alla dannazione. Il fervore e l’entusiasmo mistico, cedono il posto ad un lavorio introspettivo di autoconvinzione riguardo a Cristo Salvatore, del tutto simile alla fede di tipo magico.
Nulla di più rispetto al pietismo cattolico, anzi molto di meno, perché è persa e condannata la tensione al ben fare, al ben operare al ben dire.
Lutero che vuol prendere la massima distanza da Pelagio si ritrova alla fine alla massima vicinanza. Perché l’uomo non può vivere nella pace della fede, se non  crea a se stesso  l’illusione della fede.
Per avere continua consapevolezza di peccato, devo avere continua consapevolezza di non fede: ma ciò è una contraddizione in termini, perché chi è predestinato alla salvezza per fede non può mettere in discussione la propria fede.
La pace che viene dalla fede, così come intesa da Lutero, va a braccetto con la pace di Pelagio che attribuisce semplicemente alla propria volontà ogni ben fare per la salvezza. Presuntuoso l’uno nella propria fede, avuta per grazia, presuntuoso l’altro nella proprie opere operate senza la grazia.
Se la presunzione che viene dalle buone opere è un sonnifero che chiude gli orecchi all’ascolto della volontà di Dio, lo stesso si dica della presunzione di una fede già data, indipendentemente da ogni fatica e da ogni sforzo.
Si può dormire tranquilli, sia perché si presume delle proprie opere, sia perché si presume della propria fede. 
“Anche quando avrete fatto il vostro dovere, dite servi inutili siamo”.
Questo il senso della vera salvezza. Dopo avercela messa tutta per ben operare, concluderemo  nella consapevolezza della nullità del nostro essere. E proprio quando avremo sofferto con pena il peso di un peccato in toto addebitato, sperimenteremo anche la gioia di una salvezza  in toto donata dal solo Signore Gesù Cristo.
Il peccato di Pelagio è un’insidia costante e continua per ogni cristiano. Non c’è autentica molla al ben fare se non nella consapevolezza del proprio peccato, che è colmato soltanto dalla misericordia di Dio ed annullato dal sacrificio del Cristo.
Soltanto chi ha estrema consapevolezza di peccato, è capace di scelte ardite e coraggiose riguardo a Cristo.
Vi è un abisso incolmabile tra il nostro peccato e l’amore del Signore. Non si può mettere in pace un’anima cosciente di peccato, creando l’illusione di quella giustizia che non c’è, ma neppure creando a se stessi l’illusione di una fede fasulla ed infondata. Se il dono di Dio è senza misura, senza misura deve essere anche la nostra risposta. Solo nello spirito di una tale sequela si può gridare al Signore con Davide: Felice colpa!
Come concludere questo breve discorso, se non con un invito a tutti i cristiani, di qualsiasi professione?
Cessi  la nostra bocca dal proferire parole di insipiente accusa nei confronti di questo o quello.
Soltanto nella confessione umile e consapevole del nostro peccato troveremo la strada per un ritorno al Signore. La polemica fa morire l’amore. Non soltanto inaridisce i cuori, ottenebra le menti ed allontana dall’intelligenza della Parola rivelata.
Come non restare impressionati, viaggiando via internet nel mondo della Chiesa e delle chiese, dall’abbondanza straripante di articoli polemici e di prediche di tipo parenetico( esortativo )?.
Dov’è è finito e dove è trovato l’amore per la Parola di Dio? Quale luce e quale sapienza ci vengono da simile diluvio di parole?
Meglio la preghiera solitaria e la meditazione silente della Parola. Meglio la lettura dei Padri della Chiesa e degli scritti dei santi. Sia la nostra parola fondata in un vero ascolto. Tanti o pochi, cosa importa? La vera fede sarà sempre prerogativa di un piccolo gregge. Quando la prima preoccupazione è quella di parlare alle masse, la Parola di Dio è svuotata di Verità. Non siamo più benedetti da Dio, anche se esaltati dal plauso umano.


 

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