Cap.1

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Prima lettera di Pietro
Premessa  ( da Umberto Neri – Vivere una vita nuova – Catechesi biblica sulla prima lettera di Pietro – ed. Ancora )
“La prima lettera di Pietro è un testo fondamentale, capace di costituire la base per un’interpretazione globale del Vangelo; la sua lettura guida a una comprensione sicura ed elementare del messaggio di Cristo, della vita cristiana, della realtà della nuova economia della grazia, su cui poi tutto può costruirsi e innestarsi. Appartiene, come la prima lettera di Giovanni, a quei documenti che nella loro globalità dicono praticamente tutto, secondo impostazioni diverse, ma tutto. Un testo quindi da cui assolutamente non si può prescindere e che ha, rispetto ad altri, il vantaggio di essere completamente orientato all’etica, al comportamento.
È uno dei documenti del Nuovo Testamento che contengono le esposizioni più ampie e più dettagliate del comportamento cristiano, del come deve agire e comportarsi il credente. Quindi non è una specie di summa spersonalizzata di etica cristiana, ma un’esposizione compiuta di tutto l’agire conforme alla volontà del Signore, considerato in una prospettiva teologica e spirituale determinata e inconfondibile. La lettera vuole aiutarci a vivere nel modo adeguato la situazione peculiare e ineliminabile che accompagnerà la Chiesa in tutto il suo percorso, quella della diaspora, della vita in mezzo a persone che non condividono la nostra fede e non conoscono la nostra speranza. È un documento cioè fortemente caratterizzato, in base ad una scelta che vedremo e che avremo continuamente occasione di rivedere. Un documento che ha sempre goduto di grandissima autorità nella Chiesa, anche perché gli si attribuisce la paternità di Pietro, il fondamento, la roccia sulla quale la Chiesa è costituita”.

Capitolo 1
Pietro apostolo di Gesù Cristo agli eletti pellegrini della disseminazione del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia, 2 secondo la preconoscenza di Dio Padre nella santificazione dello Spirito per l’obbedienza e la aspersione del sangue di Gesù Cristo, grazia a voi e pace sia moltiplicata.
3 Benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo che secondo la sua grande misericordia ci ha  rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva 4 per un’eredità incorruttibile, senza macchia e immarcescibile, conservata nei cieli per voi 5 che nella potenza di Dio siete custoditi per mezzo della fede per la salvezza, preparata per essere rivelata nel tempo ultimo. 6 Perciò  esultate in lui anche se ora è necessario che siate un po’ rattristati con varie prove, 7 perchè il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che perisce ma tuttavia è provato col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo, 8 che amate,  pur senza averlo visto, nel quale ora, non guardando ma credendo, esultate con gioia indicibile e gloriosa, 9 ottenendo il fine della vostra fede: la salvezza delle anime. 10 Su questa salvezza ricercarono e investigarono i profeti che  profetizzarono sulla grazia a voi destinata, 11 investigando su quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva  le sofferenze destinate a Cristo e le glorie dopo queste cose. 12 E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, erano ministri di quelle cose che ora vi sono state annunciate  per mezzo di coloro che vi hanno predicato il vangelo, nello Spirito Santo mandato dal cielo, sulle quali cose desiderano gli angeli chinarsi per guardare. 13 Perciò avendo cinto i lombi della vostra mente, sobri, perfettamente sperate in quella grazia  che vi sarà data nella rivelazione di Gesù Cristo. 14 Come figli dell’obbedienza non conformatevi alle concupiscenze di prima, quando eravate nell’ ignoranza 15 ma secondo il Santo  che vi ha chiamati anche voi diventate santi in ogni comportamento, 16 poiché è scritto: Voi sarete santi, poiché io sono Santo. 17 E se chiamate Padre colui che giudica senza riguardo alle persone secondo l’opera di ciascuno, con timore spendete il tempo del vostro pellegrinaggio, 18 sapendo che non con cose corruttibili, con argento o oro, foste riscattati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, 19 ma con il prezioso sangue di Cristo, come di agnello senza difetto e senza macchia, 20 preconosciuto già prima della fondazione del mondo, ma manifestato,  alla fine dei tempi per voi 21 che per opera sua credete in Dio che l’ha risuscitato  dai morti e ha dato a lui gloria, cosicchè  la vostra fede e la speranza siano in Dio. 22 Avendo purificato le vostre anime nell’obbedienza alla verità per un amore fraterno senza ipocrisia, amatevi gli uni gli altri intensamente, di puro cuore, 23 essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna. 24 Poiché ogni carne è come l’erba e tutta la sua gloria è come fiore d’erba; si secca l’erba e il fiore cade; 25 ma la parola del Signore rimane in eterno. Ora questa è la parola  annunciata a voi.


“Pietro apostolo di Gesù Cristo agli eletti pellegrini della disseminazione del Ponto, della Galazia, della Cappadocia, dell’Asia e della Bitinia,”

Il saluto iniziale è senza dubbio uno dei più belli delle lettere apostoliche e per certi aspetti richiama quello di Paolo nella lettera ai Romani. Come L’Apostolo indirizza la sua lettera  agli abitanti in Roma, volendo nella città eterna significare la totalità dell’Impero, che era allora il mondo conosciuto, così l’indirizzo della lettera di Pietro ha un respiro, per così dire molto ampio: è rivolto a tutte quelle regioni che hanno conosciuto il suo annuncio  e che rappresentano pertanto l’umanità già  evangelizzata,  nell’attesa e nell’auspicio che ogni uomo conosca la salvezza che è venuta dal cielo.
Se la lettera ai Romani è per così dire il manifesto della fede in Cristo, scritto da Paolo, qui abbiamo il manifesto della stessa fede fatto dall’Apostolo Pietro. Ed è significativo che a Pietro nessuna altra lettera sia attribuita. Basta questa: in essa è in sintesi efficace il senso della vera fede in Cristo, per tutti gli uomini che sono stati raggiunti dalla predicazione. E non ci deve stupire che la lettera nel suo contenuto molto ricalchi il discorso di Paolo. Non è ragione sufficiente per negare a Pietro la paternità di questo scritto. Vi è una fondamentale unità e coerenza dell’annuncio della salvezza in Cristo Gesù che è trovata e verificata in tutti gli scritti del Nuovo Testamento, se pur in una forma letteraria diversa, che è irrilevante per la nostra intelligenza della fede. È sempre l’unico e solo Spirito Santo che parla con voci diverse, in un’unità armonica di pensieri e di sentimenti,  formata, per così dire dal coro degli apostoli.
Le ragioni e i problemi legati alla forma letteraria, non devono portarci fuori strada. Giova ricordare che a quei tempi, considerata la difficoltà tecnica della scrittura, ci si affidava a dei copisti, scribi o scrivani del mestiere, molte volte non privi di una certa capacità formale, capaci, in qualche modo, all’occorrenza, di trascrivere quanto dettato in una forma discretamente elegante e comprensibile a tutti.
Non è certo il caso dell’apostolo Paolo il cui linguaggio “barbarico”, come è da alcuni definito, è fortemente originale, con caratteristiche proprie inconfondibili.
Nel caso di Pietro ci sembra non sia sufficiente l’analisi stilistica per negare la paternità della lettera. Come poteva un semplice pescatore esprimersi in una simile  perfezione formale, se pur non eccelsa? Il linguaggio abbastanza elevato, può essere pienamente giustificato dall’apporto del copista. “ Per mezzo di Silvano fedele fratello, come reputo ho scritto con poche parole…” Così è detto alla fine della lettera di Pietro.
Questi copisti, come si vede, non necessariamente erano uomini di mondo. Più comunemente erano fratelli di fede, collaboratori degli apostoli, non privi di intelligenza riguardo alle cose di Dio, in grado pertanto di dare un contributo non semplicemente tecnico manuale. E possiamo dire che questo è una costante di tutta la storia della Chiesa. Benchè la Tradizione della Parola sia passata attraverso la penna di numerosi copisti, che a volte sono intervenuti sul testo di proposito e non con un semplice errore di trascrizione, rimane una fondamentale unità, coerenza e fedeltà rispetto al messaggio originario. Le cosiddette varianti dei diversi codici, a parte gli evidenti errori di trascrizione, in genere rappresentano un miglioramento e non un peggioramento e deterioramento del testo più antico. Benchè l’ispirazione divina si debba attribuire unicamente agli agiografi, non si può ignorare e misconoscere che una certa ispirazione va riconosciuta anche ai copisti e ai traduttori. Significativo è il caso della Vulgata, la versione in latino della Bibbia fatta da san Gerolamo. La Chiesa non riconosce questo testo come ispirato da Dio, come quello ebraico e  quello greco, detto dei Settanta.  Eppure, chi ha familiarità con questa traduzione trova in essa una incomparabile bellezza e ricchezza di significati. Non è affatto un meno, ma un più rispetto a primitivi testi. E non a caso e senza ragione la Chiesa per secoli ha letto la Bibbia nella versione della Vulgata. L’analisi linguistica del moderno storicismo per due millenni non ha avuto nella Chiesa storia alcuna, neppure in una forma embrionale; non solo perché mancavano gli strumenti della moderna analisi scientifica. Non se ne avvertiva l’importanza e l’utilità. La Chiesa si è riconosciuta nella traduzione latina attribuita a Gerolamo. E non semplicemente per il suo genio letterario e per la sua conoscenza delle lingue antiche, ma ancor più ed ancor prima perché questo grande padre della Chiesa non ha creato una propria tradizione, ma si è inserito nel solco dell’unica Tradizione riconosciuta ed accreditata dal popolo di Dio. Gerolamo ha lavorato su preesistenti traduzioni  che avevano il benestare della Chiesa, comunemente usate nelle celebrazioni liturgiche. Se si può parlare di novità e di diversità è solo nel tentativo di riportare in vita il testo ispirato in tutta la sua bellezza e ricchezza di significati. Se ci ha messo del suo, non lo ha fatto ad arbitrio, ma a ragion veduta, tutto vagliando in maniera scrupolosa e soprattutto nulla traducendo se non in uno spirito di preghiera continua e di perenne invocazione dello Spirito Santo.
Non si può rigettare o minimizzare o mettere in discussione l’importanza di un testo che la Chiesa per secoli ha fatto suo, in maniera esclusiva, come voce della parola di Dio, unica per tutti credenti: termine indiscutibile di ogni confronto dottrinale. In un tempo in cui si sono cercate altre vie ed altre traduzioni è lecito chiedersi se si può parlare di progresso nella lettura e nell’intelligenza della Parola o di un deplorevole regresso. Non possiamo mettere sotto i piedi, tout court, la Tradizione della Chiesa, e per Tradizione innanzitutto si deve intendere la trasmissione della parola rivelata.
Detto questo, a difesa dell’importanza della Tradizione, ricordando che la paternità della prima lettera, che porta il nome di Pietro, è sempre stata accreditata all’Apostolo Simone, a differenza della seconda omonima lettera, alcune considerazioni riguardo al titolo o attributo che Pietro dà a tutti coloro che vogliono o possono dirsi cristiani.
“… agli eletti pellegrini della disseminazione…”.

In tre parole   ( eletti, pellegrini, disseminazione ) è definita la nostra eterna realtà, la nostra condizione attuale, la nostra vocazione in quanto popolo di Dio.
Non si è figli di Dio se non per elezione divina. “Non voi avete eletto me, ma io ho eletto voi”. Non si vive in questa dimora terrena se non come pellegrini. Da ultimo non siamo vero seme di Cristo se non in quanto dispersi su tutta la terra, cioè chiamati all’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini, in ogni parte del mondo, perché l’albero piantato in Israele dopo aver dato i suoi frutti ai vicini, dia il suo seme di vita nuova a tutti coloro che sono lontani.

“2 secondo la preconoscenza di Dio Padre nella santificazione dello Spirito per l’obbedienza e la aspersione del sangue di Gesù Cristo, grazia a voi e pace sia moltiplicata”.

Nessun cristiano può dirsi come un fungo spuntato all’improvviso in maniera imprevista ed imprevedibile. Prima ancora della conoscenza di Dio che a noi è data, vi è la conoscenza che Dio ha di noi. Da sempre siamo nella sua mente, come frutto di un eterno progetto di salvezza attuato da Gesù Cristo, non semplicemente per tutti noi ma per ognuno di noi. Siamo preconosciuti non solo come popolo, ma come singoli. Il Signore ci “ama” dall’eternità come individui diversi l’uno dall’altro. La salvezza viene dall’Uno che è eterno, ma per ognuno di noi c’è un tempo, uno spazio, una condizione esistenziale diversi. Quanto basta perché l’amore di Dio per le sue Creature sia innanzitutto avvertito da esse  come amore sponsale, che se pur ha una sua dilatazione fra i molti, in sé e per sé è innanzitutto amore fra due. Nulla di casuale è dato e trovato nella vita del singolo, ma tutto è conforme ad una pienezza d’amore donata dal cielo, che fa propria non semplicemente la realtà dell’umanità tutta, ma la realtà creata e generata di ogni uomo: come creata originariamente da Dio, ma anche come generata dal peccato d’origine, di cui tutti ugualmente siamo responsabili e complici, se pur  trovati nell’esistenza diversi e bisognosi di interventi diversificati, che  si collocano tuttavia nell’ambito dell’unica salvezza che viene dal Cristo. Nessuno si lamenti per la propria condizione esistenziale. È la migliore e la più opportuna per la nostra salvezza. Non l’abbiamo scelta noi, ma il Signore, come la più idonea, efficace, confacente al dono della sua grazia. Nessuno nasce maledetto da Dio, ma in Cristo e per Cristo tutti siamo benedetti per eterna volontà del Padre.
Un popolo di pellegrini e di disseminati è innanzitutto un popolo di uomini oggetto di eterna benedizione e di predilezione divina. Ma non si comprende se non si entra in una dimensione diversa, che non è semplicemente quella dell’anima intesa come psiche, ma quella dell’anima intesa come spirito.
Se la nostra chiamata è alla santità: “Siate santi perché io sono santo”, tale santità ha innanzitutto connotati spirituali. Interessa la totalità delle dimensioni umane, ma innanzitutto lo spirito che Dio ha insufflato in noi, che è all’origine della vita. Dapprima l’uomo è terra plasmata, il corpo, poi spirito insufflato da Dio, infine anima creata dal nulla. Non uno spirito è associato all’anima, ma un’anima è associata allo Spirito. Se l’anima è creata ad immagine di Dio, prima ancora lo Spirito è immesso in noi dall’alitare di Dio.
La santità ha importanza ed interesse innanzitutto per quel che riguarda lo spirito. Troppo spesso si guarda alla redenzione come rinascita in carne e anima. E si vuole anticipare i tempi in questa terra. E si arriva ad una santità falsa ed ingannevole che vuole e pretende da Dio la salute e l’efficienza del corpo e della mente. Mens sana in corpore sano. E cosa dire e come considerare coloro che sono e rimangono malati e segnati nel corpo e nella mente? Si può sempre sperare nel miracolo. Ma quando mai è dato e garantito tale miracolo? L’unica santità sicuramente data a tutti è quella dello spirito. E lo spirito ha categorie proprie che vengono prima di quelle dell’anima e del corpo. Chi non sa vedere l’opera dello Spirito in una mente e in un corpo malati è molto lontano dall’autentica fede. Avrà perenne rigetto di una povertà benedetta da Dio. Chiederà vanamente nella preghiera un corpo ed un mente efficienti, nella presunzione di una santità valutabile e misurabile secondo gli schemi della ragione umana. Che la fede non sia di per sé assolutamente irrazionale, dobbiamo consentire, ma non si può consentire che la fede necessariamente passi attraverso la logica della ragione umana e l’efficienza fisica.
La santità riguarda innanzitutto lo spirito ed interessa ed accomuna, sano e malato, intelligente e deficiente. Ciò che è dato dall’eccellenza dello spirito  non è conosciuto e giudicato se non da Colui che è Spirito. Una Chiesa che non trova al proprio interno spazio alcuno e giustificata collocazione per mentecatti ed infermi di ogni tipo è una Chiesa senza Dio. Certamente va stimata e considerata l’eccellenza del corpo e dell’anima, ma soltanto quando si accompagnano all’eccellenza dello Spirito. Quale la grandezza d’ingegno di un Gerolamo, Agostino, Origene, senza la grandezza dello Spirito? Dovremmo mettere all’ultimo posto coloro che la Chiesa mette tra i primi posti.
Se grande fu in questi uomini l’intelligenza, ancor più grande il loro cuore, se sovrabbondante di grazia l’anima, ancor più lo spirito.
Se i primi saranno trovati ultimi e gli ultimi primi, ciò non si giustifica e non si comprende se non per le ragioni dello Spirito, che  vengono prima di quelle dell’anima.
Una predicazione che arriva  nel profondo dell’anima e non tocca lo Spirito neppure in superficie è vana ed inefficace: non conduce a vita eterna. Nel momento stesso in cui molti esclude dalla salvezza, sarà essa stessa esclusa dalla grazia del Salvatore. Non ci meravigli che proprio i malati e i mentecatti siano i primi ad accorrere al Signore: è la potenza dello Spirito creatore che attira a sé ogni spirito creato.
Come avviene la santificazione dello spirito? La risposta di Pietro è chiara e puntuale: “per l’obbedienza e l’ aspersione del sangue di Gesù Cristo”, grazia a voi e pace sia moltiplicata” Non è santo nello spirito se non colui che è stato santificato dallo Spirito. E tutto questo non è opera nostra, ma di Gesù Cristo. Non per la nostra ma per la Sua obbedienza a Dio Padre, non per il sangue da noi versato ma per il sangue da Lui versato per la purificazione e la salvezza dei molti.
“ Non si parla soltanto di sangue versato. Il sangue asperso è il sangue gettato, spruzzato, sopra di noi. Con questo sangue noi entriamo in contatto personale, le gocce di questo sangue ci toccano, ci macchiano, o meglio ci lavano e rendono bianche le nostre vesti, che sono immerse nel sangue dell’agnello ( Cf Ap. 7,14 ). Allora il Cristo è il termine e il tramite della fede, nella quale si entra con l’atto di obbedienza all’opera salvifica compiuta da Dio mediante il sangue di Cristo… Ecco allora il contenuto della formula trinitaria incontrata in questi primissimi versetti della lettera: dal Padre siamo preconosciuti ed eletti, per essere – nello Spirito – santificati, estraniati a tutta la realtà creaturale e immersi nella sfera divina attraverso la fede nel Cristo, l’aspersione del suo sangue e la redenzione del Cristo da noi accolta.” ( Umberto Neri )
L’obbedienza del Figlio deve diventare l’obbedienza di ogni figlio. Come Cristo è stato obbediente in tutto al Padre, così anche noi dobbiamo entrare in questo spirito di sottomissione, che è poi obbedienza a tutto e a tutti. Non c’è vera fede senza vera obbedienza. Allorchè entrati nell’obbedienza della fede diventa per noi efficace il sangue versato da Cristo. In questo sangue dobbiamo essere lavati, purificati dai nostri peccati. Fede, perché i nostri cuori siano aperti all’intervento divino e battesimo, perché il peccato sia tolto da noi in virtù di un lavacro spirituale che è aspersione nel e col sangue di Cristo. Come non c’è battesimo senza fede, così non c’è fede senza battesimo. La fede ci apre alla grazia, nel battesimo siamo rivestiti della medesima grazia.
“Grazia e pace sia moltiplicata”. La grazia data dal Cristo porta con sé ogni pace, e non una volta per sempre, ma in un divenire continuo che ci vede crescere di giorno in giorno in una moltiplicazione di doni celesti.

“3 Benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo che secondo la sua grande misericordia ci ha  rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti,”

“Sia benedetto Dio. È l’inizio tipico della preghiera ebraica, recepito nel Nuovo Testamento: “ Benedetto sei tu o Signore…” La maestra di preghiera per la Chiesa è stata la sinagoga; questa preghiera però è trasfigurata dall’evento nuovo che tutto trasforma, l’evento di Cristo… Ogni popolo ha la sua interpretazione di che cosa è la preghiera; non è indifferente il modello al quale la Chiesa si ispira: non si può insegnare a pregare in altro modo che passando attraverso l’Antico Testamento; così ha fatto Gesù, manifestamente, nello stesso Padre nostro, che egli stesso ha insegnato, così nuovo e così ebraico; così ha fatto la comunità apostolica, ponendo nelle mani dei fedeli e sulla loro bocca il libro dei salmi; e così fa la Chiesa tuttora dando il salterio.
“Padre del Signore nostro Gesù Cristo”. Ecco subito la qualifica in senso cristiano: il Dio che oggi noi conosciamo è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, ma lo conosciamo come e perché è Padre del nostro Signore Gesù Cristo, quindi con il suo nome compiuto, nella sua rivelazione piena e adeguata. Non possiamo rivolgerci a lui se non perché è Padre del Signore nostro Gesù Cristo ed è attraverso questo suo Figlio che noi, come figli, ci rivolgiamo a lui chiamandolo “Padre”. Anche gli Ebrei lo chiamavano Padre, ma noi lo chiamiamo Padre del Signore nostro Gesù Cristo”: per noi questo termine acquista un peso incomparabilmente maggiore, perché in Cristo siamo realmente, nello Spirito, suoi figli. Rispetto al mondo ebraico è una novità completa.” ( Umberto Neri )
Gloria, onore e benedizione dunque al Signore nostro, che ci ha rigenerati a una speranza sempre viva. Non è rigenerato se non colui che è stato trovato morto. La speranza dei redenti non si colloca sul piano di una qualsiasi altra speranza: non ci proietta semplicemente verso una vita migliore ma è passaggio dalla morte alla vita. È a noi data dal vivente, perché in Lui e per Lui anche noi da morti siamo fatti vivi. E tutto questo è opera dell’eterno Figlio Suo Gesù Cristo:  nella sua morte è la nostra morte, nella sua resurrezione la nostra resurrezione. In poche parole è riassunto il senso della nostra fede. Fede, innanzitutto, in una misericordia divina che si esprime secondo una moltitudine di doni e molteplicità di interventi, che si riassumono tuttavia in un evento centrale,  realtà fondante e portante di una speranza  sempre attuale e fattuale. Se Cristo non fosse risuscitato dai morti, vana sarebbe la  fede. L’annuncio di una vita nuova, allora, altro non può essere che l’annuncio della resurrezione di Cristo da morte. Questa la grande novità della storia, questo l’inizio di una nuova generazione. È sempre l’unico e medesimo Vangelo che passa da bocca a bocca, da apostolo ad apostolo. Non ogni apostolo è lo stesso apostolo, non ogni lingua è la stessa lingua: sempre ed ovunque chi è apostolo proclama la risurrezione di Cristo da morte. Molto  si indaga e si studia riguardo alla diversità trovate nelle parole degli apostoli. Ma non si va mai oltre l’aspetto formale: l’annuncio è uno ed uno solo, e al centro sta la risurrezione da morte del Cristo. L’evento finale dell’amore di Dio, diventa per noi l’evento iniziale del nostro cammino di salvezza. Tutto finisce e tutto comincia con un solo atto e da un solo fatto. Se per Dio si è con ciò esaurita la sua opera di salvezza, per noi ne è soltanto l’inizio e la condizione sine qua non. Non ci può essere fede in Cristo che non sia fede nella sua morte e resurrezione per la vita del mondo. Qualsiasi diverso approccio al Cristo è falso e menzognero: non conduce sulla retta via, ma è smarrimento dell’unica via che conduce alla vita eterna.
Molto si parla di Gesù Cristo, della sua diversità ed eccezionalità rispetto ad un qualsiasi altro uomo; troppo poco si parla della sua resurrezione da morte. Non è vero cristiano se non colui che si unisce al coro degli eletti che vanno gridando ai quattro venti: “Colui che tutti dicono morto è vivente”. Non semplicemente vivo come un sopravvissuto alla croce, ma vivente come colui sul quale la morte non ha potere alcuno, perché vive in eterno.
Non è vera fede in Cristo se non quella che è proiettata da subito in una dimensione senza tempo, non quella che cerca e vuole dal Salvatore una vita migliore, ma quella che chiede ed ottiene una vita eterna.

“per una speranza viva 4 per un’eredità incorruttibile, senza macchia e immarcescibile “

Sarebbe ben poca cosa e non risolutiva di ogni perché dell’esistenza, una eredità che non ci liberi dalla corruzione della carne e dalla macchia del peccato. Ciò che è destinato a marcire non è degno di un’opera divina.
“Cosa vuol dire che tale speranza è un’eredità? Vuol dire che non è meritata, sopravviene: non le si addicono né merito né conquista…” ( Umberto Neri )

” conservata nei cieli per voi”

E neppure si può pensare ad una trovata di Dio dell’ultima ora, ma tutto è accaduto conforme ad un eterno progetto d’amore, che manifestatosi nel tempo, non può e non vuole morire nel tempo.
“Il regno è già preparato, è pronto, è già là che attende; non siete voi a costruirvi la vostra beatitudine, come non siete voi a meritarla o a conquistarla. Dio l’ha preparata per darvela. “  ( Umberto Neri )

“5 che nella potenza di Dio siete custoditi per mezzo della fede per la salvezza, preparata per essere rivelata nel tempo ultimo.”

“E’ un passo di grande bellezza. Ci sono due custodie: dell’eredità tenuta in serbo e di voi che dovete conseguirla.” ( Umberto Neri )
La salvezza che viene dalla fede sarà rivelata nel tempo ultimo, ma è già attuale e già manifesta i suoi frutti. Noi, gli eletti, i predestinati alla salvezza, già godiamo di una particolare attenzione da parte di Dio. Come piccoli deboli e indifesi il Signore si prende cura di noi, per portarci all’età adulta dell’uomo che vive nella visione eterna del suo Creatore.
Come non ricordare le parole di Dio rivolte ad Abramo, padre della fede? “Non temere, Abramo, io sono scudo  per te; la tua ricompensa sarà oltremodo grande”. (Gen 15,1) Prima di tutto il resto è dato a noi conoscere un amore che si fa nostro scudo e nostra speranza. L’uomo vive con il timore della vita e muore con il terrore della morte. Non così chi è redento dal Cristo: siede nella pace tra le braccia di un Padre amoroso che sempre ed ovunque si prende cura di noi, proteggendoci dalle insidie del Maligno e da ogni suo inganno. C’è chi cerca protezione nelle potenze di questo mondo, c’è chi si affida alla potenza di Dio, in essa dimora, in essa trova una fondata pace.

“6 Perciò  esultate in lui anche se ora è necessario che siate un po’ rattristati con varie prove,”

La vita del cristiano è  gioia e pace. Nonostante le afflizioni che in un tempo e per un tempo possono darci tristezza, la nostra esistenza è improntata per grazia di Dio verso un sentimento di esultanza in Cristo Salvatore.
E non ci devono turbare le svariate prove a cui siamo sottoposti per la fede in Cristo. Ogni prova porta nel suo immediato una tristezza ed uno scoraggiamento, ma tutto è presto superato allorché rientriamo con la mente e con il cuore in uno spirito di preghiera perenne. Le prove possono spezzare quel sentimento di pace e di serenità che costantemente dimora in noi. Bisogna recuperare e riprendersi al più presto, ritornando alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio, che è potenza di resurrezione ma anche pace, gioia, serenità. Nei momenti di sconforto, datti alla preghiera; non semplicemente a quella che esce dal tuo cuore ma a quella che il Signore stesso mette sulle tue labbra, come preghiera di Gesù. È preghiera accetta e gradita al Padre, da Lui benedetta ed esaltata. La preghiera di Gesù farà il tuo cuore simile al suo, capace di ogni lode e di ogni rendimento di grazie a Dio, ma anche capace di allargare se stesso nei momenti della prova. “poiché nell’angustia, Signore, mi hai dilatato”.  Prima ancora delle preghiera da noi creata c’è la preghiera a noi insegnata e consegnata dal Cristo. I salmi  e  il Padre nostro sono l’ espressione più alta della preghiera, perché non preghiera di un qualsiasi figlio di Dio, ma dell’eterno Figlio che è Cristo Gesù.

“7 perchè il valore della vostra fede, molto più preziosa dell’oro, che perisce ma tuttavia è provato col fuoco, torni a vostra lode, gloria e onore nella manifestazione di Gesù Cristo”,


Una fede che non sia provata e riprovata, non dà alcuna garanzia di verità e di autenticità. Se già i beni di questo mondo devono dimostrare quello che valgono allorché saggiati dall’uomo, ancor più la nostra fede, provata da Dio, deve manifestare la sua purezza ed integrità. Qualsiasi corruzione o contaminazione va rimossa, non per opera dell’uomo, ma del Signore. Perché nel giorno della rivelazione di Gesù Cristo  lode, gloria ed onore siano a Lui resi con quella perfezione che appartiene esclusivamente a Dio e a coloro che da Dio sono nati.

“ 8 che amate,  pur senza averlo visto, nel quale ora, non guardando ma credendo, esultate con gioia indicibile e gloriosa, 9 ottenendo il fine della vostra fede: la salvezza delle anime”

Pochi hanno visto Gesù nella carne, nessuno l’ha visto e lo vede  nella gloria del Padre, ma il suo amore è stato diffuso in tutti i cuori di coloro che credono, in virtù dello Spirito Santo. Un amore ben vivo e sempre presente che ci porta a Lui con moto spontaneo ed immediato, agito da una potenza divina. A Cristo attirati, in Cristo siamo fatti pieni di una gioia che non può essere espressa dalla bocca dell’uomo, perché non viene dall’uomo. Gioia indicibile e gloriosa, che ci è donata da Colui che siede in eterno nella gloria del Padre.
Pur non vedendo Cristo glorioso, la fede nel suo nome, ci dà, qui ed ora, un assaggio dell’eterna beatitudine. Anche noi possiamo dire con Maria: “L’anima mia magnifica il Signore ed il mio spirito esulta in Dio mio salvatore”. La gioia che viene dallo Spirito ha carattere spontaneo ed immediato,  non ha bisogno di alcuna mediazione dei sensi, ma sgorga in noi qual rivo di acqua viva che ci conduce a vita eterna. Se la fede ha come fine la salvezza, verso la salvezza siamo già avviati ed incamminati,  in un’esultanza di gioia, che attesta di per sé la certezza della vittoria sulle potenze del maligno.

“10 Su questa salvezza ricercarono e investigarono i profeti che  profetizzarono sulla grazia a voi destinata, 11 investigando su quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva  le sofferenze destinate a Cristo e le glorie dopo queste cose.”

La salvezza, riguardo alla quale hanno ricercato ed investigato i profeti, è già a noi garantita. La grazia profetizzata è già data. Non c’è più bisogno di investigare riguardo ai tempi a ai momenti. Le sofferenze di Cristo hanno già avuto il loro compimento ultimo con la sua morte in croce. I profeti hanno profetizzato le sofferenze di Cristo e le glorie che sarebbero venute dopo. Noi, i redenti, i salvati, siamo testimoni di un’opera già avvenuta, i cui frutti sono già conosciuti, di cui ci nutriamo, in cui cresciamo fino alla statura dell’uomo perfetto.

“12 E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, erano ministri di quelle cose che ora vi sono state annunciate  per mezzo di coloro che vi hanno predicato il vangelo, nello Spirito Santo mandato dal cielo, sulle quali cose desiderano gli angeli chinarsi per guardare.”

C’è chi ha testimoniato prima e c’è chi testimonia dopo. Ciò che viene prima è dato in vista di ciò che viene dopo. Nella parola dei profeti abbiamo una conferma anticipata della salvezza che ci è data in Cristo Gesù. E l’artefice della Rivelazione è sempre l’unico e medesimo Spirito. Tanto grande è la salvezza operata dal Figlio di Dio che gli stessi angeli dal cielo volgono il loro sguardo sulla terra per ammirare le meraviglie preannunciate dai Profeti ed annunciate dagli Apostoli. Il Dio glorificato in terra ha fatto ancora più grande la sua gloria in cielo.

“13 Perciò avendo cinto i lombi della vostra mente, sobri, perfettamente sperate in quella grazia  che vi sarà data nella rivelazione di Gesù Cristo.”

Si cingono i lombi del corpo per camminare più speditamente, perché ogni rivestimento non sia di impedimento e di impaccio nella corsa. Si cingono “i lombi della mente” per togliere, rimuovere, rendere inoperanti tutte quelle sovrastrutture razionali e psicologiche che sono un ostacolo ed un impedimento per un retto uso della ragione, la cui vocazione prima è quella di magnificare il Signore,  Creatore nostro. Una mente pura, non impedita, è anche una mente sobria, che non conosce smarrimenti ed oscillazioni, che porta alla perfezione la nostra speranza che ci è data nella rivelazione di Gesù Cristo.
“Cinti i lombi della vostra mente”. “ Il riferimento alla mente è un termine ermeneutico per dire che bisogna trasferire al piano spirituale l’immagine, che è un’allusione al libro dell’Esodo ( cf. 12, 11 ), dove si danno le indicazioni per il modo di consumare l’agnello pasquale. Il popolo d’Israele, raccolto nelle singole case, è in attesa di ricevere l’ordine di Dio di partire per la terra promessa, carico di doni e non scacciato. Questo ordine di partenza va preparato con la consumazione dell’agnello e degli azzimi, in modo rituale e, pronti per la partenza; non si deve essere sdraiati comodamente sui divani, ma in piedi, con i calzari e con i lombi cinti, quindi pronti a muovere il passo immediatamente quando fosse venuto l’ordine di Dio. L’immagine usata da Pietro indica dunque la necessità di una vita pasquale, in conformità alla natura dell’esistenza cristiana che è un passaggio dalla tenebra alla luce, dalla mortalità e dai patimenti del mondo all’incorruttibilità e alla gioia sconfinata dell’eternità. È compiuta, celebrata, in virtù del sangue dell’agnello versato per noi: attraverso questo sangue siamo condotti al monte santo di Dio, a celebrare eternamente la sua festa, come Israele fu condotto all’uscita dall’Egitto fino al Sinai. Cinti i lombi della vostra mente, allude a tutto questo contesto…” ( Umberto Neri )

“14 Come figli dell’obbedienza non conformatevi alle concupiscenze di prima, quando eravate nell’ ignoranza 15 ma secondo il Santo  che vi ha chiamati anche voi diventate santi in ogni comportamento, 16 poiché è scritto: Voi sarete santi, poiché io sono Santo.”

Figli dell’obbedienza: bellissima definizione dei cristiani. Nati dall’obbedienza del Figlio di Dio, siamo fatti simili a Lui, cioè obbedienti in ogni cosa al Padre. Come il Figlio non fa niente da sé ma tutto in obbedienza al Padre così anche noi cerchiamo e vogliamo unicamente la Sua volontà.
È l’obbedienza il nostro carattere distintivo, quella che fa di noi creature nuove e diverse a somiglianza del Cristo. E non si deve intendere semplice obbedienza ai comandamenti di Dio, lasciando un qualche spazio al nostro libero agire in rapporto a ciò che ci sembra buono, ma è una vera e propria trasformazione di tutto il nostro essere che non impronta più a sé la propria vita, ma a quella del Cristo. Di modo che non siamo più noi a vivere, ma è Cristo che vive in noi. Non  è vera libertà   se non quella che viene dalla potenza di Dio, perché non facciamo più la nostra ma la Sua volontà. Chi si è fatto servo di Cristo perde ogni propria libertà per riavere e ritrovare l’unica vera libertà, che  non semplicemente vuole e desidera, ma realizza ed attualizza in sé la volontà di Dio.  Chi ama la propria libertà, conoscerà la propria schiavitù ad una potenza di peccato, chi perde la propria libertà in Cristo e per Cristo conoscerà la libertà dei figli di Dio, che non semplicemente vogliono, ma fanno la Sua volontà.
“Come figli d’obbedienza””. La formula “figli di” è di tipo semitico: figli della luce, delle tenebre, del giorno, della notte, dell’ira. Qui qualifica essenzialmente la natura nuova come obbedienza; essa deve essere l’abito del vostro agire, il comportamento così abituale da caratterizzarvi totalmente e globalmente. Figli di obbedienza non vuole dire soltanto “obbedienti”, è più forte; come i figli della luce sono coloro che sono tutti avvolti nella luce, l’obbedienza deve essere la nuova natura che nulla lascia a una falsa autonomia dell’uomo, nella pretesa e nella ricerca della quale l’uomo deviò da Dio e si allontanò dalla comunione con lui. Questa obbedienza  non è soltanto estrinseca, esterna ad una norma tratta dalla Scrittura o dalla tradizione vivente della Chiesa, ma dipende anche da una forza interiore che non dobbiamo mortificare, dallo Spirito Santo che parla in noi per suggerirci il modo di aderire a quella norma. Tutto il nostro comportamento deve essere un adeguarci allo Spirito, che ci sollecita a compiere la volontà di Dio e un adeguarci alla legge divina quale ci è stata trasmessa, comunicata, messa nelle mani e ripetuta agli orecchi. Quindi l’obbedienza diventa, in questo senso, la qualifica totale dell’essere cristiano, che coinvolge ogni istante del suo agire e da cui non ha mai diritto di allontanarsi.” ( Umberto Neri )

“non conformatevi alle concupiscenze quando eravate nell’ignoranza”.

Dobbiamo andare in controtendenza rispetto al libero andazzo di prima. Non più conformandoci ai desideri che sono propri dell’uomo che vive nell’ignoranza di Dio e della sua opera di salvezza, schiavo di una potenza di perdizione che lo trascina con sé , ma rinnovando il nostro comportamento secondo la potenza di colui che ci ha chiamati alla santità. Vi è un solo Santo in eterno, ed è solo in virtù della sua santità che anche noi siamo fatti santi, cioè diversi rispetto ad ogni libero operare secondo natura.
Se prima erano i desideri della carne che ci davano una forma spirituale, brutta e degenere, ora è lo stesso Spirito di Dio che dà una forma ai nostri desideri, facendoci conformi in tutto e per tutto all’autore della nostra salvezza. In questo modo si realizza ed attualizza in noi la nostra eterna vocazione ad essere figli di Dio in eterno,  conforme a quanto sta scritto: “sarete santi, poiché io sono Santo”.

“17 E se chiamate Padre colui che giudica senza riguardo alle persone secondo l’opera di ciascuno, con timore spendete il tempo del vostro pellegrinaggio,”

Il tempo di questa esistenza è soltanto tempo di passaggio ad un’altra vita. Dobbiamo vivere su questa terra come pellegrini, in viaggio verso una terra ultima e definitiva: incuranti del giudizio delle genti, aventi il cuore e la mente fissi unicamente nella volontà del Padre che è nei cieli e che nei cieli ci chiama. Un viaggio che conosce una sola meta, non può vederci come pellegrini stanchi e distratti, inclini ad ogni deviazione a destra e a sinistra. Il tempo di questo pellegrinaggio sia da noi speso nel timore di Dio, da Lui confortati, guidati e sorretti, ponendo ogni fiducia nel suo amore che sempre ci accompagna.
“Il Padre nostro che ci ha insegnato il Cristo, al quale evidentemente il testo prima di tutto allude, era la preghiera universale cristiana che tutti conoscevano e che si diceva in ogni celebrazione liturgica; “Abbà, padre” (Rom. 8,15; Gal. 4,6) è l’invocazione dello spirito che è in noi. Chiamare Dio come padre, in questo senso forte, invocarlo come papà è lo specifico cristiano. Non è semplicemente la confessione di lui come creatore provvidente di tutta la creazione, ma è l’accomunarci, in qualche modo, al figlio del suo amore, che è il Cristo Gesù; è il renderci partecipi del rapporto che, con Dio, ha il Cristo; è un rapporto di intimità inaudito. Come ha ben mostrato Jeremias (Abbà, Brescia 1976), questo modo di rapportarsi a Dio non ha confronti con ciò che è praticato in altre religioni nè in altri tempi, neppure con ciò che era praticato in Israele che pure chiamava Dio e, tanto spesso, “Padre”. È bene e giusta questa confidenza, dice S. Pietro, ma sappiate che questo padre giudica senza favoritismi personali… L’elezione non fonda la presunzione di privilegio, ma fonda un compito, genera una speranza viva. L’elezione è una glorificazione, ma non è il principio della presunzione di una privilegio davanti al Dio giudice… Attenti, dice Pietro, a non muovervi con leggerezza e presunzione, perché il vostro papà è colui che giudica senza favoritismi personali. L’appartenere alla Chiesa fonda il timore più che superarlo… L’intimità nuova che si è stabilita fra noi e Dio deve fondare un nuovo, ben più profondo timore. Più si ha avuto in dono, più Dio chiede. (Umberto Neri ).

“18 sapendo che non con cose corruttibili, con argento o oro, foste riscattati dalla vostra vuota condotta ereditata dai padri, 19 ma con il prezioso sangue di Cristo, come di agnello senza difetto e senza macchia,”

Che la nostra vita sia un bene prezioso è attestato dal nostro stesso Creatore. Non solo ci ha dato un tempo la vita, ma ha dato la sua stessa vita per il nostro riscatto dal potere del Maligno.  Eravamo perduti e non siamo stati abbandonati a noi stessi, eravamo schiavi del forte ed è intervenuto per noi Colui che è più forte. E non siamo stati riscattati con ciò che è già trovato in natura, ma con ciò che può essere versato solamente per libera elezione, non con il sangue di qualsiasi animale, ma con il prezioso sangue di Cristo, come di agnello senza difetto e senza macchia. E come dubitare dell’amore che Dio ha per ognuno di noi?
Non c’è esistenza, per quanto piccola ai nostri occhi, che non sia fatta grande dalla grandezza del sacrificio del Figlio di Dio. Grande nella sua manifestazione, parimenti grande nella sua concezione.

“20 preconosciuto già prima della fondazione del mondo,”

Dall’eternità il sacrificio del Figlio è nella mente del Padre quale espressione ultima del suo amore per le sue creature.
Non si mantiene e non si perfeziona nel tempo se non ciò che è reputato da sempre un bene prezioso, unico e insostituibile.

“ma manifestato,  alla fine dei tempi per voi.”

Ciò che è da Dio preconosciuto prima della creazione del mondo, è  manifestato alla fine dei tempi, per il bene nostro e di tutte  le creature. È tracciato l’arco di tempo entro il quale ha il suo concepimento, il suo progresso, la sua realizzazione ultima, la storia di questo mondo. All’inizio vi è il progetto dell’amore divino, alla fine l’attuazione e la manifestazione di questo progetto. Tutto l’accaduto  non ha importanza e valore se non in quanto parte integrante, preparazione, occasione,  realizzazione piena e definitiva dell’unico e vero amore che è quello dell’unico vero Dio, che si è manifestato in Israele. Non esiste una storia dell’uomo, fatta dall’uomo, se non come inganno del Satana, che innalza ogni io creato al di sopra del solo Io increato.

“21 che per opera sua credete in Dio che l’ha risuscitato  dai morti e ha dato a lui gloria, cosicchè  la vostra fede e la speranza siano in Dio.”

La storia ha come fine la salvezza dell’uomo e l’esaltazione del suo Salvatore. In virtù del Cristo siamo fatti credenti nel Padre che lo ha resuscitato dai morti e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, così che la nostra fede e la nostra speranza in Dio non siano infondate.
Fede e speranza in Dio non sono prodotto della fantasia umana, sua arbitraria ed ingiustificata creazione, ma sono frutto della grazia di Dio, di ciò che il Creatore ha pensato nell’eternità, reso attuale nel tempo, fatto perenne con sigillo indelebile.
“E’ il Cristo che ristabilisce il rapporto dell’uomo con Dio attraverso le due determinazioni fondamentali della fede e della speranza. Egli è il tramite della nostra fede perché l’oggetto del nostro atto di fede è lui e il suo rapporto con il padre; non può accostarsi a Dio chi non crede; ma cosa vuol dire credere? “Se crederai nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rom. 10,9): questa è la fede. E la speranza cristiana è l’attesa certa della nostra glorificazione in Cristo, in forza di Cristo stesso, della sua grazia e della sua promessa. Credere che esista un essere infinito, provvido e giudice, al quale si renderà conto, è poco: la fede, nella sua determinazione piena, tanto da meritare il nome di fede all’interno della dottrina e della teologia cristiana, è fede in Dio che  ha risuscitato Cristo costituendolo Signore, o reciprocamente, in Cristo Signore risuscitato da Dio Padre (conf. Atti 2,36). La speranza non è semplicemente l’aver fiducia in Dio che guarda tutte le sue creature e che quindi aiuterà anche me; è speranza di conseguire la vita eterna e la glorificazione infinita mediante il Cristo, in analogia alla sua glorificazione in Lui. Quindi noi formuliamo la fede ed emettiamo l’atto della nostra speranza mediante il Cristo. È mediante lui che la vostra fede e la vostra speranza sono fisse in Dio, ci dice Pietro. È un testo molto importante, immenso.” (Umberto Neri )

“22 Avendo purificato le vostre anime nell’obbedienza alla verità per un amore fraterno senza ipocrisia, amatevi gli uni gli altri intensamente, di puro cuore”

L’obbedienza a Dio fa pure le nostre anime, cioè le libera da tutte le sozzure, sovrastrutture, incrostazioni create dalla disobbedienza di Adamo. Non è capace di vero amore se non il cuore puro, cioè purificato dal Cristo in virtù dell'obbedienza. La sovrabbondante ricchezza dell’amore che lo Spirito Santo ha riversato su di noi trabocca su tutte le creature, non indistintamente, ma a cominciare da quelle che ci sono più vicine,  dai fratelli di fede. Si ama Dio perché si è da Lui amati, si amano i fratelli perché fatti oggetto dello stesso amore. Un amore che non è innanzitutto per Dio e per coloro che hanno fede in Cristo, non porta in sé alcuna chiarezza e non dà alcuna garanzia di verità. Non è chiaro donde venga, perché venga, quando e come si riversi nei cuori e si travasi dall’uno all’altro. Non c’è altro amore all’infuori di quello che  è a noi donato dal cielo. Per la nostra salvezza, perché siamo creature perdute e destinate alla dannazione eterna. In virtù del sacrificio del Cristo, perché i molti tornino ad essere una sola cosa in virtù dell’eterno primogenito Figlio di Dio. Un amore inconsapevole del proprio fondamento e del proprio fine, quando si rivolge verso l’alto si manifesta come idolatria, quando si rivolge verso il proprio simile  conosce soltanto la rapina e l’indebito possesso della vita altrui.
“La fede sfocia nella carità e si esprime nella carità: è operante mediante la carità ed è talmente connessa con essa che chi non ama non ha conosciuto Dio. La mancanza dell’opera della fede mostra inconfutabilmente l’assenza della fede viva. Si è salvati per la fede, ma come faccio a sapere se la possiedo davvero? Dall’amore: se non amo non ho la fede perché la loro concatenazione è intrinseca ed inscindibile… Devo amare sul serio e in modo intenso, forte: un rapporto sentito, vissuto con forza, non indifferente ma appassionato; per così dire, un amore sottratto alle passioni, perché di spirito e grazie, eppure appassionato… L’autore prescrive un amore non ipocrita, non fatto di parole, ma reale e intenso, e come di fratelli. I fratelli sono qui innanzitutto i membri della comunità credente, perché si rivolge ad essi come referenti primi del comando, ma non vengono esclusi affatto gli altri.” (Umberto Neri)

“ 23 essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna”.

C’è bisogno di una rigenerazione dall’alto, non dal seme corruttibile di Adamo, ma dal seme incorruttibile di Dio. È Cristo, l’eterno Logos o Verbo del Padre, che dopo averci generato una volta, ogni giorno ci genera di nuovo, in virtù della potenza della sua Parola  letta, meditata, proclamata, e alla fine mangiata nella celebrazione eucaristica.
“Qual è questo seme incorruttibile generatore? Il discorso si basa tutto su una teologia della parola di Dio che noi in gran parte abbiamo perduto e dobbiamo recuperare. La parola di Dio che vi è stata evangelizzata, la parola del kerygma, e che è specificata in modo molto semplice come “parola viva e permanente” questa è il seme che pone in essere la nuova generazione. È mediante la parola che mi è data la fede ed è mediante la fede che io nasco come figlio di Dio: “A coloro che credono ha dato il potere di diventare figli di Dio” (cf. Giovanni 1,12). Tutti i sacramenti sono sacramenti “della fede” (sacramenta fidei ), e se manca la partecipazione alla fede della Chiesa ( è la fede della Chiesa che battezza ) non c’è battesimo. Quindi ciò che mi genera è la Parola, in quanto la Parola soltanto può far nascere la fede, secondo la concatenazione espressa da San Paolo ai Romani: “Dunque la fede dipende dall’ascolto, ma l’ascolto si attua per la parola di Cristo” (Rom. 10,17). (Umberto Neri)

“24 Poiché ogni carne è come l’erba e tutta la sua gloria è come fiore d’erba; si secca l’erba e il fiore cade; 25 ma la parola del Signore rimane in eterno. Ora questa è la parola  annunciata a voi.”

Bellissima conclusione del discorso. Se confidi nella carne, la vedrai morire. E il suo fiore? Dura ancora meno. Presto appare ed ancora più presto cade a terra. Dapprima tiene alto il capo, per fare bella mostra di sé, poi l’abbassa per nascondere i segni del proprio invecchiamento, infine cade a terra, si secca e scompare nel nulla.
Ma la Parola del Signore, dura in eterno! Non ha in sé l’appariscente bellezza del fiore, ma porta frutti di vita celeste, che non verranno mai meno, ma sempre allieteranno e nutriranno coloro che siedono alla mensa di Dio Onnipotente.