Cap.4

Cap. 4
Temiamo, dunque, che, rimanendo la promessa di entrare nel suo riposo, sembri che qualcuno di voi ne sia privo. 2 E infatti anche noi abbiamo ricevuto una buona notizia come anche quelli; ma non giovò la parola udita a quelli non essendo uniti per la fede a quelli che avevano ascoltato. 3 Entriamo infatti nel riposo noi che abbiamo creduto, come egli ha detto: Così che ho giurato nella mia ira: Non entreranno nel mio riposo, pur essendo fatte le opere dalla fondazione del mondo. 4 Egli ha detto infatti, in qualche luogo, a proposito del settimo giorno, così: E riposò Dio nel settimo giorno da tutte le sue opere, 5 e ancora in questo passo: non entreranno nel mio riposo. 6 Poiché dunque resta che alcuni entrino in esso, e quelli che per primi ricevettero la notizia non entrarono a causa della disobbedienza, 7 egli determina ancora un giorno, oggi, dicendo in Davide dopo tanto tempo, come è stato detto prima: Oggi, se avrete udito la sua voce non indurite i vostri cuori. 8 Infatti se Giosuè loro avesse fatto riposare, non parlerebbe di un altro giorno dopo queste cose. 9 Quindi resta un riposo sabbatico per il popolo di Dio. 10 Infatti chi è entrato nel suo riposo anche gli riposò dalle sue opere come Dio dalle proprie. 11 Affrettiamoci dunque ad entrare in questo riposo, perché qualcuno non cada nello stesso esempio della disobbedienza. 12 Viva infatti è la parola di Dio ed efficace e più penetrante di ogni spada a doppio taglio e penetrante fino alla divisione di anima e di spirito,  di giunture e anche di midolla, e capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore. 13 E non c’è creatura invisibile davanti a lui ma tutte le cose sono nude e scoperte ai suoi occhi, davanti al quale noi renderemo conto. 14 Avendo dunque un sommo sacerdote grande che ha attraversato i cieli, Gesù il figlio di Dio, teniamo ferma la professione di fede. 15 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa compatire le nostre debolezze, ma  provato in tutte le cose a somiglianza di noi senza peccato. 16 Avviciniamoci dunque con franchezza al trono della grazia, affinché riceviamo misericordia e troviamo grazia per un opportuno aiuto.


“Temiamo, dunque, che, rimanendo la promessa di entrare nel suo riposo, sembri che qualcuno di voi ne sia privo.”
L’antica promessa di un riposo eterno fatta da Dio al suo popolo è ancora viva ed attuale. È una promessa data  a tutto Israele, ma vi è fondato timore che, come già è accaduto nel passato in immagine, così accada oggi e in  futuro nella realtà.

“2 E infatti anche noi abbiamo ricevuto una buona notizia come  quelli; ma non giovò la parola udita a loro, non essendo uniti per la fede a quelli che avevano ascoltato.”

Noi tutti, che viviamo nel presente, abbiamo ricevuto la buona notizia della salvezza. Lo stesso accadde per i nostri padri che furono nel deserto. Una parola data a tutti non comporta di necessità un ascolto da parte dell’intera comunità. L’antica promessa ha certamente giovato a coloro che hanno ascoltato, ma non giovò a coloro che si distaccarono e si dissociarono dai credenti.

“3 Entriamo infatti nel riposo noi che abbiamo creduto, come egli ha detto: Così che ho giurato nella mia ira: Non entreranno nel mio riposo, pur essendo fatte le opere dalla fondazione del mondo.”

Chi entra dunque nel riposo? Noi che abbiamo creduto in Cristo e nell’adempimento dell’antica promessa. Questa promessa è stata fatta quando già erano state compiute le cose create e Dio era già entrato nel riposo eterno.
“4 Egli ha detto infatti, in qualche luogo, a proposito del settimo giorno, così: E riposò Dio nel settimo giorno da tutte le sue opere, 5 e ancora in questo passo: non entreranno nel mio riposo.”

Leggiamo in Genesi che Dio riposò nel settimo giorno dalle sue opere, ma quando dice: “Non entreranno nel mio riposo”, il giudizio è calato nel tempo dell’uomo creato, che va distinto dal tempo del Dio Creatore. Gesù che è già entrato nel riposo del Padre, fin da quando ebbe fine la sua opera creatrice, non ha chiuso le porte dell’eternità, ma ha dato un tempo a tutti noi perché possiamo unirci a Lui.

“6 Poiché dunque resta che alcuni entrino in esso,”

Dai primi tempi, da quando Dio riposò dalle sue opere resta come dato di fatto che in ogni tempo alcuni entrino nel suo riposo. Quelli che si sono salvati attestano di per sé che le porte della salvezza sono ancora aperte.

“e quelli che per primi ricevettero la notizia non entrarono a causa della disobbedienza, 7 egli determina ancora un giorno, oggi, dicendo in Davide dopo tanto tempo, come è stato detto prima: Oggi, se avrete udito la sua voce non indurite i vostri cuori.”

È un dato di fatto ed è tramandato in Israele che i primi, quelli che hanno ricevuto la notizia in forma aperta e conclamata a tutti, non entrarono a causa della disobbedienza. Ma non per questo Dio ha chiuso il discorso per sempre.
Quello che fu detto nell’oggi di un tempo viene ripetuto nell’oggi di un altro tempo. E questo ci è chiaramente attestato da Davide allorché Dio pone sulle labbra del profeta le sue parole “ Oggi se avrete udito la sua voce non indurite i vostri cuori”. Stesse parole di un tempo, ma dette in un altro tempo.
“8 Infatti se Giosuè loro avesse fatto riposare, non parlerebbe di un altro giorno dopo queste cose.”

Se ai tempi di Giosuè si fosse realizzato il disegno eterno del nostro ingresso nel riposo di Gesù, l’antica promessa non sarebbe stata richiamata e riportata alla mente ai tempi di Davide.

“9 Quindi resta un riposo sabbatico per il popolo di Dio.”

Il riposo che ha avuto inizio l’ultimo giorno della creazione, alla fine di tutte le cose, rimane come reale possibilità offerta ancor oggi al popolo di Dio. Le porte della salvezza sono ancora aperte.
“10 Infatti chi è entrato nel suo riposo anche gli riposò dalle sue opere come Dio dalle proprie.”

Chi è entrato nel riposo eterno del Signore, attesta per questo che la salvezza è già stata donata e, che alcuni già riposano in essa, assieme al Signore nostro Dio. La certezza della salvezza data non esclude la speranza in una salvezza ancora attuale e non definitivamente conchiusa se non per quel che riguarda l’opera di Dio. C’è ancora tempo per il nostro sì al Salvatore nostro Gesù Cristo.

“11 Affrettiamoci dunque ad entrare in questo riposo, perché qualcuno non cada nello stesso esempio della disobbedienza.”

Chi ha tempo non aspetti tempo dice il proverbio. Affrettiamoci dunque perché non cadiamo in quella stessa disobbedienza di cui furono esempio i nostri padri.

“12 Viva infatti è la parola di Dio ed efficace e più penetrante di ogni spada a doppio taglio e penetrante fino alla divisione di anima e di spirito,  di giunture e anche di midolla, e capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore.”

Brusco salto del discorso; ma solo in apparenza. Perché la nostra vita si risolve nel nostro rapporto con la Parola di Dio. È la Parola il primo strumento della salvezza che ci è donato dal Cristo. Se Cristo come persona, eccede la propria Parola come suono organizzato e pronunciato in modo significativo, non per questo la si deve trascurare e si deve ignorare la sua importanza nel disegno salvifico di Dio. Stupisce  che mentre molto si discute e si disserta sui sacramenti, nella Chiesa cattolica pochi abbiano l’ardire di affermare con franchezza e determinazione che la Parola è il primo  sacramento dato da Dio all’uomo. Se la Parola non è un sacramento, si spieghi allora perché così largo spazio e così grande importanza le venga data nel discorso salvifico. Nella lettera ai Romani Paolo afferma che è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede. Qui nella lettera agli Ebrei, si fa un passo avanti e si dice ancora di più.
“La Parola di Dio è sempre viva ( Lett. vivente )” : non ha data di scadimento. Come fu operante in maniera efficace un tempo, così lo sarà in ogni tempo. Finchè dureranno i tempi dell’uomo, ogni uomo potrà conoscere quale potenza di resurrezione sia data dalla Parola del Signore. Non solo  illumina l’uomo vecchio e lo spinge a conversione: entra in ogni profondità nascosta  ed opera in maniera fortemente incisiva, tagliando e mettendo a nudo, come un bravo chirurgo che ben sa discernere quello che è nascosto agli occhi della carne.
“e più penetrante di ogni spada a doppio taglio e penetrante fino alla divisione di anima e di spirito, 
Non c’è nulla che entri dappertutto in profondità in ogni dimensione dell’uomo, quanto la parola di Dio. Per fare che cosa? Per mettere a nudo ciò che è nascosto, per distinguere nell’anima ciò che più propriamente è psiche e ciò che più propriamente è spirito.
La chiesa cattolica vede nello spirito semplicemente un aspetto e un attributo dell’anima. Noi pensiamo che si debba distinguere come fa la Parola di Dio e considerare anima e spirito come due dimensioni associate, ma non identificabili l’una con l’altra. Altre volte abbiamo sottolineato come nell’uomo si devono considerare non due dimensioni: corpo ed anima, ma tre: corpo, anima, spirito. E abbiamo dimostrato come questo sia chiaramente  detto nelle Sacre Scritture, attestato in molti passi ed ultimamente in maniera indiscutibile dall’Apostolo Paolo. Non si tratta di una nuova ed originale dottrina cattolica, ma è ampiamente affermato in alcuni  padri della Chiesa, in Gerolamo e in quel grande esegeta che fu Origene. Una strada interpretativa così importante, è stato purtroppo abbandonata, per l’eccessivo ed esclusivo peso che è stato dato alla teologia di Agostino. Se pur grande è l’amore e l’ammirazione che noi nutriamo nei suoi confronti, bisogna tuttavia dire, che sant’ Agostino, giunto tardi alla conversione, ignaro di greco ed ebraico, ha letto la Bibbia non tanto con la mente di un ebreo quanto con quella di un latino fortemente condizionato dalla sua formazione platonica. Per i greci l’uomo è unità di corpo ed anima, rigorosamente e strettamente bidimensionale. Per gli Ebrei, nel corso della loro storia illuminata dalla Parola di Dio, è venuta sempre più emergendo la realtà di un nostro essere tridimensionale, come unità di corpo, spirito ed anima. Non intendiamo ripetere quanto già scritto altrove. Nella lettera agli Ebrei, che stiamo commentando, la struttura creata e fondata del nostro essere risulta chiaramente tridimensionale. Se non accettiamo ed ammettiamo una realtà così evidente, il discorso di Paolo risulta vuoto ed insignificante. E’ di fondamentale importanza nella nostra vita di redenti che si affermi una capacità di discernimento fra ciò che è spirito destinato alla vita eterna e ciò che è psiche, destinato a perire con il corpo materiale, in quanto indissolubilmente legato ad esso. Vi è l’uomo  psichico e vi è l’uomo pneumatico, cioè spirituale. Solo quest’ultimo entrerà nel regno dei cieli. Quel che nasce con la carne ed è indissolubilmente legato con la carne morirà con essa. Non così l’uomo spirituale creato dal soffio dell’alito divino. È fondato nello Spirito di Dio, perché originato dal Lui. Può rimanere un semplice spiraculum cioè uno spiraglio, un’apertura a, semplice coscienza del proprio essere immutabile ed eterno in quanto  rapportato all’essere increato ed immutabile di Dio. Cosa o chi non può assolutamente finire nel nulla dopo la morte, indipendentemente dal giudizio divino? Il nostro io spirituale, come semplice coscienza di sé, in quanto fondato nell’immutabilità di Dio, non passibile di un annientamento, ma aperto fin dall’inizio alla possibilità di una crescita, nella Parola e con la Parola, fino alla statura dell’uomo maturo che è in grado di vedere Dio; ma anche ad una terribile inversa possibilità: quella di una chiusura allo Spirito Santo, nel rifiuto e nel non ascolto della Parola, con l’ esito finale di una morte, che  non è caduta nel nulla ma continuo morire di morte, esclusione perenne e reiterata  da ogni crescita nel Creatore. Escluso dal Creatore, se pur fatto per vivere in Esso, escluso dalla creazione, se pur originariamente rapportato  ad essa, privato di ogni dono spirituale,  della  psiche e del corpo  materiale  per lui creati dal nulla: questa la sorte del dannato dopo il primo giudizio. Dopo la resurrezione dei morti i dannati saranno nuovamente associati al loro corpo e alla loro anima, non perché abbiano la vita e crescano in essa, ma perché brucino eternamente, cioè subiscano una continua diminuzione e contrazione del proprio essere, senza che la fiamma si estingua.
In quanto ai redenti è nostra opinione che l’io spirituale entrato nella gloria di Dio, dopo aver goduto di essa in modo esclusivo ( senza anima e corpo )  sia associato di nuovo ad un corpo e ad un’ anima, degni della perfezione del Creatore, senza macchia di peccato.
Non intendiamo dire, corpo ed anima che siano  altri da, vissuti cioè come estranei al proprio essere originario, o peggio ancora come corpo ed anima appartenuti ad altro o ad altri, spezzando quel legame di continuità che unisce l’ultimo uomo al primo uomo. La diversità va intesa non in rapporto alla persona ma in rapporto alle proprie peculiari caratteristiche. Non possiamo pensare che un corpo deforme e la psiche di un mentecatto si ritrovino per sempre uniti allo spirito nello stesso modo; pur rimanendo gli stessi, cambiano gli attributi assumendo quella perfezione che non è conosciuta nello stato di peccato. Molto ci si preoccupa di affermare come verità di fede che ognuno di noi riavrà il proprio corpo e la propria psiche. Preoccupazione infondata che può dare luogo a malintesi e ad aspettative per nulla piacevoli.
Cieli nuovi e terra nuova, per un uomo fatto nuovo non solo dalla pienezza dello spirito celeste, ma anche da un corpo riformato dalla terra e da un’anima rifatta ad opera dell’unico ed esclusivo Signore.

“di giunture e anche di midolla, e capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore”.

Un discorso, già all’inizio non facile, trova ulteriore sviluppo.
La parola di Dio, abbiamo detto, non opera in superficie, ma  in profondità in ciò che, senza la sua luce, è di per sé nascosto. Non esiste una semplice distinzione di ciò che è spirito e di ciò che è anima. Vi è tra i due un legame,  una realtà intermedia, per noi indecifrabile, che li  unisce l’uno all’altra. La Parola di Dio sa discernere ed operare in  questi legami, perché l’anima non risulti dissociata dallo spirito e lo spirito inadeguato o meglio insufficiente rispetto alla necessità di un’anima che vuole essere santa, come Dio.
Se l’anima si definisce attraverso una molteplicità di attributi sia buoni sia cattivi, dello Spirito non si può parlare in termini qualitativi, ma solo quantitativi. Lo Spirito di Dio è solo Santo e non diversamente. Si è più o meno santi soltanto in rapporto ad una pienezza, più o meno piena.
È escluso che si possa dire dello spirito semplicemente: c’è o non c’è. Bisogna considerare la misura del dono. In qualsiasi caso rimane il soffio iniziale che vediamo in Eden, che ci fa un io spirituale creato cosciente di sé e della propria immutabile identità, in quanto unicamente rapportato all’immutabilità del  Creatore. Lo spirito viene direttamente da Dio,  non è semplicemente creato dal nulla, come lo sono il corpo e l’anima: non può finire nel nulla. Permane perciò la necessità di un suo eterno essere anche senza alcuna possibilità di crescita nello Spirito creatore, in quanto chiuso a quel continuo dono che porta l’uomo dall’età bambina a quella dell’uomo fatto adulto ad opera di Cristo, in grado di vedere Dio: pienezza dello Spirito donato in grado di vedere Colui che è pienezza dello Spirito in sé e per sé, il Padre nel Figlio ed il Figlio nel Padre. Chi è un dannato?
Semplice coscienza di sé come spirito, escluso però per sempre da ogni rapporto con lo Spirito Santo. Per libera scelta e non per volontà di Dio. Questo il primo grande tormento a cui si aggiungerà alla fine quello di un’anima e di un corpo ad esso riassociati che non potranno più avere alcuna espansione o allungamento o giuntura viva né verso lo spirito di Dio - rimasto ai minimi termini, come semplice coscienza di sé in rapporto ad un Creatore - né verso la creazione, tolta loro per sempre. Il fuoco inestinguibile è immagine di una esperienza di morte mai conchiusa, ma sempre in atto.
A questo punto forse è più comprensibile perché si parli di giunture e di midolla. Midolla è la parte più intima e nascosta, quella che potremmo chiamare spirito in senso stretto, ciò che è puro in assoluto: giunture tutto ciò che è collegato ad un livello più superficiale, attraverso legami e congiunzioni che sfuggono all’intelligenza umana. E chi   può fare distinzione netta tra ciò che in noi è puramente spirituale, puramente materiale e puramente “animale”? Ai nostri occhi non c’è psiche senza carne e non c’è carne viva senza psiche. Ma ancora più, per chi può comprendere, non c’è anima senza spirito. Il salto di qualità netto, chiaro, indiscutibile tra un qualsiasi animale e l’uomo è dato dallo Spirito e non da semplice diversità dell’anima. 
Quello che sfugge al nostro giudizio è ben conosciuto da Dio che sa dare un giusto peso, una equa misura una giusta valutazione ad ogni dimensione dell’uomo.
E a questo punto ci sia lecito una piccola digressione per parlare del nostro rapporto con coloro che appaiono poveri per quel che riguarda l’anima. Ci riferiamo innanzitutto ai malati psichici , nati tali o tali divenuti nell’età e per l’età, per le più svariate ragioni, che di per sé non hanno importanza alcuna. Di fatto sono e appaiono ai nostri occhi i più poveri di qualsiasi altro povero. Ma una precisazione va fatta.
La povertà che innanzitutto risalta ai nostri occhi non ha di per sé alcuna valenza, importanza, significato per ciò che più propriamente attiene allo spirito. È  soltanto per un terribile inganno del Diavolo e per una deplorevole ignoranza della Parola di Dio, che ciò che di per sé appare come semplice povertà dell’anima sia da noi conosciuta, giudicata, considerata, come povertà dello Spirito. Povertà non degna di essere amata, meritevole di emarginazione e di dispregio e di allontanamento dalla nostra vita.
Che un povero mentecatto possa essere un ricco nello spirito è per noi assurdo e inconcepibile. E la ragione è presto detta. Siamo persone carnali e non spirituali, incapaci di cogliere nell’esistenza l’importanza e lo spessore dello Spirito Santo nella cui vita tutti siamo stati immessi. Nulla di spirituale vi è nei nostri discorsi, peggio ancora nel nostro modo di considerare le persone e di rapportarci ad esse. Domina in noi e fa da padrona incontrastata un’anima accecata dalla  ragione, non guidata dallo spirito, incapace di attingere ad una visione spirituale dell’esistenza. Importa e vale ai nostri occhi solo l’apparente grandezza di ciò che propriamente è psiche. Di un uomo elogiamo  l’intelligenza, l’arguzia del ragionare e del parlare, le disquisizioni sottili e convincenti, l’amabile e piacevole compagnia; tanto meglio se alla bellezza dell’anima si accompagna quella del corpo. E chi di noi può dire con san Paolo: “Io non conosco più nessuno secondo la carne. E se un tempo ho conosciuto Cristo secondo la carne ora non più?” Per quale ragione non amiamo e non ricerchiamo l’amicizia e la compagnia dei malati mentali? Ci sentiamo sminuiti ed avviliti dalla loro presenza. Non sopportiamo e non accettiamo la povertà della loro psiche. E chi di noi pensa mai che sono fratelli a pieno titolo, creature immesse nella vita dello Spirito, la cui esistenza ha valore davanti a Dio non come qualsiasi altra, ma al di sopra di qualsiasi altra, sofferenti il castigo del peccato d’Adamo, non solo per se stessi, ma per l’umanità tutta? Chi più simile e vicino al Cristo, che per salvarci dalla dannazione eterna si è fatto il più piccolo degli uomini portando su di sé l’ignominia della croce, con ogni offesa ed insulto, non escluso quello di “pazzo”? Si rallegri nel Signore ogni pazzo: porta un titolo, che lo stesso Cristo ha ricevuto dalla bocca dell’uomo: l’ha assunto  su di sé come croce che porta alla salvezza. Non vogliamo tessere l’elogio della follia a modo di Erasmo: non siamo all’altezza di un ingegno. Vogliamo semplicemente dire che se non vediamo il Signore in queste persone e non cogliamo dalla loro amicizia frutti di santità, siamo lontani dalla vera fede.
Una Chiesa in cui non c’è posto né collocazione per i malati mentali è una chiesa non benedetta da Dio. Perché proprio là dove c’è una evidente povertà dell’anima  il Signore fa larghe le vie dello Spirito. In quale modo? Scavalcando un rapporto con Dio mediato dalle complesse categorie della ragione per lasciare spazio e vigore ad un altro rapporto  più immediato, vivo, profondo quale è dato dallo Spirito. Non esistono soltanto le categorie della ragione: ancora prima e ancora più ci sono quelle dello Spirito: mistero grande ed inaccessibile alla nostra intelligenza, eppure lo spirito sempre vive ed opera in tutti i suoi figli.
Non c’è cristiano che coltivi un rapporto di fraternità con i malati mentali o più semplicemente con i piccoli che non ne esca arricchito spiritualmente. Potrà patire il loro stato, diventare nevrotico per la condivisione di una sofferenza, ma sarà infinitamente compensato da Dio con ogni ricchezza di Spirito Santo.

“13 E non c’è creatura invisibile davanti a lui ma tutte le cose sono nude e scoperte ai suoi occhi, davanti al quale noi renderemo conto.”

Nessuna creatura può nascondersi ai suoi occhi neppure in ciò che appare a noi coperto e velato, quasi la sottopelle del nostro essere. E tutto questo per un giudizio secondo giustizia e verità. Non  è concesso alcun giudizio ultimo e definitivo dell’uno riguardo all’altro, perché solo la Parola di Dio
“e capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore”.
È il cuore, la parte più profonda del nostro io, cioè il nostro spirito, il portatore della vera libertà per noi creata e a noi donata. Libertà che è innanzitutto scelta della creatura di essere in Dio o per Dio in un’apertura alla grazia divina, o di essere creatura in sé e per se nella chiusura e nel rifiuto della grazia. Tutto ciò che è legato e associato allo spirito ha valore ed importanza relativa e condizionata. L’anima può anche crescere molto, se pur dissociata o poco associata ( guidata, illuminata ) dallo spirito. In quanto al corpo può anche apparire bello, se pur associato ad uno spirito disubbidiente a Dio e a un’anima non cresciuta.
Vi è tra spirito, anima, corpo una molteplicità e una complessità di legami ed associazioni, in cui solo Dio può vedere. E questo innanzitutto giustifica e chiede l’ascolto della divina Parola, in quanto  illuminante il nostro essere. Una parola che in ultima istanza giudica, ma ancor prima crea,  corregge, guida, fortifica, conduce a buon fine. Se ancora non comprendi l’importanza della lettura e della meditazione della Parola ai fini della santificazione, altro non posso e non voglio dirti.

“14 Avendo dunque un sommo sacerdote grande che ha attraversato i cieli, Gesù il figlio di Dio, teniamo ferma la professione di fede.”

Cosa ci manca ancora che già non sia stato dato? Nulla: vi è già colui che  per noi ha attraversato i cieli, per riconciliarci con Dio. Non resta che rimanere saldi nella professione di fede in Cristo Gesù,  Salvatore nostro.

“15 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non può compatire le nostre debolezze, ma essendo stato provato in tutte le cose a somiglianza di noi senza peccato”.
L’amore che dona salvezza è l’amore che vuole e sa condividere la condizione di chi è perduto.
Gesù nostro sommo sacerdote ha portato su di sé tutte le nostre debolezze e tutte le nostre prove, ad eccezione del peccato: il giusto ha pagato per gli ingiusti, l’innocente per il peccatore. Non ha disprezzato la nostra miseria ma l’ha fatta propria, per liberarci dal potere del maligno
L’eterno Figlio di Dio che ha sofferto per noi tutti, cosa altro può volere e desiderare? Che ogni fratello  condivida con Lui la gloria del cielo.

“16 Avviciniamoci dunque con franchezza al trono della grazia, affinché riceviamo misericordia e troviamo grazia per un opportuno aiuto.”

Nessun timore dunque, nessuna incertezza e trepidazione nell’avvicinarci a Cristo Salvatore. Ci sta aspettando a braccia aperte, seduto sul trono pieno di grazia, per colmarci di ogni dono di consolazione, di misericordia, di fortezza,  perché la salvezza da lui operata in un tempo sia per noi viva ed attuale in ogni tempo.

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