Vangelo di Luca cap16

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Commento al Vangelo di Luca

 

Luca 16

 

Diceva poi anche ai discepoli: C’era un uomo ricco che aveva un amministratore e questi fu accusato presso lui come dilapidante i suoi beni.

2 Ed avendolo chiamato gli disse: Cos’è questa cosa che sento di te? Rendi il conto della tua amministrazione, non puoi infatti amministrare ancora.

3 Disse allora fra sé l’amministratore: Cosa farò, perché il mio padrone toglie l’amministrazione da me? Zappare non ho la forza; chiedere l’elemosina, mi vergogno.

4 So cosa farò, affinché quando sarò rimosso dall’amministrazione mi accolgano nelle loro case.

5 E avendo chiamato a sé uno per uno i debitori del suo padrone diceva al primo: Quanto devi al mio padrone?

6 Egli allora disse: Cento bat d’olio. Egli allora gli disse: Prendi la tua ricevuta ed essendoti seduto subito scrivi cinquanta.

7 Poi ad un altro disse: Tu invece quanto devi? Egli allora disse: Cento cori di grano. Dice a lui: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.

8 E lodò il padrone l’amministratore della ingiustizia perché aveva fatto avvedutamente;poiché i figli di questo secolo sono più avveduti rispetto ai figli della luce nella generazione che è di loro.

9 Anch’io a voi dico: fate a voi stessi degli amici dalla mammona della ingiustizia, affinché quando viene meno vi accolgano nelle tende eterne.

10 Il fedele nel minimo è fedele anche nel molto e l’ingiusto nel minimo è ingiusto anche nel molto.

11 Se dunque non siete stati fedeli nell’ingiusta mammona, chi affiderà a voi la vera?

12 E se nell’altrui non siete stati fedeli, chi darà a voi la vostra?

13 Nessun domestico può servire a due padroni: infatti o odierà l’uno e amerà l’altro o si atterrà a uno e l’altro disprezzerà. Non potete servire a Dio e a mammona.

14 Udivano ora tutte queste cose i farisei i quali erano amanti del denaro e lo deridevano.

15 E disse a loro: Voi siete quelli che fanno giusti se stessi davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: poiché la cosa alta fra gli uomini è abominazione davanti a Dio.

16 La legge ed i profeti sono stati fino a Giovanni; da allora il regno di Dio è evangelizzato ed ognuno in esso entra a forza.

17 E’ poi più facile che il cielo e la terra passino che cada un solo apice della legge.

18 Ognuno che ripudia sua moglie e sposa un’altra commette adulterio e colei che è stata ripudiata dal marito sposando, commette adulterio.

19 C’era un uomo ricco e vestiva porpora e bisso facendo festa ogni giorno splendidamente.

20 Ora un povero un tale di nome Lazzaro giaceva alla sua porta coperto di piaghe

21 e desiderante di sfamarsi con le cose cadenti dalla tavola del ricco; ma anche i cani venendo leccavano le sue ferite.

22 Avvenne poi che il povero morì e fu portato lui dagli angeli nel seno di Abramo; morì poi anche il ricco e fu sepolto.

23 E questi nell’Ade avendo alzato i suoi occhi, essendo fra i tormenti, vide Abramo da lontano e Lazzaro nel suo seno. 24 Ed egli gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro perché immerga la punta del suo dito in acqua e rinfreschi la mia lingua, perché sono tormentato in questa fiamma.

25 Disse allora Abramo: Figlio ricorda che hai ricevuto le tue cose buone nella tua vita, e Lazzaro similmente le cose cattive; ma qui è consolato, tu invece sei tormentato.

26 E in tutte queste cose fra noi e voi è stato posto un grande abisso, così che i volenti passare di qua da voi non possono, né di là da noi attraversano.

27 Disse allora: Ti prego dunque, padre, che mandi lui alla casa di mio padre;

28 ho infatti cinque fratelli, affinché li scongiuri, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento.

29 Dice allora Abramo: Hanno Mosè e i profeti: ascoltino loro.

30 Ma egli disse: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti viene a loro si convertiranno.

31 Disse allora a lui: Se non ascoltano Mosè ed i profeti, neppure se qualcuno da morti risorgesse sarebbero convinti.

 

 

 

 

 

Diceva poi anche ai discepoli:

Questa volta il discorso chiama in causa anche i discepoli, perché non siano come gli scribi ed i farisei. Quale sia questa diversità di cui sono portatori è spiegato nella parabola che segue.

C’era un uomo ricco che aveva un amministratore e questi fu accusato presso lui come dilapidante i suoi beni.

Stessa situazione di prima, ma con qualche diversità. Questa volta il rapporto non si pone tra un padre ed un figlio, ma tra un uomo ricco ed il suo amministratore. Cambia il legame per quel che riguarda la carne ed il sangue, ma non la serietà di questo legame. C’è sempre di mezzo un rapporto di stima e di fiducia che lega il padrone dei beni a colui che li amministra. Quale padre non ha fiducia nel proprio figlio? Ancora più significativa la stima che questo ricco ha per il suo amministratore. Gli ha dato da gestire tutti i suoi beni, in maniera unica ed esclusiva senza interferenze. Da una parte quindi un grande amore ed grande dono, dall’altra una risposta inadeguata, per non dire mancata. Perché alla fine salta fuori che entrambi i beneficiari non amano chi ha dato loro tanto ben di Dio, anche se in maniera diversa. Il figlio ha amministrato onestamente i beni che gli sono stati  affidati, senza nulla tenere per sé, neppure un capretto, così come afferma lui stesso senza essere contraddetto dal padre. In quanto all’altro ha dissipato tutti i beni del suo padrone, attraverso una cattiva gestione. Due modi esattamente contrari di rapportarsi ai beni di Dio, una medesima colpa in entrambi, allorché sono trovati privi di amore per il loro Signore. L’attaccamento ai beni ha il nome di avarizia, ma anche, al contrario, di dissipazione. Il Figlio maggiore conserva e custodisce per sé e non per il padre, l’amministratore al contrario se li mangia tutti. Entrambi alla fine sono trovati colpevoli e meritevoli di giudizio.

Per forza di cose e neppure per intervento diretto del padre e dell’uomo ricco. Nessuno di questi due si è mai preoccupato di fare indagini e di esercitare uno stretto controllo: chi ama ha fiducia nella persona amata e lascia fare. Ma il tempo manifesta quel che vale l’opera di ognuno. Non c’è menzogna o falsità che alla fine non saltino fuori. Nel primo caso è il ritorno del fratel prodigo che svela la malvagità dell’altro, nel secondo caso qualche spiata di occhi  che han visto e di orecchie che hanno sentito.

Fatto sta che entrambi sono trovati in grave colpa. Ma a questo punto ecco il paradosso! Mentre il primo, giusto ed irreprensibile in ogni opera sua, non fa proprio e non comprende l’amore del padre, nel secondo caso l’amministratore mangione e sciupone dei beni altrui entra nello spirito della misericordia divina. L’uno merita disapprovazione e rimprovero, l’altro approvazione e consenso.

2 Ed avendolo chiamato gli disse: Cos’è questa cosa che sento di te? Rendi il conto della tua amministrazione, non puoi infatti amministrare ancora.

Non può essere tollerato più di tanto l’uomo che fa scempio dei beni del Signore. Molto meglio se ancor prima del giudizio ultimo ci sentiamo accusati da Dio e chiamati a rispondere di quello che abbiamo fatto. Se non possiamo più andare avanti nella vecchia amministrazione, questo non significa che cadiamo per sempre in disgrazia presso il Signore.

3 Disse allora fra sé l’amministratore: Cosa farò, perché il mio padrone toglie l’amministrazione da me? Zappare non ho la forza; chiedere l’elemosina, mi vergogno.

Nella veste dell’uomo malvagio è l’immagine dell’uomo trovato colpevole, che non si rassegna ad essere un reietto e neppure vuole perdere la dignità che ha avuto dal suo padrone, ma cerca in quale modo tornare in stato di grazia. Non dicendo le bugie per nascondere la verità, ma accettando onestamente il giudizio e arrivando al cuore del suo padrone attraverso altre persone.

4 So cosa farò,

E’ astuzia umana, ma dice l’intelligenza delle cose del Padre. Perché questo amministratore infedele non è poi così stupido ed ha ben conosciuto e compreso il cuore del suo padrone. Se non sono degno del Signore in quanto alle opere, almeno possa io dimostrare che ho cercato di imitare, comprendere, fare mio l’amore che mi è stato insegnato, che ho potuto vedere con i miei occhi e toccare con le mie mani.

affinché quando sarò rimosso dall’amministrazione mi accolgano nelle loro case.

Meglio essere solidali e far comunella con i compagni di sventura.

Se ci sono tolti i beni di Dio, almeno resti come guadagno l’amicizia e la solidarietà di altri uomini, a cominciare da coloro che sono nella nostra stessa situazione. Per fare fesso il Signore o per spingerlo a manifestare il suo amore? Perdonare per Dio ed in nome suo non è far torto alla sua giustizia, ma esaltazione della sua misericordia.

5 E avendo chiamato a sé uno per uno i debitori del suo padrone

Peccatore fin che si vuole questo amministratore, certamente conosce l’uomo e quanto deve al suo Signore. Se io sono trovato peccatore, non è che gli altri uomini se la passino meglio: chi più e chi meno tutti siamo mancanti davanti a Dio.

diceva al primo: Quanto devi al mio padrone? 6 Egli allora disse: Cento bat d’olio. Egli allora gli disse: Prendi la tua ricevuta ed essendoti seduto subito scrivi cinquanta. 7 poi ad un altro disse: Tu invece quanto devi? Egli allora disse: Cento cori di grano. Dice a lui: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.

Fatto non trascurabile: colui che non ha chiesto alcuno sconto per sé è tuttavia molto disposto a far sconti sui debiti degli altri. Beato l’uomo che fa grande il proprio peccato e fa piccolo quello degli altri. Se trova disapprovazione presso l’uomo, entra però nelle grazie di Dio

8 E lodò il padrone l’amministratore della ingiustizia perché aveva fatto avvedutamente;

Qui sta la meraviglia e la sorpresa. Il padrone non lo condanna per quello che ha fatto, ma lo loda. Per quale ragione? Perché ha cercato di imbrogliare il suo signore o perché ha rettamente interpretato il suo sentimento ed il suo proposito? Perché è un uomo furbo secondo lo spirito del mondo o perché è un uomo saggio secondo lo spirito di Dio?

 poiché i figli di questo secolo sono più avveduti rispetto ai figli della luce nella generazione che è di loro.

Se i figli delle tenebre sanno perdonare per l’astuzia della carne, perché i figli della luce non devono perdonare per l’intelligenza delle cose di Dio?

Qualche chiarimento… prima di continuare.

Si dice “amministratore della ingiustizia” non con riferimento ai beni del padre, ma a coloro che li godono e li gestiscono. Buone sono le cose create da Dio, ma malvagie le mani in cui cadono. Chi  amministra e  gestisce i beni del mondo deve muoversi in mezzo alle malvagità. Qualsiasi fetta del creato arrivi a noi, passa attraverso la nostra iniquità. Chi ha tanti beni consideri quanta ingiustizia hanno attraversato e conosciuto prima di arrivare all’ultimo padrone.

Meglio essere poveri ed accontentarsi del minimo necessario per vivere. Non si disprezza con ciò i beni di Dio, ma si rifiuta e si condanna l’ingiustizia che li fa arrivare a noi.

Cosa dire di coloro che si riempiono di stupore e di meraviglia per le opere monumentali e per i prodotti più belli dell’arte? Quanto sangue è stato versato ingiustamente per esse!

Le ricchezze e le cose belle vanno giudicate secondo retto intendimento e non secondo le passioni della carne.

9 Anch’io a voi dico: fate a voi stessi degli amici dalla mammona della ingiustizia, affinché quando viene meno vi accolgano nelle tende eterne.

Il senso letterale è chiaro: cerchiamo di comprendere quello spirituale. Su cosa si fonda ogni ricchezza spirituale? Sui meriti dell’uomo o sulla grazia di Dio? Perché Dio ci ha rivestito di tanti doni? Perché ci ha trovati ricchi o perché siamo poveri? Perché siamo giusti o al contrario perché siamo ingiusti? Come le ricchezze materiali sono accumulate in virtù della malvagità, così le ricchezze spirituali sono da noi trovate in virtù della povertà. Il Signore ci ha colmati di beni perché bisognosi della sua misericordia. L’uomo di sua natura è malvagio: se qualcosa di buono c’è in lui è solo per grazia di Dio. Siamo santificati dal Signore semplicemente perché santi non siamo.

Quale dunque la vocazione dell’uomo? Non quella di menar vanto per una giustizia che non gli appartiene, ma di rendere lode a Dio per quella giustizia che  è da Lui donata.

Giudica rettamente se stesso chi si considera un graziato da Dio. Giudica rettamente gli altri chi li considera degni della stessa misericordia.

L’amministratore “della ingiustizia” è la controfigura del fratello del figliol prodigo. Entrambi sono trovati peccatori, ma l’uno perdona il suo prossimo, l’altro no. L’uno accoglie un giusto giudizio su di sé e mette ogni speranza nella misericordia del suo padrone, l’altro rigetta la propria colpa e ripudia l’amore del Padre. Mi dirai che è comodo e scorretto perdonare sulla pelle degli altri e a scapito di un Altro. Ma è proprio questo quello che Dio vuole: usare misericordia verso di noi e verso tutti. E’ questo il senso dell’amore divino: Dio non ci ama perché siamo giusti, ma perché siamo ingiusti. Perdona a noi perché in nome Suo perdoniamo al prossimo. Tutti devono conoscere la misericordia che è data dal cielo. Di questa siamo testimoni, di questa siamo fatti partecipi.

10 Il fedele nel minimo è fedele anche nel molto e l’ingiusto nel minimo è ingiusto anche nel molto.

E’ veramente poco quello che Dio ci chiede: di credere all’amore che ha per noi, nonostante il peccato che tutti ci accomuna, di perdonare gli altri in nome Suo, come anche noi siamo da Lui perdonati . Chi è capace di una fede così piccola sarà anche capace di una fede più grande. Se non c’è neanche questa è impossibile qualsiasi cammino di salvezza. Il punto di partenza è il più semplice ed il più difficile nello stesso tempo. Non si può credere in Cristo se non si crede all’amore che il Padre manifesta in Lui e per Lui.

11 Se dunque non siete stati fedeli nell’ingiusta mammona, chi affiderà a voi la vera?

Se non siamo stati capaci di stimare e gestire rettamente i doni che Dio ci ha dato per ricoprire la nostra miseria di figli di Adamo, come potrà il Signore affidarci i beni celesti? Troppa rapina è passata per le nostre mani: è tempo di dar lode al Signore e di rendergli grazie per la sua misericordia.

12 E se nell’altrui non siete stati fedeli, chi darà a voi la vostra?

Quale diritto alla vita eterna possiamo rivendicare se non siamo stati fedeli nelle cose a noi semplicemente donate?

Nessun domestico può servire a due padroni:

Nessuno si illuda e nessuno inganni se stesso. Non vivrà in eterno un cuore diviso a metà. O si ama Dio o si ama i beni di questo mondo. Benché vengano da Dio, questi sono fatti propri dal Satana e da tutti coloro che hanno il suo spirito.

infatti o odierà l’uno e amerà l’altro

Prima di amare Dio bisogna odiare il Satana. Non si accoglie il nuovo padrone se non si rigetta quello che già abbiamo.

o si atterrà a uno e l’altro disprezzerà.

Non c’è possibilità alcuna di venire a patti e di accontentare sia Dio sia il Maligno.

Non potete servire a Dio e a mammona.

Mammona è il dio della ricchezza, immagine e figura del Satana. Perché nelle ricchezze Satana trova il suo punto di facile sfondamento nel cuore dell’uomo: non soltanto nelle ricchezze materiali, peggio ancora in quelle spirituali. In quanto al furto di beni spirituali il Diavolo può fare da maestro.

14 Udivano ora tutte queste cose i farisei i quali erano amanti del denaro e lo deridevano.

Irreprensibili nell’osservanza formale della legge, i farisei non hanno il  cuore puro perché amanti del denaro. Deridono Gesù perché non sono affatto disposti a perdere qualcosa dei loro beni materiali. Quando un uomo ha trovato il modo per essere giusto, senza ripudiare l’attaccamento ai beni di questo mondo, non accetta che qualcuno metta in discussione il suo spirito.

15 E disse a loro: Voi siete quelli che fanno giusti se stessi davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori:

Qual è la preoccupazione prima ed ultima dei farisei? Apparire giusti ai propri occhi e a quelli del prossimo. Nessun interesse e nessun timore per il giudizio di Dio, che vede nel cuore.

poiché la cosa alta fra gli uomini è abominazione davanti a Dio.

Quell’apparire giusti che è tenuto in considerazione tra gli uomini è un abominio davanti a Dio. Il Signore fa sul serio e vuole la vera giustizia.

16 La legge ed i profeti sono stati fino a Giovanni;

Un certo modo di intendere la giustizia,  tipico dello spirito della legge e dei profeti trova una parziale giustificazione fino a Giovanni.

da allora il regno di Dio è evangelizzato ed ognuno in esso entra a forza.

Dopo Giovanni è annunciato il regno di Dio e bisogna far violenza all’uomo vecchio per entrare.

17 E’ poi più facile che il cielo e la terra passino che cada un solo apice della legge. 18 Ognuno che ripudia sua moglie e sposa un’altra commette adulterio e colei che è stata ripudiata dal marito sposando, commette adulterio.

Questi passi ci appaiono alquanto slegati dal contesto e non riusciamo a cogliere il nesso logico con quanto precede e con quanto segue. Può darsi che siano finiti qui per sbaglio durante una trascrizione, può essere che non abbiamo luce per intenderli.

19 C’era un uomo ricco e vestiva porpora e bisso facendo festa ogni giorno splendidamente.

Dopo il breve intermezzo che ha coinvolto nell’ascolto anche i discepoli continua la polemica di Gesù con gli scribi ed i farisei. Abbiamo letto

14 Udivano ora tutte queste cose i farisei i quali erano amanti del denaro e lo deridevano.

Non tutte le persone che amano il denaro sono ricche, ma non sono poi così diverse dai ricchi. Quando si confida nei beni di questo mondo  il cuore riposa in essi e non nel Signore. Il denaro può diventare ragione di vita e ridurre a nulla le ragioni della giustizia: tutto e tutti vengono sacrificati per il dio mammona. Peggio ancora quando l’attaccamento al denaro  convive con la presunzione della propria giustizia.

E’ questa la condizione dei farisei: amano il denaro ed essere stimati dagli uomini, di nulla si sentono debitori a Dio e agli uomini in quanto osservanti la legge.

Inutile dire che le ricchezze sono frutto d’iniquità: vale per gli altri non per loro. Quello che possiedono è stato legittimamente guadagnato con la fatica ed il sudore della fronte.

Inutile rimarcare che il cuore dell’uomo è malvagio e che non è possibile liberarsi dal debito contratto con il  peccato, se non donando ai poveri i propri beni. Discorsi di tal fatta non toccano colui che ha già trovato il modo per saziare il proprio ventre e per vivere con la coscienza a posto.

L’immagine di questo tale che veste porpora e bisso e che fa festa ogni giorno splendidamente ben ritrae l’ ideale di vita dei farisei. Anche se non sono ricchi, di fatto sono come questo ricco.

20 Ora un povero un tale di nome Lazzaro giaceva alla sua porta coperto di piaghe

Non c’è ricchezza nostra che non debba confrontarsi con la povertà altrui. E’ come un tarlo che rode il cuore, quando non è un’insidia continua. C’è il povero che non può e non vuole offendere, c’è anche il povero che rivendica una parte del tuo, a volte con la violenza.

Per vivere in pace il ricco deve mettere il povero alla porta. Dare il superfluo non costa poi nulla, ma è la presenza stessa del povero,  che dà fastidio e turba la coscienza. Meglio che se ne stia fuori dai piedi, per non vedere con gli occhi e non toccare con le mani. I ricchi sanno che alla loro porta stanno i poveri, ma è meglio ignorarli che dare loro soccorso ed aiuto. Nel migliore dei casi si fanno offerte per le missioni, gli istituti di carità e di assistenza, per tacitare la propria coscienza. L’importante è che i poveri non finiscano tra i piedi: sono una nota stonata e potrebbero rompere l’incanto della vita.

21 e desiderante di sfamarsi con le cose cadenti dalla tavola del ricco;

Da un lato una ricchezza sfrenata, dall’altro una povertà estrema che fa fatica a tirare a sera. E’ quest’ultima l’immagine tipo del povero o di quel povero che ha nome di cristiano?

Come è visto in cielo dagli angeli il discepolo di Cristo e come è visto su questa terra dagli uomini che non credono? Per il cielo è la pecorella smarrita che è salvata da Gesù, è la dramma ritrovata, è il figliol prodigo che ritorna alla casa del padre.

Per gli uomini di questo mondo è un povero diavolo che giace impotente, coperto di piaghe.

Si accontenta anche del poco che gli è lasciato dal ricco. Non si lamenta del proprio stato, non bestemmia Dio e neppure gli uomini, accetta con rassegnazione la propria povertà. Merita amore e rispetto. Ma cosa ottiene in cambio della propria mitezza da coloro che non credono?

ma anche i cani venendo leccavano le sue ferite.

Non è degno di ammirazione e tanto meno di rispetto chi è povero per Cristo. Meglio aggiungere ferita a ferita, umiliazione ad umiliazione.

Ma viene anche il giorno in cui la sua povertà è visitata dal Padre che è nei cieli.

22 Avvenne poi che il povero morì e fu portato lui dagli angeli nel seno di Abramo;

E’ il momento critico dell’esistenza, il passaggio da una stato temporaneo ad uno eterno. E’ il giorno più importante per ogni uomo, quando si decide il destino finale. E cosa accade in questo frangente? Proprio lui, il povero Lazzaro, viene portato dagli angeli nel seno di Abramo. L’altro se ne starebbe volentieri sulla terra per chissà quanto tempo, ma neppure lui può sfuggire ad un destino di morte.

morì poi anche il ricco e fu sepolto.

Una vita brillante, una morte squallida. Non pianto, non lamento: abbandonato dai familiari nella nuda terra, ignorato in cielo. Così sono rovesciate le sorti dell’uomo: gli ultimi diventano i primi, i primi diventano ultimi. Ma non è ancora finita la storia di questo ricco. Ne comincia ora un’altra infinitamente triste e dolorosa. Fosse vero per chi non crede nella vita eterna che la morte è fine della vita! E’ fine di questa vita, ma è inizio di un’altra. Il corpo ritorna alla terra e l’anima al nulla da cui è stata creata, ma lo spirito insufflato dal Creatore rimane in eterno, eternamente separato dal suo fondamento e dal suo fine.

23 E questi nell’Ade avendo alzato i suoi occhi, essendo fra i tormenti, vide Abramo da lontano e Lazzaro nel suo seno.

Benché tagliati fuori dalla beatitudine del Paradiso i dannati hanno consapevolezza non solo del proprio stato di tormento, ma anche di uno stato diverso di gioia. Forse più che vedere sanno che altri hanno una sorte felice. Se vedono qualcuno non è certo Dio, ma qualche creatura e neppure da vicino ma da lontano. Come il povero cristiano nel tempo della sua esistenza ha dovuto accettare un confronto con il ricco, assai difficile e doloroso, così nell’aldilà le sorti si capovolgono e questa volta è il ricco che patisce il confronto con il povero, in una situazione per così dire rovesciata. Chi era in alto ora è in basso, chi viveva nel lusso e nell’agiatezza ora è nei tormenti.

Nessuna soddisfazione in Lazzaro per lo stato dell’altro: nell’amore non c’è spirito di vendetta o di rivalsa. In quanto a colui che fu ricco in questa vita le cose stanno diversamente: il confronto gli pesa e gli brucia lo spirito.

24 Ed egli gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro perché immerga la punta del suo dito in acqua e rinfreschi la mia lingua, perché sono tormentato in questa fiamma.

Come non è dato ai dannati vedere Dio, così non è loro dato di invocare il suo nome. Questo tale grida, è vero, ma non verso Dio. Perché grida? Per ottenere dall’uomo quella misericordia che non trova presso Dio. Perché non la trova? Perché gli è negata. Perché gli è negata? Perché non ci crede.

Nell’aldilà non è più possibile alcuna conversione all’amore di Dio. I dannati si lamenteranno perché privati di tutto, non per la mancanza dell’amore del Signore. E’ la causa del loro stato, ma non possono desiderare quello che non hanno e non comprendono.

I farisei che non si convertono, nell’aldilà ragioneranno con lo spirito di questo mondo. Chiederanno pietà, ma non a Dio Padre, bensì al Padre Abramo. Ed Abramo non potrà dare loro alcun aiuto.

 25 Disse allora Abramo: Figlio ricorda che hai ricevuto le tue cose buone nella tua vita,

Fatto singolare. Nessuna condanna, nessun giudizio per i beni posseduti in terra. Non sembra una colpa ricevere ricchezze. E’ condannato il loro cattivo uso. Anche se frutto d’iniquità, le ricchezze di per sé sono buone e vanno gestite con giustizia. Ma non gestisce rettamente le ricchezze l’uomo che non ha coscienza di peccato. Le tiene per sé e nulla gli importa della miseria altrui.

e Lazzaro similmente le cose cattive;

Nessuna recriminazione per una povertà passata. In questo mondo Dio tollera che alcuni abbiano molto, altri poco. L’importante è cogliere l’amore del Signore ed allora ricchezza e povertà saranno viste e vissute con occhi diversi e con uno spirito diverso.

ma qui è consolato, tu invece sei tormentato.

Se Dio accetta che in questa vita i suoi siano poveri e sofferenti, i figli di Satana ricchi e gaudenti, nell’eternità le sorti sono ribaltate.

26 E in tutte queste cose fra noi e voi è stato posto un grande abisso, così che i volenti passare di qua da voi non possono, né di là da noi attraversano.

E’ importante sapere che ormai le sorti sono irrevocabili. Chi è salvo non può più in alcun modo dannarsi e chi è dannato non può più essere fatto salvo. Troppa è la distanza che separa i due abissi  perché si possa transitare dall’uno all’altro. Neppure per curiosare un po’.

27 Disse allora: Ti prego dunque, padre, che mandi lui alla casa di mio padre;

La preghiera del dannato non ha più alcun potere né per l’altra vita né per questa vita. Ammesso e non dimostrato, che i dannati abbiano a cuore la sorte di coloro che sono ancora al mondo, vana è la loro supplica non solo per sé ma anche per altri. Ai reprobi resterà tutt’al più l’amore della carne e del sangue. Cosa potranno desiderare per i loro cari? Non l’amore di Dio, ma che siano scampati dal tormento eterno. Quante volte tirano in ballo la parola padre ( padre Abramo…ti prego padre… alla casa di mio padre ) senza mai pensare all’unico vero Padre!

28 ho infatti cinque fratelli, affinché li scongiuri, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento.

Ciò che interessa è salvare la pelle, non certo conoscere l’amore del Padre quale si è manifestato nel Figlio. Quanti fratelli e quanto interesse per loro! Nessuna parola per il fratello primogenito Cristo Gesù.

29 Dice allora Abramo:

Chi ha confidato solo nell’uomo nessuna risposta potrà mai avere in eterno, se non dall’uomo medesimo. Ma il dramma ultimo è proprio questo: Che saranno smentiti alla fine  non solo da Dio, ma dalla loro stessa fede.

Hanno Mosè e i profeti: ascoltino loro.

Dio non ha parlato soltanto per bocca del Figlio suo, ma anche ed ancor prima per bocca dell’uomo in Mosè e nei i profeti. I farisei che vantano la fede nella Legge e nei profeti da questi dovrebbero trarre ogni luce ed ogni convinzione. La testimonianza che viene dalla Parola di Dio è superiore a quella che viene da un qualsiasi “Lazzaro”. In Mosè e nei profeti c’è già l’annuncio della salvezza in Cristo Gesù. Alla fine salterà fuori che negli scribi e nei farisei non c’è fede alcuna neppure nel Patto Antico. Lo confesseranno candidamente senza possibilità alcuna di equivoco.

30 Ma egli disse: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti viene a loro si convertiranno.

E’ l’espressione tipo della non fede: si invoca il miracolo proprio perché non si crede nella potenza della Parola. E quale miracolo: non la rinascita nello Spirito che è già un dato ed un fatto, ma la rinascita nella carne. L’uomo carnale ragiona secondo la carne e vede solo secondo la stessa carne.

31 Disse allora a lui: Se non ascoltano Mosè ed i profeti, neppure se qualcuno da morti risorgesse sarebbero convinti.

E’ riaffermata in maniera ultima e definitiva la potenza della parola di Dio che unica opera la salvezza. La fede viene dall’ascolto e l’ascolto dalla parola di Dio. Se non c’è questa volontà di ascolto a nulla serve vedere con gli occhi della carne.

Ma è pur vero come nota Agostino che Cristo dopo tanti prodigi farà anche quello di resuscitare da morte. Per portare alla fede nel suo nome? Al contrario, per condannare quelli che non credono nel suo nome.

E’ la condanna ultima e definitiva dei farisei e degli scribi. E’ la conclusione di un discorso alquanto lungo cominciato con la parabola della pecora smarrita.

Chi si è perduto è ritrovato dal Cristo, purchè desideri far ritorno alla casa del Padre. Chi non si è perduto deve verificare quale amore porta al Signore, quale consapevolezza di peccato, quanta disponibilità a perdonare il fratello e a perdere per amore di Dio i beni di questo mondo.

Triste la sorte eterna dell’uomo che confidando nella propria giustizia accumula ricchezze su questa terra e tutto gode e tutto spende per i piaceri del ventre . Ogni giorno il povero siede alla porta della sua casa, ma non lo lascia entrare e non vuole condividere con lui i beni di Dio.

Nessuna possibilità di riscatto neanche quando avrà cominciato ad assaporare la morte eterna. Anche se invocherà la salvezza si rivolgerà alla persona sbagliata, in un modo sbagliato e con uno spirito falso.