Cap. 3 , 17-24

  • Stampa

Cap. 3, 17-24

17 ad Adam vero dixit quia audisti vocem uxoris tuae et comedisti
Invero ad Adamo disse: Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato
de ligno ex quo praeceperam tibi ne comederes
dal legno dal quale ti avevo comandato di non mangiare,
maledicta terra in opere tuo in laboribus comedes eam cunctis diebus
maledetta la terra nell'opera tua: nelle fatiche la mangerai per tutti i giorni
vitae tuae 18 spinas et tribulos germinabit tibi et comedes herbas terrae
della tua vita; spine e triboli germinerà per te e mangerai le erbe della terra.
19 in sudore vultus tui vesceris pane donec revertaris in terram de qua
Nel sudore del tuo volto ti nutrirai di pane, finché tu ritorni nella terra dalla quale
sumptus es quia pulvis es et in pulverem reverteris
sei stato tratto, poiché polvere sei e nella polvere ritornerai.
20 et vocavit Adam nomen uxoris suae Hava eo quod mater esset cunctorum viventium
E chiamo' Adamo il nome della sua moglie Eva, perché era madre di tutti i viventi
21 fecit quoque Dominus Deus Adam et uxori eius tunicas pellicias
Fece anche il Signore Dio ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle
et induit eos 22  et ait ecce Adam factus est quasi unus ex nobis
e li vestì e disse: Ecco Adamo è diventato come se fosse uno di noi
sciens bonum et malum nunc ergo ne forte mittat
conoscente il bene ed il male. Ora, dunque, perché non accada che metta
manum suam et sumat etiam de ligno vitae e comedat et vivat in aeternum
la mano sua e prenda anche dal legno della vita e mangi e viva in eterno,
23 emisit eum Dominus Deus de paradiso voluptatis ut operaretur terram
lo mise fuori il Signore Dio dal giardino del piacere , perché lavorasse la terra
de qua sumptus est 24 eiecitque Adam et conlocavit ante paradisum voluptatis
dalla quale fu tratto. E cacciò Adamo e collocò davanti al giardino del piacere
cherubin et flammeum gladium atque versatilem
dei cherubini e la spada fiammeggiante e roteante
ad custodiendam viam ligni vitae
per custodire la via del legno della vita.


" 17 Invero ad Adamo disse: Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie..."

Adamo doveva ascoltare solo la parola che veniva dalla Parola, ma non la voce che della Parola conserva solo la forma e non più il fondamento.
Era la voce della sua donna, ma non la Parola del suo Dio. Se Adamo si fosse dissociato da Eva, certamente si sarebbe trovato diviso rispetto al suo essere creato, ma indiviso rispetto al suo Creatore. Un cuore indiviso di fronte a Dio è, innanzitutto, un cuore che accetta di essere diviso dalla sua donna, ma non diviso tra il Creatore e la Sua creatura.

"e hai mangiato dal legno dal quale ti avevo comandato di non mangiare..."

Si mangia non semplicemente per rimanere in vita, ma per crescere nella vita. Per rimanere in vita bastavano ad Adamo i frutti che la terra offriva spontaneamente, come dono del suo Creatore. Per crescere nella vita doveva cogliere i frutti spirituali, che erano dati da Dio, nella misura della sua obbedienza e della sua sottomissione alla Parola. Disobbedendo alla Parola di Dio, Adamo si precluse la via per una crescita spirituale, che l'avrebbe portato alla vita eterna. Non solo infranse il suo rapporto con il Creatore, ma di conseguenza anche il rapporto con il creato.

"maledetta la terra nell'opera tua..."

Dio non maledisse la terra, che è pur sempre opera Sua, maledisse la terra nell'opera dell'uomo, relativamente al suo essere creata per, in vista dell'opera dell'uomo. Il creato è pur sempre buono in Dio e per Dio, ma non lo è più per l'uomo e la sua vita. Mentre prima era conforme, in sintonia con la volontà operosa dell'uomo, ora è suo nemico e ad esso refrattario.
Come può il creato essere conforme alla richiesta dell'uomo, quando l'uomo non è più conforme alle richieste del suo Creatore? Un uomo ribelle al suo Dio, trova un creato che si ribella alla sua stessa ribellione.

"nelle fatiche mangerai essa per tutti i giorni della tua vita..."

Abbiamo già visto che la prima "vocazione" di Adamo, la ragione prima ( in senso temporale e non finale ), del suo essere posto in Eden era... "perché lavorasse e custodisse quello". Il primitivo operare dell'uomo sulla terra non conosce lo sforzo e la sofferenza del lavoro. E' semplice espressione del suo essere strutturalmente conforme a Dio, che sempre opera e mai cessa dall'operare. L'operare sulla terra per l'uomo significa creare realtà sempre nuove, ma, nel contempo, porta con sé la responsabilità del custodire il creato per non rovinarlo. Se l'operare è garantito semplicemente da un essere che è conforme a Dio e non comporta sforzo alcuno, il custodire presuppone l'obbedienza alla Parola di Dio. L'uomo non può operare sul creato, senza al contempo custodire il creato, e non può custodirlo in sé e per sé, ma solo in Dio e per Dio, obbedendo alla Sua volontà. La primitiva "fatica" di Adamo non è nel semplice operare sulla terra, ma nell'operare in Dio e in vista di Dio. La disobbedienza non solo gli toglie la possibilità di vedere Dio e vanifica ogni fatica in questa direzione, ma trasferisce ed allarga la sua fatica, da una dimensione puramente spirituale ad una dimensione che è anche materiale. Se prima era fatica operare per custodire, ora sarà fatica il solo operare, senza possibilità di custodire.
Adamo pensava che liberandosi dal custodire, si sarebbe liberato da ogni fatica: ora sperimenta oltre alla fatica ormai vana del custodire, anche la fatica dell'operare.
Oltre alla fatica spirituale in rapporto a Dio, ci sarà anche una fatica materiale in rapporto alla terra. Non solo: come è vanificato lo sforzo verso Dio, così sarà vanificato lo sforzo verso la terra. L'uomo riuscirà ancora, seppur malamente, a nutrirsi dalla terra, ma non riuscirà più a custodirla, come era nel disegno di Dio.

"nelle fatiche mangerai essa per tutti i giorni della tua vita..."

Il risultato della tua fatica operosa non porterà ad un accrescimento della bellezza e della ricchezza della terra, ma alla sua stessa distruzione. Non mangerai semplicemente e solamente dalla terra, ormai escluso dalla vita celeste, ma mangerai la terra stessa. Finirai per rovinare e distruggere, giorno dopo giorno, lo stesso creato, dopo che hai distrutto il rapporto con il tuo e suo Creatore. Adamo è ormai diventato un figlio disgraziato, che può solo "mangiare" i doni terreni avuti dal Padre, dopo che si è mangiato quelli spirituali. Non è più custode della terra, ma la causa della sua rovina, dopo essere stato la causa della propria rovina.

" 18 spine e triboli germinerà per te e mangerai le erbe della terra. Nel sudore del tuo volto ti nutrirai di pane..."

Alla violenza dell'uomo la terra contrappone la sua violenza. Non darà più spontaneamente il cibo ad Adamo, se non l'erba dei campi. Per avere i frutti della terra, l'uomo dovrà sottometterla a sé nella fatica e nel sudore.

"finché tu ritorni nella terra dalla quale sei stato tratto..."

L'uomo che è stato tratto dalla terra tornerà alla stessa terra che non è stato in grado di custodire. Non per sempre la terra subirà la violenza dell'uomo, ma solo per il tempo e nel tempo dell'uomo.

“perché polvere sei “

Adamo ormai è una realtà divisa e infranta, senza legamento alcuno: divisa da Dio e dalla Sua creazione, ma divisa anche in sé e per sé, e nel suo essere due in una sola carne.

"e nella polvere ritornerai".

L'uomo tornerà là donde è stato tratto: il corpo materiale tornerà alla terra informe, l'io individuale tornerà a Dio, ma ormai privo di quell'anima vivente, in cui Dio l'aveva posto e in cui aveva trovato la sua prima forma spirituale. Fu disciolto l'essere originale di Adamo, e questo fu la sua morte, ma non fu ridotto al nulla.
Dio non rinnega coloro che ha creato, come l'artefice che distrugge un'opera che gli è riuscita male, non toglie alle creature il loro essere ma il Proprio essere, e tutti i doni materiali e spirituali che vengono dal Suo amore. Cosa vuol dire allora morire in Eden? Significa perdere non solo un corpo materiale e un corpo spirituale ( l'anima vivente ), il rapporto con un proprio corpo che è materia e il rapporto con un proprio corpo che è spirito, ma anche il rapporto con la creazione tutta e con il Creatore. Cosa è rimasto di Adamo? Sulla terra la polvere informe dei corpi; in cielo l'io individuale disciolto, liberato dal rapporto con l'anima vivente.
La molteplicità degli io originali posti in un'unica anima, diventa ora una molteplicità di io individuali, aventi ognuno una propria anima, nata, originata dalla rovina dell’ anima primordiale. Dopo la caduta di Eden, l'uomo smarrisce la forma originaria  del proprio corpo materiale ed acquisisce, come singolo, una propria anima, diversa l'una all'altra, ma con una sola impronta e una sola natura, che è quella data dal peccato. Non più un’anima uguale per tutti, ma un’anima diversa per tutti, che rimane una solo nel suo essere contro Dio e fuori di Dio. Se pur peccano diversamente, le anime sono ugualmente peccatrici, perché nate da un solo peccato.
Per quel che riguarda il corpo materiale, non vi è alcun rapporto diretto, a livello individuale, tra  quello dell'essenza ( di Eden ) e quello dell'esistenza, se non il rapporto generico tra l'essere originario e l'essere decaduto. La continuità è data solo dall'Amore di Dio, che dona ad ognuno un corpo materiale, non in funzione del passato, ma della redenzione futura. E può far questo perché del corpo materiale di ognuno di noi non ha lasciato nulla, se non la materia informe.
Per quel che riguarda l'anima il discorso è diverso. Se, all'origine, la molteplicità degli io confluisce in un'unica anima, dopo il peccato la dissoluzione dell'unica anima darà origine a tante anime diverse, quanti sono gli io individuali, qualitativamente omogenee l'una all'altra, in quanto nate dall'unico peccato, ma che pur tuttavia si rapportano a Dio in modo diverso, a livello dell'individuo e non più del genere. Se il peccato d'origine ci toglie  il rapporto con il nostro primitivo corpo materiale, ci pone,  tuttavia, a livello spirituale,  proprio in rapporto con quell'anima che è nata dalla dissoluzione dell'unica anima.
Vi è rottura netta con il nostro corpo, ma vi è una continuità, nella rottura, con la propria anima. Ognuno, in definitiva, nasce con quell'anima che ha voluto avere dopo il peccato. Ma come è possibile tutto questo?
Abbiamo detto che in Eden eravamo tanti io individuali, uniti e legati in un'unica anima: un cuor solo e una sola volontà: come tanti anelli di un'unica catena, che non possono muoversi indipendentemente l'uno dall'altro.
Il peccato d'origine ha spezzato l'unità della catena, che è l'unità del genere, e ha creato tanti individui con una volontà propria e diversa l'una dall'altra. Tutti siamo stati complici dell'unica colpa e dell'unico delitto. Allorché il delitto non è ancora stato consumato, se non a livello della volontà, non può risaltare in modo chiaro e definito la responsabilità e l'animo dei singoli individui. Ma allorché il peccato è consumato, ecco che ogni individuo reagisce in maniera diversa di fronte all'unica colpa. Alla dissociazione dell'unica anima segue una diversa dissociazione delle singole anime, sia nei confronti di Dio, sia nei confronti del prossimo. Ed è proprio il modo in cui ci siamo atteggiati individualmente al peccato di Eden che svela il nostro peccato e imprime una forma al nostro io individuale.
Tutti siamo stati ugualmente complici e colpevoli dell'unico peccato, nessuno si è pentito tanto da meritare il perdono di Dio; tutti abbiamo indurito il nostro cuore, ma in modo diverso. Se tutti nasciamo nemici di Dio, ognuno nasce diversamente indurito di fronte alla Parola di Dio. La nostra esistenza si ricollega esattamente al punto di rottura con la nostra essenza. La continuità tra l'essenza e l'esistenza non va cercata nel corpo, ma solo ed esclusivamente nell'anima e nell'animo.
Se può essere chiaro dove e come è finito il nostro corpo materiale, non altrettanto si può dire dell'anima. Non è caduta nel nulla, perché altrimenti non ci sarebbe esistenza, né si può dire semplicemente che sia tornata a Dio nel suo stadio progettuale, dal momento che ha già assunto la forma del peccato e nasce all'esistenza con la forma del proprio peccato. Se ha perso il suo spazio materiale e il suo spazio spirituale ha conservato tuttavia il suo fondamento, ovvero è stata conservata da Dio in Sé e per Sé. Con la morte di Eden l'anima perde la coscienza del proprio essere, ma non la forma del proprio essere. Non vi è consapevolezza o coscienza dell'io, se non in rapporto ad un Tu. Non basta essere fondati in Dio per essere coscienti, bisogna anche essere a Lui relazionati. Iddio ci ha tolto ogni rapporto con Lui, con il Suo creato e la sue creature. Quale coscienza poteva mai sopravvivere? Neppure una coscienza semplicemente animale, perché questa non è tale se non per e nel rapporto con la terra. Questo stato di incoscienza non ha né un suo tempo, né un suo spazio, se non il tempo che vuole Dio e lo spazio che è solo in Dio. Ma allorché Dio crea lo spazio e il tempo della nostra esistenza, noi ci ritroviamo bensì in un tempo e in uno spazio diversi, ma con la stessa anima di prima. Ciò ben s’intende riguardo ad una dimensione spirituale dell’anima che è solo in rapporto a Dio e che non può essere identificata con la psiche che è solo in rapporto al creato ed alla materia.
Allorché siamo riportati all'esistenza, riceviamo un corpo nuovo e una nuova psiche, non in funzione del passato, ma della redenzione futura.
Di vecchio c'è soltanto l'anima intesa come spirito: l’io o coscienza originale   che è tale in virtù di quell’alito dello Spirito divino che ancora porta con sé, seppur in una forma corrotta. Per quel che riguarda la forma dell’anima ( intesa come psiche ) così come ci è data nell’esistenza, ci sembra che non sia una semplice eredità del passato, ma che venga rifatta da Dio in vista della redenzione che è in Cristo. Né possiamo collegare la sua esistenza a livello individuale, seguendo le vie dell'ereditarietà fisiologica e psicologica. Gesù definisce infondata una simile convinzione:
"Rabbi chi ha peccato lui o i suoi genitori per essere nato così? ... Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio"( Gv 9,2-3 )  La nostra esistenza individuale  va rapportata unicamente ad un diverso intervento di Dio nella storia di ognuno di noi, in vista di un'unica salvezza. La caduta è avvenuta nella categorie e secondo le categorie del genere, e non secondo quelle dell'individuo. Tutti abbiamo peccato e siamo privi della gloria di Dio.
Il peccato di Adamo fu contro lo Spirito di Dio, non contro la propria carne o contro la propria psiche. Perso lo Spirito di Dio, l'uomo perse anche la carne e la psiche avuti dal Signore e gli rimase solo il frutto del peccato. L'anima o animo dell'uomo è stato partorito dal peccato e può partorire solo il peccato; ma se in Eden si rapportava a Dio a livello del genere, ora si rapporta a Lui a livello di individuo, con una volontà e una responsabilità propria, che escludono un intervento di Dio, che non sia secondo le categorie del nostro essere individui e per il nostro essere individui.
Ma allora, in definitiva, che cosa rimane dell'io originale? Perduta la forma del corpo, perduta la forma dell'anima o psiche, rimane una forma o condizione o situazione spirituale voluta da Adamo e da lui creata con la propria disobbedienza. Proprio perché prodotta dalla volontà dell'uomo, che vuol rendersi autonomo rispetto al suo fondamento, questa forma ha una propria volontà che non s'incontra più con quella di Dio: non vuole e non ama la volontà di Dio, vuole e ama la propria volontà. L'amore di Dio vuol ricondurre a sé questa dimensione spirituale originata e deviata: originata dalla rapina del dono di Dio, deviata dal peccato dell'uomo, che vuol essere come Dio, senza lasciarsi guidare da Dio. La primitiva forma del nostro corpo e della nostra anima ( psiche ) ci hanno portato fuori strada: ora Dio sceglie una via diversa, che non dà rilevante importanza alla forma della nostra anima e del nostro corpo, ma solo alla forma del Suo intervento e alla potenza del Suo dono. E questa è l'opera di Cristo.
Il linguaggio della croce, Cristo crocifisso: sono una stoltezza per l'uomo che crede nella propria anima razionale e confida nella propria carne. Un corpo e un'anima massimamente potenti in Eden hanno ridotto all'impotenza lo Spirito di Dio. Con la venuta di Cristo la potenza dello Spirito Santo è tanto più potente quanto più impotenti sono il corpo e l'anima dell'uomo. In Cristo lo spirito dell'uomo ritrova la potenza dello Spirito di Dio. Ma qual è la prerogativa, la caratteristica principale dello Spirito? La Volontà : la Volontà è Amore, o desiderio di volere se stesso nell'Altro, come l'Altro, per l'Altro.
Perduto lo Spirito di Dio, ci ritroviamo con uno spirito che ha bensì una propria volontà, ma    non più l'Amore di Dio: una volontà che ha una sua potenza, ma non più la potenza che dà la Vita e mantiene nella Vita. Certo l'uomo può e vuole ancora: ma non vuole più la  volontà di Dio, e non può più con la Sua potenza. Non solo: la sua volontà non è conforme alla sua stessa potenza. Anche quando vorrebbe fare il bene non riesce a farlo. Una volontà dissociata dallo Spirito Santo porta con sé una potenza dissociata, non solo dal Figlio, ma anche in sé e per sé.
"Chi mi libererà dal corpo di questa morte? Grazie a Dio per Gesù Cristo Signore nostro". ( Rom. 7,24-25 )
Dobbiamo aprirci al dono di Dio e non confidare nell'uomo e nelle sue facoltà o forze. Dobbiamo, innanzitutto, guardare a Cristo, conoscere e sperimentare chi è Lui e smetterla di rincorrere l'uomo in una “autolatria” che è idolatria. Anche il culto dei santi è idolatria se non mette innanzitutto in risalto la grazia e la potenza di Dio, che opera nella povertà e nella miseria morale dell'uomo. E' vero che molti comprendono la vanità della forma del corpo, molti di meno la vanità della forma dell'anima. Persa la superbia che è culto della bellezza fisica, permane la superbia che è culto dell'intelligenza, delle capacità discorsive, della cultura. Certo la vita è anche questo ed è un dono di Dio, ma non è soprattutto questo. Prima degli attributi dell'anima vi sono gli attributi o l'attributo dello spirito, che è prima ed indipendentemente dall'anima ed è tutto ciò che rimane dell'io originale.
L'io originale è innanzitutto cosciente di sé in quanto rapportato allo Spirito di Dio e non alla propria anima e al proprio corpo. Il rapporto con l'anima e con il corpo fa dell'io originale in io complesso, di conseguenza più complesso è il rapporto con Dio. Un io più complesso non comporta di per sé, necessariamente, una maggiore ricchezza spirituale. Noi abbiamo bisogno, innanzitutto, dello Spirito di Dio e di aprirci al Suo dono, di essere da Lui vivificati.
"Gli ultimi saranno i primi e i primi gli ultimi" : nessuno è escluso dalla salvezza. Non esistono privilegi o privilegiati per doni di cui sono rivestiti il corpo e l'anima, se non per  la miopia dell'intelligenza umana che non comprende le cose dello Spirito.
"Io non conosco più nessuno secondo la carne, neppure Cristo", scriveva S. Paolo: Cristo non si comprende, se non nello Spirito e in virtù dello Spirito.
Conoscere Cristo significa fare esperienza di Cristo, e non è necessariamente una esperienza di tipo logico: comprenderLo significa prenderLo con sé, non innanzitutto secondo le categorie dell'anima umana, ma di un io aperto al dono del Suo Spirito. Né vale rifugiarsi in un misticismo che è solo ed esclusivamente cuore, nel rifiuto di qualsiasi razionalità e nella chiusura ad ogni confronto con la Ragiono rivelata.
Chi può comprendere le ragioni dell'Amore, se non lo Spirito di Dio? La razionalità dell'uomo non può essere la misura del proprio cuore. La misura la fa e la dà Dio per ogni uomo, nel rispetto della diversità dell'anima, in rapporto al dono del Suo Spirito. Il cuore dell'uomo non può identificarsi con gli stati dell'animo, con i suoi sentimenti, emozioni: più che di cuore dovremmo parlare ancora di anima e di suoi attributi. Meglio dubitare e diffidare di un certo misticismo!
L'amore a Dio è prima del nostro sentimento, e non può identificarsi con esso: è obbedienza alla Sua volontà, spoglia di qualsiasi attributo. Per obbedire alla volontà di Dio, a volte bisogna rompere con ciò che passa per il nostro cuore, anche quando ci appare così buono, così giusto e santo.
A nulla vale un cuore che rifiuta qualsiasi ragione: meglio un cuore che si lascia rinnovare dalla Parola di Dio e dalle Sue ragioni. E neppure ha valore una razionalità che giudica il cuore: giova, innanzitutto, una ragione che si lascia giudicare dall'Unica ragione. Vi è una razionalità che vuol salire a Dio senza cuore, vi è un cuore che vuol salire a Dio senza razionalità: meglio l'uomo che sale a Dio con il proprio cuore e la propria ragione, per essere da Lui vivificato ed illuminato.
C'è chi manca di fede perché crede nella propria ragione, e chi manca di fede perché crede nel proprio cuore. La nostra vita é come un circolo vizioso in cui rincorriamo continuamente noi stessi, seppur in modo diverso. Soltanto la Parola di Dio può svelare e spezzare la falsità di ogni progresso umano, per indicarci la via della salvezza. E la Parola di Dio ci dice prima di tutto che siamo malvagi, non semplicemente perché facciamo il male, ma perché nasciamo dal peccato e col peccato. Tutti abbiamo peccato e tutti siamo privi della gloria di Dio. Ma allora come interpretare la nostra conoscenza del bene? Non si può pensare o ammettere che si tratti di un residuo di Eden, di qualcosa di buono che è rimasto nel nostro essere, e che va, pertanto, valorizzato, potenziato, coltivato come un bene che l'uomo conserva in proprio, strutturale al proprio essere? Invece di dire che l'uomo è malvagio, pur conoscendo anche il bene, non potremmo dire che è buono pur facendo il male? Non esiste in noi un bene che appare come innato alla nostra coscienza? Donde ci viene allora questo bene?
E' nota la teoria di Platone che attribuiva all'anima una qualche memoria della vita passata. Se noi abbiamo la nozione del bene e del bello, è solo perché nella vita precedente abbiamo conosciuto o sperimentato il bene e il bello. Tale nozione passa nell'anima da un'esistenza all'altra per le vie della memoria. Ma possiamo noi attribuire all'anima dell'esistenza un qualche ricordo dell'essenza e della vita in Eden?
La memoria dell'esistenza nasce e si struttura nell'esistenza, e non può ricordare un passato che le appartiene come semplice forma da lui derivata e strutturata. Non si può comprendere la vita dell'esistenza, rapportandola in sé e per sé alla sua dimensione e al suo tempo essenziali. Tra la nostra esistenza e la nostra essenza non c'è un rapporto diretto che non passi attraverso Dio e il Suo intervento.

" 20 E chiamo' Adamo il nome della sua moglie Eva, perché era madre di tutti i viventi".

Quanta superbia e quanta cecità in Adamo! Smarrita la vita di Dio, invece di cercare la Vita perduta continua a credere alla bontà del proprio essere a tal punto da chiamare Eva madre di tutti i viventi. Ma di chi era madre, se non aveva ancora generato e di quali viventi, se il Signore ha appena detto all'uomo che "polvere sei e in polvere ritornerai"? A chi giova la Parola di Dio, se l'uomo non ascolta e non vuole comprendere, per non vedere il proprio peccato?
L'esistenza non si può rapportare all'essenza seguendo le vie dell'uomo, ma quelle di Dio, perché è Dio e non l'uomo il tramite, il legame tra la nostra essenza e la nostra esistenza. Nonostante il peccato originale, Dio non ci ha ancora cacciato fuori dal Suo fondamento: al contrario ci ha mantenuto nel Suo fondamento per riportarci alla Sua vita, in virtù di Cristo. Ma per fare questo, allorché ci fa entrare nell'esistenza, deve rivestire in modo nuovo e diverso la nostra malvagità.
Come potremmo ricercare Dio, se non avessimo più alcuna nozione del bene?

"21 Fece anche il Signore Dio ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle e li vestì e disse..."

Questo abito nuovo non toglie la nudità dell'uomo, ma la copre e la pone a  confronto con una vita diversa, rivestita dal dono di Dio. Lo spirito dell'uomo è diventato malvagio: conosce soltanto ciò che è male agli occhi di Dio, vuole una vita da se stesso generata e partorita, ciononostante il Signore lo riveste di una conoscenza del bene, che è dono gratuito e non dovuto del Suo amore.
La conoscenza del bene e la conoscenza del male sono strutturali al nostro essere,  ma in modo diverso: la conoscenza del male ci appartiene in proprio, per derivazione diretta dal nostro peccato; la conoscenza del bene è una struttura non semplicemente derivata, ma donata. Non manifesta innanzitutto il nostro essere, ma l'amore di Dio, che viene incontro, tende una mano al nostro essere decaduto.
La questione non è affatto oziosa e di poco conto. Non si può ammettere che l'anima che entra nell'esistenza rimanga, di per sé, buona com’era nell'essenza, e divenga malvagia solo in rapporto ad una creazione in cui è entrato il male.
Il male è innanzitutto nell'uomo e a causa dell'uomo: il male che trova nella sua esistenza è un male da lui stesso creato e originato. La conoscenza del bene e del male non si pone affatto in un'anima buona che è però esposta alla possibilità del male, al contrario si pone in un'anima malvagia, in cui Dio crea una possibilità di bene, perché l'uomo possa desiderare la fonte del Bene. Se Dio non ci avesse la sciato una qualche nozione o idea di bene sarebbe impossibile una qualsiasi ricerca in questo senso. Il male è esperienza in atto, il bene è una semplice impronta che Dio ha sovrapposto alla primitiva impronta creata dall'uomo con il suo peccato.
L'uomo non può porre alcun rimedio alla propria malvagità. Può soltanto coprirla in modo fragile e artificioso, come ha fatto Adamo con le foglie di fico. Ma in questo caso il rimedio è stato peggiore del male. Non ha riportato l'uomo a Dio, nella confessione della propria colpa, ma lo ha fatto fuggire lontano dal suo Dio, nel nascondimento di ogni colpa. Adamo non ha allungato la sua mano al Signore, per essere risollevato, e allora Iddio lo ha preso di peso come si fa con un bambino recalcitrante, che non vuole sentire ragioni e lo ha rivestito in modo nuovo, per coprire le sozzure create dalla caduta. Non ha potuto togliergli il peccato ( Adamo non ha voluto ), né l'abito di foglie, ma ha rivestito la sua anima nuda: ultima testimonianza del Suo amore in Eden, primo dono dello stesso Amore nella nostra esistenza. Noi nasciamo con un animo malvagio, rivestito dalla bontà del Signore.

"Ecco Adamo e' diventato come se fosse uno di noi, conoscente il bene e il male".

Ciò che Iddio non voleva ormai è un dato di fatto. Adamo è diventato una creatura autonoma, padrona della propria vita: nell'illusione di essere come Dio, si comporta nei confronti di Dio come se fosse lui stesso un Dio. Crede di avere coscienza o consapevolezza del bene e del male, in quanto ne ha una conoscenza: ma è una conoscenza chiusa in se stessa, che rifiuta il confronto con Dio e che gli deriva, semplicemente, dall'esperienza della vita, non dalla conoscenza dell'Autore della vita.
Dio conosce il bene come ciò che gli appartiene in proprio, il male semplicemente come l'altro da sé. Al contrario l'uomo conosce il bene come l'altro da sé, il dono di Dio, e il male come ciò che gli appartiene in proprio.
E' soltanto in virtù di un inganno che la coscienza dell'uomo si fa coscienza di Dio: vede il bene come ciò che le appartiene in proprio, il male come l'altro da sé, quasi un accidente della sua vita. La pelliccia di cui Dio l'ha rivestita diventa come la sua stessa pelle o volontà su cui si sovrappone un male del tutto occasionale: un male fragile e inconsistente facilmente rimovibile.  Non un'anima malvagia rivestita di bene, ma un'anima buona, fragilmente rivestita di male. Non si sa per quale volontà.

"Ora dunque perché non accada che metta la sua mano e prenda anche dal legno della vita e mangi e viva in eterno; 23 lo mise fuori il Signore Dio dal giardino del piacere. perché lavorasse la terra dalla quale fu tratto".

Il racconto di Genesi evidenzia una continuità senza interruzione di sorta nella vita di Adamo. Vi è interruzione di un certo rapporto con Dio e col creato, ma Adamo passa direttamente dalla vita di Eden, a quella fuori di Eden. Tutto questo è detto sotto la veste dell'immagine, per significare che la nostra esistenza si collega alla nostra essenza a livello individuale e non semplicemente del genere. Dal genere umano è venuto il peccato, dal peccato il nostro essere individuale, e dal nostro essere come individui comincia la nostra esistenza. Certo nasciamo e deriviamo tutti dall'unico peccato, ma con una vita individuale che si ricollega direttamente al nostro io originale. In realtà Adamo morì allorché cacciato da Eden, e non allorché fu fuori da Eden.
L'Adamo che entra nell'esistenza non è più il genere umano, ma il singolo individuo.
Se prima Adamo era figura del genere umano, ora è semplicemente uno dei tanti uomini, seppur il primo uomo. Ma a questo punto poca importa se l'esistenza umana comincia con un solo uomo o con più uomini, perché ogni uomo porta la propria individualità, seppur contemporaneo ad altri uomini. E non ha senso chiedersi come sia conciliabile il racconto biblico con le moderne teorie dell'evoluzione. Morto Adamo perì anche il suo mondo. La terra fu creata per l'uomo e in vista dell'uomo: il primitivo universo non poteva sopravvivere alla morte del suo destinatario.
Tutto il processo della creazione è ricominciato da capo, perfino a livello progettuale, secondo le categorie dell'esistenza , per il peccato dell'uomo e in vista della sua redenzione. Come Dio ricrea l'uomo, per quel che riguarda il corpo e l'anima, così pure ricrea l'universo, non con l'uomo, ma prima dell'uomo. Qualunque sia la storia di questo mondo, poco importa: certo non è la continuazione dell'altro, ma comincia con la fine dell'altro. Nel primo mondo le categorie dominanti sono uno spazio finito aperto all'infinito e un tempo limitato aperto all'eternità. Il primo mondo non conosce il peccato, il secondo nasce dal peccato e per il peccato dell'uomo. La continuità è solo nell'amore di Dio, che ricrea l'universo e l'uomo per ricreare lo spirito dell'uomo.
Il Signore fu costretto a togliere ad Adamo la sua vita e a far perire il suo mondo, per liberarlo dall'illusione di essere come Dio e di poter cogliere da se stesso e in virtù di se stesso la vita eterna.
"Perché non accada che metta la sua mano e prenda anche dal legno della vita e mangi e viva in eterno..."
Come Adamo aveva allungato le mani sulla vita avuta da Dio, così poteva allungare le mani anche sul legno della vita e rovinare anche ciò che ancora non aveva toccato: avrebbe raggiunto subito la sua dimensione eterna: non la vita eterna, ma la vita che dura in eterno e che è un eterno morire, come già il Satana. Qualsiasi tentativo di autoredenzione e di autoriscatto sarebbe stato vano e dannoso: gli avrebbe tolto l'unica possibilità di redenzione e di riscatto che è nel Figlio. La salvezza è rimandata ad un'altra vita e all'opera di un Altro.
"Lo mise fuori il Signore Dio dal giardino del piacere, perché lavorasse la terra dalla quale fu tratto". Adamo rifiutò di servire il Signore e si ritrovò servo di quella terra che prima era al suo servizio. Non può più operare per la vita eterna in senso spirituale, può solo faticare su quella terra dalla quale era stato tratto, per servire una vita , che nata dalla terra per salire al cielo, ricade tristemente nella terra. In apparenza tutto perduto, ma ecco spuntare e apparire le radici della speranza.

" 24 E caccio' Adamo e collocò davanti al giardino del piacere dei cherubini e la spada fiammeggiante e roteante per custodire la via del legno della vita".

Non è perduta per sempre la vita che era in Eden: Iddio non rinuncia al suo progetto d'amore: gli angeli ne sono i custodi e i testimoni. Il giardino di Eden viene tolto dalle mani di Adamo e messo nelle mani degli angeli, perché lo custodiscano, non per sé, ma per l'uomo nuovo che è in Cristo. Ogni promessa vuole i suoi testimoni.
Vi è una testimonianza che opera nascosta nel cuore dell'uomo, custodita dagli angeli: ci dice che non è perduta la vita eterna. Ma vi è anche una testimonianza che splende luminosa nelle tenebre del peccato e che è data agli uomini in modo chiaro, visibile: la spada fiammeggiante e roteante, che forma come una corona di fuoco intorno al legno della vita. Se da un lato ci dice l'impossibilità di attingere da soli alla Vita, senza essere "bruciati", dall'altro lato tiene viva la promessa e la speranza della redenzione che è in Cristo Gesù. Nessun Padre custodisce i doni destinati ai figli, soltanto per impedire loro di rovinarli, ma in attesa che i figli siano cresciuti e in grado di riceverli. Li mette in luogo sicuro e inaccessibile, ma in modo ben visibile, perché i figli non dimentichino il Suo amore e la Sua promessa e non perdano la speranza. Quale miglior custodia della Sua Parola?
E' nella Parola, con la Parola, per la Parola che Iddio custodisce il Suo dono e prepara i nostri cuori a riceverLo. E non è la Parola chiusa nell'interiorità del nostro io, ma è la Parola che viene data ad Israele e splende nelle tenebre dei popoli, perché tutti gli uomini corrano alla Sua luce.
Beato l'uomo che ogni giorno si lascia illuminare dalla Parola e cerca di avvicinarsi a Colui che Essa e solo Essa custodisce. Non sarà deluso il suo cuore, ma passerà di dono in dono, di grazia in grazia, finche' gli sarà dato di cogliere il frutto del legno della vita. Infelice l'uomo che si chiude in se stesso, nella presunzione di poter attingere la vita da una coscienza ormai segnata dal peccato: potrà conoscere e sperimentare soltanto le ambiguità e le contraddizioni del proprio essere.
"Conosci te stesso", diceva Socrate, cercando in te stesso; noi diremo: "Conosci il Signore”, cercandolo nella Sua Parola, così da esserne illuminato e vivificato.
E' la Parola la luce che illumina il mondo e prepara i cuori ad accogliere Colui che è unico dispensatore di ogni bene e di ogni grazia: Non c'è salvezza, se non nel nostro Dio. Non c'è Verità, se non nella Parola che è stata data ad Israele e in Israele a tutte le genti.