cap15

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                                                     Cap. 15
Rendo noto poi a voi fratelli, la buona notizia che annunciai a voi, che anche riceveste, in cui anche rimanete saldi, 2 tramite la quale anche siete salvati, con quella parola che annunciai a voi se la conservate, a meno che non invano aveste creduto. 3 Trasmisi infatti a voi in primo luogo, ciò che anche ricevetti, che Cristo morì per i peccati nostri secondo le Scritture 4 e che fu sepolto e che è stato risuscitato il giorno terzo secondo le Scritture 5 e che apparve a Cefa quindi ai dodici; 6 in seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali i più rimangono in vita fino ad ora, alcuni invece si addormentarono. 7 In seguito apparve a Giacomo quindi agli apostoli tutti; 8 da ultimo poi fra tutti come a un aborto apparve anche a me. 9 Io infatti sono il più piccolo degli apostoli che non sono degno di essere chiamato apostolo, poiché perseguitai la chiesa di Dio; 10 per grazia di Dio però sono ciò che sono, e la sua grazia quella verso me non fu vana, ma più di loro tutti faticai, non io però ma la grazia di Dio quella con me. 11 Sia dunque io sia quelli, così annunciamo e così avete creduto. 12 Se ora Cristo è annunciato che dai morti è stato risuscitato, come dicono tra voi alcuni che risurrezione dei morti non c’è? 13 Se però risurrezione dei morti non c’è, neppure Cristo è stato risuscitato; 14 se però Cristo non è stato risuscitato, vuoto allora anche il nostro annuncio, è vuota anche la vostra fede; 15 siamo trovati anche falsi testimoni di Dio, poiché testimoniammo contro Dio che risuscitò il Cristo, che non risuscitò se veramente i morti non risorgono. 16 Se infatti i morti non risorgono, neppure Cristo è risorto; 17 se però Cristo non è risorto, è inutile la vostra fede, ancora siete nei vostri peccati, 18 quindi anche gli addormentati in Cristo sono perduti. 19 Se in questa vita solo siamo aventi sperato in Cristo, siamo più compassionevoli di tutti gli uomini. 20 Ora invece Cristo è risorto dai morti primizia di quelli che si sono addormentati. 21 Poiché infatti per mezzo di un uomo venne la morte, anche per mezzo di un uomo la risurrezione dei morti. 22 Come infatti in Adamo tutti muoiono, così anche in Cristo tutti saranno vivificati. 23 Ciascuno però nel proprio ordine: la primizia è Cristo, poi quelli di Cristo nella sua venuta, 24 quindi la fine, quando consegnerà il regno a Dio e Padre, quando renderà inoperante ogni principato e ogni potestà e potenza. 25 Bisogna infatti che lui regni fino a che ponga tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26 Ultimo nemico sarà resa inoperante la morte; 27 tutte le cose infatti sottomise sotto i suoi piedi. Quando però dice che tutte le cose sono sottomesse, chiaro è che è eccetto l’avente sottomesso a lui le cose tutte. 28 Quando poi saranno sottomesse a lui le cose tutte, allora anche lo stesso Figlio sarà sottomesso all’avente sottomesso a lui le cose tutte, affinché sia Dio le cose tutte in tutti. 29 Infatti cosa faranno i facenti sé immergere per i morti? Se affatto i morti non risorgono, perché anche vengono immersi per essi? 30 Perché anche noi corriamo pericolo ogni ora? 31 Ogni giorno muoio, sì per il vostro vanto, fratelli , che ho in Cristo Gesù, il Signore nostro. 32 Se come uomo combattei con le belve in Efeso, qual è a me il vantaggio? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, domani infatti moriamo. 33 Non fatevi ingannare: le conversazioni cattive corrompono i costumi buoni. 34 Ritornate sobri giustamente e non peccate, infatti alcuni hanno ignoranza di Dio, per vergogna a voi lo dico. 35 Ma dirà qualcuno: Come risorgono i morti? Con quale corpo poi vengono? 36 Stolto, tu ciò che semini, non è vivificato qualora non muoia; 37 e ciò che semini, non il corpo che sarà semini, ma un nudo chicco, per esempio, di grano o di uno degli altri cereali; 38 ora Dio dà ad esso un corpo come volle, e a ciascuno dei semi il proprio corpo. 39 Non ogni carne è la stessa carne, ma altra certo è quella di uomini, altra invece la carne di animali, altra poi la carne di uccelli, altra poi di pesci. 40 E corpi celesti vi sono e corpi terrestri; ma altra invero la gloria dei celesti, altra invece quella dei terrestri. 41 Altra la gloria del sole, e altra la gloria della luna e altra la gloria delle stelle: una stella infatti da un’altra stella differisce in gloria. 42 Così anche la risurrezione dei morti. Si semina in corruzione, si risorge in incorruttibilità; 43 si semina in disonore, si risorge in gloria; si semina in debolezza, si risorge in forza; 44 si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale. Se c’è un corpo animale, c’è anche un corpo spirituale. 45 Così anche è scritto: fu fatto il primo uomo Adamo un’anima vivente, l’ultimo Adamo spirito vivificante. 46 Ma non è prima il corpo spirituale ma quello animale, poi lo spirituale. 47 Il primo uomo dalla terra è argilloso il secondo uomo dal cielo. 48 Quale quello di terra, tali anche quelli di terra, e quale quello celeste, tali anche quelli celesti; 49 e come portammo l’immagine di quello di terra, porteremo anche l’immagine di quello celeste. 50 Questa cosa ora dico, fratelli, che carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio né la corruzione eredita l’incorruttibilità. 51 Ecco un mistero a voi dico: tutti non ci addormenteremo nella morte, tutti saremo trasformati, 52 in un istante, in un batter d’occhio, a l’ultima tromba: suonerà infatti e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. 53 E’ necessario infatti che il corpo corruttibile questo rivesta l’incorruttibilità e questo corpo mortale che rivesta l’immortalità. 54 Quando poi  questo corpo corruttibile rivestirà l’incorruttibilità e  questo corpo mortale rivestirà l’immortalità, allora avverrà la parola quella scritta: Fu ingoiata la morte per la vittoria. 55 Dov’è o morte la tua vittoria? Dove o morte il tuo pungiglione? 56 Ora il pungiglione della morte è il peccato, poi la forza del peccato è la legge; 57 ma grazie siano rese a Dio  che concede a noi la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 58 Perciò, fratelli miei amati, saldi diventate, irremovibili, sovrabbondando nell’opera del Signore sempre, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

“Rendo noto poi a voi fratelli, la buona notizia che annunciai a voi, che anche riceveste, in cui anche rimanete saldi, 2 tramite la quale anche siete salvati, con quella parola che annunciai a voi se la conservate, a meno che non invano aveste creduto.”
Non è una novità quello che già è stato annunciato altre volte: così nella realtà ordinaria della vita. Ma allorché si parla di Cristo, il Vangelo ha sempre il sapore di ciò è udito per la prima volta.
La parola di Dio non ci ha fatti nuovi una sola volta, ci fa continuamente nuovi; ma c’è bisogno per questo che il suo annuncio sia reiterato e proclamato nel tempo. Se la fede è venuta dall’ascolto della Parola, in questo ascolto bisogna rimanere, sorretti da quella predicazione che Cristo ha affidato ai suoi apostoli. 
“3 Trasmisi infatti a voi in primo luogo, ciò che anche ricevetti,”
Il Vangelo non è un’invenzione di Paolo o di qualche altro apostolo: si tratta di una Rivelazione fatta ad alcuni, perché il messaggio sia trasmesso da generazione a generazione in virtù della Chiesa che ne è custode.
“che Cristo morì per i peccati nostri secondo le Scritture 4 e che fu sepolto e che è stato risuscitato il giorno terzo secondo le Scritture 5 e che apparve a Cefa quindi ai dodici; 6 in seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali i più rimangono in vita fino ad ora, alcuni invece si addormentarono.”
Il Vangelo ha una sua centralità: da questa si deve partire e a questa si deve continuamente ritornare. Qual è dunque l’evento che riassume in sé ed attualizza tutta la Parola di Dio? La morte in croce e la risurrezione di Gesù Cristo. Non un semplice accidente della storia, imprevisto ed imprevedibile, ma l’evento per eccellenza che unicamente ha significato e valore. Le Scritture tutte lo profetizzano e ad esso conducono come l’atto salvifico senza il quale il peccato rimane nel mondo e col peccato un destino di morte eterna. “Morì per i nostri peccati”: non invano dunque, e senza una precisa e determinata ragione … “secondo le Scritture”… secondo un eterno progetto d’amore annunciato, preparato, codificato nella parola scritta data ad Israele. Per togliere subito il dubbio che la morte sia stata solo apparente si aggiunge… “e che fu sepolto”. La chiusura in una tomba sigillata è la prova di una morte reale, non semplicemente immaginata da tutti coloro che ne furono testimoni.” E che è stato risuscitato il giorno terzo, secondo le Scritture”… Come la morte si iscrive in un eterno disegno d’amore, così anche la resurrezione - secondo le Scritture - , tutto conforme ad un unico indivisibile progetto divino, per il quale non ci può essere morte se non per la resurrezione e non c’è resurrezione se non attraverso la morte.
Nel regno della libertà umana si insinua una necessità divina, in ragione della quale non ci può essere per i figli di Adamo passaggio alcuno dzlla morte alla vita se non attraverso una loro incorporazione nella morte e resurrezione del Figlio dei Dio. “Morì per i peccati nostri”; per una scelta assolutamente libera non dovuta all’uomo, ma semplicemente a lui donata. “che fu sepolto”
Cosa vi ha messo l’uomo di suo? Semplicemente la sepoltura, ossia la costatazione e la verifica di un dato di fatto assolutamente certo e sicuro, testimoniato da coloro che misero nel sepolcro Gesù. Nulla di nascosto e di fittizio nella morte di Gesù: tutti hanno visto e tutti hanno saputo. E nessun segreto neppure riguardo al suo sepolcro.
“che è stato risuscitato il giorno terzo secondo le Scritture.” Ancora una volta il verbo è al passivo, per indicare un evento, la risurrezione, che coinvolge e chiama in causa la volontà e la potenza del Dio Uno e Trino. Il mistero dell’amore trinitario trova la sua massima espressione e manifestazione ultima nella resurrezione del Figlio. E che si tratti di un unico mistero, in due atti ben distinti, è messo in evidenza da  “è risuscitato il terzo giorno”.
Se non poteva rimanere nella morte Colui che è vita eterna, quale segno più indiscutibile di una morte reale e non apparente se non il suo perdurare e permanere nel sepolcro per tre giorni?
“5 e che apparve a Cefa quindi ai dodici;” Nessuno è stato testimone della risurrezione di Gesù. Ma non vi è risurrezione più sicura di colui che visto morire, trovato morto,  sepolto per mano dell’uomo, appare dopo tre giorni vivo. E non a una sola persona, perché la testimonianza di uno non ha valore, ma a tutti coloro che furono con lui, a cominciare da Cefa.
“6 in seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali i più rimangono in vita fino ad ora, alcuni invece si addormentarono.”
Per rendere vana ogni incredulità e ogni scetticismo riguardo alla testimonianza dei dodici, Gesù è apparso in seguito in una sola volta a più di cinquecento persone. E si tratta di fratelli che in buona parte sono ancora vivi e che possono testimoniare a chiunque chieda loro ragione in merito. Ma non è ancora finita l’apparizione ai molti.
“7 In seguito apparve a Giacomo quindi agli apostoli tutti; 8 da ultimo poi fra tutti come a un aborto apparve anche a me.”
Da ultimo poi  Gesù è apparso a Paolo, un’anomalia ed una eccezione, come a un aborto, perché Paolo non può essere messo nel novero dei fratelli di Gesù. È stato suo nemico e persecutore e ha visto il Salvatore, non come il figlio che ormai maturo vede la luce, ma come un aborto, cioè come un non ancora nato, spinto anzitempo e con violenza verso la vita.
“9 Io infatti sono il più piccolo degli apostoli che non sono degno di essere chiamato apostolo, poiché perseguitai la chiesa di Dio;”
Se c’è consapevolezza in Paolo dell’importanza della sua elezione ad apostolo delle genti, c’è pari consapevolezza della propria indegnità e del proprio nulla davanti a Dio.
“10 per grazia di Dio però sono ciò che sono, e la sua grazia quella verso me non fu vana, ma più di loro tutti faticai, non io però ma la grazia di Dio quella con me.”
Se da persecutore di Cristo e nemico della sua Chiesa Paolo ha ricevuto  un posto preminente nell’annuncio del Vangelo, tutto ciò è solo per grazia di Dio. Unico suo vanto quello di non aver vanificato la grazia data dal cielo, ma di aver profuso tutto il proprio impegno più degli altri.
“11 Sia dunque io sia quelli, così annunciamo e così avete creduto.”
Nell’annuncio degli apostoli e di Paolo nessuna invenzione dell’uomo: ciò che è detto è conforme a verità : vi è una concorde testimonianza in chi porta il messaggio, vi è una concorde fede in chi tale messaggio ha accolto. Un solo annuncio, una sola fede, una sola Chiesa.
“12 Se ora Cristo è annunciato che dai morti è stato risuscitato, come dicono tra voi alcuni che risurrezione dei morti non c’è?”
La fede nella risurrezione dei morti del Cristo fa tutt’uno con la fede nella nostra resurrezione da morte.
Se l’annuncio di Cristo è annuncio del Cristo risuscitato da morte, allora non si può  dire che non c’è risurrezione dai morti.
“13 Se però risurrezione dei morti non c’è, neppure Cristo è stato risuscitato;”
Se si parte con l’asserire in assoluto che non c’è, perché non può esserci, resurrezione dei morti, allora si deve concludere di necessità logica che neppure Cristo è risuscitato.
“14 se però Cristo non è stato risuscitato, vuoto allora anche il nostro annuncio, è vuota anche la vostra fede;
15 siamo trovati anche falsi testimoni di Dio, poiché testimoniammo contro Dio che risuscitò il Cristo, che non risuscitò se veramente i morti non risorgono. 16 Se infatti i morti non risorgono, neppure Cristo è risorto;”
Se non c’è stata resurrezione del Cristo, l’annuncio degli apostoli è vuoto di qualsiasi importante significato, come è vuota la vostra fede. È un nulla la fede in un Dio morto. Non solo: gli apostoli devono essere giudicati come  falsi testimoni del Signore, perché testimoniano contro lo stesso Dio, non conforme a verità, che ha resuscitato il Cristo.  Tutto questo è chiaramente un assurdo e un controsenso se diamo per scontato in partenza che i morti non risorgono.
“17 se però Cristo non è risorto, inutile la fede vostra è, ancora siete nei vostri peccati,”
Se Cristo non è risorto, viene a cadere tutto il discorso della salvezza. Perché la resurrezione del Cristo è in funzione della nostra liberazione dal peccato. Non è fine a se stessa ma è per il nostro bene, perché già in questa vita possiamo conoscere un’altra vita che è servitù al Signore e non più schiavitù al Maligno.
“18 quindi anche gli addormentati in Cristo sono perduti.”
Ancor più in là dovremmo dire che non solo siamo perduti in questa vita, ma che anche coloro che muoiono nella fede in Cristo, sono perduti per sempre.
“19 Se in questa vita solo siamo aventi sperato in Cristo, più compassionevoli di tutti gli uomini siamo.”
Quale il senso della nostra speranza in Cristo? Se la speranza ha solo un significato terreno e riguarda il qui ed ora, siamo meritevoli di compassione più di tutti gli uomini. Cosa rimarrà di tale speranza allorché la morte tutto e tutti inghiottirà nel nulla?
“20 Ora invece Cristo è risorto dai morti primizia di quelli che si sono addormentati.”
Innanzitutto si deve considerare non semplicemente una diversità del Cristo in rapporto alla morte, ma una sua diversità in rapporto alla vita stessa. Cristo non è stato un uomo qualunque: è la primizia di coloro che si sono addormentati nel sonno della morte.
Se all’inizio è la vita in Cristo, il peccato di Adamo ci ha gettati fuori e lontano da Colui che è fondamento e fine della vita. Con il peccato la morte è entrata nel mondo. Ma non ancora la morte eterna, piuttosto un sonno anticipatore e prefiguratore della morte senza fine. Tra un sonno che è morte e la morte dello stesso sonno si è inserita l’opera di salvezza del Cristo, che assunta in sé la carne dell’uomo l’ha liberata dal potere della morte, facendo sua la nostra morte e facendo nostra la sua risurrezione. Cristo dunque è morto e risuscitato soltanto per la nostra salvezza. Chi muore in Lui e con Lui, in Lui e con Lui risusciterà per la vita eterna.
“21 Poiché infatti per mezzo di un uomo venne la morte, anche per mezzo di un uomo la risurrezione dei morti.”
Se la morte è venuta per mezzo del solo Adamo, la risurrezione verrà per mezzo di un solo uomo: non un uomo qualsiasi dell’ultima ora, ma la primizia dell’umanità tutta che è l’eterno Figlio di Dio. “ Perché in lui  sono state create tutte le cose nei cieli e sulla terra …e le cose tutte in lui sussistono”  (Col. 1,16-17 )
“22 Come infatti in Adamo tutti muoiono, così anche in Cristo tutti saranno vivificati.”
Come tutti gli uomini muoiono in Adamo, così anche avranno vita nuova in Cristo. Non c’è vita se non in Cristo e se già fin d’ora abbiamo una caparra della vita eterna, soltanto alla sua seconda venuta ci sarà data la vita nella sua pienezza, nel corpo, nell’anima, nello spirito.
“23 Ciascuno però nel proprio ordine: la primizia è Cristo, poi quelli di Cristo nella sua venuta,”
Non si entra nella gloria eterna se non in un ordine ben preciso che è dato dall’opera redentrice del Cristo. Dapprima Colui che è il redento e il redentore nello stesso tempo, il Cristo Figlio di Dio. Poi, quando questi verrà nella sua gloria per il giudizio universale, quelli che sono stati da lui salvati dalla corruzione di questo mondo.
“24 quindi la fine, quando consegnerà il regno a Dio e Padre, quando renderà inoperante ogni principato e ogni potestà e potenza.”
Prima l’ingresso  nella vita eterna degli eletti, che è liberazione ultima e definitiva dal potere delle tenebre, poi la resa dei conti finale con ogni potestà di questo mondo. Ogni principato, potestà e potenza che opera contro il Signore perderà qualsiasi potere. Non è detto che sarà ridotta al nulla la loro persona, ma che queste persone non avranno più alcun potere sul creato.
“25 Bisogna infatti che lui regni fino a che ponga tutti i nemici sotto i suoi piedi.”
Il regno di Dio avrà la sua massima espansione e non accetterà più nemici al suo interno. I demoni saranno messi sotto i piedi del Figlio di Dio, sconfitti in forma ultima e definitiva.
Continueranno ad esistere, ma soltanto schiacciati sotto il piede del Signore, dove sarà possibile soltanto il gemito e lamento,  nell’impotenza più assoluta.
“26 Ultimo nemico sarà resa inoperante la morte;”
Schiacciato per sempre il Demonio, reso inoperante l’autore della morte, non si avrà morte alcuna.
“27 tutte le cose infatti sottomise sotto i suoi piedi.”
Come all’inizio dei tempi, tutto è stato sottomesso al Figlio di Dio, così alla fine dei tempi tutto sarà di nuovo a Lui sottomesso.
“Quando però dice che tutte le cose sono sottomesse, chiaro è che è eccetto l’avente sottomesso a lui le cose tutte.”
Se ogni essere creato è sottomesso al Figlio già nella sua realtà essenziale, si deve escludere il Padre che tutto ha sottomesso al Figlio.
“28 Quando poi saranno sottomesse a lui le cose tutte, allora anche lo stesso Figlio sarà sottomesso all’avente sottomesso a lui le cose tutte, affinché sia Dio  tutto in tutti.”
Soltanto allorché tutte le cose saranno sottomesse al Figlio, apparirà a tutti chiara e manifesta la sottomissione al Padre dello stesso Figlio, perché la presenza in toto di Dio, come Padre, Figlio, Spirito Santo, sia in tutti.
Non c’è possesso di Dio Uno e Trino se non in virtù del Figlio, e non conosceremo Dio come il tutto in tutti, se non quando ci sarà la restaurazione finale di tutte le cose, dopo l’esaltazione dell’eterno Figlio, il Salvatore nostro. Perché il Padre esalta il Figlio suo? Unicamente per la sua obbedienza.
“29 Infatti cosa faranno i facenti sé immergere per i morti? Se affatto i morti non risorgono, perché anche vengono immersi per essi?”
Per quale ragione ci si fa immergere per i morti? Se i morti non risorgono a chi giova tale immersione?
“30 Perché anche noi corriamo pericolo ogni ora?”
Se anche noi che annunciamo  non crediamo nella risurrezione dai morti, perché mai ogni ora mettiamo in pericolo la nostra esistenza?
“31 Ogni giorno muoio,”
Affermazione forte dell’Apostolo. Ogni giorno Paolo si espone alla morte in maniera tale che la sua vita è un continuo morire.
“sì per il vostro vanto, fratelli , che ho in Cristo Gesù, il Signore nostro.”
Quale vantaggio personale ne ricava Paolo? Nessuno! Ma gli si deve riconoscere dai fratelli un vanto che lo mette al di sopra di ogni altro uomo: per dono del Signore, s’intende, in relazione alla salvezza altrui, senza presunzione alcuna!
“32 Se come uomo combattei con le belve in Efeso, qual è a me il vantaggio?”
Se Paolo in Efeso ha combattuto contro belve umane, quale vantaggio gli è venuto da ciò solo?
“Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, domani infatti moriamo.”
Se partiamo dalla convinzione che i morti non risorgono, perché dovremmo esporci alla morte? Piuttosto mangiamo e beviamo senza porci alcun problema: domani infatti tutti moriremo. Tra la certezza del piacere in atto e la certezza della morte che verrà e viene, nulla s’interpone.
“33 Non fatevi ingannare: le conversazioni cattive corrompono i costumi buoni.”
Attenzione dunque a quel che si dice e con chi si dice. Conversazioni cattive, cioè fuori dalla Verità, finiscono per corrompere anche i buoni costumi già acquisiti. Non c’è operare dell’uomo che possa prescindere da un fine e dal fine che sta davanti agli occhi.
“34 Ritornate sobri giustamente e non peccate, infatti alcuni hanno ignoranza di Dio, per vergogna a voi lo dico.”
Levatevi di dosso l’ebbrezza che viene dalle parole del Maligno, profuse in abbondanza a tutti gli uomini da tutti gli uomini, rientrate nella giustizia del Cristo e non peccate.
Alla radice del peccato sta l’ignoranza di Dio: ignoranza della sua Parola, ignoranza della sua volontà. C’è una conoscenza che va coltivata, rinforzata, approfondita: l’economia della salvezza ha contenuti e significati ben precisi. Non si è salvi per la fede in nostre convinzioni, prodotto della nostra fantasia, ma seguendo la luce che è data dal cielo, ben sapendo per chi e per che cosa si vive.
“35 Ma dirà qualcuno: Come risorgono i morti? Con quale corpo poi vengono?”
Primo grosso interrogativo: Come risorgono i morti? Allorchè dei nostri corpi poco o nulla sarà rimasto, come avverrà la risurrezione? E con quale corpo?
“36 Stolto, tu ciò che semini, non è vivificato qualora non muoia;”
Se la vita eterna viene dalla morte, ciò che resta  con la morte è semplicemente un seme, un germe , di per sé informe: non il nulla, ma la semplice possibilità di un’altra vita o di un’altra morte: non più nel tempo, ma nell’eternità, in Cristo o fuori di Cristo, in comunione con gli angeli e i santi o con i demoni.
C’è seme e seme, all’apparenza sembrano simili, ma allorchè la vita nasce in loro e dà loro una forma, cosa rimane del primitivo seme? La sua semplice identità, ovvero la sua originale diversità per cui  da un seme sortirà non una pianta qualsiasi, ma quella che già all’origine è in unità indissolubile col suo seme. Cosa garantisce dunque la continuità tra questa nostra vita e quella eterna? Non la nostra forma materiale, ma il seme che rimane alla morte. Nel seme è l’idea che non muore, è l’io semplice, non  ancora legato ad una forma della materia, ma  già legato al suo Creatore, che svilupperà in esso e farà crescere da esso quella forma che è già eternamente stabilita.
“37 e ciò che semini, non il corpo che sarà semini, ma un nudo chicco, per esempio, di grano o di uno degli altri cereali; 38 ora Dio dà ad esso un corpo come volle, e a ciascuno dei semi il proprio corpo.”
Non c’è seme che non venga da una morte e non si conserva un seme se non per un’altra vita. I semi differiscono in quanto alla specie, ma anche in quanto alla loro individualità. Se la specie si può già intravedere prima ancora che sia germinata la vita, le caratteristiche individuali fanno tutt’uno con la vita che nasce e s’accresce. L’essere individuale, dunque, benché già caratterizzato dall’inizio come appartenente ad una specie e non ad un’altra, non si determina e non si sviluppa come individuo se non dopo una nascita e una crescita. Non in maniera indifferenziata e per moto spontaneo, ma conforme alla propria specie e conforme alla propria individualità, secondo eterne idee dettate dall’eterno Logos.
Finchè il discorso riguardo all’individuo rimane nel mondo vegetale, certo  può apparire semplice. Salendo nella scala degli esseri animali, tutto si fa più complesso.
“39 Non ogni carne è la stessa carne, ma altra certo è quella di uomini, altra invece la carne di animali, altra poi la carne di uccelli, altra poi di pesci.”
Vi è differenza fra vita vegetale e vita animale, fra un ipotetica e possibile coscienza vegetale e coscienza animale. L’uomo ha creato concetti tipo: varietà specie, famiglia, genere, per indicare la molteplice diversità e complessità degli esseri viventi.
Allorché si entra nel mondo animale si può parlare di carne in senso generico: Mentre vi è una pluralità di carni diverse raggruppabili per categorie diverse, allorché arriviamo a parlare dell’uomo certamente vi è un salto di qualità. Una fondamentale ed indiscutibile diversità che lo pone su di un piano incomparabile con quello di un qualsiasi animale. Non semplicemente per quel che riguarda la carne, ma ancor più ed ancor prima per quel che riguarda l’intelligenza. Mentre l’intelligenza degli animali è rivolta unicamente al creato, l’intelligenza dell’uomo è rivolta al Creatore: si può parlare nell’ un caso di semplice coscienza di sé in rapporto a ciò che è dato e trovato, riguardo all’uomo vi è innanzitutto una primordiale e fondamentale coscienza di sé in rapporto al Creatore. L’io animale è soltanto in rapporto al creato, l’io umano è innanzitutto in rapporto al Creatore.
Da lui creato è anche in lui fondato. In altre parole non c’è consapevolezza di un io se non in rapporto ad un tu. Noi abbiamo all’origine semplice coscienza di noi stessi come  io creato, fondato in un Creatore e a lui relazionato. Il tu dell’io, che dà coscienza di se stesso a se stesso, è il Creatore, mentre per l’animale il tu è semplicemente  il creato a  cui può relazionarsi.
L’intelligenza dell’uomo, in quanto consapevole del proprio fondamento e del proprio fine, è detta ragione. La ragione nulla può pensare di vero se non in rapporto a Colui che la fonda, l’alimenta e la sostiene,  che è il fine del suo stesso pensiero.
“40 E corpi celesti vi sono e corpi terrestri; ma altra invero la gloria dei celesti, altra invece quella dei terrestri.”
Se andiamo più in su nella scala degli esseri, oltre i corpi terrestri ci sono quelli celesti. Altra è la gloria che è data a ciò che appartiene alla terra, altra la gloria di ciò che sta in cielo. In quanto essere materiale e spirituale, creato dalla terra per essere innalzato in cielo, l’uomo porterà lo splendore del corpo materiale e lo splendore di quello spirituale.
“41 Altra la gloria del sole, e altra la gloria della luna e altra la gloria delle stelle: una stella infatti da un’altra stella differisce in gloria.”
Se c’è diversità tra corpo e corpo materiale e non c’è uomo del tutto uguale ad un altro uomo, c’è pure diversità tra corpi e corpi spirituali. Non tutti gli esseri celesti risplendono della stessa luce: così sarà anche dei nostri corpi spirituali. L’uomo porterà in uno sia la gloria del terrestre sia quella del celeste, ma in una diversità di splendore per quel che riguarda lo spirito e in una diversità di bellezza per quel che riguarda il corpo.
“42 Così anche la risurrezione dei morti. Si semina in corruzione, si risorge in incorruttibilità;”
Se viene seminato un corpo materiale corrotto, risorgerà un corpo incorruttibile, non soggetto cioè ad alcuna potenza demolitrice.
“43 si semina in disonore, si risorge in gloria;”
Si semina nel disonore del peccato di Adamo, si risorge nella gloria del Cristo Salvatore.
“si semina in debolezza, si risorge in forza;”
Si semina nella debolezza della carne e del sangue, si risorge nella potenza del Salvatore.
“44 si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale.”
Si semina un corpo che è semplicemente  animale, ed ecco risorge un corpo spirituale. Sparisce dunque il primo, per lasciare il posto all’altro? Non questo vuol dire Paolo. Se è fuori discussione la risurrezione del corpo e dell’anima, che ne sarà dello spirito, di quell’alito divino che è all’origine della vita? Risorgerà anche lui?
“Se c’è un corpo animale, c’è anche un corpo spirituale.”
Se ci è ben chiaro che esiste un corpo animale ( unità di anima e carne ), forse abbiamo dimenticato che abbiamo ricevuto anche un corpo spirituale? Cosa troviamo scritto in Genesi?
“45 Così anche è scritto: fu fatto il primo uomo Adamo in anima vivente, l’ultimo Adamo in spirito vivificante.”
La diversità tra il primo Adamo e l’ultimo è Adamo è la diversità tra un essere in anima vivente e un essere in spirito vivificante.
Discorso molto difficile, diversamente e malamente interpretato. Per comprendere dobbiamo innanzitutto tradurre alla lettera, quello che è esattamente scritto, e ritornare alla lettura di Genesi.
Formavit igitur Dominus Deus hominem de limo terrae et inspiravit in faciem eius spiraculum vitae et factus est homo in animam viventem. ( Gen. 1,7 )
“Formò pertanto il Signore Dio l’uomo dal fango della terra e ispirò nel suo volto uno spiraglio di vita, e fu fatto l’uomo in anima vivente”.
Cosa dobbiamo affermare che vi è contrapposizione netta, diversità ed alterità fra il primo Adamo “in anima vivente “ e l’ultimo “in spirito vivificante”? O non si deve considerare piuttosto che l’ultimo Adamo è la realizzazione del primo, non la sua semplice restaurazione in virtù della vittoria del Cristo sul peccato, ma la sua realizzazione ultima e definitiva ad opera dello stesso Cristo, che non solo risuscita l’uomo che è trovato all’inizio, ma ancor più porta a compimento il progetto divino ed eterno di una creatura chiamata ad una crescita  da “anima vivente” a “ spirito vivificante”.
E tutto questo non è comprensibile se noi non intendiamo l’uomo già all’origine formato da tre dimensioni diverse messe nell’uno dal Creatore, non in maniera indifferenziata ma differenziata. Dapprima è il fango formato  che sarà la carne dell’uomo, poi un  soffio dell’alito divino sul suo volto, insufflato sopra, in maniera che sia accolto e  recepito dentro come proveniente dal di fuori. La misura del soffio è limitata, quel tanto che basta perché Adamo prenda consapevolezza di un proprio io spirituale  fondato da e  relazionato a un Tu che è puro Spirito. Al corpo e allo spirito verrà poi associata un’ anima intelligente, non insufflata, ma creata dal nulla.
Con la creazione dell’anima l’uomo è essere completo. Soltanto l’anima più propriamente è creata dal nulla, mentre la carne viene dalla terra formata, e lo spirito dall’alito divino insufflato. 
“Non è prima il corpo spirituale ma quello animale, poi lo spirituale.”
Soltanto l’essere come corpo, cioè come un  insieme di parti necessariamente ed organicamente unite in funzione della vita può dirsi persona.
Il primo Adamo è definito da Paolo come essere animale. Questo significa che l’anima è la sua dimensione prevalente, unificante, intorno al quale ruota tutto il resto. L’anima creata ad immagine di Dio, non porta in sé Dio, ma è in vista del possesso di Dio. A tal scopo è relazionata con lo Spirito Santo, in virtù di un Suo soffio, che essa fa suo con un respiro più o meno largo, più o meno attingente, in ogni caso necessariamente dato per moto proprio.  Quel tanto che basta perché Dio possa farsi sentire direttamente dall’uomo e l’uomo possa attingere direttamente a Dio, come attraverso un canale, un’apertura,  (spiraculum – spiraglio) che può allargarsi e crescere più o meno a secondo della volontà dell’uomo e del dono di Dio.
Un’apertura totale di tale spiraglio segna il passaggio dell’uomo da anima vivente a spirito vivificante
Ma c’è un cammino da compiere, una libera crescita in cui è decisiva e determinante la volontà creata dell’uomo. Attingendo sempre più dal soffio divino, alimentandosi di esso in un crescente desiderio di pienezza, l’anima alla fine  sarà completamente riassorbita dallo Spirito al punto da diventare con Esso una sola realtà. In virtù di tale crescita e di una raggiunta maturità l’anima creata ad immagine di Dio,  colmata, riempita completamente dal suo Spirito, raggiungerà la piena figliolanza divina. “Sarete tutti dei e figli dell’Altissimo”. Una creatura non più semplice immagine di Dio, ma come Dio, inserita nella sua stessa realtà spirituale. Se nel primo Adamo, che è anima vivente, lo Spirito procede dall’esterno all’interno, come in un travaso, nel secondo Adamo che è spirito vivificante, lo Spirito, in virtù di una pienezza sovrabbondante e traboccante e di una fonte trovata in se stesso, innalzerà al Creatore un eterno inno di lode al suo Amore. Spirito vivificante è la creatura che possiede lo Spirito nella sua misura ultima e definitiva, oltre la quale non si può andare ma solo fare ritorno alla propria sorgente. La vita sgorga dal proprio essere in quanto radicata e fondata nell’interiorità dell’io. Tutto ciò che può essere prodotto dell’io, altro non è che prodotto dello stesso Dio. La volontà della creatura si è fusa in unità indissolubile con la volontà del Creatore, di modo che l’uno vuole ciò che vuole l’Altro e viceversa.
Nella dimensione ultima e definitiva l’anima non avrà più alcun ruolo che si possa mettere in conflitto con lo spirito: saranno una sola cosa: l’anima con lo spirito e lo spirito con l’anima. Come tutti abbiamo portato l’immagine del primo Adamo così tutti i redenti porteranno l’immagine del secondo Adamo che è Cristo. Il primo Adamo è in funzione del secondo. Se Adamo all’inizio è ad immagine di Dio, cioè simile al Figlio, non è ancora l’immagine di Dio, nella forma eternamente compiuta. Perché si realizzi questo  disegno eterno che lo vuole accanto al Cristo, primogenito dei molti fratelli, come Lui, in tutto identico a Lui, c’è bisogno di un cammino di crescita, fino alla statura dell’uomo perfetto che è considerato degno di vedere Dio: non semplicemente fuori di sé, ma dentro di sé, non con occhi  fatti dal nulla, ma donati in proprio,  non  quelli della creatura, ma quelli del Creatore. E quali sono questi occhi che vedono il Padre in sé e sé nel Padre se non quelli del Figlio? Se soltanto l’ultimo Adamo avrà gli occhi del Cristo, già fin dall’origine l’uomo vive cresce, si alimenta sotto gli occhi dell’eterno Figlio. Se il fine di un cammino è Cristo, già all’inizio è trovato lo stesso Cristo.
Diversamente l’uomo dovrebbe procedere da solo, senza guida, senza luce, senza appoggio: E quale assoluta garanzia può avere Adamo di raggiungere la statura dell’eterno Figlio,  se già fin dall’inizio non è posto in Lui e per Lui?
Con quale immagine è significato tutto ciò in Genesi? Con l’albero della vita che è collocato in Eden, non in un punto qualsiasi, ma al centro, in una posizione focale e determinante.
L’uomo creato da Dio dal nulla non è fondato nel nulla, ma nello stesso Creatore: più propriamente il Padre lo affida al Figlio, perché in Lui cresca, di Lui si nutra,  liberamente mangiando. Come vi è un cibo materiale che alimenta una vita materiale, così fin dall’origine è donato all’uomo un cibo spirituale che ha nome di Logos o Parola. Ci si nutre della Parola non semplicemente udendo la Parola ma ascoltandola, cioè ubbidendo a quello che ci comanda.
Il passaggio da conoscenza a conoscenza scandisce le fasi e i momenti di un processo di crescita, in virtù della quale l’Adamo bambino, che è anima vivente, raggiunge a poco a poco la piena maturità, allorchè è   fatto spirito vivificante. Non più una vita pervasa da un semplice soffio dell’alitare divino, ma una vita che porta in sé lo stesso alitare divino, quale procede dal Figlio, nel pieno possesso del Figlio. Il primitivo cammino in Eden, interrotto dalla colpa di Adamo è ripreso e perfezionato dal Cristo ,che lo rende nuovamente possibile nonostante il peccato, allorché fattosi carne, muore e risorge per donarci quella vita eterna che era già in un eterno progetto d’amore. Il Cristo che è alla fine della storia dell’uomo è lo stesso Cristo che è dato e trovato all’inizio. Non cambia la meta finale di un cammino di vita eterna: è cambiato semplicemente il piano in cui e su cui avviene questo cammino, che non è più quello dell’essenza, ma dell’esistenza: non semplicemente quello di un uomo che alla fine è fatto Dio, ma ancor prima quello di un Dio che si è fatto uomo, perché l’impossibile sia reso possibile dalla manifestazione estrema del Suo amore. E quale amore più grande di quello di un Dio che si fa creatura e offre la sua vita in un unico eterno sacrificio, che dato una volta per sempre ogni giorno è dato di nuovo, per tutto il tempo dell’uomo? Nella primitiva luce che è data al primo Adamo, perché non invano muova i suoi primi passi e perché non cada in qualche pietra d’inciampo, troviamo le ragioni dell’ultima luce che viene dal cielo.
Abbiamo detto che Adamo è creato bambino, ma solo perché diventi adulto, anima vivente, ma solo perché diventi spirito vivificante. Come avviene in pratica  questo finale cammino? In virtù di una creatura formata da più dimensioni, in cui l’anima occupa una posizione centrale e dominante: non chiusa in sé e per sé ma aperta, cioè relazionata e unita a due diverse realtà: da un lato lo Spirito creatore, da  cui può liberamente attingere una vita increata in maniera più o meno larga col proprio respiro, dall’altro un proprio corpo materiale da cui attinge una vita creata.
La relazione dell’anima con lo Spirito creatore e con la materia creata è così intima e stretta, legata in indissolubile unità che si può a ragione parlare dell’uomo come creatura formata da tre dimensioni : lo spirito, l’anima, la carne. L’uomo è fatto innanzitutto da un’anima associata allo spirito e alla carne: è un’anima vivente. Perché  innanzitutto l’anima? Perché è la dimensione che l’uomo avverte in sé come prioritaria, quella che più gli appartiene in proprio e gli è più propria come creatura, cioè come novità apparsa dal nulla.
Dal punto di vista cronologico l’anima è tuttavia preceduta dalla materia e dallo stesso spirito. Non può esistere di per sé se non in quanto legata, alimentata, nutrita, vivificata da un lato dalla carne, dall’altro dallo spirito. Diversamente, s’intende, perché altra è la carne  altro è lo spirito, ma tuttavia in maniera tale che non c’è anima senza carne e senza spirito.
È inconcepibile una resurrezione dai morti se non come resurrezione dell’uomo nella totalità del suo essere: anima, corpo, spirito.
Ma allora in quale dimensione l’uomo già dopo questa morte ha vita eterna? È esatto dire che l’anima non muore? O non si deve piuttosto dire che è il nostro spirito che dopo la morte entra nella beatitudine eterna? La carne ritornerà alla terra per essere plasmata di nuovo e l’anima nel pensiero divino, per essere rifatta senza macchia di peccato. E tutto questo avverrà alla resurrezione dei morti per gli eletti. In quanto ai dannati ben diversa la loro sorte. Il loro spirito, già “all’inferno” dopo la prima morte, sarà anch’esso riassociato ad una carne e ad un’anima,  ma  soltanto perché l’uomo nella sua compiutezza,  tocchi la compiutezza dell’abisso, il fondo più fondo, là dove il verme non muore e il fuoco non si spegne.
Se qualcuno può trovare  assurdo quanto da noi scritto, pensi quanto è assurda e terribilmente tragica la sorte di un’anima, ovvero di una psiche  ammalata, pazza tanto per intenderci, che ritrovi alla resurrezione dei morti la propria identità nell’essere uguale a quella già conosciuta. La coscienza di sé, o io semplice, non è data innanzitutto da un’anima associata ad uno spirito e ad una carne, ma da un’anima e da una carne associate ad uno spirito di per sé immutabile. La presenza di esso al divino e del divino in esso, può crescere o diminuire per libera scelta, o per dono celeste. Solo lo spirito è garanzia di una coscienza che permane identica a se stessa, consapevolezza di un io che sempre ci accompagna dalla nascita alla morte e sempre continuerà ad esistere per l’eternità. Diversamente associato ad una carne e ad un’anima, per la gloria eterna o per la dannazione eterna, ma già di per sé fondato nell’eternità, per il soffio dell’alito divino, da cui è stato “generato”.
La concezione dell’uomo come creatura bidimensionale, unità di anima e carne non è propriamente ebraica e biblica, ma greca.
Purtroppo alcuni padri della Chiesa, soprattutto Agostino, per certi aspetti, hanno letto le Scritture con la mentalità e lo spirito della filosofia greco platonica. Hanno colto certe somiglianze, non sempre hanno compreso la diversità. Mentre in Paolo è fin troppo chiara la distinzione fra spirito, anima, corpo, per Agostino la parola spirito è sinonimo di anima, o poco più.
Diversamente da Agostino, Origene,  innanzi tutti, e poi tra gli altri Gerolamo, considerano l’uomo come formato da tre dimensioni: spirito, anima, carne. La riduzione dell’uomo a semplice unità di anima e corpo rende incomprensibili ed inspiegabili molti passi della Scrittura. Non si può intendere la finale risurrezione dei morti e la vita eterna che è già data dopo la morte individuale, se non consideriamo l’uomo come formato da tre dimensioni. E tutto questo era fin troppo chiaro agli ebrei del tempo di Gesù. Tanto è vero che il discorso riguardo alla fede nella resurrezione dei morti faceva tutt’uno con quello riguardo allo spirito. Troviamo scritto in Atti che mentre i Sadducei non credevano né nello Spirito né nella resurrezione dei morti, i farisei, di cui Paolo faceva parte, credevano sia nella resurrezione dei morti sia nell’esistenza dello Spirito  (Atti 23,8 ). E non poteva essere diversamente perché si tratta di aspetti dello stesso problema. Se non c’è spirito cosa sopravvive alla morte della carne? L’anima? Ma non c’è anima se non in unità con un corpo materiale e non c’è corpo che alla propria morte non porti con sé la propria anima. L’anima è creata dal nulla e può anche morire: è fatta salva però la sua eterna idea che è in Dio. L’anima non ha occhi per vedere il Creatore, come può avere vita o dannazione eterna subito dopo la separazione dal corpo? Non esiste un essere come semplice anima, che possa vedere la gloria del Creatore, viceversa ci sono creature che stanno davanti a Dio come semplici spiriti. È lo spirito dell’uomo, l’io originario, che è semplice coscienza di sé in rapporto al Creatore che non può in alcun modo morire, ma soltanto passare da una vita all’altra, da una vita di possesso parziale di Dio ad una di pienezza totale, da un mancato e sbagliato rapporto con lo Spirito che l’ha originato, alla privazione assoluta di ogni Sua pienezza, come semplice coscienza di sé che non può morire una volta per sempre, ma deve continuamente morire di morte eterna.
“47 Il primo uomo dalla terra è argilloso il secondo uomo dal cielo. 48 Quale quello di terra, tali anche quelli di terra, e quale quello celeste, tali anche quelli celesti;”
Paolo vuol sottolineare una fondamentale diversità tra il primo uomo ed il secondo: alla resurrezione dei morti non avremo la semplice restaurazione del primo, senza peccato, ma molto di più la natura terrena sarà rivestita da quella celeste. La priorità dell’anima cederà il posto a quella dello spirito. Non più un’anima vivente semplicemente associata ad un alito divino, ma uno spirito vivificante, collocato e trovato al centro  dell’ essere creato: eterna presenza del Cristo, possesso della totalità dello Spirito Santo, garanzia di una conoscenza in Dio fondata, che non si allontana verso le creazione se non per riportarla al Creatore, in un eterno inno di lode. Non vedremo semplicemente Dio nelle cose, ma le cose con gli occhi di Dio, in una perenne e concorde compresenza degli occhi creati della carne, con quelli increati dello Spirito.
“49 e come portammo l’immagine di quello di terra, porteremo anche l’immagine di quello celeste.”
Qual è l’immagine portata dall’uomo? Quella dell’eterno Figlio di Dio. Ma vi è differenza tra il primo Adamo e l’ultimo Adamo. Il primo è creato dal nulla: e l’immagine del Figlio è impressa a somiglianza di, non garantisce la presenza eterna del Cristo, ma soltanto una fondata vocazione ad essere come il Cristo. Alla resurrezione dei morti  non saremo semplicemente portati al Padre dall’immagine del Figlio, ma porteremo noi stessi l’immagine del Figlio, e  in Cristo e per Cristo canteremo l’eterna lode all’unico Sommo Creatore.
Più di tanto non ci è dato comprendere e Paolo non può dire.
“50 Questa cosa ora dico, fratelli, che carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio né la corruzione eredita l’incorruttibilità. “
È la conclusione di un discorso difficile, che non può togliere il velo a ciò che è ancora mistero. Benchè la realtà finale sia ancora oscura per noi, perché non abbiamo intelligenza spirituale per comprendere, una cosa è certa: non sarà l’uomo carnale da noi trovato e lasciato in questa vita ad entrare nell’eternità.
Lo spirito vitale che scorre attraverso il sangue nella nostra carne, non possederà il regno dei cieli. Ciò che è nato dalla corruzione non può ereditare l’incorruttibilità. Saremo trasformati in spirito, anima, carne, nella totalità del nostro essere.
“51 Ecco un mistero a voi dico: tutti non ci addormenteremo nella morte, tutti saremo trasformati,”
In una complessa trama di misteri, difficilmente dispiegabile e in tutto non comprensibile, Paolo osa andare oltre col discorso.
Chi crede ha già vita eterna e  non tutti ci addormenteremo nella morte. Non ci sarà gusto della morte se non per chi non è nel novero degli eletti.
“Chi crede in me non gusterà morte in eterno”: è scritto nel Vangelo. Per coloro che non credono, per i morti,  nulla possiamo dire se non che saranno esclusi dalla comunione con Dio. Una cosa però è certa per tutti: salvati o dannati,  chi non conoscerà morte o chi si addormenterà nella prima morte, tutti saremo trasformati.
“52 in un istante, in un batter d’occhio, a l’ultima tromba: suonerà infatti e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati.”
Al suono dell’ultima tromba, dopo il quale nessun suono sarà più udito, risorgeranno i morti incorruttibili, cioè assumeranno lo stato ultimo e definitivo, non soggetto a corruzione, cioè a cambiamento alcuno. Risorgeranno sia gli eletti che hanno già vita eterna, sia i dannati che gustano la prima morte, e ci sarà una universale trasformazione.
“53 E’ necessario infatti che il corpo corruttibile questo rivesta l’incorruttibilità e questo corpo mortale che rivesta l’immortalità.”
Se vi è un corpo destinato alla corruzione dovrà essere rifatto incorruttibile, se vi è un corpo destinato alla morte dovrà rivestire l’immortalità.
“54 Quando poi  questo corpo corruttibile rivestirà l’incorruttibilità e  questo corpo mortale rivestirà l’immortalità, allora avverrà la parola quella scritta: Fu ingoiata la morte per la vittoria.”
Non si potrà dire che la morte è stata ingoiata e vinta per sempre in virtù del Cristo se non nella restaurazione finale di tutte le cose e della ricomposizione dell’uomo nell’unità di tutte le sue dimensioni.
“55 Dov’è o morte la tua vittoria? Dove o morte il tuo pungiglione?”
Quale vittoria ci sarà alla fine per la morte? Nessuna. Sarà messa sotto i piedi del Cristo, da lui schiacciata. Non ci sarà più alcuna morte , ma non sarà tolto lo stato di morte, per chi non ha accolto la vita: è lo stato del perdente e non del vincente, di chi è stato sconfitto per sempre e porterà per sempre l’umiliazione del vinto.
“56 Ora il pungiglione della morte è il peccato, poi la forza del peccato è la legge;”
Se il pungiglione attraverso il quale viene inoculato il veleno della morte è il peccato; non vi sarà più alcuna possibilità di peccato. Non vi sarà più alcuna legge di Dio da osservare, perché tutto avrà raggiunto il suo finale compimento. Non avranno più Legge da osservare gli eletti e ciò è garanzia di uno stato definitivo, senza ricaduta e  ritorno. E neppure i dannati, perché sarà tolta loro ogni possibilità di intraprendere di nuovo un cammino di rinascita in Cristo.
Nessun dover essere, ma soltanto il rimanere nello stesso essere: nell’eternità.
“57 ma grazia sia resa a Dio  che concede a noi la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.”
Se non tutti potranno alla fine ringraziare il Signore, ogni ringraziamento è a noi dovuto a Dio, per la vittoria che ci concede in Cristo Gesù.
“58 Perciò, fratelli miei amati, saldi diventate, irremovibili, sovrabbondando nell’opera del Signore sempre, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.”
Chi è un rassegnato, quasi un predestinato alla perdizione, può anche vivere in ogni mollezza lasciandosi trasportare da ogni soffio di vento. Noi che siamo in Cristo, noi fratelli amati di Paolo, dobbiamo essere saldi ed irremovibili nella fede, sapendo che la nostra fatica nel Signore non è vana, ma avrà il suo finale coronamento in una gioia eterna.