Delle piaghe della Chiesa -parte1

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Delle piaghe della Chiesa – parte prima
Il titolo potrebbe apparire provocatorio, e manifestare già di per sé una volontà di polemica cruda e violenta nei confronti della Chiesa. Polemica che non dovrebbe risparmiare nessuno di coloro che in cuor loro, per motivate ragioni, ancora si sentono e ancora vogliono essere cattolici.  Nonostante tutto e tutti, la Chiesa è ancor oggi una presenza viva, che nella voce del sommo pastore voluto ed accreditato dal Cristo, dice la Parola che è verità. In un tempo di accesa polemica, che vede posizioni nettamente contrapposte tra i lodatori del tempo passato e coloro che inneggiano alla necessità di un totale e radicale cambiamento, già in atto dopo il Concilio Vaticano II, abbiamo voluto metterci di mezzo anche noi, con la presunzione che si possa portare gli animi e le menti a più solide e fondate considerazioni. Non a caso il titolo che abbiamo dato a questa nostra breve dissertazione chiama in causa un’opera che nel secolo passato ha suscitato vasto interesse. Il riferimento è ovviamente allo scritto “ Delle cinque piaghe della Chiesa” di Antonio Rosmini. Dopo una prima interdizione da parte dell’autorità ecclesiastica è seguito un tempo di riflessione e di attenta valutazione di una critica, in cui non c’è ombra di astio o volontà di demolizione, ma ogni parola è attentamente valutata e soppesata, dettata da un cuore sinceramente innamorato della Chiesa, pienamente convinto che non c’è verità e salvezza fuori dai confini da essa tracciati. Siamo molto lontani dallo spirito di Lutero e dei Riformatori e di tutti coloro che ancor oggi pensano che il modo migliore per salvare la Chiesa sia quello di andare contro di essa per portarla a completa demolizione. In nome di chi o di che cosa? Di una luce superiore accreditata al singolo dal cielo che può far piazza pulita  di tutto quel prezioso deposito spirituale  custodito dalla Chiesa, che ha nome di Tradizione. Non vogliamo qui tirare  in ballo in modo acritico e prepotente, come la panacea di tutti i mali della Chiesa, il dogma dell’infallibilità del papa. Il discorso è più complesso di quanto si creda e nessuno vuole fare esente il papa o i papi prima di lui, da quei limiti e che sono propri di ogni uomo, figlio di Adamo. Il papa non porta nella Chiesa semplicemente e soltanto i propri limiti, ma innanzitutto è depositario e custode della Tradizione, che è l’anima e lo spirito per così dire perenne della Chiesa, in tutto il tempo della sua esistenza terrena. A memoria d’uomo nessun Papa in veste di Pietro ha mai rinnegato la Tradizione. Questo non significa che l’azione pastorale di tutti e di ognuno si possa collocare alla pari, senza riconoscere ispirazioni e lumi diversi e a volte scelte operative assai discutibili. Di qui a vedere in questo o quel papa l’Anticristo, molto ci passa. E non si può neppure pensare a tempi assolutamente aurei, contrapposti a tempi di tenebre e di errore di cui si deve cancellare lo stesso ricordo. Perché il Satana, da sempre fin dalle sue origini, insidia la Chiesa, dall’interno e dall’esterno, per creare confusione e perdizione. È indubbio che s’impone una seria riflessione sulla Chiesa, non per esaltare e per deprimere, ma perché la necessità di un continuo rinnovamento sia espletata, alla luce di un sereno giudizio e di una critica fondata, in carità e in verità. L’opera di Antonio Rosmini ha una sua fondamentale importanza per chi vuole ripercorrere a ritroso il cammino della chiesa nei due millenni della sua storia. Rosmini mette a nudo luci e ombre del passato, soprattutto vede la necessità di cambiamenti segnatamente marcati e decisi all’interno del clero cattolico dei propri tempi. La responsabilità di un affievolimento della fede, dell’abbandono della Parola di Dio e di una liturgia sentita e compartecipata da parte di tutti i fedeli, è da addebitarsi innanzi tutto al clero di ogni ordine e grado. Non è lecito addebitare ai vari papi un certo disastro spirituale. Viceversa è storicamente accertato che i  papi, che si sono succeduti nel tempo, sono stati capaci di scelte coraggiose, e che molto si sono prodigati per il bene della Chiesa. Ma quale aiuto è venuto loro dal clero e dai più stretti collaboratori? È fuori luogo tirare in ballo figure sinistre di pontefici, come si vuole debba essere un Alessandro VI. L’eccezione conferma la regola, cioè che i papi nonostante le grandi difficoltà incontrate, sono quelli che hanno salvato la Chiesa dall’inganno,  dall’errore e dalla completa demolizione. Se ancor oggi possiamo parlare di Chiesa, lo dobbiamo al Vescovo di Roma. Si potrebbe obiettare che la Chiesa sussiste  solo  in virtù del suo pastore celeste, ma è indubbio che il pastore che è nei cieli si è servito in terra di quell’unico pastore che è legittimato a rappresentarlo e ad operare in sua vece. Dove sono finiti e come sono finiti tutti quelli che non riconoscono l’autorità del Papa? E non stiamo parlando semplicemente di coloro che di fuori apertamente lo definiscono Anticristo, ma anche di tutti quelli che all’interno della stessa Chiesa considerano come un bene ed un valore, quasi  una scelta eroica, “una santa disobbedienza”. Torniamo al nostro Rosmini e riportiamo alcuni frammenti della sua opera che ben descrive la situazione della Chiesa ai suoi tempi.
Il quadro tracciato si può allargare al periodo anteriore che segue il Concilio di Trento. Nonostante il vigoroso tentativo di riportare ordine e chiarezza, in risposta alla Riforma protestante, sono rimasti antichi mali, sanati da una migliore definizione dogmatica, che tuttavia non ha inciso più di tanto sulla fede popolare, se non in modo del tutto formale ed inefficace per quel che riguarda una maggiore conoscenza della Parola di Dio e della Liturgia.
Per comprendere il senso della nostra fede in Cristo, s’impone innanzitutto un confronto con i primi tempi della Chiesa che è un riandare e un ritornare a quella fonte pura da cui è nata la comunità degli eletti .
“Onde era dunque quella segreta virtù per la quale avveniva che le parole apostoliche fossero più che mere parole, e perciò tanto si allontanassero da quelle dei maestri dell’umana sapienza? Onde derivava quella forza salvifica, che assaliva l’uomo fino dentro al recinto dell’anima, e ivi trionfava di lui? Quali opere singolari aggiungevano gli apostoli per salvare tutto l’uomo, la parte intellettiva e la parte affettiva, e sottomettere tutto il mondo ad una croce? Per conoscere queste opere, di cui ebbero comandamento di accompagnare il suono della loro voce i mandati dal Cristo, conviene richiamare il testo della missione che ricevettero. Che disse loro Gesù Cristo? “Andando, ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo”. Nessun savio umano aveva parlato mai in questa maniera ai suoi discepoli. In somigliante precetto è determinato ciò che gli apostoli dovevano fare sia relativamente alla parte passiva dell’uomo sia relativamente all’attività di cui egli era fornito. Poiché rispetto all’intelligenza, che è passiva in quanto ha per ufficio di ricevere la verità, veniva detto “ammaestrate tutte le genti”, e contemporaneamente era comandato di rigenerare la volontà, in cui tutta l’attività umana, anzi tutto l’uomo si contiene, dicendosi “battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”; istituendo così un sacramento, che è la porta di tutti gli altri, nella quale una occulta virtù ricreatrice del Dio Uno e Trino doveva operare il rinnovamento della terra, la rinascita della già estinta nel peccato ed eternamente perduta umanità. Furono dunque i sacramenti, e fra essi il massimo, cioè il sacramento che nasce dal sacrificio dell’agnello, il quale aveva detto prima di morire nel cibarli delle proprie carni: “Fate questo in mia commemorazione”, quei riti misteriosi, quelle opere potenti, onde gli apostoli riformarono il mondo intero. Erano anch’essi questi sacramenti altrettante parole, cioè segni, ma di quelle parole che non avevano avuto le scuole dei savi di Grecia: erano parole, ma di quelle che non ferivano solo gli orecchi materiali, né solo erudivano l’intelligenza, ma che rivelavano al cuore ravvivato dell’uomo, la immortale bellezza della verità, i reali i premi della virtù, e che svelavano Dio al sentimento, il Dio nascostosi per non essere contaminato dal tocco della impura umanità: erano parole finalmente e segni, ma parole e segni di Dio, parole che creavano un’anima nuova dentro l’antica, una nuova vita, dei nuovi cieli e una nuova terra. Insomma, ciò che gli apostoli aggiunsero alla loro predicazione, fu il culto cattolico, che nel sacrificio, nei sacramenti e nelle preghiere annesse principalmente consiste. Le dottrine che con la predicazione si diffondevano, erano altrettante teorie; ma la forza pratica, la forza di operare, nasceva dal culto, onde l’uomo doveva attingere la grazia dell’ Onnipotente…
Intanto, quando l’autore dell’uomo prese a riformarlo, non si appagò di annunciare all’intelligenza i precetti morali; ma diede anche alla sua volontà la forza pratica di eseguirli. E se questa forza la congiunse a certi riti esteriori, ciò fu per mostrare che egli la donava gratis all’uomo, e poteva aggiungere quelle condizioni che a lui bene piacessero; e se questi riti volle che fossero altrettanti sacramenti, cioè segni, ciò era perché  riuscissero accomodati alla natura dell’essere, per la cui salvezza venivano istituiti; alla quale essendo intelligente, conveniva che per mezzo appunto di segni e di parole si comunicasse la vita e la salvezza…
E gli apostoli e i loro successori, che ai pochi sacramenti istituiti da Cristo aggiunsero gli ornamenti di sante preghiere, di cerimonie, di segni esteriori e riti nobilissimi… seguirono in far ciò l’esempio dato loro dal maestro divino; cioè non introdussero cosa alcuna nel tempio priva di significato; e tutto doveva parlare, significare alte e divine verità. Poiché niente poteva essere muto e privo della luce del vero di quanto si faceva nelle sacre assemblee dove venivano ad adorare e pregare l’essere che irraggia le intelligenze delle creature che sono in grado di intendere… E queste cerimonie, questi sacramentali che la Chiesa, secondo la potestà ricevuta, aggiunge alla porzione di culto da Cristo istituita e che è fondamento di tutto il culto cattolico, non solo hanno significati loro propri come i sacramenti, ma partecipano altresì della forza vivificante di questi da cui, dalle sacre verità significate alla mente, discende al cuore, mediante la fede, una virtù confortatrice che riassume e rianima in esso la volontà del bene… Questo culto, al quale Dio aveva annessa la sua grazia, che doveva rendere gli uomini capaci di praticare le dottrine morali che venivano loro insegnate, non fu solamente uno spettacolo presentato agli occhi del popolo, dove il popolo non intervenisse che per vedere ciò che si faceva e non entrasse egli stesso come partecipe e attore in questa religiosa scena di culto. Anzi volle Dio che il popolo stesso nel tempio fosse  parte grande del culto; e che ora si esercitassero delle azioni sopra il popolo, come avviene quando si applicano a lui i sacramenti e le benedizioni ecclesiastiche; ora lo stesso popolo in unità di intelligenza non meno che di volontà con il clero, operasse con lo stesso clero, come in tutte le preghiere dove il popolo stesso prega, dove risponde ai saluti o agli inviti dei sacerdoti, dove rende la pace ricevuta, dove offre e dove interviene fino quale ministro di sacramento, come nel matrimonio. Insomma nella Chiesa cattolica il clero talora rappresenta Dio, e parla ed opera sopra il popolo a nome di Dio; e talora lo stesso clero si mescola col popolo e come appartenente al corpo dell’umanità congiunto col capo, parla a Dio, e da lui  attende l’ operazione misteriosa che lo risani moralmente e lo rinvigorisca. Cosicché il sublime culto della Santa Chiesa è uno solo, e risulta dal clero e dal popolo, che con ordinata concordia e secondo ragione fanno insieme, accordati in una sola e medesima operazione. Nella Chiesa tutti i fedeli, clero e popolo rappresentano e formano quella unità bellissima di cui ha parlato Cristo quando disse: “dove due o tre saranno congregati in mio nome, consenzienti fra loro in tutte le cose che domanderanno, qui io sarò in mezzo a loro… Perché siano perfettamente consenzienti, in quelle cose che domandano a Dio, coloro che si radunano a supplicarlo di ciò di cui hanno bisogno, è necessario, o almeno molto utile, che tutti comprendano quello che dicono nelle preghiere che innalzano in comune al trono dell’altissimo… È dunque necessario o almeno grandemente utile e conveniente che il popolo possa intendere le voci della Chiesa nel culto pubblico, che sia istruito di ciò che si dice e si fa nel santo sacrificio, nell’amministrazione dei sacramenti, e in tutte le funzioni ecclesiastiche. E perciò l’essere il popolo pressoché diviso e separato di intelligenza dalla Chiesa nel culto, è la prima delle piaghe aperte e diffuse che grondano vivo sangue nel mistico corpo di Gesù Cristo”.
Una prima considerazione: Per Rosmini non può esserci un futuro migliore per la Chiesa se non in un  ritorno al passato.. per un recupero della Parola di Dio così come è stata scritta e della  Tradizione così come istituita dai dodici apostoli. Siamo molto lontani non solo dallo storicismo moderno, che pretende un diverso e più illuminato rapporto con le Scritture, alla luce di un pensiero scientificamente fondato, ma anche da un tradizionalismo acritico che accetta in modo pacifico tutto ciò che la Chiesa ha creato e prodotto nel tempo, in nome di una tradizione che procede ininterrottamente dagli apostoli in poi, senza ripensamento alcuno, senza esame e confronto con ciò che è stato fin dalle origini. La Tradizione appartiene più propriamente alla Chiesa dei primi secoli: quella Chiesa che ha attinto in maniera autentica e fondata dall’insegnamento e dalle istituzioni create dagli apostoli. Procedendo nel tempo e marcatamente dopo l’anno mille, la Tradizione cede il posto ad un tradizionalismo assai poco illuminato, che ha le pretese della Verità, ma che sfugge il confronto con il primitivo edificio. Si cerca di ampliare la costruzione esistente a dismisura, uscendo dalle sue fondamenta. Peggio ancora si cerca di soppiantarla e di prevaricare rispetto ad essa in nome di una accresciuta luce, che vede sempre il presente come un progresso rispetto al passato. Un progresso più formale che sostanziale, più apparente che reale.
Quale è il quadro della prima Chiesa tracciato dal Rosmini, l’abbiamo letto.   Vi è una fondamentale unità di pensiero e di intenti dei primi cristiani, che di fatto e non solo a parole potevano dirsi un cuore solo ed un’anima sola.
Non si riconosceva ispirazione alcuna se non al Vangelo predicato dai Dodici apostoli. Non esistevano Parole rivelate dell’ultima ora, che si potessero aggiungere o semplicemente mettere accanto, per una migliore intelligenza e comprensione. Ogni falsità ed ogni deviazione rispetto all’unico annuncio del Vangelo accreditato dal Cristo erano bandite in modo chiaro e deciso. Vi è una sola Rivelazione e una sola Parola di Dio per tutti coloro che fanno parte della Chiesa cattolica. I riti della Chiesa devono la loro creazione agli stessi apostoli di Cristo. Nulla si deve  togliere, e nulla si deve aggiungere se non per una migliore intelligenza e ,in ogni caso e sempre, in modo conforme ed adeguato. Si consideri al riguardo la lotta contro gli scritti apocrifi, contro i riti e la dottrina del cosiddetto gnosticismo. Ci sia lecito aggiungere che nei primi secoli della Chiesa le apparizioni divine ( di Maria e di Cristo ) sono di numero molto limitato. Si moltiplicano a dismisura dopo l’anno mille e segnatamente negli ultimi tempi. Sono prodotto di una cultura religiosa, assai povera per quel che riguarda la conoscenza della Parola di Dio.
Preoccupazione prima degli Apostoli non fu quella di far numero, dando priorità assoluta ed incondizionata al battesimo, per riempire le chiese. La fede ha contenuti ben delineati e definiti e riferimenti storici certi e sicuri, che bisogna conoscere, in maniera chiara ed approfondita. Non basta credere in Cristo e nella Rivelazione, bisogna credere in quel Cristo che si è storicamente manifestato e nella Rivelazione quale data al popolo eletto e da esso fedelmente custodita e tramandata. Non ci può essere annuncio del Vangelo senza adeguata spiegazione ed interpretazione, alla luce di quanto è avvenuto prima ( Antico Testamento ) e dopo ( Nuovo Testamento ) fino all’evento centrale della salvezza che è la morte e risurrezione di Gesù.  Compito prioritario degli Apostoli è quello di ammaestrare: soltanto chi è ammaestrato può ricevere il battesimo.
Nessuno crede e nessuno spera in ciò e in Colui che non conosce. Se non è data all’intelligenza una luce che è conoscenza del mistero che sta sotto il velo della Parola, quale importanza si può dare al culto che è coronamento e perfezionamento di ciò che è annunciato in virtù della Parola?
Preme a Rosmini sottolineare  non tanto un insegnamento inadeguato e non sufficientemente illuminato riguardo alla Parola: non entra in merito ad una corretta esegesi dei testi sacri. Il problema è a monte ed è ancora più grave: il clero non annuncia più il Vangelo e non dà più istruzione alcuna, né per quel che riguarda la Parola, né per quel che riguarda i segni santificanti voluti dal Cristo stesso, come veicolo di grazia e come vincolo tra il Creatore e le sue creature. Se consideriamo la Messa come il momento culminante della comunione in Cristo e con Cristo, quale semplice fedele ne conosce l’importanza ed il significato?
Si legge la Parola. È vero. Ma chi la comprende quando il latino non è più da tempo lingua parlata? E quale spiegazione ne viene data? Quella che attinge alla sapienza di cui è custode e portatrice la Tradizione, o quella di predicatori impreparati ed improvvisati, ignoranti riguardo alle Scritture, ancora più ignoranti riguardo alla spiegazione ed alla interpretazione dei Padri, fatta propria dalla Chiesa, come suo carattere distintivo, come sigillo e perla preziosa di cui si ammanta nei secoli? La predicazione ha per lo più carattere parenetico, esortativo, moraleggiante, non va oltre il semplice aneddoto, non conosce trasmissione alcuna di quella potenza di Dio che la Parola porta con sé. Perché nelle orazioni domenicali di tutto si parla, all’infuori della Parola che è verità. È vero che la Parola di Dio ha una sua potenza anche quando è semplicemente proclamata. Ma non è potenza magica, è potenza che chiede adesione dell’intelligenza, mediante un’adeguata conoscenza, ed adesione del cuore mediante una preghiera illuminata dallo Spirito Santo.
Descrivendo la chiesa primitiva, Rosmini dà particolare risalto ed importanza al rapporto che lega il clero al semplice fedele. Se chi  presiede alla santa messa e alle celebrazioni porta un titolo diverso, non diverso è il suo rapporto rispetto alla Parola di Dio , ai sacramenti e ai sacri riti.
È fatta salva la buona fede degli umili e dei semplici, che nonostante l’ignoranza, che è mancata e non rifiutata istruzione, sono pur sempre accetti a Dio. Va tuttavia rimarcato che l’ignoranza non è un bene, ma un male che va rimosso, conforme al comando del Signore, che nella sua Chiesa ha voluto maestri e dottori, innanzitutto fra il clero.
“Con questo discorso, io non voglio dire, che se un cristiano, senza sua colpa, ignora il significato dei riti della Chiesa e va privo di chiara intelligenza riguardo quanto si dice e si fa nell’esercizio del pubblico culto, egli non possa pregare santamente, non possa innalzare a Dio preghiere accettevoli. So troppo bene che lo spirito, come dice San Paolo, aiuta la nostra infermità. Poiché, soggiunge, noi non sappiamo che cosa domandare come si conviene; ma lo stesso Spirito domanda per noi con gemiti inenarrabili, e colui che scruta i cuori, sa che cosa desideri lo Spirito; poiché egli domanda secondo Dio per i santi. Non ignoro che la voce dei semplici e degli ignoranti stessi penetra i cieli se è mossa dal divino spirito. Povera umanità se così non fosse! Ma intendo soltanto affermare che dopo che Gesù Cristo e la Chiesa ha istituito il culto divino in così fatto modo, che questo sia composto di parole e di segni significativi con i quali si parla alla plebe cristiana, e questa o risponde o vi ha una parte attiva anch’essa, e gli par consentaneo, e conforme alle intenzioni di Cristo e della Chiesa che il popolo in generale parlando, vi assista ed adempia la funzione che gli è assegnata, con intelligenza, quanto più sia possibile: come pure che dove questo avvenga, il popolo prende un gusto e un diletto spirituale maggiore delle sacre funzioni, si infervora il suo cuore, acquista maggiore stima, riverenza e devozione agli esercizi della pietà cristiana, e soprattutto si lega alla clero di cui meglio conosce la dignità; e quindi la carità si diffonde soavemente tra clero e popolo, e tra i fedeli che compongono il popolo, per l’unanimità degli affetti santi e dei religiosi sentimenti, per una comunicazione spirituale, per cui tutti si sentono efficacemente uniti in un cuore solo, in un’anima sola, come una sola famiglia di cui è padre Dio.
Più ragioni vi ebbero di una così dolorosa e infausta divisione; ma due sembrano essere state le principali. Nei simboli istituiti da Cristo e nei riti aggiunti dalla Chiesa, viene espressa e quasi effigiata tutta la dottrina sia appartenente al dogma o alla morale del Vangelo in una lingua comune a tutte le nazioni, cioè nella lingua dei segni che mettono sott’occhio le verità in rappresentazioni visibili. Ma questa quasi lingua naturale e universale ha bisogno, per essere appieno intesa, che quegli a cui è diretta abbia prima in sé medesimo la conoscenza della verità, il cui ricordo si vuole con essa suscitare nell’animo suo. E perciò il popolo cristiano tanto meno  intende e prende degli altri sensi che esprime il culto cristiano, quanto meno istruito con la evangelica predicazione. Per questo Cristo volle che alle azioni del culto precedesse l’ insegnamento della verità; e prima di dire “battezzate le nazioni”, disse agli apostoli suoi “ammaestratele” . La scarsezza dunque di una vitale e piena istruzione data alla plebe cristiana (alla quale nuoce il pregiudizio gentilesco messosi in molti, che giovi tenerla in una mezza ignoranza, o che non sia atta alle più sublimi verità della cristiana fede), è la prima ragione di quel muro di divisione che si innalza fra lei e i ministri della Chiesa”.
A questo punto del discorso, Rosmini ha come una battuta d’arresto. Come insinuare una mancanza d’istruzione da parte del clero, quando in tutta la Chiesa abbondano catechismi, finemente elaborati nel tempo, con ogni intelligenza e diligenza, da esperti dottori e savi maestri?
Non vi è stato forse un progresso nella definizione dei dogmi e delle verità di fede, una accresciuta e comprovata razionalità del discorso, che mette la fede in Cristo al di sopra di ogni possibile, ragionevole contestazione? All’evidenza dei fatti, la Chiesa ha potuto aggiungere l’evidenza dei ragionamenti, per conseguire una fede più fondata e più degna di essere creduta. Ma è proprio questo essere andati oltre e fuori dalla semplice Parola rivelata che ha tolto qualsiasi efficacia alla predicazione del clero. La Parola va annunciata così come è stata scritta, in tutta la sua vastità di libri e ricchezza di significati. Vi è una pedagogia del discorso che viene da Dio, da Lui scelta e benedetta, che non può essere sostituita dai ragionamenti umani e neppure chiede di essere da essi supportata e confermata. La Parola rivelata è potenza di Dio, ma soltanto quando è proclamata allo stesso modo in cui è uscita dalla bocca di Dio. Ogni commistione, unione, alleanza fra parola divina e umana è un vero tradimento della Parola di Dio, non la fa più grande, ma più piccola, fino a deprivarla in certi casi della grazia divina che porta con sé.
La sapienza che viene dal cielo, non ha bisogno del supporto della sapienza terrena, può farla propria ed inglobarla in sé, non accetta di essere in lei inglobata e da essa giustificata e legittimata. Se vi è una ragione naturale che si conforma alla ragione rivelata, non è benedetta una ragione rivelata che è fatta conforme alla ragione umana. Dio non ha bisogno dei filosofi di questo mondo, che procedono per semplici categorie astratte. In quanto ragione fattasi carne può portare in sé, illuminare, confermare o smentire ogni ragionamento umano, ma non trova in essi conferma di verità: al contrario non c’è garanzia di Verità se non nel e per l’eterno Logos di Dio, quale si è a noi rivelato.
Non si può non riconoscere una critica se pur velata e nascosta al tomismo e all’importanza eccessiva e fuori luogo da esso data alla filosofia greca. Da una certa teologia è uscita una immagine del Creatore diversa da quella della Rivelazione. Si veda ad esempio l’ immutabilità ed inamovibilità del Dio di Aristotele, che mal si accorda con l’immagine biblica di un Dio che ha sentimenti umani, che si pente, si ravvede, cambia decisione, che interagisce con la supplica dei suoi figli, che predestina la creatura, eppure lascia aperto uno spazio alla sua libertà fino al giorno del giudizio ultimo e definitivo. Se la filosofia può essere considerata ancella della teologia, è pur vero che un eccesso di elementi razionali può snaturare la rivelazione e privarla di quella potenza che le è accreditata unicamente in quanto uscita dalla bocca dello stesso Dio. Rosmini più di tanto non dice. Forse ai suoi tempi non si poteva osare di più. E ancora oggi nella Chiesa sono pochi coloro che affermano chiaramente senza mezzi termini e possibilità di dubbi che la Parola di Dio deve essere considerata un vero e proprio sacramento. Se è un sacramento la Parola che è mangiata, come può essere diversamente per la Parola che è ascoltata? Prima si ascolta la Parola, perché diventi nostra proprietà. Poi si mangia la parola per diventare sua proprietà. L’ascolto ci fa entrare nella Parola, il mangiare ci fa dimorare nella stessa Parola. Nell’ascolto si cresce nella forma e nella misura da noi voluta, nel mangiare si cresce nella forma e nella misura da Dio donata.  Non si può mangiare la Parola senza prima ascoltarla. Perché chi mangia e beve senza discernere mangia e beve la propria condanna. Quando non c’è conoscenza ed intelligenza della Parola, il mangiare e il bere si può ridurre ad un qualsiasi rito magico, dove segni e gesti operano di per sé indipendentemente da una vera e fondata comunione delle intenzioni, delle intelligenze e dei cuori.
Troppo spesso si insiste sull’efficacia die sacramenti in sé e per sé, ex opere operatu, e non si considera che tutto ciò che viene versato e travasato da – in, richiede a rigor di logica e di semplice buon senso, contenitori adeguati e recipienti fatti apposta. Ragionando col senno di poi dobbiamo francamente ammettere che certe deviazioni dottrinali, come quelle della Chiesa Riformata, hanno trovato alimento  e giustificazione in e da una Chiesa cattolica che col passare del tempo si è sempre più allontanata dalla vera Tradizione, quale è trovata nel primo millennio. La Chiesa non va necessariamente a senso unico, verso un continuo progresso, è sempre aperta la strada al regresso e alla perdita di quella pienezza di santità e chiarezza di verità che distingue i dodici apostoli dai loro successori.
Il discorso potrebbe procedere all’infinito, ma stiamo già uscendo dai limiti che ci siamo imposti, che sono i limiti che si è imposto lo stesso Rosmini. Ridiamogli la parola, forse indebitamente e inopportunamente tolta.
“Dico di piena e vitale istruzione; perché, in quanto all’istruzione materiale, abbonda forse più in questi che in altri tempi. I catechismi sono nelle memorie di tutti: i catechismi contengono le formule dogmatiche, quelle ultime espressioni, più semplici, più esatte, alle quali i lavori uniti insieme di tutti i dottori che fiorirono in tanti secoli, con ammirabile sottigliezza di intendimento, e soprattutto assistiti dallo Spirito Santo presente nei Concili e sempre parlante nella chiesa dispersa, ridussero tutta la dottrina del cristianesimo. Tanta concisione, tanta esattezza nelle formule dottrinali è certamente un progresso; la Parola è resa tutta sola verità; una via sicura è tracciata, per la quale i maestri possono far risuonare, senza molto studio loro proprio, agli orecchi dei fedeli che istruiscono, i dogmi più reconditi e più sublimi. Ma è poi ugualmente un vantaggio che i maestri delle cristiane verità possano essere dispensati da un loro proprio e intimo studio delle medesime? Se è reso loro facile il fare udire agli orecchi dei fedeli che istruiscono delle formule esatte è ugualmente reso facile il fare entrare queste formule anche nelle loro menti? Farle discendere nei loro cuori dove non giungono se non per la via della mente? L’essere la dottrina abbreviata; l’essere le espressioni, di cui essa si è vestita, condotte a perfezione e all’ultima esattezza dogmatica, e soprattutto l’essere immobilmente fisse e rese per così dire uniche; ha egli forse cagionato che siano rese alla comune intelligenza anche più accessibili? Non era forse da dubitarsi per lo contrario, che una certa molteplicità e varietà di espressioni fosse un mezzo acconcio di introdurre negli animi della moltitudine la cognizione del vero, giacché una espressione chiarisce l’altra, e quella maniera o forma che non si acconcia ad un uditore è mirabilmente accomodata ad un altro; insomma col chiamare in aiuto tutta per così dire la molteplice dovizia della divina lingua, non si tentano tutte le vie, non si prendono tutti gli aditi per i quali la parola arriva negli spiriti degli ascoltatori? Non è vero che una sola e immobile espressione è priva come di moto, così di vita, e lascia pure immobile la mente e il cuore di chi l’ascolta?
Non è vero che un istitutore che recita ciò che egli medesimo non intende, per quanto scrupoloso sia a ripetere verbalmente quanto ebbe altronde ricevuto, fa sentire di avere il gelo sulle labbra e sparge brine anziché caldi raggi tra i suoi uditori? E le parole e le sentenze, più perfette più piene che sono, più richiedono altresì di intelligenza a toccarne il fondo, e più domandano di sapienti dichiarazioni; perché alla moltitudine riescono come pane sostanzioso allo stomaco del fanciullo, che non lo digerisce fino a che non gli si dia rammollato e tritato; e quelle formule, se si vuole imperfette che in altri tempi si usavano insegnando i dogmi cristiani avevano forse nella loro stessa imperfezione questo vantaggio, che non comunicavano al genere umano la verità tutta intera e soda ma quasi si direbbe rotta in parti e il discorso disteso emendava poi il difetto, se ve ne aveva, delle espressioni; raccozzava ed univa quelle parti di verità solo nella parola esteriore smembrate: che anzi la verità stessa si raccozzava, per così dire, e si univa da sé medesima nelle menti e negli animi di quelli dove era entrata, e da se ivi edificava se medesima e si completava. Certo la verità non può operare negli spiriti, se in luogo di lei, ci contentiamo del suo morto simulacro, di parole che la esprimano bensì esattissimamente, ma la cui esattezza poco giova più che a muovere la sensazione dell’udito, giacché quelle parole incespano e muoiono negli orecchi”.
Dobbiamo riconoscere che la polemica di Rosmini, se pur fondata è tuttavia velata, attenta a non urtare più di tanto le autorità ecclesiastiche.
Una spiegazione della Parola di Dio ridotta a formule dogmatiche, ad assiomi di difficile comprensione non può certo sostituire un approccio alla stessa vivo e personale. La Sacra Scrittura non è data per essere ridotta a pura teologia. Attraverso la Parola si crea un rapporto vivificante con Colui che è la Parola, e questo comporta di necessità una lettura in proprio della Scrittura, dove Dio non parla semplicemente ai molti ma ai singoli. Al di là del significato letterale, che è normativo per tutti, vi è un significato nascosto sotto la forma dell’immagine.  Attraverso l’immagine diversamente e variamente intesa, Dio crea un rapporto non semplicemente con l’uomo, ma con ogni uomo, nel pieno rispetto di ogni diversità creata, in conformità all’intelligenza personale e ad ogni situazione particolare e contingente.
A quei tempi la Chiesa doveva pur riconoscere di essere molto in ritardo rispetto ai Riformatori, che già da oltre tre secoli potevano leggere la Bibbia tradotta nella loro lingua e potevano vantare un approccio metodologico che privilegiava l’interpretazione del singolo rispetto a ogni definizione fissa ed immutabile, alla maniera del dogma.
La chiesa riformata non aveva inventato nulla di nuovo, più semplicemente aveva cercato di riportare in vita quell’approccio personale alla Scrittura, tipico dei Padri della Chiesa, che sapevano cogliere in uno stesso versetto una molteplicità di significati reconditi.
Vero è che questa lettura spirituale che procede attraverso l’immagine, può portare ad errori dottrinali, ad interpretazioni assurde ed infondate, non giustificate dal senso principale e generale della Scrittura. Già nell’antichità vi erano state vivaci polemiche fra coloro che sostenevano la bontà del metodo e coloro che ne mettevano in evidenza gli eccessi ed i risultati fuorvianti. Non basta leggere in immagine, bisogna saper leggere come si deve.
Una lettura in immagine comporta una conoscenza globale della Scrittura e dei suoi significati principali, che sono come le fondamenta e i pilastri fondanti. Non c’è approccio vero e fondato con la Parola di Dio, che scavalchi e metta da parte uno studio accurato ed approfondito, che ha fatto proprio l’insegnamento della Chiesa, la sua dottrina, i dogmi da essa proclamati con unanime consenso dei vescovi. Perché la Parola va letta ed interpretata nella Tradizione e con la Tradizione. Agostino, pur riconoscendo la validità e l’importanza di un metodo di lettura, ne metteva in evidenza anche i limiti. Qualsiasi interpretazione personale è accettabile soltanto se e nella misura in cui è compatibile con il senso principale e più immediatamente comprensibile. Non si deve andare contro le verità di fede proclamate dalla Chiesa e interpretare in modo logicamente scorretto, in maniera confusa e contradditoria. Usando un linguaggio moderno, potremmo dire che certe interpretazioni sono “tirate” cioè indotte in modo del tutto arbitrario, non giustificato.
Lo scontro con i Riformatori, per secoli ha spinto la Chiesa a giocare in difesa, per prevenire l’errore e l’eresia.
Non si comprendeva l’importanza e la necessità di una lettura della Bibbia da parte di tutto il popolo di Dio. Si cercava di sminuire la potenza vivificante di una preghiera fatta nella Parola e con la Parola, sostituendo il Salterio con il Rosario, preghiere e devozioni popolari, accrescendo con ciò sempre di più l’ignoranza del popolo sia per quel che riguarda un culto dettato dalla Tradizione sia per quel che riguarda una lettura viva e personale della Parola di Dio.
Si riteneva che una sacrosanta ignoranza della Parola fosse preferibile alle interpretazioni aberranti e devianti della Chiesa Riformata. Ma col tempo si è reso sempre più evidente che non si risolvono i problemi della conoscenza  esaltando una beata e felice ignoranza. L’ignoranza non paga e non si può sostituire una conoscenza in verità con dei surrogati che portano le masse sempre più lontano dalla  fede in Cristo.
Lo stesso Lutero, paventando la diffusione dell’errore nella Chiesa Riformata, accettava come unicamente valida una lettura personale che si attenesse però al puro significato letterale. Rifiutava ogni interpretazione allegorica. Ma fu proprio una interpretazione troppo letterale della Parola di Dio che lo portò all’eresia e all’errore. Perché la Scrittura fa largo uso dell’immagine per esprimere le realtà di fede. “La figura” è elemento costitutivo e strutturale della Parola rivelata. L’interpretazione secondo la sola lettera uccide lo Spirito. Gesù stesso parla in parabole, perché la verità sia svelata soltanto a coloro che hanno retto intendimento. Lettura letterale e lettura allegorico- spirituale stanno insieme di necessità assoluta. Non ci può essere l’una senza l’altra. Se all’apparenza si contraddicono in un discorso limitato e circoscritto, portano chiarezza l’una all’altra allorchè si considera la Parola di Dio nella sua totalità e globalità.
L’intelligenza, la cultura biblica di Lutero, la sua conoscenza della Tradizione della Chiesa sono sovranamente esaltate dalla quasi totalità degli studiosi e degli storici. Noi non siamo dello stesso parere. Allorchè ci è stato possibile leggere le sue opere originali tradotte nella nostra lingua, la figura di Lutero ai nostri occhi si è notevolmente ridimensionata. La sua conoscenza dei Padri della Chiesa era molto limitata e superficiale. Le sue interpretazioni letterali non solo contraddicono ogni logico buon senso, ma non sono confortate dall’insegnamento e dalla dottrina che risultano e risaltano da una conoscenza integrale della Parola di Dio. L’ovvietà del discorso, scade nella banalità, nell’assurdo e nell’irrazionale. Non possiamo dire più di tanto in questo breve scritto. L’accostamento dell’eretico Lutero all’eretico Savonarola, non trova alcuna giustificazione, non solo per un modo diverso di rapportarsi alla Chiesa e alle sue istituzioni, ma anche per una diversa conoscenza ed intelligenza. La cultura biblica e teologica di Savonarola è veramente impressionante. Fu profondo conoscitore della Bibbia, della Tradizione, degli scritti dei Padri della Chiesa e dei teologi più importanti, in primis, san Tommaso. Fu condannato dalla Chiesa come eretico, ma niente di ereticale è stato trovato nel suo insegnamento. La sua condanna a morte fu dovuta a ragioni politiche, non religiose. Visse da cattolico e morì da cattolico, benedicendo la Chiesa e chiedendo il sacramento della penitenza e del pane eucaristico.  Lutero ha condannato a morte la Chiesa cattolica, Savonarola ha fatto tutto quanto era nelle sue possibilità per riportare il gregge a lui affidato dalla Chiesa ad una fede in Cristo conforme alla Scrittura, alla Tradizione, mettendo in atto ogni mezzo ed ogni strumento per istruire il popolo, per colmare il divario  culturale tra le masse dei fedeli e il clero.  Possiamo legittimamente dire che Savonarola tentò di fare nella chiesa di Firenze, quello che Rosmini molto tempo dopo auspicava fosse fatto in tutte le chiese cattoliche. Quale la ragione principale della morte del popolo di Dio? La mancanza di conoscenza.
Ma a questo punto, prima di chiamare in causa la massa dei fedeli, bisogna sottoporre a seria critica e a un severo esame coloro che sono a capo della Chiesa.
Il rinnovamento e la rinascita non possono partire dal basso, ma devono venire dall’alto, dal papa, dai vescovi, dai presbiteri, dai diaconi e da tutti coloro a cui il Signore ha fatto dono di una santa conoscenza.
Ma con questo siamo già giunti alla fine di un capitolo e dovremo aprirne un altro, per completare il discorso… senza annoiare il lettore.