Il Salterio della Tradizione

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Da Il Salterio della Tradizione
A cura di Luciana Mortari
Pietro Gribaudi Editore
dall’introduzione

Un antico inno pasquale canta il Cristo così: “Questi è creatore: colui che plasmò l’uomo, che era  tutto in tutte le cose: Patriarca tra i patriarchi, Legge sotto la Legge, Sommo sacerdote tra i sacerdoti, Sovrano tra i re, Profeta tra i profeti, Principe degli angeli tra gli angeli, Verbo per la voce, Spirito nello Spirito, Re nei secoli dei secoli. Questi è infatti colui che in Noè fu nocchiero, che guidò Abramo, che in Isacco fu legato, che in Giacobbe fu esule,che in Giuseppe fu venduto, che in Mosè fu condottiero, che con Giosuè spartì l’eredità, che in Davide e nei profeti predisse la sua passione”.
L’autore, Melitone di Sardi, che scrive nella seconda metà del II secolo, ripete più volte questo tema: “Egli è colui che molto ebbe a sopportare nella persona di molti. Egli è colui che fu ucciso nella persona di Abele, legato in Isacco, venduto in Giuseppe, esposto in Mosè, immolato nell’agnello, perseguitato in Davide, vilipeso nei profeti”. O mistero nuovo e inenarrabile!”. “Il mistero del Signore appare in tal modo antico e nuovo”.
Questi temi sembrano anticipare mirabilmente e liricamente l’assioma patristico che tutta la Scrittura è un libro solo, e quel libro solo è il Cristo: “C’è un’unica Parola di Dio dilatata in tutte le Scritture, e un unico Verbo risuona dalla bocca di molti scrittori sacri”. Del resto il Cristo l’aveva già detto: Scrutate le Scritture… ed esse sono quelle che rendono testimonianza di me… Se credeste a Mosè, credereste a me; di me infatti ha scritto ( Gv. 5,39,46 ). Il Cristo è il punto di convergenza delle Scritture, ne è il centro e l’apice, ne è il contenuto e insieme colui che le spiega. “La Bibbia è la Parola di Dio divenuta udibile, il Cristo è la Parola di Dio divenuta visibile. Che sia sonora o luminosa, Dio non ha che una sola Parola, e non la pronuncia che per donarla: non la reincarna nella Bibbia che per incarnarla nel seno della Vergine Maria”. “Il suo corpo sono gli insegnamenti delle Scritture” ( Ambrogio ).
Se tutto questo è vero – sono temi da un lato semplicissimi, dall’altro enormi, che non si può presumere di sviscerare in poche righe – possiamo accennare a come ciò si realizzi in un certo senso in modo speciale nel Salterio, “il libro che tutta la tradizione è concorde nel riconoscere come centrale, nel senso che riflette e condensa tutto il resto”.
Atanasio di Alessandria riassume qualcosa di questa concentrazione nel Salterio del contenuto degli altri libri biblici. Nel suo prologo al libro dei Salmi scrive: “Tutta la nostra Scrittura, o figlio, sia l’antica che la nuova, è divinamente ispirata ed è utile per l’insegnamento ( “ Tim 3,16 ), come sta scritto. Ma il libro dei Salmi merita una particolare attenzione”.
Dopo aver elencato i libri della Legge, i libri storici e profetici, afferma che il libro dei Salmi contiene “come un giardino” quanto vi è in tutti gli altri libri, oltre a presentare in più, salmeggiando, ciò che gli è proprio. Talora nei salmi si canta la creazione, cioè quanto è proprio del libro della Genesi; talaltra l’esodo dall’Egitto, il castigo degli Egiziani, la liberazione del popolo. Ora il culto sacerdotale, il tabernacolo, l’ingresso nella terra promessa, la disfatta dei nemici; ora l’ascesa alla città santa e al tempio. Ancora la cattività babilonese e il ritorno dei prigionieri. E così via per tutta la storia sacra. Quanto all’avvento del Salvatore, contenuto nei libri profetici, “il Salterio vi allude quasi in ogni salmo”. Certo “questo è il comune annuncio di tutti i libri della Scrittura, questo l’armonioso accordo dello Spirito”, ma, con Atanasio, tutta la tradizione ha sempre trovato nel Salterio una presenza particolare del Signore, l’ha visto come tutto “seminato” di questa presenza, tanto da potersi concludere che il Vangelo stesso resta “indecifrabile” per chi non lo legga alla luce del Salterio, tutto intrecciato con esso, e in esso non lo “riaffondi” continuamente. Dell’Antico Testamento san Bonaventura ha detto: “Come lo stesso Cristo fu avvolto in fasce, così la Sapienza di Dio fu avvolta in umili figure”. E su questa scia, con una felice espressione di sapore patristico, anche Lutero ha detto delle Antiche Scritture, che esse sono “semplici e povere fasce, ma prezioso è il tesoro, Cristo, che vi riposa”.
Se dunque il Vecchio Testamento è in un certo senso come le “fasce” del Bimbo Gesù, Ambrogio ci dice che “nei salmi Gesù non solo nasce per noi, ma anche assume la passione salvifica del corpo, muore, risorge, ascende al cielo, siede alla destra del Padre. Ciò che in precedenza nessun uomo aveva osato dire, solo questo profeta lo ha annunciato, e in seguito il Signore stesso lo ha predicato nel Vangelo ( Lc. 24,44 ). E Ambrogio aveva introdotto questo brano dicendo: “E che dirò del valore profetico dei salmi? Altri lo hanno annunciato per enigmi, ma a Davide viene promesso in modo aperto e palese che il Signore Gesù sarebbe nato dal suo seme, secondo questa parola del Signore: Del frutto del tuo ventre porrò sul tuo trono ( Sal 131,11 )”.
Altrove per enigmi, ma qui in modo aperto e palese. Il Salterio infatti ci presenta la generazione eterna del Cristo dal seno del Padre (Sal 109,3 ); la sua generazione nel tempo, nella carne (Sal 2,7 ; 86,5); la sua corsa da gigante ( Sal 18,5 ), lui il più forte vincitore del forte ( Lc 11,21; Sal 17,3 ), l’unico innocente e immacolato ( Sal 25,1 e 100,2 ) in mezzo alla corruzione di tutti (Sal 13,1 ), il pastore che conduce alle acque battesimali, all’unzione crismale, al calice inebriante ( Sal 22 ); ce lo mostra nella luce della trasfigurazione (Sal 103,2), ci presenta la sua passione e la sua morte ( Sal 68 ), e il suo grido sulla croce ( Sal 21,1; 30,5 ), la discesa agli inferi, libero tra i morti ( Sal 87,5 ), la risurrezione e l’ascensione ( Sal3,5; 23 e 67 passim; 138, 2,18 e passim), la costituzione degli apostoli principi su tutta la terra (Sal 44,16),la chiamata alla fede di tutte le genti ( Sal 46 ) e finalmente il suo ritorno glorioso all’ultimo giorno per fare il giudizio ( Sal 95, 10 ss; 97,7 ss ), e il suo regno eterno nei cieli trai santi glorificati con lui, che hanno creduto nel suo nome ( Sal 148-150 )
Ciò che in precedenza nessun uomo aveva osato dire, solo questo profeta lo ha annunciato…
Dice infatti l’Apocalisse – come osserva Ilario – che il Salvatore ha la chiave di Davide ( Ap 3,7 ) per aprire il libro e i suoi sigilli ( Ap 5,1 ss), perché nei salmi sono racchiusi tutti i misteri del Cristo, dall’incarnazione al giudizio. C’è bisogno della rivelazione del Signore per rendere tutto manifesto, ma del resto “tutto era stato detto dal divino Spirito per mezzo di Davide”. Il Salterio è come un organo costruito a forma del corpo del Signore… nel quale lo Spirito celeste ha parlato.
Da questi e da altri testi è chiaro che i Padri hanno letto nei salmi una sorta di protovangelo. Alcuni studiosi fanno osservare come antiche tradizioni catecumenali mostrino che la lettura cristiana del Salterio era così avanzata da far mettere sullo stesso piano, per così dire, il Credo, il Padre Nostro, e i Salmi. Tra quelli più usati nelle catechesi battesimali era il salmo 22, inteso sempre dalla tradizione come il salmo della iniziazione cristiana, che parla del battesimo, cresima, eucarestia.
Danielou, che ha lasciato alcuni ottimi studi sul cristocentrismo dei salmi, ben sottolinea come l’espressione calix praeclarus, glorioso calice del Sal 22,5 è a tal punto incorporata nella liturgia eucaristica da far parte del canone romano. Di questo calice, con estrema semplicità e chiarezza Cirillo di Gerusalemme dice: “Tu vedi che qui si parla del calice che Gesù prese tra le mani e rendendo grazie disse: questo è il mio sangue ( Mt 26,28 )…
Del resto Gesù stesso ha consacrato i salmi prima di tutto come sua voce con l’uso che ne ha fatto nella sua vita terrena, citando nella notte della cena il salmo 40,9: “Chi mangiava il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno”, recitando l’Hallel dopo la cena pasquale ( Mt 26,30 e par ), gridando dalla croce il salmo 21 e il salmo 30 ( Mt 27,46 e par; Lc 23,46 ).
Li ha pure consacrati come voce della tradizione su di lui, quando ha manifestato nel suo ingresso a Gerusalemme il compimento del salmo 8,2: Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti ti sei composto una lode ( Mt 21,16); e quando ha attestato ( Mt 22,44 e par) – e questo sarà il salmo più citato nel Nuovo Testamento – che di lui Davide ha scritto: Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra ( Sal 109,1 ).
Su questa base, da Tertulliano in poi i Padri leggeranno i salmi dicendo: Voce del Figlio – Voce del Padre – Voce del Cristo al Padre- Voce della Chiesa al Padre sul Cristo – Voce della Chiesa al Cristo. Queste ed altre formule simili si fisseranno nelle varie serie di titoli molto suggestivi dati dai Padri ai salmi, e che si ritrovano l’una o l’altra in antichi manoscritti del Salterio. Agostino riconosce in tutto il Salterio la voce del Cristo, ed esclama: “Questo mirabile cantore dei salmi!” E un seguace di Agostino, vedendo in Maria madre del Signore anche il compimento della figura di Maria sorella di Mosè ( Es 15,20, con felice espressione la chiama tympanistria nostra. E dice che Maria tympanistria insegnò a suo figlio a cantare il Salterio, lei cantora esperta, che aveva condensato nel Magnificat i canti del suo popolo.
Basti qui solo accennare all’enorme lavoro di Agostino sui salmi, il più ampio e il più completo di tutta la tradizione, in cui egli ha portato a grandi sviluppi, unitari e coerenti, la lettura cristiana dei salmi. Egli vede in tutto il Salterio la voce del Cristo che parla a suo nome, come Salvatore nato dalla Vergine, o che parla in nome delle sue membra con cui si identifica, Sposo che è una cosa sola con la sposa, com’è scritto ( Ef 5,31) capo del corpo, Figlio di Dio e Chiesa, homo ille ubique diffusus, “ quell’Uomo sparso ovunque, il cui capo è in alto, mentre le membra sono in basso; dobbiamo sentire ormai nota e familiare, come fosse la nostra, la sua voce in ogni salmo, sia che canti o che gema, si allieti nella speranza oppure sospiri… “. Talvolta dunque è il capo che parla, talaltra le membra, talora testa e corpo insieme, talaltra membra e capo si interpellano, e troviamo così un dialogo, un’alternanza e un intreccio suggestivo di voci; ora la Chiesa parla al Cristo, ora parla al Padre e al mondo del Cristo e dei suoi benefici.
Cristo dunque è insieme cantore dei salmi, eroe dei salmi, e, con il Padre, termine della preghiera dei salmi, i quali sono anche “canto di Cristo come Dio”, secondo “una delle più forti testimonianze della fede primitiva, che considera il Cristo, senza esitare, come Dio”. Non solo i Salmi sono il libro dell’Antico Testamento più citato e più evocato nel Nuovo, ma sono quelli che offrono i maggiori argomenti per l’attribuzione al Cristo delle prerogative divine. Nell’Apocalisse infatti ( 2,23 ) è trasferito al Cristo ciò che i salmi dicono di Dio, che scruta i reni e il cuore ( Sal 7,9 e par ). Assolutamente fondamentale a questo riguardo, è l’uso dei salmi fin dal primo capitolo, basilare per la cristologia, dalla Lettera agli Ebrei che, fra l’altro, cita sempre il Vecchio Testamento dal testo greco.
In essa l’autore riferisce senza esitazione al Cristo i due vocativi “o Dio” del Sal 44,6, 6s ( Eb 1,8s ). Ma l’esempio più sorprendente, per dirlo con una parola di Cullmann, è, in questa lettera ( !,10 ss), la citazione del Sal 101, 25 ss, in cui l’autore dell’Epistola agli Ebrei non esita ad attribuire a Cristo la stessa creazione: “Agli inizi tu, Signore, hai fondato la terra – e i cieli sono opera delle tue mani”. E questo, come osserva Cullmann, avviene sulla base del trasferimento a Gesù del nome Signore, ( Kùrios), con cui la versione greca dell’Antico Testamento ha reso l’impronunciabile tretagramma divino.

Sappiamo che fin dai tempi di Tertulliano ( nato intorno al 160 ), esisteva già in Africa un Salterio latino, tradotto dai LXX, scrupolosamente fedele al testo greco, con una certa rozzezza però che fece quasi subito sentire il bisogno di rimaneggiamenti più o meno profondi. Per l’enorme uso del Salterio ed il grande amore ad esso, nelle varie regioni di lingua latina si moltiplicarono, nel giro di due secoli, diverse revisioni del primo testo nel desiderio di correggerlo e migliorarlo, sia da un punto di vista linguistico che critico; ci troviamo così di fronte a diversi salteri: africano, mozarabico, romano ecc. tutto questo complesso materiale viene ora compreso sotto il nome di Vetus latina, della quale sono in corso, e non solo per il Salterio, due edizioni critiche, l’una a Beuron e l’altra in Spagna.
Fra il 383 e il 386 Girolamo fece una rima revisione sulla LXX del Salterio della Vetus Latina in uso a Roma. Ma questa prima revisione non ebbe successo ed egli stesso non ne era soddisfatto. Così qualche tempo dopo, in Palestina, intraprese una seconda revisione più accurata, potendo disporre anche di strumenti più adeguati. Questo secondo testo, rimasto sempre fedelissimo all’originale greco e alla lingua rustica delle versioni precedenti, entrò in vigore in Gallia prima che altrove, dove prese il nome di Salterio Gallicano.
Infine Girolamo fece una versione del tutto nuova dei salmi, non più dal testo greco ma da quello ebraico, scientificamente più corretta e stilisticamente più delicata, ma sempre nella fedeltà a quella certa durezza del latino biblico e liturgico, che fa parte della sua bellezza e forza. Ma nonostante la sua bellezza, data la familiarità di tutti con il Salterio tradotto dai LXX, non riuscì a prevalere su quest’ultimo. E d’altronde Girolamo non aveva affatto mirato, con la sua nuova traduzione, a soppiantare nell’uso liturgico il Salterio precedente. Sapeva evidentemente a priori che questo era impossibile: infatti nella prefazione al suo salterio tradotto dall’ebraico, dà per scontato che nella chiese si continui a leggere la versione dei suoi predecessori, da lui corretta con ogni cura, ma insieme afferma che una cosa è leggere i salmi nelle chiese dei credenti in Cristo, altra cosa rispondere ai Giudei che si attaccavano a singole parole per calunniare la fede e le Scritture dei cristiani; perciò Sofronio, vescovo dio Gerusalemme, trovandosi in difficoltà nelle dispute con gli ebrei, gli aveva chiesto una versione latina del testo ebraico. Il favore del Salterio gallicano fu poi tale che esso rimase non solo nei libri liturgici, ma dopo qualche oscillazione, fu definitivamente inserito nel corpo della Vulgata, dalla edizione fatta fare da Carlo Magno ad Alcuino in poi. Questo è sempre stato il Salterio della chiesa latina.
Solo nel 1941 papa Pio XII affidò all’Istituto Biblico di Roma, l’incarico di preparare una nuova versione dei salmi che ovviasse alle oscurità della Vulgata e facilitasse la preghiera dei chierici, con un linguaggio più accessibile e correzioni sulla base dell’ebraico, approfittando dei nuovi strumenti di linguistica e di critica testuale.
Questo nuovo testo fu dato alla stampa nel 1944 e promulgato da Pio XII col Motu proprio del 1945, che ne autorizzava, senza però imporla, la recita sia pubblica che privata. La specialista degli studi di latino cristiano, Christine Mohermann, ne fece subito una critica severa, lamentando le incoerenze del lavoro e la rottura con la tradizione. Pochi giorni prima della fine del Concilio nel 1965, Paolo VI istituì una speciale commissione che rivedesse l’intera Bibbia Vulgata, per favorirne la comprensione e correggere gli eventuali errori, tenendo conto del progresso degli studi biblici…
Qualunque opinione si volesse adottare sul piano filologico, è per lo meno certo che esisteva ed esiste sul piano teologico un problema specifico del Salterio, che può essere impostato così.
Il Salterio ha avuto nella chiesa, a differenza di tutti gli altri libri della Bibbia antica, una sua sorte specialissima, anzi unica; è rimasto anche nella Chiesa d’Occidente il solo libro tradotto non dall’ebraico ma dal greco, realizzando e conservando l’unità della Chiesa nella forma della preghiera e di tutta la tradizione patristica e spirituale.
La chiesa Romana d’occidente e tutte le chiese d’Oriente hanno pregato insieme valendosi delle stesse parole, unanimemente e sempre ritenute come ispirate, cioè messe in bocca alla Chiesa da Dio stesso- e i grandi Padri e dottori dell’una e delle altre hanno commentato le stesse parole, dando luogo a un’unica tradizione immensa e ininterrotta, che esprime veramente la coscienza più profonda e più sublime dell’unica sposa di Cristo… Dopo quasi venti secoli , solo dal 1979, si dovrebbe dire che il Salterio della tradizione – cioè il Salterio fondato sul testo greco dei Settanta – ha definitivamente ceduto nella Chiesa occidentale a un Salterio fondato principalmente sul testo masoretico.
Dal 1979 esiste una nuova versione ufficiale del Salterio, incorporata ormai alla nuova Bibbia latina, con chiare conseguenze pratiche, per esempio quella di costituire il modello a cui si devono o si dovrebbero attenere le versioni in altre lingue nazionali delle diverse Chiese facenti parte della Chiesa latina.
Ma questo diciamo, lascia sussistere ancora l’altro problema della sorte riservata al Salterio della Vulgata: ha forse cessato di avere del tutto qualunque valore e qualunque diritto di esistenza specialmente nella preghiera della Chiesa?
Una conseguenza così grave e così totalmente nuova la si può ritenere adottata implicitamente, senza nessun accenno all’enorme peso della tradizione, patristica e spirituale, in senso contrario? E senza dire nemmeno una parola che vada oltre il piano puramente filologico ( anche se fosse per sé concludente ) e almeno delibi il discorso teologico della ispirazione, pacifica per venti secoli almeno per il Salterio greco, e della conseguente sua accoglienza ininterrotta nella Chiesa?
Come si può pensare realmente al Salterio della Vulgata – cioè al Salterio del testo greco, come definitivamente abrogato, ridotto a un documento storico e reciso dalla vita anche attuale della Chiesa, della nostra Chiesa d’Occidente, alla quale ha così potentemente contribuito e alla quale è per sempre incorporato? … Come prescindere dalla connessione fra il Salterio Greco e il testo dei Vangeli, specialmente dei racconti della passione del Signore? Il Rose, specialista del Salterio greco, rileva come le antiche versioni latine del Salterio, che seguono i LXX, conservino nel loro vocabolario questa parentela anche letteraria fra i due Testamenti, e come questo rapporto non possa emergere nella misura dovuta se non in una versione dei salmi dei Settanta, tanto è vero che già nel Salterio di Girolamo dall’ebraico questo rapporto si era attenuato: quanto più nelle versione piana e nelle versioni in lingue moderne dall’ebraico.
Al termine del suo studio, Rose conclude: “… Solo le versioni latine fatte sul Salterio dei Settanta… hanno conservato un vocabolario comune con le traduzioni latine dei Vangeli nella Vulgata. Per contro le traduzioni fatte sul testo ebraico – sia latine che francesi – hanno perduto numerosi termini-raccordo col racconto evangelico”. Ne consegue che un “abbandono completo e definitivo del testo del Salterio dei Settanta nella pratica generale della Chiesa comporterebbe, a livello dei fedeli, un affievolimento sensibile della percezione dell’unità tra i due Testamenti”.