Cap.4

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Cap. 4
Avendo dunque Cristo sofferto nella carne anche voi armatevi dello stesso pensiero, perché chi ha sofferto nella carne ha cessato col peccato, 2 per vivere il tempo rimanente nella carne non più secondo le cupidigie degli uomini, ma secondo la volontà di Dio. 3 E’ sufficiente infatti il tempo passato per aver operato la volontà dei pagani avendo camminato in scostumatezze, cupidigie, ubriachezze, gozzoviglie, bevute e infami idolatrie. 4 Perciò sono sorpresi, non correndo voi insieme verso lo stesso disordine di dissolutezza e diventano maldicenti; 5 renderanno conto a colui che è pronto a giudicare vivi e morti. 6 Per questo infatti anche ai morti ha annunciato la buona notizia, così che siano giudicati secondo gli uomini nella carne, vivano invece secondo Dio nello spirito. 7 Ora si è avvicinata la fine di tutte le cose. Siate temperanti dunque e siate sobri per le preghiere. 8 Prima di tutto abbiate un amore costante gli uni verso gli altri, perché l’amore copre una moltitudine di peccati! 9 Siate ospitali di gli uni verso gli altri senza mormorazione! 10 Secondo il carisma che ciascuno ha ricevuto siate serventi con esso gli uni per gli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio! 11 Se qualcuno parla, parli  con parole di Dio; se qualcuno serve, serva come per l’ energia che Dio provvede, affinché in tutte le  cose sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale è la gloria e la forza per i secoli dei secoli amen. 12 Amati, non siate sorpresi per l’incendio che accade fra voi a prova per voi, come se vi capitasse qualcosa di strano, 13 ma come partecipanti alle sofferenze di Cristo rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria vi rallegriate esultanti. 14 Se venite oltraggiati per il nome di Cristo, beati voi, perché lo spirito della gloria e di Dio riposa su di voi. 15 Nessuno di voi soffra come omicida, o ladro, o malfattore, o come delatore; 16 se invece soffre come cristiano non si vergogni ma glorifichi Dio con questo nome. 17 Perché è  tempo che cominci il giudizio dalla casa di Dio; se però comincia prima da noi, quale  sarà la fine dei disobbedienti al Vangelo di Dio? 18 E se il giusto si salva a stento, dove appariranno l’empio e il peccatore? 19 Perciò anche coloro che soffrono secondo la volontà di Dio rimettano al fedele Creatore le loro anime attraverso opere buone.

 

“Avendo dunque Cristo sofferto nella carne anche voi armatevi dello stesso pensiero, perché chi ha sofferto nella carne ha cessato col peccato, 2 per vivere il tempo rimanente nella carne non più secondo le cupidigie degli uomini, ma secondo la volontà di Dio.”

Non ci sono molte vie di salvezza per l’uomo: ce n’ è una sola ed è quella intrapresa dal Cristo, perché ne seguiamo le orme.
Non c’è vita senza morte e non c’è liberazione dal peccato se non in virtù della sofferenza della carne. Per carne si deve intendere la nostra realtà naturale fatta di corpo materiale e di anima. Nell’uomo c’è anche una terza dimensione, quella dello spirito. Non sta scritto che la nostra realtà spirituale sia passibile di sofferenza. Al contrario è proprio in virtù di uno spirito visitato e colmato dallo Spirito Santo che noi tutti possiamo dire con Paolo: Sovrabbondo di gioia in ogni mia tribolazione. Per quel che riguarda la nostra realtà data dalla carne e dal sangue, è necessario passare attraverso molte tribolazioni. Non solo quelle che ci verrebbero in ogni caso dalla nostra natura di essere mortali, ma ancora di più  quelle che ci vengono da una scelta libera e responsabile di Cristo Salvatore. Se l’uomo che non vuole la salvezza fugge lontano dalla croce, chi vuol essere fatto salvo in Cristo la deve scegliere volontariamente come strumento di redenzione. Uno strumento che non può operare da solo, ma  nell’ottica di una accettazione e di una appropriazione da parte nostra di ciò che è  volontà di Dio. Non possiamo avere pareri diversi e discordanti riguardo alla salutare necessità di una sofferenza della nostra carne, perché anche Cristo ha sofferto nella carne.
“Armatevi dello stesso pensiero”. È molto  più di una semplice solidarietà nella croce per Cristo. È una vera e propria armatura che di per sé attesta il nostro stato di guerra, non alla ventura con la nudità dei nostri mezzi, ma rivestiti delle armi a noi donate dal Cristo.
Senza questo armamento, la guerra è persa in partenza e la sofferenza della carne finirà per schiacciarci ed annientarci.
“perché chi ha sofferto nella carne ha cessato col peccato,”
Chi ha già scelto e sperimentato questa sofferenza dimostra con ciò la sua volontà di rottura col peccato e il desiderio di una vita diversa, che è già in atto.
“Voi che avete subito sofferenze nella persecuzione – dice il nostro testo – voi confessores (coloro che in diverse forme avevano testimoniato la fede senza consumare il martirio, cioè gran parte della comunità cristiana a cui si rivolgeva) ringraziatene Dio: la persecuzione è occasione di un rinnovamento totale, di un vivere come nuove creature e di una rottura con il mondo e con il peccato, incomparabile rispetto a tutto ciò che avete vissuto prima, e quindi una attuazione delle virtualità del battesimo di eccezionale valore ed efficacia”. (Umberto Neri)
“2 per vivere il tempo rimanente nella carne non più secondo le cupidigie degli uomini, ma secondo la volontà di Dio”.
Se resta ancora un tempo da vivere nella carne dovrà essere non più secondo le cupidigie degli uomini, ma secondo la volontà di Dio. Non si può, ed è altamente sconsigliabile, interrompere un cammino già intrapreso. Bisogna andare avanti fino all’esito finale che è conseguimento della vita eterna. E non si deve pensare di aver già sofferto abbastanza. Il tempo della sofferenza passata è nulla in confronto a quello da noi vissuto alla maniera dei pagani.

“3 E’ sufficiente infatti il tempo passato per aver operato la volontà dei pagani avendo camminato in scostumatezze, cupidigie, ubriachezze, gozzoviglie, bevute e infami idolatrie.”
Se si vuol guardare al passato, per giustificare le sofferenze già portate, è sufficiente il tempo trascorso vivendo come vogliono i pagani:
Scostumatezze, cupidigie, ubriachezze vengono da una mente e da un cuore perversi che cercano la propria soddisfazione e la propria gioia in ciò che è altro dal Signore e dalla sua volontà.
Gozzoviglie e bevute attestano di per sé la schiavitù ai piaceri del ventre e un uso smodato di ciò che  entra per la gola. 
Infami idolatrie: sono l’espressione più grave del nostro peccato e del nostro asservimento al Maligno, quando qualcosa o qualcuno prende in noi il posto che spetta unicamente al Signore.

“4 Perciò sono sorpresi, non correndo voi insieme verso lo stesso disordine di dissolutezza, diventano maldicenti;…”

Inevitabile il confronto e lo scontro del cristiano con coloro che non credono. La diversità, che è donata dal Signore, suscita sorpresa e fastidio in coloro che vivono seguendo le passioni della carne e devono pur parlare male di una santità incomprensibile. Non aspettiamoci il plauso del mondo per le virtù donate dal cielo; se il vizio può lasciare indifferenti, la virtù  addirittura può essere messa sotto accusa e derisa.

“5 i quali renderanno conto a colui che è pronto a giudicare vivi e morti.”

Non si illudano coloro che vivono senza timore di Dio. Il giudizio del Signore è  un dato ed un fatto: ancora viventi in questa vita o morti  ad essa il giudizio è già attuale. Perché chi non crede è già condannato.
“Ma renderanno conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti”. Cristo si manifesterà nell’ultimo giorno, ma è già pronto a giudicare i vivi e i morti. La formula stereotipa: “Dio giudicherà i vivi e i morti”, fa parte della catechesi primitiva. La troviamo negli Atti degli Apostoli (10,42); nella seconda lettera a Timoteo (4,1) e nella prima lettera ai Tessalonicesi (4,15). Perché si dice “i vivi e i morti?”. Non sono tutti morti quelli che sono giudicati? La frase è in rapporto al ritorno del Cristo, che troverà la generazione di quel tempo viva e le precedenti già morte (cf. 1 Tessalonicesi 4,15). (Umberto Neri)

“6 Per questo infatti anche ai morti ha annunciato la buona notizia, così che siano giudicati secondo gli uomini nella carne, vivano invece secondo Dio nello spirito.”

Pietro riprende il discorso già fatto. Dopo la sua morte Cristo è sceso in Spirito nel regno dell’oltretomba per annunciare la salvezza a coloro che erano già morti nel tempo della sua venuta. Si adempie così per tutta l’umanità di ogni tempo il disegno dell’eterna salvezza in Cristo. Abbiamo già detto che si deve intendere secondo l’immagine. Non si può parlare di una salvezza retroattiva , ma di una salvezza che è operante per tutti allo stesso modo. La salvezza di chi è morto prima della venuta del Salvatore non è diversa dalla salvezza di chi è venuto dopo. Vi è un giudizio di Dio per tutti gli uomini nel tempo della loro vita nella carne, perché tutti possano vivere secondo Dio nello spirito.
Perché si insiste sulla discesa di Gesù agli Inferi? Dato per certo che il sacrificio di Cristo ha una portata ed una efficacia, per così dire. universali, e tutti interessa e chiama in causa, cosa si vuol dire di più? Noi pensiamo che si voglia sottolineare come tutti gli uomini, di tutti i tempi, prima o dopo la venuta del Cristo, debbano confrontarsi con lo stesso Cristo in virtù dell’annuncio del Vangelo. Non sappiamo come e non ci è detto, ma è pienamente giustificato pensare che non può esserci per alcun uomo, giudizio ultimo e definitivo, senza un confronto con Cristo Salvatore, vincitore della morte. Non c’è salvezza senza fede in Cristo: se i tempi e le circostanze di questa vita non offrono a tutti la possibilità di “essere evangelizzati”, Gesù stesso provvederà per questo , e vi ha già pure provveduto, in modo opportuno e a tempo opportuno. Rimane il mistero riguardo al come, ma è una certezza e una verità testimoniata dalla Parola di Dio.
“Per questo fu proclamato il Vangelo anche ai morti: perché siano giudicati, si, secondo gli uomini, nella carne, ma venivano, secondo Dio nello spirito”. Il guaio di molti interpreti è di mettere questo testo in rapporto con quello precedente sulla discesa agli inferi; allora si caricano i due termini, sommandosi l’uno con l’altro. Là si dice che il Cristo andò a predicare, qui si dice che i morti furono evangelizzati, e come conseguenza si interpretano i due testi in termini essenzialmente salvifici. Ma l’idea della lettera mi pare diversa. Si chiude la pericope con un nuovo incoraggiamento a pazientare nella persecuzione e lo si fa con il procedimento di una ricapitolazione verbale e tematica, riprendendo i termini di 3,18 (“messo a morte nella carne, vivificato nello spirito”) e di 4,5 (“giudicare i vivi e i morti”); il pensiero risultante è dunque questo: anche noi, come il Cristo, subendo la persecuzione e il falso giudizio umano veniamo uccisi nella carne ma la nostra vita non cessa perché – avendo un giorno, morti quali eravamo, udito e accolto il Vangelo – siamo divenuti viventi una volta per tutte, in una vita nuova secondo Dio. Il Vangelo è stato annunciato ai morti e noi, da morti che eravamo, abbiamo recuperato una vita eterna. Anche se gli uomini, giudicando nel loro modo (che qui è contrapposto al modo con cui giudica Dio), ci condannano nella carne, noi rimaniamo in quella vita che nessuno ci può togliere, perché già siamo viventi, in Cristo, della vita eterna. Ecco la grande consolazione data alla Chiesa perseguitata”. (Umberto Neri)

“7 Ora si è avvicinata la fine di tutte le cose.”

Per chi ha fede in Cristo la storia è già al suo epilogo finale. Non c’è più fondata aspettativa in una qualche novità di questa vita. Tutto è compiuto, e noi dobbiamo vivere con il cuore e con la mente in continua tensione verso le cose del cielo, per essere trovati  degni di vita eterna in virtù della fede nel Salvatore Gesù Cristo.
“La realtà di questo tempo escatologico già inaugurato esige un comportamento adeguato, esige un modo di sentire, di pensare, di agire e di muoversi conforme all’emergenza che stiamo per vivere. La vita escatologica, dunque, è una caratterizzazione fondamentale che deve essere dominante nella Chiesa. Se cessasse di essere il popolo che si sente pellegrino e che attende il Signore perché sa che è alle porte e bussa, come dice l’Apocalisse, la Chiesa cambierebbe completamente il suo volto, si deformerebbe letteralmente e non sarebbe più ciò che il Signore vuole che essa sia. Il modo di vivere conforme all’imminenza dello eschaton non si deve tenere come se il Signore stesse per tornare, ma poiché il Signore sta per tornare… Il compito del credente, per vivere conforme alla verità dell’eschaton ormai imminente, è di seguire i numerosi consigli dell’apostolo: sono indicazioni e precetti molto urgenti, dati talvolta con brevi parole, con discorsi che si racchiudono in pochi versetti, ma senza frammentarietà perché, come abbiamo visto, il filo è tracciato in modo estremamente netto”. (Umberto Neri)

“Siate saggi dunque e siate sobri per le preghiere.”

È saggio colui che comprende e fa proprio il tempo opportuno per la salvezza: è già dato e non possiamo vivere diversamente se non nella fede in ciò che Cristo ha già operato per noi e in noi, perché abbiamo vita eterna. Bando dunque a pensieri ed opere che non sono di utilità alcuna, quando  non sono di danno. È lecito chiedersi quale rapporto abbiano con la parola di Dio, in quale conto la tengano, in che modo la conoscano o se non la conoscano affatto, la maggior parte dei nostri cristiani che sembrano dar peso ed importanza a tutto, fatta eccezione, per la preghiera. In alcuni casi la preghiera è considerata addirittura una perdita di tempo, una fuga da un impegno vero e concreto nei confronti del Signore. Con tutto quello che c’è da fare a questo mondo per i poveri, per i sofferenti e i bisognosi, sembra proprio che la preghiera si debba tutt’al più lasciare a qualche monaco di professione, che è pur sempre l’eccezione dell’esistenza e non la norma.  Quali siano i frutti di una simile mentalità ben li vede e li conosce chi ha intelligenza delle cose del Signore. I cuori diventano sempre più aridi e freddi, privi, perché deprivati, della carità divina, di quell’amore donato dal cielo, che unicamente attesta di noi che siamo figli di Dio. Nessuna parola di lode al Signore esce dalle nostre bocche, perché il cuore riposa altrove. E quale invocazione di salvezza, di misericordia, di perdono per i peccati che attestano di per sé che non viviamo in uno stato di grazia, ma di peccato?  Quale vuoto di preghiera  c’è nei singoli,  nelle case, nelle chiese! La preghiera se non è del tutto assente è ridotta alle sue forme minime , più povere, disadorne e meno illuminate, quasi dei resti fossili, dai quali a malapena si intravede l’originaria realtà. Abbandonata la preghiera coi salmi e con i canti più belli e più illuminati della Tradizione cristiana, tutto si riduce a qualche pater, ave, gloria, detto in fretta, a stento, con una monotonia della voce che già di per sé attesta e dice la noia del cuore. È  la morte della preghiera e non il venire meno delle grandi opere di “carità” che innanzitutto manifesta la nostra lontananza da Dio. Se non c’è amore a Dio, chiaramente e apertamente a lui espresso, manifestato in virtù della parola,  chiesto con uno spirito di continua ed incessante supplica, che ne è della nostra fede in Cristo? Nessuna gioia celeste è trovata nei nostri cuori, nessuna parola di pace, conforto, speranza per chi ci sta vicino esce dalla nostra bocca. Il mutismo più assoluto domina sovrano nei nostri rapporti con il Creatore e con le sue creature. Grande è il numero dei demoni muti che hanno preso dimora nei cuori degli uomini, anche se molto parlano, urlano, gridano… ma solo per dare la morte e non per comunicare la vita che dura in eterno.
Il primo segno di un cuore morto alla vita del Signore? L’assenza di una preghiera continua ed incessante, il venir meno del nome di Dio sulla propria bocca: non si parla con Dio né si parla di Dio. Un libro di don Divo Barsotti porta il titolo “ La preghiera lavoro del cristiano”. Ma chi ha interesse e chi vuol comprendere?
Nessuna fatica è più benedetta dal Signore di quella della preghiera, fatta con la Parola e nella Parola..
“Tutte le miserie del mondo si danno convegno nel mio cuore per implorare la misericordia di Dio, e tutte le bellezze dell’universo, tutte le grazie che Dio spande nell’universo, tutte si riassumono in me perché da me si innalzi un ringraziamento per tutte quante le cose, una lode per tutta la divina bontà che Dio ha effuso nell’universo; ecco la vocazione cristiana. Il binomio benedettino “ora et labora” non va inteso: “prega in tal modo che la preghiera sia il tuo vero lavoro?”. Le altre cose, sì, devi farle, non è detto che tu debba trascurarle, ma come un professore che fa anche da mangiare quando ritorna a casa se non ha la donna di servizio, o come un padre di famiglia che va a visitare gli infermi nell’ospedale se ha tempo di farlo.  Così noi tutti dobbiamo fare anche le altre cose che ci sono imposte per doveri di stato, per doveri particolari di condizione di famiglia; ma prima di tutto in quanto cristiani bisognerà rispondere alla parola di Cristo “bisogna sempre pregare” (cf. Luca 18,1). Il lavoro fondamentale, il principale fra tutti, quello che ci definisce come cristiani, come figli di Dio, dovrà essere precisamente la nostra preghiera… Una preghiera che deve essere molto spoglia, molto libera, molto intima, molto segreta, che deve essere un’attenzione dell’anima a Dio piuttosto che un formulare continuo di giaculatorie. Può essere una preghiera di silenzio, una preghiera di lode, di adorazione, un abbandono a Dio che è pura misericordia, sia quello che sia, deve essere però continua preghiera, continuo rapporto dell’anima con Lui, per noi e per tutti, continua implorazione della misericordia divina per noi e per tutti, continua adorazione per noi e per tutti, in tal modo che nel nostro cuore tutto il mondo si riassuma per implorare misericordia, per cantare lode a Dio.” (da “La preghiera, lavoro del cristiano”, di Divo Barsotti).
“Siate dunque saggi e sobri, per dedicarvi alla preghiera”.
“Il proprio di questo testo, che non è esclusivo nel Nuovo Testamento ma che merita comunque particolare attenzione, è il collegamento fra sobrietà e saggezza. Siate saggi e siate sobri. Non sono due indicazioni diverse, perché la sobrietà è una condizione per la saggezza. È quel mantenersi lucidi che era imposto, per esempio, ai sacerdoti in Israele, che non dovevano mai lasciarsi andare all’ebbrezza e che non dovevano bere bevande inebrianti per non errare nei giudizi e per continuare a sapere discernere, sempre, molto attentamente, il sacro dal profano, il giusto dall’ingiusto. La sobrietà è anche non distrazione, non dissipazione, limite ai pensieri; è il rimanere nella concentrazione sull’essenziale e nella semplificazione suprema del pensare e dell’agire, in modo da prendere una direzione netta e perseguirla con costanza e coerenza; è l’allontanamento dall’affollarsi nel nostro cuore di preoccupazioni, pensieri, discorsi, occupazioni che, più o meno buoni in se stessi, sono comunque mondani. La saggezza è pure una categoria escatologica classica. Questa saggezza si contrappone alla stoltezza, alla mancanza di accortezza di chi non pensa al giorno finale, di chi non distingue quanto va custodito da quanto è superfluo o meno importante. Il Signore è alle porte, già si sente bussare. Stolto il servo che il Signore ha preposto alla sua casa o al quale ha dato un compito e che ritiene che lo sposo tardi; si dà a picchiare i servi e le serve, a mangiare e a bere, finché il Signore non ritorna nel mezzo della notte, lo trova nelle gozzoviglie e nel disordine e lo punisce ponendo la sua sorte fra gli infedeli (cf. Luca 12,42-48). Stolte sono le vergini che non sanno attendere nel modo dovuto il ritorno dello sposo e che si trovano perciò con le lampade spente (cf. Matteo 25,1-13). A questa stoltezza di chi non sa o non ne predispone tutto per il momento dell’incontro e di chi dice in cuore suo che il padrone tarda, si contrappone la saggezza, la sapienza, che deriva dalla sobrietà e che nella sobrietà è custodita”. (Umberto Neri)

“8 Prima di tutto abbiate un amore costante gli uni verso gli altri,”
Preghiera incessante verso Dio, amore costante verso gli uomini: sono i tratti distintivi della vera fede in Cristo.
“perché l’amore copre una moltitudine di peccati!”

Se la nostra vecchia natura di uomini peccatori può ancora riemergere, l’amore fraterno costante e continuo attesta di per sé una potenza di resurrezione per noi acquisita ed in noi consolidata dalla grazia del Signore. Altro è fare il peccato per debolezza, altro è amare il peccato. La  potenza dell’amore sia in noi preponderante e prevalente rispetto ad ogni residua forma di peccato.
“La primarietà del precetto della carità è ribadito più volte nel Nuovo Testamento. L’amore è chiamato il precetto per eccellenza; così anche il comandamento nuovo. È ciò che caratterizza il pensiero del Signore nel modo più profondo e che caratterizza e qualifica la nuova era, la nuova economia: l’amore è la realtà più grande di tutte ed è anche il comandamento riassuntivo di tutta la legge… È il precetto attuando il quale si attua tutto; l’amore è il dono che, posseduto, fa possedere tutto”. (Umberto Neri)

“9 Siate ospitali  gli uni verso gli altri senza mormorazione!”

Un cuore fatto largo dal Signore dà maggiore spazio al Creatore ma anche alle sue creature, a cominciare dai fratelli di fede. L’ospitalità deve essere sincera e sentita, senza mormorazione, fatta cioè nella gioia, non come un dovere ma come manifestazione di un amore di Dio in noi traboccante che si riversa sugli altri.

“10 secondo il carisma che ciascuno ha ricevuto siate serventi con esso gli uni per gli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio!”

Non c’è dono di grazia che non venga dal Signore: in maniera ed in misura diversa, ma sempre a lode del solo Signore, per il bene nostro e di tutta la sua santa Chiesa.
Non dobbiamo servirci dei doni per scopi nostri, non conformi alla volontà di Dio, ma dobbiamo servire ai doni, per il bene di tutto il corpo di Cristo. Non siamo innanzitutto fruitori di doni del cielo, ma buoni dispensatori e amministratori di una medesima grazia che nei singoli si manifesta in modi diversi, per il bene di tutti.
“Anche questa indicazione è, inconfondibilmente, escatologica. Cosa sono infatti i carismi? I testi del Vangelo nei quali se ne parla sono tutti in un contesto escatologico. Pensiamo alla parabola dei talenti (Matteo 25,14-30), pensiamo, ancora, all’insegnamento riguardo all’amministratore della casa, che deve amministrare i beni a favore dei servi, elargendo loro il cibo in tempo opportuno, in attesa del ritorno del Signore (Luca 12,42-48); pensiamo alla parabola delle mine, parallela a quella dei talenti (Luca 19,12-27): “Di ritorno… fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato”. Pensiamo a S. Paolo quando, ad esempio, ricorda che ciascuno sarà giudicato secondo il modo con cui ha gestito i carismi, i doni che ha ricevuto da Dio, se si  è servito di essi bene o male, se ha edificato con pietre preziose o con paglia (1 Corinzi 3,5-17). Tutti i discorsi sui carismi sono discorsi impostati, nel Nuovo Testamento, in chiave escatologica, perché sono le realtà dell’intermedio, date da Dio da amministrare in attesa del rendiconto, alla fine. La prospettiva escatologica è perseguita dunque, con grande coerenza, anche in questo punto e il nostro testo distingue la dottrina sui carismi per contenere, in poche parole, quasi tutto: che ciascuno li possiede, che sono molteplici e che sono elargiti da Dio (grazia). L’esortazione riguarda tutti, nella presupposizione che ciascuno nella Chiesa abbia ricevuto uno o più carismi. Si riferisce a tutta la Chiesa, non solo a uomini dotati di capacità eccezionali, “carismatici”. Nella comunità cristiana ciascuno amministri bene il proprio carisma perché non c’è alcuno che non abbia ricevuto una carisma. “A ciascuno è data una manifestazione particolare dello spirito per l’utilità comune” ( 1 Corinzi 12,7) e non c’è un membro del corpo senza funzione (cf. 1 Corinzi 14,26); questo è un presupposto elementare del discorso del Nuovo Testamento. Non esiste, come dicono i padri, un membro, piccolo fin che si voglia, che non abbia il proprio senso. Anche la particella minima del corpo non è senza senso. “A ciascuno di noi, tuttavia, è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo” (Efesini 4,7); a ciascuno in modo distinto secondo il disegno di Dio, diversificato per ciascuno ma convergente all’unico fine… Il carisma è una modalità garantita da Dio, sostenuta da Lui e, anzi, da Lui imposta, perché guai se uno che ha una carisma non lo esercita! Esso è strumento del servire, non  occasione dell’emergere, ma esattamente il contrario: strumento del sottomettersi quali servi gli uni degli altri”. (Umberto Neri)

“11 Se qualcuno parla, parli  come con parole di Dio; se qualcuno serve, serva come per la energia che Dio provvede, affinché in tutte le  cose sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale è la gloria e la forza per i secoli dei secoli amen”.

Tutto si dica e tutto si faccia per l’edificazione del corpo di Cristo e per la glorificazione di Dio.
Dalla nostra bocca escano soltanto parole di Dio, in Lui fondate, da Lui agite, per Lui dette. Non siamo più padroni delle nostre labbra e neppure delle nostre opere. Apparteniamo a Cristo e tutto dobbiamo fare secondo la sua volontà ad esaltazione e glorificazione di Dio Padre.  L’uomo schiavo del Satana vive in virtù della forza del Maligno, noi viviamo in virtù della potenza di resurrezione per noi acquisita e a noi donata dal Cristo.
“Chi parla, lo faccia come con parole di Dio, chi serve lo compia con l’energia ricevuta da Dio”. Si specifica: chi parla, chi serve; c’è una divisione fondamentale tra i carismi di profezia, insegnamento ecc. e i carismi di servizio di carità; cioè tra il carisma sapienziale e il carisma assistenziale, per così dire. Il primo si manifesta nell’esercizio della parola e dell’insegnamento; il secondo nell’esercizio concreto della carità. Pietro non vuole con ciò escludere che questi doni possano essere compresenti nella stessa persona, ma essenziale è che tutti sono necessari e della medesima gloria, del medesimo significato, convergenti alla stessa unità, derivanti dal medesimo ed unico Signore… Bisogna attenersi ai carismi, senza uscire dall’ambito del dono di Dio, non osare dire o fare alcunché che non sia donato da Dio. Si devono esercitare i carismi senza uscire dall’ambito del dono carismatico, nell’esercizio della propria attività nella Chiesa. Tu parli? Sia nella luce, nella forza, nella chiarezza del tuo carisma che tu parli, servo del Vangelo e suo annunciatore. Tu servi? Non sia tanto come esplicazione della tua vitalità incontenibile o del tuo desiderio spontaneo di metterti in rapporto con gli altri, ma nella forza che ti viene da Dio, come Dio ti ispira, come Dio ti muove, con le motivazioni che Dio dice al tuo cuore: come con la forza che viene da Dio. Perché in tutto venga glorificato Dio. Qual è il fine dei carismi? La glorificazione di Dio, attraverso la considerazione, per il manifestarsi delle opere di grazia, potenza, bontà, saggezza che Dio ispira e che Dio sostiene”. (Umberto Neri )
“12 Amati, “
Non semplicemente da Pietro, ma prima di tutto dal Signore. Sempre ed ovunque portiamo nei nostri cuori e sulle nostre labbra questa consapevolezza: è la nostra forza vincente sopra ogni male ed ogni prova.

“non siate sorpresi per l’incendio che accade fra voi a prova per voi, come se vi capitasse qualcosa di strano,”
Non ci deve stupire che intorno a noi si accenda violento ed improvviso l’incendio: è per la purificazione dei nostri cuori e non per la nostra rovina. Nulla di strano e di imprevisto ma tutto ampiamente profetizzato dallo stesso Gesù.
Fa meraviglia il contrario: quando intorno a noi regna la tranquillità e l’unanime consenso degli uomini. Vuol dire che viviamo nella pace donata dal Satana e non siamo ancora entrati in guerra contro di lui alla sequela del Cristo.

“13 ma come partecipanti alle sofferenze di Cristo rallegratevi, perché anche nella rivelazione della sua gloria vi rallegriate esultanti.
14 Se venite oltraggiati per il nome di Cristo, beati voi, perché lo spirito della gloria e  di Dio riposa su di voi.”

Non avrà parte alla gloria di Cristo chi non avrà condiviso la sua sofferenza e la sua umiliazione ad opera dell’uomo.
“Beati siete quando gli uomini vi odiano e quando vi mettono al bando e ingiuriano e respingono il vostro nome come cattivo a causa del figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno e saltellate, ecco infatti la ricompensa vostra è grande in cielo. Allo stesso modo infatti facevano ai profeti i vostri padri… Piuttosto guai quando di voi bene diranno tutti gli uomini: allo stesso modo infatti facevano ai falsi profeti i vostri padri.” ( Luca 6, 22 e 26 )
“Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi”. Il credente, essendo unito al Cristo nel suo mistero pasquale, partecipa alla sua opera di salvezza (cf. Colossesi 1,24), quando soffre, soffre comunque con il Cristo, quando vive, vive comunque con il Cristo, quando muore, muore comunque con il Cristo. Questo vale genericamente per il cristiano in quanto “di Cristo”, quanto più per il cristiano che patisce violenza a motivo della fede. Egli partecipa del martirio stesso del Cristo, del suo sacrificio vicario, della sua offerta gradita a Dio. Questa persecuzione non deve stupire ma, anzi, far gioire, perché prepara a ricevere il premio: “perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi” (v. 13). La croce è la via che si percorre con il Cristo verso la resurrezione e la beatitudine. La garanzia più sicura che noi parteciperemo alla gloria del Cristo è che partecipiamo alla Sua sofferenza; anzi, in qualche modo condizione per essere partecipi della gloria del Cristo è che  cominciamo, intanto, a portare su di noi anche la sua pena: “Se uno mi vuole servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre mio lo onorerà” (Giovanni 12,26); “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Matteo 16,24)…
“Rallegratevi. È un comando preciso, è un comando che Pietro non esita a dare poiché sa che la fede può generare questa gioia, anzi che la fede, se è reale, non può non generarla. Rallegratevi ora, guai se non lo fate! Ma questa gioia non è evidentemente da intendersi in senso psicologico, quasi frutto di autolesionismo; è il partecipare della passione di Cristo con una consapevolezza di fede e con intima profonda accettazione della benedizione che in essa è racchiusa”. (Umberto Neri)

“15 Nessuno di voi soffra come omicida, o ladro, o malfattore, o come delatore; 16 se invece soffre come cristiano non si vergogni ma glorifichi Dio con questo nome.”

È motivo di vergogna  soffrire come omicidi, ladri, malfattori, delatori, perché si fanno le opere malvagie degli  uomini; è motivo di gloria davanti a Dio soffrire come cristiani, perché si fanno le opere di Cristo.
“Nel linguaggio ebraico la santificazione del nome è il termine che indica esattamente il martirio, perché è proprio sacrificando per Dio tutto se stesso, la propria vita, che il credente mostra in modo massimo di porre il nome del Signore al di sopra di ogni cosa. Possiamo ancora ricordare il testo ben noto del Vangelo di Giovanni dove l’evangelista riporta le parole di Gesù a Pietro: “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi”, e aggiunge: “questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio (Giovanni 21,18-19), quale sarebbe stato cioè il modo con cui avrebbe subito il martirio.” (Umberto Neri)

“17 Perché è   tempo che cominci il giudizio dalla casa di Dio; se però comincia prima da noi, quale sarà la fine dei disobbedienti al Vangelo di Dio?”.

Il giudizio ultimo è alle porte e comincerà da quelli che sono dentro la Chiesa del Signore. Cosa pensare e cosa dire di coloro che rifiutano l’annuncio della buona notizia?

“18 E se il giusto si salva a stento, dove appariranno l’empio e il peccatore?”

La via larga, che vuole tutti salvi, può anche essere un pio desiderio del nostro cuore, non disprezzabile in sé, ma quale conferma dalla parola di Dio? “Molti sono i chiamati, pochi gli eletti”. Un certo buonismo e una certa rincorsa alle folle, con l’offerta di una salvezza a poco prezzo,  può risolversi  in un terribile inganno.

“19 Perciò anche coloro che soffrono secondo la volontà di Dio rimettano al fedele Creatore le loro anime attraverso opere buone.”

Sofferenza secondo la volontà di Dio ed opere buone: sono espressione di una fede autentica, degna di essere approvata dal Signore. Se la croce purifica i cuori, le opere buone manifestano il loro rinnovamento, e una presenza viva ed operante in noi della grazia santificante.