Alla vergine Principia ( epitaffio di Marcella )

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Alla vergine Principia
Epitaffio di Marcella
Spesse volte e con molta insistenza mi chiedi, o vergine di Cristo, Principia, che io nei miei scritti rinnovi la memoria della santa donna Marcella e descriva quel bene di cui per lungo tempo abbiamo goduto, perché anche dagli altri sia conosciuto e imitato. Con ragione mi dolgo che tu inciti alla corsa me, che spontaneamente corro e che tu creda che abbia bisogno di esserne pregato io, che nell’amarla nulla vi cedo, e ricevo assai più beneficio con il ricordare così grandi virtù che col distribuire equamente ad altri . Poiché l’ avere io fin qua taciuto e l’aver passato due anni in silenzio non fu effetto di negligenza come tu a torto pensi, ma di incredibile tristezza, che in modo tale mi oppresse l’animo che mi sembrerebbe ora assai meglio tacere che dire cosa che delle sue lodi non sia del tutto degna. Io perciò, , non starò qui a celebrare secondo i precetti della retorica la tua, anzi mia, Marcella, e a dire il vero, nostra e di tutti i santi, e nobile ornamento della città di Roma, col cominciare a parlare della sua illustre famiglia, del decoro dell’antico suo sangue, e delle memorie dei consoli e dei prefetti del pretorio, testimoniate dalle insegne gloriose della sua famosa stirpe. Non voglio in lei lodare se non ciò che è suo proprio, e tanto più ragguardevole in quanto avendo quella disprezzato con la ricchezza anche la nobiltà, divenne più nobile per la sua povertà e umiltà. Rimasta ella dunque orfana del padre , vide esserle tolto anche il marito, sette mesi dopo le nozze. Cereale, il cui nome è celebre fra i consoli, con vari mezzi la chiese in sposa, guardando esso in modo particolare l’età della donna, l’antichità della famiglia e la sua meravigliosa bellezza (da cui gli uomini sogliono grandemente essere presi ) unita ad una singolare modestia. Essendo vecchio le promise per ottenerla le proprie ricchezze e disse che non come a moglie, ma come a figlia voleva farne dono a lei.
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Albina sua madre più che volentieri desiderava un appoggio così eccellente alla vedova sua casa, ma così le disse Marcella: “Se io volessi maritarmi e non desiderassi di mantenermi per sempre casta, certamente cercherei un marito non una eredità. Allora Cereale le disse che anche i vecchi potevano vivere a lungo e i giovani morire presto. A tale proposta, piacevolmente scherzando, così ella rispose: “E’ vero che un giovane può morire presto, ma un vecchio non può vivere a lungo”. Con quella sentenza, essendo egli stato rifiutato, fu di esempio agli altri perché non sperassero le nozze di una tale donna. Noi leggiamo nel Vangelo di san Luca così: “Vi era anche Anna una profetessa figlia di Fanuel della tribù di Aser: e questa era di età molto avanzata. Ed era vissuta con il suo marito sette anni dalla  giovinezza, ed era vedova di ottantaquattro anni e non si allontanava mai dal tempio, servendo giorno e notte al Signore con digiuni e preghiere. E non fa meraviglia se meritò di vedere il Salvatore da lei cercato con una fatica così grande. Facciamo ora il confronto fra sette anni con sette mesi, paragoniamo lo sperare la venuta di Cristo col fatto che egli sia già venuto, il confessarlo già nato col credere in lui crocifisso, il non negarlo fanciullo col godere che questo uomo sia re. Non faccio differenza alcuna tra le sante donne, il che alcuni scioccamente sono soliti  fare  tra gli uomini santi e i primi delle chiese. Intendo dimostrare che quelle che sostengono uguale fatica ottengono uguale  premio. È cosa difficile in una città piena di maldicenza che ebbe già per popolo il mondo, in cui trionfano i vizi nel biasimare le cose oneste e nel macchiare quelle pure e monde. È, dissi, difficile cosa non essere soggetto a qualche calunniosa, infame diceria. Perciò il profeta, come cosa difficilissima e quasi impossibile, esprime piuttosto un desiderio che una speranza quando dice: “Beati coloro che sono senza macchia nel loro viaggio e che camminano nella legge del Signore”. Egli chiama immacolati nella via di questo mondo quelli che neppure da un vento leggero di infame nome sono stati macchiati, che dai loro prossimi non hanno ricevuto obbrobrio. Di questi così parla nel Vangelo il Salvatore: Sii tu benevolo ovvero abbi  buona opinione del tuo avversario quando sei con lui per strada”. Chi mai sentì dire riguardo a questa donna cosa alcuna che dispiacesse e vi ha dato credito? Chi la credette e non condannò piuttosto se stesso di malignità e di infamia? Questa fu la prima che confuse i Gentili, mentre fu palese a tutti quale fosse la vedovanza cristiana di cui dava saggio e con la coscienza e con l’abito. Poiché le vedove dei Gentili sogliono dipingersi la faccia con rossetto e biacca, andare pompose in vesti di seta, risplendere per le gemme, portare l’oro al collo e tenere pendenti dalle orecchie le perle le preziosissime dell’Eritreo, spargere da sè in ogni parte odori, piangere in tal modo i mariti che godono di essere finalmente state liberate dal loro dominio e vanno cercandone altri, ai quali non già servano secondo il precetto divino, ma comandino. Onde ne scelgono di poveri, i quali sembra che nulla abbiano di marito se non il nome, che di buon grado sopportino gli adulteri e se per caso apriranno la bocca subito possano essere licenziati. La nostra buona vedova  ha usato vesti tali che potevano difenderla dal freddo, non scoprirle le membra, ricusando di portare l’oro a tal segno che neppuree portava lo stesso anello, nascondendolo piuttosto nel ventre dei poveri che nei propri scrigni. Non fu mai veduta senza la madre, non trattò mai con alcun monaco o chierico (il che talvolta richiedeva la necessità della ragguardevole sua casa) senza che altri vi fosse presente. La sua compagnia fu sempre di vergini e di vedove e di donne serie e  prudenti, sapendo essa molto bene che dalla lusso delle ancelle spesso si fa a giudizio dei costumi delle padrone e che ciascuna si diletta della compagnia di donne simili a sè nei portamenti. Nutriva poi un attaccamento incredibile per le divine scritture e sempre cantava con Davide: “Io ho nascosto o Signore nel mio cuore i tuoi precetti per non offenderti. Cantava parimenti quello che sta scritto riguardo all’ uomo perfetto: “La sua volontà è nella legge del Signore, giorno e notte la medita, conoscendo che il meditare la legge consiste non nel ripetere ciò che sta scritto, come fra i Giudei pensano i farisei, ma nel mettere in pratica quanto essa comanda secondo il detto apostolico. Sia che  mangiate sia che beviate o facciate qualunque altra cosa, tutto fate a gloria del Signore. Diceva ancora le parole del Profeta: “Io ho imparato dai tuoi comandamenti o Signore”, di modo che dopo aver obbedito ai divini comandamenti allora conosceva di meritare la intelligenza delle scritture, il che leggiamo anche altrove: “Perché cominciò Gesù a fare e a insegnare”. Con ragione arrossisce chi è ornato di dottrina sebbene eccellente, se la propria coscienza lo riprende. E invano predica agli altri la povertà e insegna di fare elemosina chi va  superbo di ricchezze al pari di Creso e coperto di vile mantello combatte contro le tignole delle vesti di seta. La nostra buona vedova faceva moderati digiuni, si asteneva dal mangiare carni, del vino conosceva più l’odore che il gusto e lo prendeva solo per corroborare lo stomaco e  a motivo delle sue frequenti malattie. Raramente usciva in pubblico e evitava soprattutto di recarsi in casa delle nobili matrone per non essere costretta a vedere ciò che  già aveva disprezzato. Visitava le basiliche degli apostoli e dei martiri pregando qui in segreto perchè desiderava  stare lontana dalla moltitudine. Era così obbediente alla madre che talvolta faceva ciò che al proprio genio ripugnava: poiché amando quella i suoi congiunti e trovandosi senza figli e nipoti voleva lasciare in eredità tutta i suoi beni ai figli del fratello. Questa per suoi eredi sceglieva i poveri, ma non poteva opporsi alla madre, per cui fu costretta a concedere ai ricchi parenti le collane e ogni altra suppellettile, cose destinate a consumarsi, volendo piuttosto perdere in tal modo i suoi denari che contristare l’animo della madre. Non si trovava in quei tempi in Roma nessuna nobile donna che avesse notizia della professione dei monaci né osava ,per la novità di tale istituzione, prendere un nome che fra la gente era stimato ignominioso e vile. Questa però, ammaestrata prima dai sacerdoti di Alessandria e dal vescovo Atanasio e poi dal vescovo Pietro i quali per sfuggire la persecuzione dell’ eresia ariana si erano rifugiati in Roma come in porto sicurissimo della loro santa unione, imparò la maniera di vivere usata dal beato Antonio che a quel tempo era ancora in vita e apprese la regola  dei monasteri della Tebaide, di Pacomio, delle vergini e delle vedove colà ritirate.
E non si vergognò affatto di  professare quella istituzione che aveva conosciuto essere gradita a Cristo. Molti anni dopo imitarono il suo esempio Sofronia e alcune altre, alle quali può molto bene adattarsi quel detto di Ennio: “Volesse Dio che  mai  nel bosco Pelio... Godé dell’amicizia di questa donna la venerabile Paola. Nella sua stanza fu nutrita Eustochia, ornamento della verginità onde da tali discepole si può facilmente comprendere quale fosse la loro maestra.
Qualche lettore senza fede forse mi schernirà poiché io mi trattengo a lodare delle donnicciole. Se egli però si ricordasse delle sante donne compagne del Salvatore che a lui provvedevano di vitto con le proprie sostanze e delle tre Marie che stavano sotto la croce e di Maria propriamente detta Maddalena, la quale per lo zelo e per l’ardore della fede prese il nome di “Turrita” e prima degli apostoli meritò di vedere il Signore risorto. Se di ciò dissi egli si ricordasse condannerebbe piuttosto se stesso come superbo che me come sciocco, poiché io giudico le virtù non dal sesso ma dall’animo e stimo gloria maggiore di ogni altra il disprezzo della nobiltà e delle ricchezze. È per questo che  Gesù amava moltissimo Giovanni noto al pontefice per la nobiltà della sua casa, in modo che introdusse Pietro nell’atrio ed egli solo fra gli apostoli stette ai piedi della croce e ricevette per propria madre la madre del Salvatore, affinché egli come figlio vergine prendesse per eredità la madre vergine del Signore pur vergine.
In tal modo dunque Marcella passò molti anni di vita di modo che  si vide giunta alla vecchiaia prima che si rammentasse d’essere stata giovinetta, lodando quel detto di Platone il quale affermò che la filosofia è una “meditazione della morte”. Anche il nostro Apostolo dice: “Io muoio ogni giorno per la vostra salvezza”. E il Signore secondo testi antichi così parla: “Chi non prenderà ogni giorno la sua croce e non mi seguirà, non potrà essere mio discepolo. E molto tempo prima lo spirito Santo per bocca del Profeta aveva detto: “Per te, o Signore, di continuo siamo messi a morte e siamo giudicati quali pecore da macello e dopo molte età si intese quella massima che dice: “Ricòrdati sempre il giorno della morte e non peccherai ”. Come anche il precetto dell’ eloquentissimo satirico,: “Vivi, o uomo ricordando la morte poiché il tempo passa e ciò pure avviene mentre io parlo”. Così dunque, come io avevo cominciato a dire, trascorse Marcella la sua esistenza e visse in modo come se sempre credesse di dover morire. Quando si poneva intorno le vesti lo faceva col rammentarsi della tomba, offrendo se medesima a Dio come vittima spirituale, viva e a lui gradita. Finalmente essendo io stato costretto dalla necessità della Chiesa a portarmi a Roma insieme con i santi vescovi Paolino e Epifanio, il primo dei quali resse la Chiesa di Antiochia in Siria, il secondo quella di Salamina di Cipro, e mosso da rispettoso rossore procurando di non lasciarmi vedere da alcuna nobile donna, essa tanto fece, come dice l’apostolo, tanto si adoperò in modo opportuno e inopportuno che con la sua industria vinse il mio riserbo.
E poiché allora io godevo qualche reputazione come esegeta delle Scritture, non venne mai a trovarmi che non mi interrogasse di qualche passo di quelle. E non si accontentava subito della mia risposta ma mi proponeva di contro qualche difficoltà, non già per contrastare ma per imparare, domandando la soluzione delle obiezioni fatte e di quelle che essa sapeva che si potevano fare. Quali virtù, quale finezza d’ingegno, quale santità, quale purezza in lei io ritrovassi non ardisco esprimerlo, temendo che ciò non mi sia creduto e di accrescere il tuo dolore, o Principia, ricordandoti di quanto bene tu sia rimasta priva. Dirò questo solo:  tutto quello che da me con lungo studio fu acquisito e con esercizio di lungo tempo, come se in lei fosse convertito in natura, essa lo considerò ben bene, lo apprese, lo possedette di modo che,  se dopo la mia partenza nasceva questione sopra qualche passo delle scritture, si ricorreva al suo giudizio. E poiché era dotata di grande prudenza e conosceva cosa vuol dire ciò che i filosofi chiamano “la correttezza”, rispondeva alle interrogazioni in modo che le stesse sue interpretazioni non le chiamava sue, ma mie o di alcun altro. Così che si professava discepola in ciò che essa insegnava. Poiché sapeva bene che l’apostolo aveva detto: “Io non permetto alla donna di insegnare”, affinché non sembrasse che facesse ingiuria al sesso virile e  ai sacerdoti che le domandavano alcune cose oscure e incerte.

Io saputo che tu sei diventata subito di lei compagna invece della mia persona e che da lei non ti sei mai staccata, come suole dirsi, nemmeno di una unghia e abitavi nella medesima casa, nella medesima stanza, onde in questa famosissima città conobbero tutti che tu hai trovato una madre e lei una figlia. Il podere vicino alla città vi serviva da monastero, avete scelto la campagna per amore della solitudine e lungo tempo menaste una tale vita; onde io godevo che Roma fosse divenuta Gerusalemme per l’imitazione delle vostre virtù e per la conversione di molte.
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I moltiplicati monasteri di vergini, una moltitudine innumerevole di monaci hanno fatto sì che ciò che prima recava disonore, per la frequentazione delle persone consacrate al divino servizio, sia poi stato di gloria. Noi intanto ci consolavamo della nostra lontananza con scambievoli pensieri e si faceva da noi con lo spirito quel che non potevamo con la presenza corporale. Essa sempre mi si faceva incontro con le sue lettere, mi vinceva con gli atti di cortesia, con i saluti mi preveniva. Poco pregiudizio ne recava l’assenza perché con continue lettere si rimaneva uniti. In tale tranquillità di cose e in mezzo al più fervido servizio del Signore, essendo nata in queste province, la tempesta eretica mise il tutto sottosopra e passò a furore così grande che non ebbe rispetto né a sè né ad alcuno uomo dabbene. E come fosse stato poco  l’ avere qui perturbata ogni cosa condusse nel porto di Roma una nave piena di bestemmie. Qui subito trovò il suo coperchio tale padella e i piedi lordati di fango intorbidarono il purissimo fonte della fede romana. Non è dunque da stupirsi se nelle piazze e nei mercati un accorto ciarlatano dia nel naso agli sciocchi e con la ritorta sua fune scuota i denti di quelli che la mordono, mentre una dottrina avvelenata e sozza trovò in Roma chi corrompere. Uscì allora alla luce l’ esposizione infame dei libri “Dei principii”. Comparve allora il felice discepolo ( Macario ) che sarebbe stato secondo il suo nome se non avesse incontrato un tale maestro. Si destò allora la polemica dei nostri capaci di insegnare agli altri e si vide turbata la scuola dei farisei. Allora Santa Marcella la quale lungo tempo aveva fatto forza a se stessa perché non sembrasse che essa facesse qualcosa mossa da invidia, dopo che si avvide che la fede lodata dall’apostolo, nella maggior parte si corrompeva a tal segno che si vedevano presi da errore anche i sacerdoti e alcuni monaci e in modo speciale i secolari, anzi che ne restava ingannata la semplicità del pontefice, il quale stimava che gli altri fossero qual era esso, pubblicamente si oppose, volendo piuttosto piacere a Dio che agli uomini. Loda il Salvatore nel Vangelo il fattore di campagna della sua iniquità; perché sebbene avesse contro il padrone usato frode, per se stesso però aveva saggiamente operato. Scorgendo gli eretici che da una piccola scintilla si provocavano grandissimi incendi e che la fiamma, appena  appiccata , dal basso della casa era ormai giunta al tetto né si poteva nascondere un errore per cui molti erano stati ingannati, chiedono e ottengono lettere  di autorità ecclesiastiche per dare ad intendere che se ne erano andati uniti e riconciliati con la Chiesa. Non passò molto tempo che fu assunto al pontificato Anastasio, uomo eccellente che Roma non meritò di avere lungo tempo, perché sotto una tale pontefice non si vedesse mozzato il capo del mondo. Anzi per questo di qui fu tolto e trasportato in cielo, affinché non si adoperasse con le sue orazioni a far cambiare la già data sentenza, dicendo il Signore a Geremia: “Non pregare per questo popolo, non volere essere intercessore per il suo bene, perché se digiuneranno non esaudirò le loro preghiere e se mi offriranno olocausti e vittime non le riceverò, perché voglio consumarli con la spada, con la fame e con la pestilenza. Voi direte: “Queste cose come si appartengono alle lodi di Marcella?  Fu lei principio della dannazione degli eretici, perchè addusse per testimoni coloro che prima da quelli erano stati istruiti e poi si erano corretti della eresia e fece vedere la moltitudine degli ingannati, presentando gli empi volumi de “I principi” che a tutti si mostravano corretti per mano dello Scorpione  ( Rufino ). Così che gli eretici, essendo stati da ripetute lettere chiamati a difendersi, non ebbero l’ardire di presentarsi. E fu così grande il rimorso della loro coscienza che vollero piuttosto essere condannati stando lontani che convinti di falso in faccia. Di questa vittoria così gloriosa  fu origine Marcella e tu, capo e motivo di tali beni, sai che io dico il vero e che di molte sue sante operazioni  poche ne riferisco, perchè il molesto replicarle non sia di noia a chi legge e non  sembri ai maligni che io, sotto le belle sembianze di lodare altri, dia sfogo al mio sdegno. Passerò dunque ad altre cose. La tempesta dell’eresia, essendo passata dalle parti dell’Oriente all’Occidente, a molti minacciava grandi naufragi. Allora si adempì quel detto del Vangelo: “Pensi tu che venendo il figlio dell’uomo troverà la fede sopra la terra?”. Raffreddatasi la carità di molti, pochi amanti della verità della fede si schieravano al mio fianco. La testa di questi  pubblicamente si chiedeva. Contro di loro si faceva ogni possibile tentativo, a tal punto che Barnaba stesso si vide tirato in quell’ inganno, o piuttosto manifesto parricidio, da lui non con le forze ma con la volontà commesso. Quand’ecco ad un soffio del Signore tutta quella tempesta si disciolse, restando adempiuto il vaticinio del profeta: “Toglierai loro lo spirito e verranno meno e torneranno nella loro polvere. In quel giorno periranno tutti loro pensieri. E l’altro detto del Vangelo: “Stolto, questa notte l’anima tua da te si separerà. Le cose che hai messo da parte di chi saranno?
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Mentre succedono queste cose in Gerusalemme giunge dall’Occidente la spaventosa notizia che Roma è assediata e si ricompra a forza d’oro la vita dei cittadini e che dopo essere stati spogliati sono di nuovo violentemente presi per far perdere loro dopo le sostanze anche la vita. Ecco mi manca la voce e nel dettare queste parole presto sono interrotto dai singhiozzi. È presa la città da cui tutto il mondo fu preso; anzi è rovinata dalla fame prima che dalle spade nemiche e pochi appena si trovarono da far prigionieri. La ingorda fame dei cittadini si abbandonò a cibi nefandi e vicendevolmente si straziavano l’un l’altro le membra a tal punto che non perdonarono le madri ai bambini che poppavano e rimisero nel loro ventre, cibandosene, quei parti che pure poco prima di là erano usciti. Di notte fu presa Moab, in tempo di notte cadde il suo muro. O Signore le genti sono venute a metter piede nella tua eredità: hanno profanato il tuo santo Tempio, hanno ridotto Gerusalemme come vile capanna in cui si sta a far la guardia ai frutti dei campi. Hanno posto i cadaveri dei tuoi servi come esca ai volatili dell’aria e hanno dato le carni dei tuoi santi alle bestie della terra. Hanno sparso il loro sangue come acqua intorno a Gerusalemme e non si è trovato chi li seppellisse. Chi sarà mai colui che con bastanti espressioni potrà spiegare la strage e la rovina di quella notte? Quale pianto può colmare un dolore così grande? Va tutta in rovina una Città  così antica che per tanti anni ha dominato sul mondo. Si vedono qua e là sparsi per le strade innumerevoli cadaveri e dentro le case stesse null’ altro si scorge che orrida sembianza di morte. Intanto in una confusione così grande di cose i vincitori, di sangue asperse le spade, entrano furiosi nella casa di Marcella. Mi sia qui concesso raccontare ciò che mi è stato riferito, o meglio esporre le cose viste da santi uomini che vi si trovarono presenti, i quali dicono che anche tu eri associata a lei nel pericolo. Si racconta che essa con volto intrepido accolse i soldati entrati in casa sua, ed essendole richiesto l’oro e mostrando con la povertà dell’abito che non aveva sotterrato le sue ricchezze, non riuscì però a convincerli di essere volontariamente povera. Dicono che percossa dai bastoni e dai flagelli non sentì i tormenti ma con le lacrime e con il buttarsi ai piedi dei soldati ottenne che non ti separassero dalla sua compagnia, perché la tua giovinezza non fosse costretta a tollerare ciò che la sua vecchiaia non poteva temere. Cristo intenerì quei duri cuori e tra le spade  di sangue asperse ebbe luogo la pietà. Essendo poi quella stata condotta con te dai barbari alla basilica di San Paolo perché qui  otteneste la salvezza o incontraste la morte, si racconta che essa provò gioia così grande che rese grazie a Dio, perché per lei ti aveva serbata intatta, perché la prigionia non l’aveva fatta povera ma trovata già tale, perché non aveva bisogno di cibo quotidiano, perché sazia di Cristo non provava la fame, perché con le parole e con le opere poteva dire: “Nuda uscii dal ventre di mia madre, nuda ancora vi ritornerò. Come è piaciuto al Signore così  è accaduto. Sia benedetto il nome del Signore”. Dopo alcuni giorni,  di corpo sano, perfetto e vegeto, riposò nel Signore e lasciò te, anzi per mezzo tuo, i poveri eredi della sua povertà, chiudendo gli occhi nelle tue mani, esalando lo spirito tra i tuoi baci, mentre  fra le tue lacrime sorrideva per il ricordo della sua vita buona passata e per i premi della futura. Io ho dettato queste cose per te, venerabile Marcella, e per te, figlia Principia, in una sola e breve veglia, non con leggiadria di stile, ma con la volontà di esprimere i sentimenti dell’animo a voi gratissimo, desiderando di piacere a Dio e ai lettori.