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Don Umberto Neri

Pensieri sulla nuova evangelizzazione (da un opuscolo dattiloscritto)

 

Legittimità di un programma di Nuova Evangelizzazione

 

Riguardo alla stessa terminologia – “nuova” evangelizzazione – che si presta a qualche facile equivoco, è necessario formulare qualche semplice osservazione.

1 Nuova evangelizzazione, non può assolutamente significare “nuovo vangelo”: cioè un contenuto sostanzialmente nuovo dell’annuncio fondamentale, primo ed ultimo.

Cf. Gal 1,6-9: “Mi meraviglio che così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo, passiate ad un altro vangelo. In realtà, però, non ce n’è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anatema!”

1Cor 15,1s: “Vi rendo noto fratelli, il vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto, nel quale state saldi e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l’ho annunziato. Altrimenti, avrete creduto invano!”.

E occorre aggiungere, non è vero che – come oggi da varie parti usa dire – il vangelo “cresce” e si modifica nel corso della storia: è piuttosto la storia , che, confrontandosi con il Vangelo ne è modificata.

Né il Vangelo ha bisogno di essere cambiato per venire “attualizzato” e meglio rispondere alle nuove dimensioni del vivere e del sentire umano, e alla nuova fisionomia delle civiltà in formazione; anche qui, il processo è inverso: è la storia, nella sua variabilità e precarietà, che deve “attualizzarsi” nel confronto con il vangelo, rimettendosi continuamente in questione rispetto ad esso.

Analogo il discorso riguardo alla cosiddetta “inculturazione”: predicato in tutte le lingue, incarnato in tutti i popoli, e in tutte le stirpi, il vangelo non è “estraneo” nel senso di indifferente o inattingibile – a nessuna cultura: ma rispetto ad ogni cultura rimane quello che è sempre stato, e, per questo, motivo perenne di novità – come offerta perenne di salvezza.

Occorre intendersi bene, al riguardo, sul concetto di “traduzione”: la doverosa traduzione del vangelo è il suo trasferimento fedele, non la trovata di una serie di discutibili “equivalenze”, che  considerate più a fondo spesso si rivelano cariche di equivoci o di banali fraintendimenti. “Considerate più a fondo”: cioè con il doveroso confronto dei due “contesti”.

2 Tuttavia: può e deve verificarsi il rinnovarsi continuo della evangelizzazione:

a. Nella purificazione da ciò che le è estraneo, e che continuamente cerca di insinuarsi nel cuore stesso del vangelo.

È un ben difficile discernimento, che può essere compiuto solo con una conoscenza sempre rinnovata e sempre approfondita della più autentica e costante tradizione, e, - ovviamente – della Scrittura.

Siamo tutti figli del nostro tempo , perfettamente, in buona fede, talvolta, non solo ne respiriamo il clima, ma ne assorbiamo le categorie.

b. nella comprensione sempre più adeguata di ciò che le è proprio.

Compito, questo pure, immane. Il contenuto del vangelo supera ogni possibilità umana di sintesi e di analisi, ed è sempre “al di là” di ogni formula, anche la più santa e la più comprovata dalla tradizione.

La Scrittura e il messaggio della redenzione godono di una giovinezza perenne, ed esigono che non li si coarti in frasi fatte, in formula stereotipe che pian piano rischiano di svuotarsi o – peggio – di venire a significare qualcosa di diverso da ciò che volevano dire all’inizio, al loro sgorgare dalla viva coscienza della Chiesa illuminata dallo Spirito Santo.

Non si tratta di rinnegare o di dimenticare nulla: ma occorre sempre riscoprire, come se quella parola ci fosse detta “oggi”.

c. nell’amore della sua accoglienza: come, appunto, di cosa nuova e inaudita, come di un imprevisto prodigio della sapienza di Dio: vincendo l’inerzia dell’assuefazione e la stanchezza del “già udito”.

Perché, quando il Cristo viene annunciato, è sempre l’incredibile paradosso che, se non provoca stupore, mostra di non essere per nulla capito. In fondo, chi ascolta il vangelo sbadigliando è peggiore di chi lo ascolta contestandolo vivacemente con passione.

d. nella chiarezza e compiutezza con cui viene annunciato, e nello slancio di amore – comprovato dalla testimonianza – con cui viene proclamato il mistero di Dio e del suo Cristo.

È nella misura in cui gli evangelizzatori, e la Chiesa tutta che, inviandoli, li deve sostenere, si appropriano del contenuto del Vangelo, che questo può avvenire. Nulla è sostituibile a questo lavoro personale, e alla crescita umile, e quotidiana, di questo rapporto conoscitivo-esperienziale con la verità rivelata.

Solo questo, del resto, è rimanere nella Parola, secondo il suggestivo e profondissimo linguaggio giovanneo.

e. non si procede con serietà e convinzione a un programma di nuova evangelizzazione, finchè non ci si rende conto dell’inadeguatezza dell’opera di annuncio finora svolta, da noi e talvolta anche da altri o da nostri predecessori.

Il costume di dire sempre bene di tutto e di tutti, anche se ispirato a carità o almeno a gentilezza e bonomia, non è sempre il più confacente a far progredire le cose: senza anacronismi, senza amarezze, senza credere di essere noi i portatori di un mondo migliore, bisogna con misericordia e semplicità guardare in faccia alle cose e chiamarle con il nome proprio.

Dobbiamo sempre avere paura di scandalizzare i piccoli, ma, non meno, dobbiamo guardarci dallo scandalizzare le persone serie e ben intenzionate.

Chiediamoci, dunque:

a. Come è stata svolta, finora, l’evangelizzazione? Quantitativamente: quanti ha saputo raggiungere! È noto – ed è mistero rivelato, insieme a quello insondabile, dell’umiltà del Cristo – che la Chiesa rimarrà sempre pusillus grex, e sarà sempre una piccola cosa nel mondo ( la vera chiesa, intendo ): perché a Dio è piaciuto così.

Ma liberarsi da ogni ambizione quantitativa, da ogni compiacimento nel volerci contare, da ogni nostalgia di piazze gremite ( da chi? ) non significa rinunciare a cercare anche una sola delle pecore del Cristo disperse, e a ricondurre entro il recinto dell’ovile tutti quelli che non si ostinano nel rifiuto e non si mostrano del tutto insensibili alla grazia di un invito, o di un richiamo – e, soprattutto, alla grazia dell’annuncio dell’amore di Dio in Cristo-.

Una impressione diffusa e convalidata da innumerevoli esperienze è che siano di più quelli che, commossi, risponderebbero “sì”, di quelli che si rifiuterebbero con scetticismo od ostile indifferenza.

I “lontani”, in altri termini, sono spesso vicinissimi. Se non si possono includere – subito – tutti, almeno occorre non escludere totalmente nessuno.

B Ed è tempo ora di considerare anche la qualità dell’evangelizzazione.

Troppo spesso è stato ritenuto improponibile, non interessante, faticoso, difficile: mentre, anche qui, esperienze numerosissime mostrano in modo inconfutabile che la chiesa non si sazia di udire la parola di Dio, e che temi come quelli – essenziali al kerigma _ della redenzione, della vita eterna, della vita nuova nello Spirito, non solo interessano moltissimo – talvolta, più quelli che ascoltano che quelli che li annunciano! _ ma sono capaci di scuotere le anime e sommuovere le coscienze , in una parola, di convertire.

Nulla di nuovo: ripetutamente la Scrittura ci attesta questa potenza della parola di Dio. Quando essa non colpisce, talvolta la causa non è di una sua temporanea e misteriosa debolezza, ma di una sua insufficiente “epifania”- sommersa com’è da tematiche e linguaggi umani ingenuamente ritenuti di maggior presa e più attuali.

c. Come è stata recepita l’evangelizzazione?

È la domanda conclusiva di questa prima parte di inchiesta.

A che livello sono, di consapevolezza e di chiarezza di scelte cristiane, le generazioni che sono passate sotto il nostro controllo, che sono vissute nei nostri oratori, che hanno fedelmente frequentato la messa domenicale, luogo privilegiato dell’annuncio abituale: le persone che abbiamo – per certi versi, indiscutibilmente, annoverato fra i buoni cristiani”?

Oltre a una vita morale spesso – ma non sempre – irreprensibile, che cosa c’è di cristiano nel loro pensare più profondo, quale coscienza hanno del mistero fondamentale della fede, quale concezione di quel cristianesimo che li accomuna, in compiaciuta solidarietà, con tanti altri?

La loro sprovvedutezza sul piano della fede e dei costumi, è talvolta gravissima: non sanno, - questo, nessuno mai ce lo aveva detto” – e , non sapendo, sono privati di quello slancio di gioia e di generosità che deve costituire la caratteristica inconfondibile di un cristiano vero.

Perché, diciamocelo con chiarezza, infine che cosa pensiamo noi che debba o possa essere, un “cristiano”?

d. Sulla base di queste premesse, occorre dire che il rinnovamento dell’evangelizzazione non deve e non può consistere soltanto in una ripresa di slancio – rischierebbe, in tale caso, di smorzarsi ben presto, nella inevitabile stanchezza e nella delusione del poco poetico quotidiano – ma in una vera svolta, in una riforma profonda.

La Chiesa – “la grande recommenceuse”, come la chiamava Giovanni XXIII – ne ha sempre bisogno ( “semper reformanda” ) e- per grazia dello Spirito che la inabita – ne è sempre capace.

 

Attuale necessità di una nuova evangelizzazione: le novità più autentiche e le possibilità più nuove

Premessa

Occorre non dimenticare ( nel comune discorso dell’oggi è così, oggi tutto è cambiato ) la sostanziale identità dell’uomo, ai suoi livelli più profondi e nelle sue reazioni più costanti – la essenziale identità dell’uomo di tutti i tempi e di tutte le culture.

La lettura delle Upanishad, come quella del Corano o di Gide o di Kafka illuminano sostanzialmente la medesima immagine dell’uomo, analoghi drammi nel rapporto fra le generazioni, interrogativi permanenti e costanti tentativi di risoluzione o di fuga.

L’homo modernus, di cui tanto si parlò al Concilio e nel post concilio, è un mito: un mito banale, oltre tutto, perché ignora che oggi ci sono ancora uomini – nel profondo uguali a se stessi, come sempre e da sempre – ma di culture lontanissime tra loro.

Dimensionare la “nuova evangelizzazione all’immagine di un uomo moderno, che sarebbe poi il borghese mitteleuropeo o l’americano che appare nelle sterminate pellicole che ne raccontano la stupida vita, sarebbe un errore imperdonabile.

L’uomo moderno è quello di tre quarti dell’umanità che noi non conosciamo, e che lasciamo morire d’inedia o massacrarsi nelle guerre: l’uomo moderno non è riscontrabile nel domani che i mass media tentano di rappresentarci o di farci presagire ( con un notevole pizzico di fantascienza ), ma molto più, quello che si scopre nelle sue radici meditando sulle vicende e sulle testimonianze dei suoi padri.

Paradossale finchè ciò possa apparire, i giovani d’oggi si capiscono di più leggendo la Gita o i grandi autori del secolo scorso ( Dostojewski !) che prendendo troppo sul serio certi fenomeni sociologici imponenti nel nostro tempo, o addirittura ciò che essi credono di sapere di se stessi.

Oltre alla sostanziale identità dell’uomo con se stesso, occorre individuare, nel confronto delle civiltà, i termini comuni dell’agire umano e le costanti suggestive rivelatrici di quella che è la passione, la brama, la follia dell’uomo di tutti i tempi.

La novità del nostro tempo ha dei riscontri non soltanto interessanti, ma davvero rivelatori, con fenomeni riscontrati, per esempio, nei secoli del tardo impero.

Dico questo non per scoraggiare le ricerche di sociologia – religiosa o altro – o per negare aspetti veramente “originali” dei giorni tristi che stiamo vivendo, ma perché tutta la ricerca della nuova evangelizzazione non sia spostata sul binario morto di nuovi modi di porgere l’annuncio corrispondenti a nuovi modi, presunti, di vivere e di sentire.

Dopo questa lunga premessa cautelatrice, cerchiamo di addentrarci nel vivo del problema, e di vedere quanto, oltre che nell’essenziale dell’accoglienza nostra del vangelo e del nostro slancio di fede nel proclamarlo, possa esserci di nuovo nel tempo che viviamo; in senso positivo e negativo: nuove possibilità offerte, e nuovi pericoli incombenti.

I nostri giorni ci impongono, e sempre più ce ne costringeranno, nuovi confronti con realtà che fino ad ora non si erano affacciate all’orizzonte – ancora tanto ristretto e provinciale – della nostra storia.

Prima di tutto, un nuovo impatto con l’aggressività delle religioni e delle ideologie:

1 delle religioni che chiaramente si pongono come alternativa alla presunta insufficienza e sconfitta storica del cristianesimo.

Molto più che all’Islam, la cui presenza fra noi è oggi massiccia, e che tanto impressiona certi ambienti cattolici, penso alle religioni estremo-orientali: e soprattutto al buddhismo ( l’induismo che ha avuto un lungo periodo di straordinaria fortuna, resta una religione indiana e non può pretendere all’universalità, mentre il buddismo ha sempre avuto una forza di espansione formidabile e una coscienza di universalità al di là di ogni dubbio ).

Nei confronti dell’ondata buddhista – per ora, sono solo i primi spruzzi d’acqua che ci colpiscono – il nostro cristianesimo potrà trovarsi in gravissimo imbarazzo: a una religione che non è una fede, e che concentra tutto il suo messaggio nella promessa – non sempre illusoria, del conseguimento di una felicità fatta di pace e di consenso al destino, noi non possiamo opporre un cristianesimo ridotto ad etica, per giunta, piuttosto mondanizzante.

In risposta a una proposta che sembra fatta apposta per l’uomo ( l’uomo, dico, e non l’uomo moderno ), come si può reagire se non facendo appello al mistero della fede, e rimandando all’annuncio del Dio vivente?

Se ci si pone sul piano etico - eudemonologico ( e spessissimo, nella cristianità attuale si rimane su questo ) si è inevitabilmente sconfitti da un discorso che si vuole perfettamente “razionale”, che non fa appello a profondità inaccessibili all’uomo, e che garantisce la soddisfazione del bisogno religioso e difende la barriera di un’etica non volgare.

2 non meno violento – e non meno radicale come l’alternativa – è l’impatto con le ideologie nuove; non più con quelle ancora mitiche e para-bibliche del marxismo nelle sue varie forme, ma con quelle che  si pretendono scientifiche – sociologiche e psicologiche – e in genere con lo scientismo contemporaneo: sicurissimo di sé e del proprio avvenire, e del tutto insensibile a ogni afflato religioso, ma tuttavia non tale – sempre – da rifiutare di riconoscere la necessità di un’interpretazione simbolico-etica, che conceda all’uomo di coprire spazi lasciati vuoti dalla perfezione tecnica e dalle certezze maturate nello sviluppo delle scienze.

3. A questi nuovi rischi e nuovi attacchi corrispondono, per grazia di Dio, nuove possibilità di evangelizzazione.

Possiamo dire, anzi, che raramente la chiesa si è trovata in un’alta congiuntura come si trova oggi, con aperture di orizzonti e attese mai finora verificate: credo davvero che non ci sia motivo alcuno di avere nostalgia di una chiesa “forte”, ma anche tanto legata al mondo e a ciò che è del mondo, quale si è avuta nei periodi “aurei” del Medio Evo.

4. chiedendoci in modo più ravvicinato in che cosa consistano queste nuove possibilità, possiamo rispondere, sommariamente, così:

La mancanza, avvertita in molti ambiti con angoscia e smarrimento, di maestri e di guide (da gran tempo è passata l’epoca non solo di Croce, Gentile, Gramsci, ma anche dei “profeti” Guevara, Ho-Chi, Mao: per non dire, ora, di tutti i leaders dell’Europa Orientale ), ha provocato e fa avvertire un vuoto di autorevolezza, che fa sì che - anche da parte di non credenti – spesso ci si volga alla Chiesa attendendo una sua parola.

Più volte lo si fa con atteggiamento ambiguo, e non sembra si sappia bene che cosa, dalla Chiesa ci sia in realtà da attendersi: ma è indubbio che si guarda in quella direzione – l’ultima Tule – per qualche cosa che non può venire altro che di là.

b. La stessa impavida aggressività delle alternative, che ora si presentano, esige delle risposte chiare e costringe ad esplicitazioni che non lasciano spazio a compromessi ideologici.

La chiesa, in altri termini, è forzata a dichiarare quali sono le ultime possibilità del suo messaggio e dalla sua stessa presenza nel mondo, ora non più concessi per benevolenza o dati con inerzia per scontati: deve, in qualche modo, giustificarsi.

 

I contenuti prevalenti della nuova evangelizzazione.

a. una rinnovata presentazione e testimonianza della fede cristiana

Già incluso nel termine stesso – ambizioso e chiarissimo – di “evangelizzazione”, il contenuto del messaggio da “rinnovare”, senza modificare i termini nei quali lo si è ricevuto, appare con tutta evidenza essere il vangelo stesso.

Occorre prendere sul serio il titolo del programma e non deviare – per timidezza o alla ricerca di altre cose più stimolanti per vie traverse: si tratta di capire come e quanto il vangelo sia capace, sulle nostre labbra e nella nostra pastorale, di diventare, per la nostra generazione, in qualche modo nuovo.

Problema, dobbiamo confessare, difficilissimo.

Tentiamo, umilmente, di accennare a qualche risposta.

2. Il primo rinnovamento decisivo e fondamentale, dovrebbe consistere nel presentare il cristianesimo, con estrema chiarezza, come fede.

Questo, rispetto a uno scadimento nel quale rischiamo continuamente di cadere anche noi ( sale che può diventare insipido ), e nel quale cerca di adescarci – con minacce e lusinghe _ il mondo: lo scadimento – chiariremo il termine – a religione, cioè, a sentimento dell’oltre misterioso della vita, di ciò che va al di là dell’immediato pragmatico, a dimensione intima non ridotta all’unica misura delle cose che appaiono e che passano.

Ottimo davvero, il sentire religioso! E la chiesa è anche tutto questo, e cerca – oggi con particolare fatica  - di risvegliare l’uomo alla percezione delle realtà non visibili, e a farlo vivere nel mondo quale elemento della natura corruttibile.

Ma è questo primamente e principalmente? Se fosse così, la sfida dell’Oriente o delle esperienze legate ai mondi ambigui dello yoga o della magia ( non stranamente tanto in auge, oggi ) ci troverebbe, molto spesso, perdenti.

Non dovremmo, inoltre, accettare troppo facilmente, e senza alcune nette precisazioni, l’interpretazione del cristianesimo come “etica”.

Anzi, come supplemento d’etica offerto a un mondo che sempre più mostra non solo di non possederla, ma di averne bisogno essenziale per vivere, continuando naturalmente, ad essere mondo.

Anche questo, certo il cristianesimo lo è: lo è sempre stata, a differenza di altri mondi religiosi, la rivelazione biblica, che presenta con evidenza assoluta l’inscindibilità di Dio e di luce, di culto e di bene, di verità e di rettitudine.

Ed è vero, anche, che questo mondo sta andando alla malora per la perdita di punti di riferimento etici della più elementare semplicità, e per dottrine troppo facilmente accettate che si sono programmaticamente proposte il superamento – un tragico “oltre”- del confine tra il bene e il male.

Ma resta che il cristianesimo non può ridursi a questo: l’etica cristiana non è che l’espansione e l’epifania della fede. Nulla di più lontano da Kant, o dai deisti: il cristiano deve agire bene perché è suddito e figlio di Dio, perché ama ed è amato dal Cristo, perché crede nella redenzione e nella risurrezione: in questo si qualifica il suo amore per i fratelli, e si specifica – molto al di là di quanto potrebbe andare la ragione - quale “cristiano” il suo comportamento.

3. le due dimensioni sopra accennate ( la religiosa e l’etica ) non possono dunque assolutamente essere trascurate o – peggio – ignorate.

Sono coessenziali con il cristianesimo, che non sarebbe vero se non le inglobasse.

Ma non sono il cristianesimo: e tutte le sollecitazioni che ci vengono oggi a viverlo o a presentarlo in questa luce hanno qualcosa di sinistro, hanno in sé una menzogna che va confutata.

4. ma che cosa significa e che cosa comporta, che il cristianesimo sia presentato quale esso essenzialmente è, cioè quale fede?

La fede deve essere qui intesa, in termini generali e ancora elementarissimi, quale indissociabile – coerente e organica – connessione di certezze di pensiero e di scelte o, nel contenuto oggettivo, indicazioni  di vita.

Ma con le indicazioni vitali che derivano immediatamente dalle realtà rivelate e dagli eventi compiuti: la Parola che viene da altrove ( essa stessa “evento”), e l’evento oggettivamente compiuto e verificato ( non idea, non mito, non simbolo, non ideale, non raffigurazione tipico-esemplare ).

L’assenza di questa dimensione dominante di fede – intesa come riferimento all’evento compiuto della rivelazione, della creazione e della redenzione – spiega, in parte almeno, il facile successo delle religioni orientali, che evitano accuratamente questa pietra d’inciampo e si gloriano di basarsi solo sulla ragione ( è noto l’agnosticismo del Buddha, il più severo critico del mondo religioso come “mito alienante”.

Ma solo se si presenta così, quale esso è per volontà di Dio, il cristianesimo riesce a non essere inglobato in una visione ancora mondana, e asservito alla città degli uomini, intonacando il muro cadente di una società iniqua e omicida.

Solo così esso conserverà intatta la sua libertà e la sua dimensione profetica.

5. Quale sarà la caratterizzante prima e generale di una nuova evangelizzazione, nella quale il cristianesimo appaia più chiaramente, più fortemente, più inequivocabilmente quale fides?

Sarà, necessariamente, una svolta teocentrica, rispetto a quella antropocentrica da tante parti auspicata.

Una svolta da perseguire attraverso una maggiore fedeltà al radicale e appassionato teocentrismo biblico.

Basti richiamare, di passaggio, Isaia (“il Santo” ) e tutto l’Antico Testamento ( “Io solo” ); Paolo ( Tutto è affinchè Dio sia glorificato ), e le dossologie, vera summa del suo pensiero ed espressione suprema del suo sentire; Giovanni ( il fine della missione del Cristo è la rivelazione del nome del Padre e la sua glorificazione).

6. Una ulteriore domanda ci introduce nel cuore del nostro problema, e già orienta verso i contenuti specifici di una nuova evangelizzazione.

Come ricuperare in modo corretto – autenticamente _ cristiano questo teocentrismo?

La risposta è semplicissima, almeno nei suoi termini generali e come indicazione programmatica: seguendo più fedelmente la Bibbia, nei suoi contenuti strutturati intorno al kerigma, che ne è il centro, l’anima, l’unità, la chiave interpretativa fondamentale.

7. Prima di tutto, dunque, partire dal kerigma.

Potrà sembrare pignoleria eccessiva: ma dalla correttezza del punto di partenza dipende tutto, anche se i contenuti finiscano, diversamente ordinati, per apparire gli stessi.

Ma non sarebbero gli stessi, occorre convincersene, se, invece che partire dal mistero dell’amore di Dio in Cristo, si prendessero le mosse dell’esistenza dello spirito, o dell’anima, o anche di Dio quale essere perfettissimo ( cose delle quali, ovviamente, nessuno dubita ): e che andranno poi, a loro tempo, ricuperate e ben chiarite.

Solo mostrando come la gloria di Dio risplenda sul volto del Cristo ( 2Cor. 4,6 ) diremo adeguatamente qual è il nostro Dio, il Dio vivente, che è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo.

A questo punto, già il nostro Dio non ha nessuno, nessun Dio, che gli sia simile: e tutto il contenuto del cristianesimo diventa inaccessibile, se non si passa per questa porta.

8. Dopo aver iniziato in questo modo, occorre procedere ancora seguendo il kerigma, nell’ordine degli eventi che testimonia e delle rivelazioni che convoglia e fa risplendere.

Da questo Dio, immediatamente – non c’è scampo, del resto – all’evento del Cristo.

E insieme, dal Cristo, il Verbo_Dio fatto carne e morto per la nostra salvezza, risalire all’elezione eterna nostra “di Dio in Lui ( “prima della creazione del mondo”), alla cui luce va considerata la creazione ( per questo siamo stati creati ; l’elargizione dello Spirito ( a questo scopo il Cristo è morto e risorto ), la rivelazione definitiva del Cristo e il suo ritorno alla fine dei tempi ( non solo come manifestazione perfetta, ma quale compimento dell’opera salvifica ). A questo punto soltanto, Dio si manifesta a noi, per noi, per quanto lo possiamo conoscere: come Colui che ci ama fino alla morte in croce di Cristo nel suo corpo assunto per essere immolato, e come colui che ricerca la comunione nuziale eterna con noi.

9. A questo punto, nel farsi così prossima la gloria imperscrutabile e inaccessibile di Dio, è generata – irrimediabilmente e senza possibilità di scampo – tutta l’etica cristiana.

Dio, infatti, essendosi fatto tutto per noi, non può non diventare tutto per noi e non esigere tutto da noi: non imponendosi esternamente come un despota, ma rubandoci ed afferrandoci con il suo stesso amore – avendoci acquistati-conquistati, cfr. 2 Cor.5,14: “L’amore di Cristo ci spinge al pensiero che uno è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro”.

Tutto qui.

Dove risultano e risaltano nella loro inconfondibile novità e specificità sia la fede cristiana che l’etica cristiana, rimandandosi l’una all’altra con indissociabili implicanze.

Esemplificazione di contenuti rinnovati nell’evangelizzazione.

1.Dio

Va annunciato assai più e meglio quale sommamente personale, attingendone la nozione e la conoscenza vitale più direttamente e abbondantemente dalla Scrittura.

Questo, prendendo un po’ le distanze dalla predicazione e dall’insegnamento ancora prevalente – troppo dipendente dalla teologia scolastica passata nei manuali di teologia per la formazione del clero- che insistendo unilateralmente sulla perfezione metafisica del “Deus unus et absolutus”, rischia di renderlo esangue e di devitalizzarlo, facendone qualcosa di alquanto diverso dal “Dio vivente” della Scrittura: il Dio che si adira e si pente, ama e si rallegra, cerca e attende, chiama e protende le braccia.

Ciò appare necessario particolarmente oggi:

rispetto all’Occidente, che è ancora in clima deista, con ulteriori depotenziamenti ( Dio come “orizzonte” dell’esistenza e del conoscere: un “al di là” e una “innominabilità” radicali e intransigenti, e che non hanno nulla a che fare con una sana teologia “apofatica “).

rispetto all’Oriente, che sempre più riesce a far entrare nel sentire comune il suo neutro “divinum”.

Cristo

Va annunciato assai più e meglio nel suo mistero: attingendo particolarmente alla tradizione dei grandi concili e dei Padri.

Così, rispetto alla predicazione e all’insegnamento ancora prevalente, che spesso sembra arrestarsi trepidante all’adempimento della sua missione redentrice, al suo amore filantropico ecc..

Ora,  occorre convincersi che solo una cristologia forte può reggere alle ondate delle religioni e delle ideologie.

Questo appare particolarmente necessario e urgente oggi .

a. per l’Occidente, dove mai come ora il Cristo è stato annunciato e celebrato come contestatore e “profeta” in senso ideologico-.

b. per l’Oriente dove il Cristo venerato da tanti indù è il maestro di sapienza e il modello dell’amore disinteressato ( si veda l’interpretazione , condivisa da tanti anche nel nostro mondo, ma così gravemente depauperante).

3. lo Spirito Santo.

Va annunciato assai più e meglio nella sua rilevanza, attingendo alla grande teologia patristica e medioevale ( anche latina ).

Mentre il discorso sulla grazia creata mette spesso in ombra come sia lo Spirito stesso inabitante la “communio cum Deo”, e non solo sorgente di dono, ma in se stesso – posseduto dall’anima rigenerata e “un solo Spirito” con noi – “dono” supremo di deificazione.

Risulta, a questa luce, penosa la riduzione che spesso si fa dello Spirito in Occidente, quale “elemento antistituzionale” e correttivo della rigidità dogmatica e strutturale della Chiesa latina.

Nell’Oriente non cristiano, una corretta antropologia soprannaturale può ben rispondere alle “esigenze spirituali” di un mondo che ambisce alle più alte vette dell’esperienza mistica, fondata, assai più che sul dono divino, sull’efficacia delle pratiche ascetiche.

4 L’uomo

Va annunciato assai più e meglio nella sua vera collocazione storico-salvifica, seguendo le linee spirituali e teologiche suggerite con incomparabile profondità da Agostino fino a Pascal.

È particolarmente necessario e urgente farlo – una vera nuova evangelizzazione - oggi, insidiati come siamo dalla paura del soprannaturalismo, mentre stiamo scendendo rapidamente la china dell’appiattimento naturalistico.

Un naturalismo che è poi fatto di fredda disperazione; quella che ha consentito ad un teologo fra i più noti di scrivere: “Ma oggi, siamo sinceri, a chi interessa “diventare Dio”?.

Il che significa non aver capito nulla del piano della salvezza, e uccidere nel cuore dell’uomo ogni aspirazione alla comunione con Dio e alla sua vera “beatitudine”.

In Occidente, si sta assistendo a una strana coesistenza, in sé contradditoria, nella concezione dell’uomo, di insignificanza ontologica e di enfatizzazione storica e psicologica.

In Oriente, invece, l’uomo rimane da millenni inghiottito nella speranza del suo essere dissolto – di non rinascere come individuo – nell’oceano monistico dell’Essere impersonale, e così di essere completamente dimenticato e di dimenticarsi eternamente.

Sia all’Occidente che all’Oriente, il cristianesimo ha, oggi, moltissimo da dire, e appare singolarmente “nuovo”, in un realismo pieno di speranza, e in una speranza piena di verità.

5. La teologia sacramentaria.

Anch’essa sembra aver bisogno di un forte ricupero. Per dirla con pacifica chiarezza, ciò che è patentemente e consistentemente diminuito è la fede stessa nell’efficacia e nella verità piena delle operazioni sacramentali.

Qui si è subìto, assai più che altrove, l’influsso negativo dell’antisacramentalismo di stampo calvinistico, oltre che riflettere il generale scetticismo nei confronti di ciò che non si vede, o di ciò che appare semplicemente un rito convenzionale ( “che bella cerimonia”- ci si dice talvolta, con una formula che dà i brividi ).

Il ricupero non può avvenire, in questo caso, se non attraverso una nuova lettura e comprensione degli stupendi testi eucologici della Chiesa, che “spiegano” ciò che si compie nei riti, come nessun teologo può presumere di saper fare, e che sono un luogo teologico di primaria importanza.

Rileggere, dunque, e non solo per prepararsi ad eseguirli in modo sciolto e corretto, i testi liturgici; e – non sembri che si chieda troppo – riandare alle fonti nella loro forma più integrale, non di rado precedente la riforma liturgica del Vaticano II. Non per eseguire i riti in quella forma, ma per ricuperare testi di poesia e di bellezza che, forse per semplificare, con fretta eccessiva abbiamo messo in sordina.  

29 6. Ecclesiologia

Occorre passare all’attacco. Non si può restare perennemente in posizione di difesa – una difesa assai difficile, oltre tutto – cercando di giustificare la Chiesa nelle sue scelte politiche e nella sua posizione attuale nel mondo.

Passare all’attacco vuol dire mostrare che cosa è, e dove è, veramente la Chiesa. Senza sminuire per nulla l’importanza, senza minimamente contestare la necessità – e la fecondità soprannaturale – dell’istituzione gerarchica della Chiesa voluta dal Signore, bisogna invitare l’uomo di oggi a gettare lo sguardo più a fondo, là dove il mondo, e il mondano, non sanno e non possono vedere.

“Vedere” la Chiesa nelle più umili e serie eucarestie, nella realtà santificante dei poveri e dei sofferenti che credono, nella castità nascosta di tanti che sanno custodire il loro corpo come vittima gradita a Dio.

E non confondersi troppo guardando i numeri. Intendiamoci: anche i numeri vanno bene, e magari crescessero: né si intende contestare un presenzialismo  che faccia uscire i credenti che si professano tali dai ghetti e dalle sagrestie, e li faccia emergere al di là delle “cortine d’incenso”.

Ma  altra cosa è saper valutare cristianamente questi numeri.

E poi, per riprendere il discorso, come di consueto, applicandolo alla particolare situazione del mondo d’oggi, diciamo: nell’Occidente ricco e disperato, la Chiesa deve sapersi mostrare come “luogo di vita” –di vita vera-

capace non soltanto di convocare e di aggregare come nessuna istituzione umana si mostra in grado di fare, ma di offrire vita e comunione come nel mondo non si conoscono. Molte comunità orientali o di ispirazione indu-buddhista si presentano oggi nei nostri ambienti, con una chiara intenzione concorrenziale nei confronti delle aggregazioni cristiane.

Occorre – e lo possiamo bene – essere molto di più: l’unico modo di arrestare queste mode pericolose è di mostrare che non c’è nessun bisogno di uscire di casa- dalla nostra casa – per trovare comunione vera e una vita spirituale di incomparabile intensità.

 

Una rinnovata presentazione e testimonianza dell’etica cristiana

1.Due tesi di fondo

La novità sarà garantita dal costante riferimento all’unica parola che non invecchia ( ogni altro riferimento, spesso legittimo e doveroso, come sopra più volte si è detto, rischia alla lunga di farci ripetitivi, e pertanto stucchevoli e inefficaci ), che è il ritorno quotidiano alla Scrittura.

La specificità cristiana di tale novità sarà costituita, nei suoi termini meno ambigui e meno sospettabili di un “modernismo” di cattiva lega, dal costante riferimento al kerigma. Esso, come è la sostanza stessa della nostra fede, così è la motivazione e la sorgente – idealmente e vitalmente – del camminare” e dell’operare cristiano.

2. Tutte le opere del credente non possono essere che “opera fidei”; la fides – quale fede in Cristo e adesione totale a lui – deve essere, cioè, la giustificazione, la forza, l’ispirazione, la sorgente del loro contenuto.

Tali opere sarebbero vanificate – rispetto al loro valore e al loro significato – se, anche qualora fossero compiute con le migliori intenzioni etiche – fossero comprese e attuate come realizzazioni umane, per motivi “umani” ritenuti giustificazione sufficiente, o comunque entro un orizzonte semplicemente umano o terrestre.

Occorre intendersi: l’intenzione specificamente cristiana – adempimento della volontà di Dio, amore del Cristo e obbedienza a lui – non vanifica affatto i contenuti “umani” delle azioni che si compiono. Non rende vana la tenerezza della madre nei confronti del suo figlio, la compassione dell’uomo per il suo fratello sofferente, il senso di giustizia che indigna e provoca a esporsi a rischi anche gravi per amore della verità; ma tutto questo costituisce un valore autentico, per il cristiano, quando viene inglobato nell’atto semplice e totale della sua adesione al Signore.

Ho scritto: per il cristiano, la cui fede non può limitarsi ad essere implicita, ma deve permeare tutto il suo pensiero e dominare tutto il suo agire, costituendone il primo e l’ultimo riferimento.

3.Tutto l’operare cristiano deve essere teocentrico: deve cioè, nell’intimo sentire e nelle scelte concrete, effettivamente adeguarsi all’ordine dei precetti; e quindi alla primarietà assoluta – intenzionale e concreta – del precetto – dal contenuto estremamente concreto, esso pure, e più degli altri! – dell’amore di Dio con tutto il cuore , ad esso orientando e da esso derivando ogni altro adempimento.

È anche in questo modo che appare la straordinaria importanza della fede esplicita e “attuale”: l’implicito e mai dichiarato “far parte del gregge dei cristiani” non basta a qualificare i comportamenti  e, meno che mai, a dare forza per compiere le opere con quell’integrità, generosità e purezza che si esigono da parte di Dio.

A questa luce si intravvede anche l’importanza – quanto spesso ignorata, o addirittura contestata, quale “scelta comoda” e mascherata “inerzia”- della preghiera.

Essa, manifestazione esplicita e diretta dell’amore – il cercare l’amato, il volere stare con lui, il parlare con lui, il lodarlo e celebrarlo con intima commozione – è il momento privilegiato dell’amore di Dio. Che, confermato dall’adempimento dei precetti, non si risolve in puri atti di obbedienza: meno che mai, in adempimenti freddi e realizzati di malavoglia, o solo per pigrizia mentale o per rispetto umano.

L’agire cristiano, per essere autenticamente e sinceramente tale, deve essere “cristologico”: cioè, motivato dal mistero pasquale del Cristo, dalla nostra elezione in lui, dall’amore che Dio ha rivelato in lui e con il quale ha operato in lui.

Perché ciò avvenga di fatto, il riferimento al Cristo non potrà essere soltanto “supposto”, o dichiarato, senza intima, totale e appassionata partecipazione, una tantum.

In questo caso, la retta intenzione formulata quale hapax sarebbe di fatto inerte e lascerebbe l’uomo in preda a ben più stringenti motivazioni di agire, a ben più sollecitanti tentazioni di sentire mondano.

Riferirsi efficacemente a Cristo – come è doveroso fare, per un cristiano- comporta la incessantemente rinnovata memoria Christi, e di fatto – conforme del resto all’insegnamento elementare, ovvio ma così spesso frainteso dell’Apostolo – la preghiera continua; così va compreso, ovviamente ( non solo come riferimento a una retta intenzione!) il “omne quodcumque facitis in verbo aut in opere, ommia in nomine Domini Iesu, gratias agentes Deo Patri per ipsum” ( Col 3,17 ).

L’agire cristiano, che deve rivelare l’avvento del regno, non potrà essere che “pneumatologico”.

Si intende, nella santità che si addice alla nuova creatura fatta membro di Cristo e nella quale inabita lo Spirito; nella profonda adesione del cuore alla nuova potenza di grazia elargita dallo Spirito, e pertanto nella “libertà”; nell’integralità dell’adempimento, ora infine possibile, poiché la debolezza della carne è stata vinta.

Ciò sia detto senza nessun trionfalismo: ancora si combatte, ancora si cade: ma, con tutta pace, la nostra fragilità è ora assai più da attribuire soltanto a noi stessi: motivo tanto più valido per una vita dominata dalla serena e dolce “compunzione del cuore”.

Non si tratta solo di un manifesto dovere del cristiano, né soltanto di una sua impellente necessità: solo i sacramenti sostengono, e solo i sacramenti qualificano cristianamente una vita iniziata con la rigenerazione battesimale e nutrita incessantemente con il cibo eucaristico.

I sacramenti, che nutrono e sostentano, costituiscono anche l’orizzonte dell’agire cristiano.

Il credente vive “per” l’eucaristia: in virtù di essa – si intende – e al fine di essa ( i Padri lo dicono assai bene: basti pensare a Cipriano e al suo commento alla preghiera del Signore ).

Questo riferimento eucaristico deve misurare la purezza e il fervore di una esistenza tutta avvolta nei mirabilia Dei, e che va da eucaristia ad eucaristia.

Occorre superare di gran lunga la prospettiva meschina del precetto, se si vuole imprimere questo carattere all’agire e allo sperare del cristiano di oggi, e farlo un po’ ritornare alla verità della prima comunità gerosolimitana, dove “ogni giorno si spezzava il pane nella gioia” ( Cfr. At. 2,46).

La vita cristiana infine dovrà connotarsi come vita “escatologica”.

Nella consapevolezza del compimento dei tempi ormai avvenuto in Cristo, e nell’orientamento costante alla “fine” che rivelerà la giustizia e la verità del Signore, compiendo, finalmente, “giustizia vera” per tutti coloro che nel mondo hanno subìto afflizione e hanno atteso l’epifania del Salvatore.

Ma “vita escatologica” significa anche esistenza vissuta in quella integralità di fedeltà che può derivare solo dalla consapevolezza che effettivamente gli ultimi tempi sono giunti, e che sarebbe stoltezza suprema abbarbicarsi alle realtà già giudicate transeunti e illusorie.

Anche qui, è proprio necessario precisare che questo “escatologismo” non comporta affatto distacco dalle contingenze storiche e dall’impegno storico, ma anzi – nella nuova, inaudita libertà che ne deriva – una capacità incomparabilmente più grande di giocare la propria vita, tutta la propria vita, per la verità.

Don Umberto Neri

Introduzione

Introduzione

Ai fratelli e alle sorelle che ci hanno seguito e ci seguono: “ Grazia e pace a voi da Dio nostro Padre, e dal Signore Gesù Cristo”.

Il saluto dell’apostolo Paolo che da secoli alto e forte risuona in tutte le chiese, che invocano il nome del Signore, non superabile e mai superato  nella sua forma e nel suo significato, anche oggi doni a noi la forza per precedere con franchezza in un cammino di fede sempre più insidiato dall’opera del Maligno, che vuole separarci dall’amore di Cristo e dalla comunione fraterna.

Vi è un solo Dio, una sola fede, un solo Salvatore a noi mandato dal cielo, per riconciliarci con l’eterno nostro Padre. E sarebbero certo parole vane e vuote se dal cielo stesso non ci venisse quella grazia che unicamente può dare pace e serenità ai nostri cuori, facendoci crescere di conoscenza in conoscenza fino alla statura dell’uomo perfetto, reso capace di vedere Dio. Se un tempo si diceva: “Non c’è salvezza fuori dalla Chiesa”; oggi più che mai c’è bisogno di luce ed intelligenza divine per un rapporto in verità ed in carità con qualsiasi istituzione che si dica o voglia essere la Chiesa di Cristo: una, universale ed indivisibile. È  cieca ostinazione voler difendere ad oltranza la propria appartenenza di fede cristiana, ad esclusione di ogni altra, senza piena consapevolezza che un errore, ormai inveterato in menti e cuori, ci sta portando alla Babele più grande, l’uno contro l’altro armati, divisi fra noi, ma prima ancora in noi stessi, perché non radicati in quell’unità, così fortemente invocata e richiesta dal Cristo, perché il mondo tutto creda nel Salvatore mandato dal cielo. “Non prego soltanto per questi, ma anche per i credenti in me per la loro parola, affinché tutti siano uno come tu, Padre in me e io in te, perché anch’essi in noi siano, affinché il mondo creda che tu me hai mandato.” ( Gv. 17, 20-21 )

La Chiesa è da tempo ridotta a una pura e semplice espressione geografica, dove cattolici, ortodossi, protestanti non cercano Colui che unisce , ma ciò che divide. E questo non si deve dire delle sole chiese istituzionali. Ogni chiesa locale, gruppo, movimento cerca la propria unità e diversità non in Colui che è l’unicamente diverso, ma in ciò che è  prodotto dell’uomo, non per esaltare Dio, ma per esaltare chi si fa come Dio: maestri, figure carismatiche, prelati, pastori, preti, accreditati da istituzioni che si autofondano in verità, ma non sono benedetti da Colui che unicamente è verità. Movimenti e gruppi che animano la Chiesa o le chiese non sono un segno di vita, ma di morte, non creano comunione, ma divisione di cuori e di menti, portano allo scoraggiamento e all’abbandono di qualsiasi fondata tradizione. La cristianità, intesa come gruppo di potere che si afferma nel mondo con la benedizione divina, sta ormai crollando. Con buona pace di coloro che dormono ancora sugli allori di un falso passato in cui Cristo vince, regna, impera, la Chiesa si va sfasciando sotto gli occhi di tutti, senza che alcuno possa porre rimedio. E non è una maledizione dal cielo, ma una benedizione, che va accolta come segno,  perché tutta l’umanità possa fondare le proprie certezze in Cristo, non sul costrutto degli uomini, ma su un eterno disegno stabilito da Dio. C’è chi guarda ad un futuro completamente avulso e staccato dalla Tradizione, come se Dio mai avesse parlato e fatto conoscere se stesso; c’è chi vorrebbe il ritorno ad un passato non molto lontano in cui l’uomo ha creato a se stesso certezze non fondate nella Rivelazione e non benedette dal Signore.

Se ci deve essere una battuta d’arresto ed un dietro front non è per un ritorno nostalgico ai tempi bui di una Chiesa  non più in lotta contro lo spirito del mondo, ma per una nuova evangelizzazione, che è ritorno alla Parola di Dio, così come data e tramandata dalla Chiesa delle origini.

La fede viene dall’ascolto e l’ascolto dalla parola di Dio. Non  una qualsiasi parola divina, ma quella che è accreditata come tale da coloro che furono diretti testimoni di ciò che Gesù operò e disse nel tempo della sua dimora terrena. Non troveremo in noi la grazia e la pace di Cristo, se non cercando, approfondendo, riportando in vita le radici della nostra fede. Non possiamo credere in un futuro migliore se non c’è ritorno a quel passato in cui il mondo tutto ha conosciuto la luce dell’annuncio di salvezza unicamente accreditato e fatto proprio da Cristo. “Chi ascolta voi ascolta me”. E’ detto dei Dodici ed è detto di coloro che prendono il  posto degli apostoli, a condizione che siano obbedienti al Cristo e alla sua Parola.  Ancor di più si deve dire dell’insegnamento e della guida di Pietro: sin dall’inizio appaiono sub condicione. “ Simone, Simone, ecco Satana ha richiesto voi per setacciarvi come il grano. Ma io ho pregato per te affinché non venga meno la tua fede e tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli” ( Gv. 22,31-32 ).

E’ con questa certezza che Paolo richiama lo stesso Pietro, ed è per la medesima certezza che Pietro, accetta umilmente un giusto rimprovero dall’ultimo degli apostoli, da colui che neppure aveva conosciuto Cristo di persona. “Quando però venne Cefa ad Antiochia, in faccia a lui, mi opposi, perché era biasimevole… “ ( Galati 2, 11-21 ).

Non sono degni di ascolto coloro che vantano un’autorità che non è giustificata unicamente dall’obbedienza all’unico Signore. “Io ascolto questo, io ascolto quello”: c’è chi segue il papa, chi la discendenza di Lutero, chi le complesse ramificazioni di questa o quella chiesa, non escluse quelle più ortodosse che vantano lontane radici. Nessuna meraviglia! La Chiesa sin dall’inizio, come istituzione terrena, appare realtà divisa. Basta leggere quanto scrive Paolo nella lettera ai Corinti.

“Esorto poi voi fratelli, per il nome del nostro Signore Gesù Cristo, affinché la stessa cosa diciate tutti e non ci siano tra voi divisioni; siate invece tendenti alla perfezione, nello stesso pensiero  e nello stesso parere. Fu fatto sapere infatti a me riguardo a voi, fratelli miei, da quelli di Cloe  che ci sono tra voi contese. Dico poi questo perché ciascuno di voi dice: Io però sono di Paolo ; io di Apollo; io invece di Cefa; io invece di Cristo. È stato diviso il Cristo… ( 1 Cor. 10-14 ).

Ciò che scoraggia gli spiriti velleitari, che vorrebbero avere in forma perfetta tutto e subito, è incitamento a ben operare nella perseveranza per coloro che cercano innanzitutto una approvazione e una conferma che viene dal cielo. Nessuna coscienza di verità può venirci dall’uomo, perché soltanto lo Spirito Santo attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio.

È certamente volontà di Dio che si abbia anche su questa terra, un solo gregge e un solo pastore. Non è qualcosa di dato e di garantito in qualsiasi caso, indipendentemente dal nostro impegno nella fede. Ciò che è garantito fino alla fine dei tempi nella Chiesa è la presenza di Cristo , non l’infallibilità di coloro che ne sono  a capo. Satana porta avanti la sua lotta contro la comunità dei chiamati, dentro e fuori ogni recinto di protezione. Non riuscirà mai a sfondare le porte della Chiesa, per farne irruzione con tutti i  suoi figli al punto da buttare fuori Cristo. Se brutta può apparire la Chiesa, bella è il suo sposo. E la sposa non cesserà mai di lodare e fare grande la bellezza di Cristo.

Coloro che cercano il Salvatore sempre e ovunque lo troveranno nella sua Chiesa, ma dovranno avere spirito di discernimento e quella luce che il Signore dona ai suoi, perché non camminino seguendo l’inganno e l’errore. Gregge diviso e disubbidiente può essere la Chiesa, pastore unico e diverso è  il Cristo. E con ciò la nostra mente è  e il nostro cuore sono già rivolti ed incamminati verso quella Gerusalemme celeste, che abbraccia uomini di ogni tribù, popolo e lingua.

“ Dopo queste cose vidi, ed ecco una folla grande, che nessuno poteva essa contare, da ogni gente, e tribù, popolo e lingua stanti di fronte al trono e di fronte all’Agnello avvolti di stole bianche e palme nelle loro mani e gridano con voce grande dicendo : La salvezza al nostro Dio, al sedente sul trono e all’Agnello … ( Apoc. 7, 9- 10 ).

Questa è l’unica, vera eterna Chiesa, verso la quale devono tendono i cuori di coloro che hanno fatto, fanno, faranno la volontà di Dio nell’ascolto della sua Parola. Una parola che nel tempo ha assunto forme e toni diversi. Sempre presente e sempre data ai figli di Adamo fin da Caino ed Abele, ha raggiunto la sua massima espressione e potenza nel tempo della incarnazione del Figlio, in quella che è detta Rivelazione. Chi vive nei tempi ultimi non può più fare semplicemente ritorno a quel rapporto con il Creatore, che segue le vie della coscienza, nell’ascolto della voce del Dio nascosto. Cristo è venuto, il Salvatore è disceso dal cielo, ha preso carne nel grembo della Vergine Maria, ha operato e detto in questo mondo. Si è scelto testimoni a lui vicini e da lui accreditati per l’annuncio del Vangelo, la buona notizia che esclusivamente viene dal cielo, una parola che è al di sopra di ogni parola, che non si può rigettare, pena la dannazione eterna. Abbiamo detto in poche parole e forse male, ma inutile tirarla per le lunghe. Prima di guardare alla situazione attuale e pensare a quello che verrà dopo , dobbiamo guardare conoscere e sapere quello che è venuto prima. Non c’è altra via di correzione e di consolazione. Si deve conoscere e comprendere come nasce e si accresce la comunità degli eletti in Cristo.

L’ignoranza non paga. Non sono cose di altri tempi, sono cose di tutti i tempi : dei nostri innanzitutto, macchiati ed offuscati da secoli di errori e di inganni. Dobbiamo tornare a quello spirito che sin dall’inizio anima la prima comunità dei fedeli.

“ Il Signore veramente è risuscitato ed è apparso a Pietro” ( Luca 24, 34 ) Questo è il primo annuncio della vera fede in Cristo. È di coloro che hanno toccato con le proprie mani e visto con i propri occhi. Cosa propriamente! Una dottrina, un insegnamento diverso, un costrutto teologico ben definito e delineato? Questa è opera di altri tempi e di altre persone. La scintilla che dà fuoco all’incendio divino non è qualcosa, ma qualcuno. Non è un morto, ma un vivo: meglio un morto risuscitato tra i vivi. È la diversità che unica può rendere diversa la nostra vita. Non è il Dio dei morti , ma dei viventi. E fatto sorprendente e meraviglioso questa presenza è verificata e verificabile in noi già nell’oggi della nostra vita. A questo si deve ritornare, questi bisogna ricercare. Colui che ha diffuso il suo spirito nei nostri cuori, che ci ha attratti a sé non per i meriti nostri, ma per un amore infinito di divina esclusività, è tra noi e dentro di noi. La nostra vita non può più essere come prima: non siamo più soli, in mezzo a noi e con noi c’è il Salvatore. Lui dobbiamo conoscere, Lui dobbiamo volere e cercare, come il fondamento e il fine della nostra esistenza, la pienezza di ogni vera beatitudine, come la perla preziosa di fronte alla quale tutto il resto non vale nulla. A questo punto una pausa si impone per una riflessione. I nostri cuori e la nostra mente desiderano veramente Colui che unicamente è verità, conforme a quanto già chiesto dal primo e più grande comandamento: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze? Perché tante divisioni, incomprensioni, lotte tra cristiano e cristiano, sempre e dappertutto fin nei santi rapporti della famiglia?

Per cosa si lotta? Per essere primi in una testimonianza di vita, esempio ed incoraggiamento per i fratelli, per fare grande colui che unicamente è grande, o per fare grandi noi stessi? La creatura non può porsi ed imporsi come Creatore, se non seguendo le vie della menzogna e dell’inganno.  Il Cristo, il Figlio di Dio, il vivente tra noi, lungi dall’essere cercato ed amato come l’unico bene, viene ridotto ad uno dei tanti, uno come noi: certo il migliore, il più grande, il più illuminato, ma non  il Dio che è morto e resuscito  perché tutti abbiano vita eterna.

I primi cristiani non erano propriamente dei teologi, dotti e sapienti. Partivano da zero: non dal nulla, ma da quel tutto che è ricerca e ascolto del Dio vivente che è tra noi. Se non c’è questo, tutto il resto può essere inganno e tradimento del Cristo. Perché tante divisioni, contrasti ed amarezze tra cristiani? Perché facciamo a gara nell’obbedienza a Cristo o perché cerchiamo in questo mondo l’affermazione del nostro io?

Attenzione ai costrutti teologici nell’approfondimento delle verità di fede! Se non c’è una esistenza per Cristo e Cristo solo, altro non facciamo che cementare vecchie divisioni e crearne di nuove. Polemica deve essere la nostra vita, non innanzitutto la nostra dottrina.

La verità dottrinale ha sicuramente un suo peso e una sua importanza, per non cadere in una fede folle ed infondata a modo della gnosi. Ma c’è modo e modo di approfondire la dottrina cristiana. La dottrina di Cristo viene dopo la fede in Cristo. I frutti di questa dissociazione ben li vediamo nella storia della Chiesa o delle chiese come si voglia dire. Perché tanta intolleranza, violenza, spirito di divisione?

Perché abbiamo lo Spirito di Dio o perché abbiamo lo spirito del Maligno?

Perché si vuol sempre più approfondire, comprendere, chiarire? Per essere uno in Cristo o per essere sempre più divisi nei nostri pensieri, fino alla violenza fisica e alla soppressione di ogni altro? Cos’è la storia della Chiesa, quella almeno più conosciuta? Storia di coloro che hanno fatto la volontà di Dio, o storia di coloro che si sono fatti Dio o che altri hanno fatto Dio, a proprio uso e consumo?

La nostra fede poggia su alcuni misteri che sono il fondamento del vero e retto comprendere. Ben lo hanno compreso i primi cristiani e si sono impegnati in un dialogo interno per arrivare ad un unico credo. Ma non bisogna andare oltre, aggiungere novità all’unica novità, in un processo continuo che è disgregazione e dissoluzione di ogni unità della Chiesa. Troppi dogmi creano divisioni a non finire. Troppe perché si possa parlare di unità della Chiesa. Se la fede è fatta di misteri, non si può pretendere di spiegare ciò che va oltre l’intelligenza umana. Si finisce con il diventare ridicoli, ai pochi o ai molti. Ciò che è avvolto nel mistero non va annunciato se non nei termini e nella forma della Parola rivelata.

Quando si va oltre, si può anche andare fuori. Oltre ciò che è detto in maniera chiara ed indiscutibile c’è anche quello che la Scrittura dice in maniera velata e che può essere diversamente inteso. Non a livello di verità ma di opinione personale. Come tale va comunicato , senza alcuna volontà di prevaricazione rispetto a quella luce che nella Chiesa è data ai molti, riuniti in santa assemblea. Chi sono gli eretici? Non quelli che entro certi limiti hanno idee diverse, ma quelli che innalzano le proprie convinzioni a verità, e vogliono con ciò distruggere la Chiesa storicamente data, per fondarne un’altra: la propria. Il vero eretico è intollerante. Ama se stesso, non la Chiesa. Non sa tacere quando è bene tacere. Anche se si è convinti di verità, bisogna guardarsi dal creare divisioni inopportune nel corpo di Cristo. La verità tutta intera appartiene alla Chiesa tutta intera. Non può essere monopolio esclusivo di questa o quella comunità.

E bisogna pur dire che Cristo è innanzitutto trovato in tutte le Chiese, a partire da quella che ci ha annunciato il Vangelo e ci ha battezzato. Chi non ama la chiesa a partire dalla propria, non troverà mai l’unica vera Chiesa, che è in comunione con la Gerusalemme celeste e con l’unico vero capo che è Cristo. Tutti coloro che sono stati catturati nelle maglie dell’annuncio evangelico si possono dire cristiani. Non importa come? L’importante è che l’annuncio sia arrivato ed abbia fatto una prima cattura e distinzione fra chi è fuori e chi è dentro nella rete. “Purchè il Vangelo sia annunciato” diceva Paolo. Non importa anzitutto come e da chi. La parola all’inizio può essere anche seminata in malo modo, l’importante è che si sappia di un Cristo risorto, di un Salvatore che è vivente in mezzo a noi. Il punto di partenza non necessariamente deve essere il punto di arrivo. L’annuncio mette in moto coloro che sono nella ricerca e nell’attesa di una salvezza che viene dal cielo. E questo ci permette anche di recuperare esperienze di gruppo e di comunità che di per sé sono settarie ed eretiche. Benché la setta non sia la vera chiesa, una ed indivisibile, può aiutarci in un cammino di fede. Ma non bisogna fermarsi a ciò che innanzitutto è dato e trovato. C’è un cammino da percorrere, una crescita ed una maturità che aprono ed allargano sempre più il nostro orizzonte spirituale, verso quella Gerusalemme celeste che è l’unica vera Chiesa. Essa abbraccia tutti coloro che sono di Cristo Gesù, in situazioni e tempi e diversi, ma nell’unico Spirito Santo.

Noi cattolici possiamo anche con convinzione affermare che la nostra chiesa è luogo privilegiato di salvezza, non per escludere le altre , ma per includerle in un unico divino amore. Non può amare la Chiesa chi innanzitutto non ama la propria chiesa. Perché nonostante tanti incontri e confronti ci troviamo sempre più divisi? La diversità di idee si afferma come divisione di cuori. Non vogliamo e non cerchiamo un rapporto assoluto con colui che è l’assoluto. Certamente non è vero amore dare ragione a tutti per un quieto vivere e per una pacifica convivenza fine a se stessa. L’amore vero conosce anche la disapprovazione ed il contrasto, ma è sempre guidato ed illuminato da una presenza viva del Cristo che parla quando è volontà del Padre, ma che sa anche tacere in obbedienza allo stesso Padre. Tante parole, tanto agire ed operare nei cristiani per una sola chiesa. E perché siamo sempre più divisi? Perché siamo divisi dal Cristo. Detto in parole semplici: non vogliamo e non facciamo la sua volontà. Operiamo per il Cristo, non ci lasciamo operare dal Cristo.

Detto questo, il più importante, viene tutto il resto. Perché la nostra consapevolezza di verità non è mai da Dio abbandonata a se stessa in uno sterile ed infruttuoso confronto del nostro io con se stesso. Il Signore ci ha dato dei punti di riferimento comuni che non possiamo mettere in discussione. Segnano il cammino della nostra fede e il nostro procedere di conoscenza in conoscenza. Innanzitutto la Parola rivelata ed i sacramenti che fanno tutt’uno con essa. È  soltanto crescendo nella luce di una parola sempre più viva, masticata, digerita, ruminata giorno per giorno, attimo per attimo che la nostra consapevolezza di Chiesa diventa sempre più vera ed approvata da Dio. Se le chiese sono  molte, la Parola di Dio è una sola. Non si approfondisce il rapporto con la propria chiesa se non si approfondisce il proprio rapporto con la Parola.

L’ignoranza non paga!

Siamo sofferenti per le divisioni, le ambiguità, i contrasti tra le varie chiese? C’è una sola via d’uscita. Deve crescere la nostra conoscenza della Parola. E non semplicemente in una lettura personale, in virtù della quale il Signore parla ad ognuno di noi, ma anche in virtù di una lettura che è quella accreditata dai molti che hanno fatto e fanno lo stesso cammino di fede. Bisogna leggere la Bibbia, certamente, ma non si deve escludere il confronto con una lettura che è stata fatta nel tempo dall’intero corpo di Cristo. Esiste una autorità che è accreditata alla meditazione del singolo, ma c’è anche un’autorità che va data e riconosciuta a coloro che più da vicino hanno ascoltato la Parola degli apostoli, non solo in senso spirituale, ma anche temporale.

Non avremo maggior luce e non daremo pace ai nostri cuori, se non riconsiderando quanto  insegnato dai Padri apostolici e dai Padri della Chiesa. Quando le acque in un fiume si fanno torbide, per trovare le acque limpide bisogna andare verso la fonte. Non ne andremo fuori ascoltando le chiacchiere, le fantasticherie, i vaneggiamenti dei teologi moderni. Bisogna tornare alle fonti non ancora inquinate dell’annuncio apostolico. Leggere di più, ma anche in modo migliore e più giustificato la parola di salvezza.

Perché un sito a nome di “Cristoforo” di esegesi biblica?

Per aiutare tutti ed essere aiutati da tutti in una santa, sicura, accreditata lettura della Parola di Dio. Non è interesse di Cristoforo avere simpatizzanti e seguaci. E non importa sapere poi chi sia Cristoforo. È ,o meglio vuole essere,  semplicemente,   uno di quelli , ( tanti o pochi, non importa ) che è alla sequela di Cristo. Importa innanzitutto l’impegno di ognuno di noi per un unico scopo: conoscere Cristo e la potenza della sua risurrezione, così come dato da un rapporto pieno , responsabile, con la Parola di Dio.

Il resto verrà da solo. Verrà da solo un retto ed illuminato rapporto con le chiese, che non si presentano come la nostra. Verrà uno spirito di critica santo ed illuminato, che detesta ogni prevaricazione del fratello sul fratello e cerca l’esaltazione dell’unico Salvatore. Se ogni chiesa si presenta diversa, bisogna però dire che il Cristo rimanda l’una all’altra. Non esiste chiesa perfetta. Perfetto è solo il Cristo, che può servirsi di tutto e di tutti perché viviamo soltanto in Lui e per Lui. Conoscenza dunque degli scritti cristiani dei primi secoli, non esclusi quelli considerati eretici: lettura anche di coloro che nella Chiesa sono stati dei dissidenti e dei perseguitati. Non siamo obbligati a condividere tutto. Va però condiviso tutto ciò che è giusto e santo. Il discorso potrebbe andare ancora molto avanti. Perché nelle varie chiese, a cominciare dalla Chiesa cattolica non si deve pensare che esista un unico modo di leggere, di credere di intendere, di esprimersi. Siamo tenuti da Dio a ritenere ciò che è giusto, vero e santo, ma nessun cristiano di per sé rappresenta la Verità. La Verità nella sua unità ed integrità è soltanto Cristo, diversamente conosciuto se pur in una armonia ed unità di cuori ed intenti.

All’opera dunque…

Per una migliore conoscenza della Parola di Dio nella storia della Chiesa o delle chiese come si voglia dire.

Per una lettura più fondata della Scrittura, che si rifà innanzitutto al testo originale, tradotto ad litteram, cioè così come è stato scritto, recepito e tramandato dalla Chiesa.

Perché siamo un cuor solo ed un’anima sola, conforme alla volontà di Dio. Ognuno deve dare il proprio contributo. Questo è il nostro augurio e il nostro desiderio. Ben vengano annotazioni, critiche, smentite, suggerimenti, aggiustamenti. C’è un solo maestro ed è Cristo. Cristo che è la Parola, vuole che tutti i suoi siano impegnati in questo rapporto di conoscenza e di obbedienza all’unico, sicuro criterio di verità.

Non c’è via di uscita. Non c’è altra pace per i nostri cuori, non c’è altra fede che possa resistere agli attacchi del Satana…

 

Un fraterno abbraccio a tutti quelli che ci seguono da “Cristoforo”.

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