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cap16

                                          Cap. 16
Riguardo poi alla colletta quella per i santi, come ordinai alle assemblee della Galazia, così anche voi fate. 2 Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi presso di sé riponga mettendo da parte ciò che gli riesca, affinchè non quando io venga allora le collette avvengano. 3 Quando poi giunga, quelli che approviate, questi con lettere invierò per recare il vostro dono a Gerusalemme; 4 se poi sia conveniente che anch’io parta, con me partiranno. 5 Verrò poi da voi quando la Macedonia abbia attraversato; la Macedonia infatti attraverso, 6 da voi però forse mi fermerò o anche passerò l’inverno, affinchè voi mi accompagniate dovunque vada. 7 Non voglio infatti ora vedervi di passaggio, spero infatti un qualche tempo trattenermi presso di voi se il Signore lo conceda. 8 Mi fermerò però ad Efeso fino alla Pentecoste: 9 una porta infatti a me si è aperta grande e propizia e ci sono molti avversari. 10 Qualora poi giunga Timoteo, badate, che senza timore sia presso di voi: infatti l’opera del Signore opera come anch’io. 11 Dunque qualcuno non lo disprezzi. Fate partire anche lui in pace, affinchè venga da me: aspetto infatti lui con i fratelli. 12 Riguardo poi ad Apollo il fratello, molto pregai lui, che venisse da voi con i fratelli; e affatto non fu volontà che ora venisse; verrà però quando abbia l’occasione propizia. 13 Vigilate, state saldi nella fede, siate uomini, siate forti. 14 tutte le vostre cose avvengano in amore. 15 Esorto poi voi, fratelli: conoscete la casa di Stefana, che è primizia dell’Acaia e a servizio ai santi dedicarono se stessi: 16 che anche voi siate sottoposti a tali persone e a ogni collaborante e faticante con loro. 17 Mi rallegro poi per l’arrivo di Stefana e di Fortunato e di Acaico, poiché la vostra assenza questi compensarono: 18 sollevarono infatti il mio spirito e quello di voi solleveranno. Riconoscete dunque persone tali. 19 Salutano voi le assemblee dell’Asia. Vi salutano nel Signore molto Aquila e Prisca con la assemblea nella loro casa. 20 salutano voi i fratelli tutti. Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. 21 il saluto è di mia mano, di Paolo. 22 Se qualcuno non ama il Signore, sia anatema. Maranà tha. 23 La grazia del Signore Gesù sia con voi. 24 Il mio amore è con tutti voi in Cristo Gesù.

 

                                          Cap. 16
“Riguardo poi alla colletta quella per i santi, come ordinai alle assemblee della Galazia, così anche voi fate.”
Se è vero che innanzitutto e innanzitutti ci sentiamo amati da Dio, la traboccante sovrabbondanza di questo amore si deve riversare su coloro che vivono della stessa fede in Cristo Gesù, morto e risorto per la nostra salvezza. Dopo l’amore a Dio, viene l’amore al prossimo così come comandato dalla stessa Legge, non in maniera indifferenziata però, ma a partire da coloro che ci sono più  vicini. E nessuno è più vicino a chi è santo per definizione divina, di coloro che sono santi, separati dal mondo per amore di Dio.
Prossimo non è innanzitutto l’uomo che ci è accanto in senso materiale, ma colui che ci è vicino in virtù della  fede in Cristo Gesù.  Se è vero che siamo tutti fratelli e sorelle, una distinzione bisogna però fare: va data priorità assoluta alla fraternità in Cristo Salvatore: fratelli sono propriamente ed innanzitutto quelli che si sono posti alla sequela di Cristo, il primogenito dei molti; tutti gli altri vengono dopo. Se l’amore che ci è donato da Dio è diverso, non si manifesta in maniera indifferenziata, ma predilige quelli che si riconoscono nello stesso Salvatore, non opera indistintamente per tutti, ma a cominciare da coloro che sono in comunione di fede.
La consuetudine delle collette nella chiesa è fin dalle origini;  alle origini vediamo una Chiesa innanzitutto attenta ai bisogni di coloro che sono entrati in comunione con Cristo Salvatore. L’iniziativa personale si fonde e fa tutt’uno con quella di chi è a capo della comunità locale, che coordina, mette insieme, indirizza.
Ogni manifestazione d’amore cristiano deve essere in unità concorde con tutti coloro che cristiani sono da noi trovati nell’unica chiesa di Cristo.
“2 Ogni primo giorno della settimana ciascuno di voi presso di sé riponga mettendo da parte ciò che gli riesca, affinchè non quando io venga allora le collette avvengano.”
Il desiderio di aiutare chi è in necessità, deve essere una costante della nostra vita e  accompagnarci ogni giorno. Viviamo in sobrietà ed il sovrappiù riserviamolo per chi è veramente povero, senza  bisogno di sollecitazioni e senza aspettare l’ultimo minuto o l’ultima opportunità! Non è bella cosa l’indugio di chi dà e non si deve mettere in apprensione o in imbarazzo chi è incaricato della raccolta.
“3 Quando poi giunga, quelli che approviate, questi con lettere invierò per recare il vostro dono a Gerusalemme; 4 se poi sia conveniente che anch’io parta, con me partiranno.”
Le offerte devono essere raccolte da persone che abbiano un mandato ed un’approvazione da parte della comunità. Giusto e santo il controllo  di chi è in autorità, riconosciuto dalla Chiesa.
“5 Verrò poi da voi quando la Macedonia abbia attraversato; la Macedonia infatti attraverso, 6 da voi però forse mi fermerò o anche passerò l’inverno, affinchè voi mi accompagniate dovunque vada. 7 Non voglio infatti ora vedervi di passaggio, spero infatti un qualche tempo trattenermi presso di voi se il Signore lo conceda.”
Grande è in Paolo il desiderio di vedere il volto dei fratelli che sono in Corinto, ma non  di passaggio. Se sarà volontà del Signore si fermerà presso di loro per trascorrervi l’inverno. Nessun desiderio prepotente del nostro cuore, per quanto giusto e santo, può prevaricare rispetto all’obbedienza alla volontà di Dio, che può anche disporre diversamente.
“8 Mi fermerò però ad Efeso fino alla Pentecoste: 9 una porta infatti a me si è aperta grande e propizia e ci sono molti avversari.”
L’Apostolo ha trovato in Efeso un terreno propizio per l’annuncio del Vangelo: si è spalancata una grande porta. Nessuna illusione però in Paolo di un successo facile e a poco prezzo. Il Diavolo ha già radunato ingenti forze, e i nemici sono molti.
“10 Qualora poi giunga Timoteo, badate, che senza timore sia presso di voi: infatti l’opera del Signore opera come anch’io. 11 Dunque qualcuno non lo disprezzi. Fate partire anche lui in pace, affinchè venga da me: aspetto infatti lui con i fratelli.”
Paolo manifesta tutto il suo amore e la sua stima per Timoteo, suo fedele collaboratore. Sia accolto con benevolenza e con stima dai fratelli di Corinto, come chi annuncia in verità  e sapienza. Nessuno lo disprezzi e lo metta a disagio. L’Apostolo desidera grandemente rivederlo assieme con gli altri fratelli che sono con lui.
“12 Riguardo poi ad Apollo il fratello, molto pregai lui, che venisse da voi con i fratelli; e affatto non fu volontà che ora venisse; verrà però quando abbia l’occasione propizia.”
Apollo è un apostolo molto caro ai Corinzi: ha dato un grande contributo per l’istruzione e la crescita della comunità. Non si deve pensare che Paolo lo abbia messo nel dimenticatoio a vantaggio di Timoteo, suo prediletto. Nonostante le preghiere a lui rivolte, non è a questi possibile recarsi a Corinto nell’immediato futuro con gli altri fratelli inviati da Paolo. Andrà però quando ci sarà un’occasione propizia, conforme alla volontà di Dio.
“13 Vigilate, state saldi nella fede, siate uomini, siate forti. 14 tutte le vostre cose avvengano in amore.”
Vigilate contro gli attacchi e le insidie del Maligno, state saldi nell’unica vera fede, siate uomini degni di essere contati come quelli che sono di Cristo, siate forti. Tutto sia fatto nell’amore e con l’amore donato dal Cristo.
“15 Esorto poi voi, fratelli: conoscete la casa di Stefana, che è primizia dell’Acaia e a servizio ai santi dedicarono se stessi: 16 che anche voi siate sottoposti a tali persone e a ogni collaborante e faticante con loro.”
Paolo raccomanda la sottomissione umile e fiduciosa a coloro che sono già conosciuti per la  fede in Cristo e per il loro servizio nella Chiesa. Sia dato credito a quelli che hanno dato prova di fedeltà e ai loro collaboratori. Non ci si deve affidare agli ultimi arrivati .
“17 Mi rallegro poi per l’arrivo di Stefana e di Fortunato e di Acaico, poiché la vostra assenza questi compensarono: 18 sollevarono infatti il mio spirito e quello di voi solleveranno. Riconoscete dunque persone tali. 19 Salutano voi le assemblee dell’Asia. Vi salutano nel Signore molto Aquila e Prisca con la assemblea nella loro casa. 20 salutano voi i fratelli tutti. Salutatevi gli uni gli altri con il bacio santo. 21 il saluto è di mia mano, di Paolo.”
La gioia di Paolo sia quella della comunità tutta: gioia per i doni del Signore, gioia per i fratelli e le sorelle che danno sollievo ai cuori stanchi e affranti. Saluti e baci a tutti, da tutti, per tutti. L’amore di Cristo sia reso manifesto. Ogni gesto e parola d’amore porti con sé il calore che è  sigillo di un dono celeste.
“22 Se qualcuno non ama il Signore, sia anatema. Maranà tha.
23 La grazia del Signore Gesù sia con voi. 24 Il mio amore è con tutti voi in Cristo Gesù.”
Nella Chiesa altro amore non si deve trovare se non quello di Cristo, nell’attesa della Sua venuta, nella pienezza della Sua grazia.

 

cap15

                                                     Cap. 15
Rendo noto poi a voi fratelli, la buona notizia che annunciai a voi, che anche riceveste, in cui anche rimanete saldi, 2 tramite la quale anche siete salvati, con quella parola che annunciai a voi se la conservate, a meno che non invano aveste creduto. 3 Trasmisi infatti a voi in primo luogo, ciò che anche ricevetti, che Cristo morì per i peccati nostri secondo le Scritture 4 e che fu sepolto e che è stato risuscitato il giorno terzo secondo le Scritture 5 e che apparve a Cefa quindi ai dodici; 6 in seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali i più rimangono in vita fino ad ora, alcuni invece si addormentarono. 7 In seguito apparve a Giacomo quindi agli apostoli tutti; 8 da ultimo poi fra tutti come a un aborto apparve anche a me. 9 Io infatti sono il più piccolo degli apostoli che non sono degno di essere chiamato apostolo, poiché perseguitai la chiesa di Dio; 10 per grazia di Dio però sono ciò che sono, e la sua grazia quella verso me non fu vana, ma più di loro tutti faticai, non io però ma la grazia di Dio quella con me. 11 Sia dunque io sia quelli, così annunciamo e così avete creduto. 12 Se ora Cristo è annunciato che dai morti è stato risuscitato, come dicono tra voi alcuni che risurrezione dei morti non c’è? 13 Se però risurrezione dei morti non c’è, neppure Cristo è stato risuscitato; 14 se però Cristo non è stato risuscitato, vuoto allora anche il nostro annuncio, è vuota anche la vostra fede; 15 siamo trovati anche falsi testimoni di Dio, poiché testimoniammo contro Dio che risuscitò il Cristo, che non risuscitò se veramente i morti non risorgono. 16 Se infatti i morti non risorgono, neppure Cristo è risorto; 17 se però Cristo non è risorto, è inutile la vostra fede, ancora siete nei vostri peccati, 18 quindi anche gli addormentati in Cristo sono perduti. 19 Se in questa vita solo siamo aventi sperato in Cristo, siamo più compassionevoli di tutti gli uomini. 20 Ora invece Cristo è risorto dai morti primizia di quelli che si sono addormentati. 21 Poiché infatti per mezzo di un uomo venne la morte, anche per mezzo di un uomo la risurrezione dei morti. 22 Come infatti in Adamo tutti muoiono, così anche in Cristo tutti saranno vivificati. 23 Ciascuno però nel proprio ordine: la primizia è Cristo, poi quelli di Cristo nella sua venuta, 24 quindi la fine, quando consegnerà il regno a Dio e Padre, quando renderà inoperante ogni principato e ogni potestà e potenza. 25 Bisogna infatti che lui regni fino a che ponga tutti i nemici sotto i suoi piedi. 26 Ultimo nemico sarà resa inoperante la morte; 27 tutte le cose infatti sottomise sotto i suoi piedi. Quando però dice che tutte le cose sono sottomesse, chiaro è che è eccetto l’avente sottomesso a lui le cose tutte. 28 Quando poi saranno sottomesse a lui le cose tutte, allora anche lo stesso Figlio sarà sottomesso all’avente sottomesso a lui le cose tutte, affinché sia Dio le cose tutte in tutti. 29 Infatti cosa faranno i facenti sé immergere per i morti? Se affatto i morti non risorgono, perché anche vengono immersi per essi? 30 Perché anche noi corriamo pericolo ogni ora? 31 Ogni giorno muoio, sì per il vostro vanto, fratelli , che ho in Cristo Gesù, il Signore nostro. 32 Se come uomo combattei con le belve in Efeso, qual è a me il vantaggio? Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, domani infatti moriamo. 33 Non fatevi ingannare: le conversazioni cattive corrompono i costumi buoni. 34 Ritornate sobri giustamente e non peccate, infatti alcuni hanno ignoranza di Dio, per vergogna a voi lo dico. 35 Ma dirà qualcuno: Come risorgono i morti? Con quale corpo poi vengono? 36 Stolto, tu ciò che semini, non è vivificato qualora non muoia; 37 e ciò che semini, non il corpo che sarà semini, ma un nudo chicco, per esempio, di grano o di uno degli altri cereali; 38 ora Dio dà ad esso un corpo come volle, e a ciascuno dei semi il proprio corpo. 39 Non ogni carne è la stessa carne, ma altra certo è quella di uomini, altra invece la carne di animali, altra poi la carne di uccelli, altra poi di pesci. 40 E corpi celesti vi sono e corpi terrestri; ma altra invero la gloria dei celesti, altra invece quella dei terrestri. 41 Altra la gloria del sole, e altra la gloria della luna e altra la gloria delle stelle: una stella infatti da un’altra stella differisce in gloria. 42 Così anche la risurrezione dei morti. Si semina in corruzione, si risorge in incorruttibilità; 43 si semina in disonore, si risorge in gloria; si semina in debolezza, si risorge in forza; 44 si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale. Se c’è un corpo animale, c’è anche un corpo spirituale. 45 Così anche è scritto: fu fatto il primo uomo Adamo un’anima vivente, l’ultimo Adamo spirito vivificante. 46 Ma non è prima il corpo spirituale ma quello animale, poi lo spirituale. 47 Il primo uomo dalla terra è argilloso il secondo uomo dal cielo. 48 Quale quello di terra, tali anche quelli di terra, e quale quello celeste, tali anche quelli celesti; 49 e come portammo l’immagine di quello di terra, porteremo anche l’immagine di quello celeste. 50 Questa cosa ora dico, fratelli, che carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio né la corruzione eredita l’incorruttibilità. 51 Ecco un mistero a voi dico: tutti non ci addormenteremo nella morte, tutti saremo trasformati, 52 in un istante, in un batter d’occhio, a l’ultima tromba: suonerà infatti e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. 53 E’ necessario infatti che il corpo corruttibile questo rivesta l’incorruttibilità e questo corpo mortale che rivesta l’immortalità. 54 Quando poi  questo corpo corruttibile rivestirà l’incorruttibilità e  questo corpo mortale rivestirà l’immortalità, allora avverrà la parola quella scritta: Fu ingoiata la morte per la vittoria. 55 Dov’è o morte la tua vittoria? Dove o morte il tuo pungiglione? 56 Ora il pungiglione della morte è il peccato, poi la forza del peccato è la legge; 57 ma grazie siano rese a Dio  che concede a noi la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 58 Perciò, fratelli miei amati, saldi diventate, irremovibili, sovrabbondando nell’opera del Signore sempre, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

“Rendo noto poi a voi fratelli, la buona notizia che annunciai a voi, che anche riceveste, in cui anche rimanete saldi, 2 tramite la quale anche siete salvati, con quella parola che annunciai a voi se la conservate, a meno che non invano aveste creduto.”
Non è una novità quello che già è stato annunciato altre volte: così nella realtà ordinaria della vita. Ma allorché si parla di Cristo, il Vangelo ha sempre il sapore di ciò è udito per la prima volta.
La parola di Dio non ci ha fatti nuovi una sola volta, ci fa continuamente nuovi; ma c’è bisogno per questo che il suo annuncio sia reiterato e proclamato nel tempo. Se la fede è venuta dall’ascolto della Parola, in questo ascolto bisogna rimanere, sorretti da quella predicazione che Cristo ha affidato ai suoi apostoli. 
“3 Trasmisi infatti a voi in primo luogo, ciò che anche ricevetti,”
Il Vangelo non è un’invenzione di Paolo o di qualche altro apostolo: si tratta di una Rivelazione fatta ad alcuni, perché il messaggio sia trasmesso da generazione a generazione in virtù della Chiesa che ne è custode.
“che Cristo morì per i peccati nostri secondo le Scritture 4 e che fu sepolto e che è stato risuscitato il giorno terzo secondo le Scritture 5 e che apparve a Cefa quindi ai dodici; 6 in seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali i più rimangono in vita fino ad ora, alcuni invece si addormentarono.”
Il Vangelo ha una sua centralità: da questa si deve partire e a questa si deve continuamente ritornare. Qual è dunque l’evento che riassume in sé ed attualizza tutta la Parola di Dio? La morte in croce e la risurrezione di Gesù Cristo. Non un semplice accidente della storia, imprevisto ed imprevedibile, ma l’evento per eccellenza che unicamente ha significato e valore. Le Scritture tutte lo profetizzano e ad esso conducono come l’atto salvifico senza il quale il peccato rimane nel mondo e col peccato un destino di morte eterna. “Morì per i nostri peccati”: non invano dunque, e senza una precisa e determinata ragione … “secondo le Scritture”… secondo un eterno progetto d’amore annunciato, preparato, codificato nella parola scritta data ad Israele. Per togliere subito il dubbio che la morte sia stata solo apparente si aggiunge… “e che fu sepolto”. La chiusura in una tomba sigillata è la prova di una morte reale, non semplicemente immaginata da tutti coloro che ne furono testimoni.” E che è stato risuscitato il giorno terzo, secondo le Scritture”… Come la morte si iscrive in un eterno disegno d’amore, così anche la resurrezione - secondo le Scritture - , tutto conforme ad un unico indivisibile progetto divino, per il quale non ci può essere morte se non per la resurrezione e non c’è resurrezione se non attraverso la morte.
Nel regno della libertà umana si insinua una necessità divina, in ragione della quale non ci può essere per i figli di Adamo passaggio alcuno dzlla morte alla vita se non attraverso una loro incorporazione nella morte e resurrezione del Figlio dei Dio. “Morì per i peccati nostri”; per una scelta assolutamente libera non dovuta all’uomo, ma semplicemente a lui donata. “che fu sepolto”
Cosa vi ha messo l’uomo di suo? Semplicemente la sepoltura, ossia la costatazione e la verifica di un dato di fatto assolutamente certo e sicuro, testimoniato da coloro che misero nel sepolcro Gesù. Nulla di nascosto e di fittizio nella morte di Gesù: tutti hanno visto e tutti hanno saputo. E nessun segreto neppure riguardo al suo sepolcro.
“che è stato risuscitato il giorno terzo secondo le Scritture.” Ancora una volta il verbo è al passivo, per indicare un evento, la risurrezione, che coinvolge e chiama in causa la volontà e la potenza del Dio Uno e Trino. Il mistero dell’amore trinitario trova la sua massima espressione e manifestazione ultima nella resurrezione del Figlio. E che si tratti di un unico mistero, in due atti ben distinti, è messo in evidenza da  “è risuscitato il terzo giorno”.
Se non poteva rimanere nella morte Colui che è vita eterna, quale segno più indiscutibile di una morte reale e non apparente se non il suo perdurare e permanere nel sepolcro per tre giorni?
“5 e che apparve a Cefa quindi ai dodici;” Nessuno è stato testimone della risurrezione di Gesù. Ma non vi è risurrezione più sicura di colui che visto morire, trovato morto,  sepolto per mano dell’uomo, appare dopo tre giorni vivo. E non a una sola persona, perché la testimonianza di uno non ha valore, ma a tutti coloro che furono con lui, a cominciare da Cefa.
“6 in seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una volta, dei quali i più rimangono in vita fino ad ora, alcuni invece si addormentarono.”
Per rendere vana ogni incredulità e ogni scetticismo riguardo alla testimonianza dei dodici, Gesù è apparso in seguito in una sola volta a più di cinquecento persone. E si tratta di fratelli che in buona parte sono ancora vivi e che possono testimoniare a chiunque chieda loro ragione in merito. Ma non è ancora finita l’apparizione ai molti.
“7 In seguito apparve a Giacomo quindi agli apostoli tutti; 8 da ultimo poi fra tutti come a un aborto apparve anche a me.”
Da ultimo poi  Gesù è apparso a Paolo, un’anomalia ed una eccezione, come a un aborto, perché Paolo non può essere messo nel novero dei fratelli di Gesù. È stato suo nemico e persecutore e ha visto il Salvatore, non come il figlio che ormai maturo vede la luce, ma come un aborto, cioè come un non ancora nato, spinto anzitempo e con violenza verso la vita.
“9 Io infatti sono il più piccolo degli apostoli che non sono degno di essere chiamato apostolo, poiché perseguitai la chiesa di Dio;”
Se c’è consapevolezza in Paolo dell’importanza della sua elezione ad apostolo delle genti, c’è pari consapevolezza della propria indegnità e del proprio nulla davanti a Dio.
“10 per grazia di Dio però sono ciò che sono, e la sua grazia quella verso me non fu vana, ma più di loro tutti faticai, non io però ma la grazia di Dio quella con me.”
Se da persecutore di Cristo e nemico della sua Chiesa Paolo ha ricevuto  un posto preminente nell’annuncio del Vangelo, tutto ciò è solo per grazia di Dio. Unico suo vanto quello di non aver vanificato la grazia data dal cielo, ma di aver profuso tutto il proprio impegno più degli altri.
“11 Sia dunque io sia quelli, così annunciamo e così avete creduto.”
Nell’annuncio degli apostoli e di Paolo nessuna invenzione dell’uomo: ciò che è detto è conforme a verità : vi è una concorde testimonianza in chi porta il messaggio, vi è una concorde fede in chi tale messaggio ha accolto. Un solo annuncio, una sola fede, una sola Chiesa.
“12 Se ora Cristo è annunciato che dai morti è stato risuscitato, come dicono tra voi alcuni che risurrezione dei morti non c’è?”
La fede nella risurrezione dei morti del Cristo fa tutt’uno con la fede nella nostra resurrezione da morte.
Se l’annuncio di Cristo è annuncio del Cristo risuscitato da morte, allora non si può  dire che non c’è risurrezione dai morti.
“13 Se però risurrezione dei morti non c’è, neppure Cristo è stato risuscitato;”
Se si parte con l’asserire in assoluto che non c’è, perché non può esserci, resurrezione dei morti, allora si deve concludere di necessità logica che neppure Cristo è risuscitato.
“14 se però Cristo non è stato risuscitato, vuoto allora anche il nostro annuncio, è vuota anche la vostra fede;
15 siamo trovati anche falsi testimoni di Dio, poiché testimoniammo contro Dio che risuscitò il Cristo, che non risuscitò se veramente i morti non risorgono. 16 Se infatti i morti non risorgono, neppure Cristo è risorto;”
Se non c’è stata resurrezione del Cristo, l’annuncio degli apostoli è vuoto di qualsiasi importante significato, come è vuota la vostra fede. È un nulla la fede in un Dio morto. Non solo: gli apostoli devono essere giudicati come  falsi testimoni del Signore, perché testimoniano contro lo stesso Dio, non conforme a verità, che ha resuscitato il Cristo.  Tutto questo è chiaramente un assurdo e un controsenso se diamo per scontato in partenza che i morti non risorgono.
“17 se però Cristo non è risorto, inutile la fede vostra è, ancora siete nei vostri peccati,”
Se Cristo non è risorto, viene a cadere tutto il discorso della salvezza. Perché la resurrezione del Cristo è in funzione della nostra liberazione dal peccato. Non è fine a se stessa ma è per il nostro bene, perché già in questa vita possiamo conoscere un’altra vita che è servitù al Signore e non più schiavitù al Maligno.
“18 quindi anche gli addormentati in Cristo sono perduti.”
Ancor più in là dovremmo dire che non solo siamo perduti in questa vita, ma che anche coloro che muoiono nella fede in Cristo, sono perduti per sempre.
“19 Se in questa vita solo siamo aventi sperato in Cristo, più compassionevoli di tutti gli uomini siamo.”
Quale il senso della nostra speranza in Cristo? Se la speranza ha solo un significato terreno e riguarda il qui ed ora, siamo meritevoli di compassione più di tutti gli uomini. Cosa rimarrà di tale speranza allorché la morte tutto e tutti inghiottirà nel nulla?
“20 Ora invece Cristo è risorto dai morti primizia di quelli che si sono addormentati.”
Innanzitutto si deve considerare non semplicemente una diversità del Cristo in rapporto alla morte, ma una sua diversità in rapporto alla vita stessa. Cristo non è stato un uomo qualunque: è la primizia di coloro che si sono addormentati nel sonno della morte.
Se all’inizio è la vita in Cristo, il peccato di Adamo ci ha gettati fuori e lontano da Colui che è fondamento e fine della vita. Con il peccato la morte è entrata nel mondo. Ma non ancora la morte eterna, piuttosto un sonno anticipatore e prefiguratore della morte senza fine. Tra un sonno che è morte e la morte dello stesso sonno si è inserita l’opera di salvezza del Cristo, che assunta in sé la carne dell’uomo l’ha liberata dal potere della morte, facendo sua la nostra morte e facendo nostra la sua risurrezione. Cristo dunque è morto e risuscitato soltanto per la nostra salvezza. Chi muore in Lui e con Lui, in Lui e con Lui risusciterà per la vita eterna.
“21 Poiché infatti per mezzo di un uomo venne la morte, anche per mezzo di un uomo la risurrezione dei morti.”
Se la morte è venuta per mezzo del solo Adamo, la risurrezione verrà per mezzo di un solo uomo: non un uomo qualsiasi dell’ultima ora, ma la primizia dell’umanità tutta che è l’eterno Figlio di Dio. “ Perché in lui  sono state create tutte le cose nei cieli e sulla terra …e le cose tutte in lui sussistono”  (Col. 1,16-17 )
“22 Come infatti in Adamo tutti muoiono, così anche in Cristo tutti saranno vivificati.”
Come tutti gli uomini muoiono in Adamo, così anche avranno vita nuova in Cristo. Non c’è vita se non in Cristo e se già fin d’ora abbiamo una caparra della vita eterna, soltanto alla sua seconda venuta ci sarà data la vita nella sua pienezza, nel corpo, nell’anima, nello spirito.
“23 Ciascuno però nel proprio ordine: la primizia è Cristo, poi quelli di Cristo nella sua venuta,”
Non si entra nella gloria eterna se non in un ordine ben preciso che è dato dall’opera redentrice del Cristo. Dapprima Colui che è il redento e il redentore nello stesso tempo, il Cristo Figlio di Dio. Poi, quando questi verrà nella sua gloria per il giudizio universale, quelli che sono stati da lui salvati dalla corruzione di questo mondo.
“24 quindi la fine, quando consegnerà il regno a Dio e Padre, quando renderà inoperante ogni principato e ogni potestà e potenza.”
Prima l’ingresso  nella vita eterna degli eletti, che è liberazione ultima e definitiva dal potere delle tenebre, poi la resa dei conti finale con ogni potestà di questo mondo. Ogni principato, potestà e potenza che opera contro il Signore perderà qualsiasi potere. Non è detto che sarà ridotta al nulla la loro persona, ma che queste persone non avranno più alcun potere sul creato.
“25 Bisogna infatti che lui regni fino a che ponga tutti i nemici sotto i suoi piedi.”
Il regno di Dio avrà la sua massima espansione e non accetterà più nemici al suo interno. I demoni saranno messi sotto i piedi del Figlio di Dio, sconfitti in forma ultima e definitiva.
Continueranno ad esistere, ma soltanto schiacciati sotto il piede del Signore, dove sarà possibile soltanto il gemito e lamento,  nell’impotenza più assoluta.
“26 Ultimo nemico sarà resa inoperante la morte;”
Schiacciato per sempre il Demonio, reso inoperante l’autore della morte, non si avrà morte alcuna.
“27 tutte le cose infatti sottomise sotto i suoi piedi.”
Come all’inizio dei tempi, tutto è stato sottomesso al Figlio di Dio, così alla fine dei tempi tutto sarà di nuovo a Lui sottomesso.
“Quando però dice che tutte le cose sono sottomesse, chiaro è che è eccetto l’avente sottomesso a lui le cose tutte.”
Se ogni essere creato è sottomesso al Figlio già nella sua realtà essenziale, si deve escludere il Padre che tutto ha sottomesso al Figlio.
“28 Quando poi saranno sottomesse a lui le cose tutte, allora anche lo stesso Figlio sarà sottomesso all’avente sottomesso a lui le cose tutte, affinché sia Dio  tutto in tutti.”
Soltanto allorché tutte le cose saranno sottomesse al Figlio, apparirà a tutti chiara e manifesta la sottomissione al Padre dello stesso Figlio, perché la presenza in toto di Dio, come Padre, Figlio, Spirito Santo, sia in tutti.
Non c’è possesso di Dio Uno e Trino se non in virtù del Figlio, e non conosceremo Dio come il tutto in tutti, se non quando ci sarà la restaurazione finale di tutte le cose, dopo l’esaltazione dell’eterno Figlio, il Salvatore nostro. Perché il Padre esalta il Figlio suo? Unicamente per la sua obbedienza.
“29 Infatti cosa faranno i facenti sé immergere per i morti? Se affatto i morti non risorgono, perché anche vengono immersi per essi?”
Per quale ragione ci si fa immergere per i morti? Se i morti non risorgono a chi giova tale immersione?
“30 Perché anche noi corriamo pericolo ogni ora?”
Se anche noi che annunciamo  non crediamo nella risurrezione dai morti, perché mai ogni ora mettiamo in pericolo la nostra esistenza?
“31 Ogni giorno muoio,”
Affermazione forte dell’Apostolo. Ogni giorno Paolo si espone alla morte in maniera tale che la sua vita è un continuo morire.
“sì per il vostro vanto, fratelli , che ho in Cristo Gesù, il Signore nostro.”
Quale vantaggio personale ne ricava Paolo? Nessuno! Ma gli si deve riconoscere dai fratelli un vanto che lo mette al di sopra di ogni altro uomo: per dono del Signore, s’intende, in relazione alla salvezza altrui, senza presunzione alcuna!
“32 Se come uomo combattei con le belve in Efeso, qual è a me il vantaggio?”
Se Paolo in Efeso ha combattuto contro belve umane, quale vantaggio gli è venuto da ciò solo?
“Se i morti non risorgono, mangiamo e beviamo, domani infatti moriamo.”
Se partiamo dalla convinzione che i morti non risorgono, perché dovremmo esporci alla morte? Piuttosto mangiamo e beviamo senza porci alcun problema: domani infatti tutti moriremo. Tra la certezza del piacere in atto e la certezza della morte che verrà e viene, nulla s’interpone.
“33 Non fatevi ingannare: le conversazioni cattive corrompono i costumi buoni.”
Attenzione dunque a quel che si dice e con chi si dice. Conversazioni cattive, cioè fuori dalla Verità, finiscono per corrompere anche i buoni costumi già acquisiti. Non c’è operare dell’uomo che possa prescindere da un fine e dal fine che sta davanti agli occhi.
“34 Ritornate sobri giustamente e non peccate, infatti alcuni hanno ignoranza di Dio, per vergogna a voi lo dico.”
Levatevi di dosso l’ebbrezza che viene dalle parole del Maligno, profuse in abbondanza a tutti gli uomini da tutti gli uomini, rientrate nella giustizia del Cristo e non peccate.
Alla radice del peccato sta l’ignoranza di Dio: ignoranza della sua Parola, ignoranza della sua volontà. C’è una conoscenza che va coltivata, rinforzata, approfondita: l’economia della salvezza ha contenuti e significati ben precisi. Non si è salvi per la fede in nostre convinzioni, prodotto della nostra fantasia, ma seguendo la luce che è data dal cielo, ben sapendo per chi e per che cosa si vive.
“35 Ma dirà qualcuno: Come risorgono i morti? Con quale corpo poi vengono?”
Primo grosso interrogativo: Come risorgono i morti? Allorchè dei nostri corpi poco o nulla sarà rimasto, come avverrà la risurrezione? E con quale corpo?
“36 Stolto, tu ciò che semini, non è vivificato qualora non muoia;”
Se la vita eterna viene dalla morte, ciò che resta  con la morte è semplicemente un seme, un germe , di per sé informe: non il nulla, ma la semplice possibilità di un’altra vita o di un’altra morte: non più nel tempo, ma nell’eternità, in Cristo o fuori di Cristo, in comunione con gli angeli e i santi o con i demoni.
C’è seme e seme, all’apparenza sembrano simili, ma allorchè la vita nasce in loro e dà loro una forma, cosa rimane del primitivo seme? La sua semplice identità, ovvero la sua originale diversità per cui  da un seme sortirà non una pianta qualsiasi, ma quella che già all’origine è in unità indissolubile col suo seme. Cosa garantisce dunque la continuità tra questa nostra vita e quella eterna? Non la nostra forma materiale, ma il seme che rimane alla morte. Nel seme è l’idea che non muore, è l’io semplice, non  ancora legato ad una forma della materia, ma  già legato al suo Creatore, che svilupperà in esso e farà crescere da esso quella forma che è già eternamente stabilita.
“37 e ciò che semini, non il corpo che sarà semini, ma un nudo chicco, per esempio, di grano o di uno degli altri cereali; 38 ora Dio dà ad esso un corpo come volle, e a ciascuno dei semi il proprio corpo.”
Non c’è seme che non venga da una morte e non si conserva un seme se non per un’altra vita. I semi differiscono in quanto alla specie, ma anche in quanto alla loro individualità. Se la specie si può già intravedere prima ancora che sia germinata la vita, le caratteristiche individuali fanno tutt’uno con la vita che nasce e s’accresce. L’essere individuale, dunque, benché già caratterizzato dall’inizio come appartenente ad una specie e non ad un’altra, non si determina e non si sviluppa come individuo se non dopo una nascita e una crescita. Non in maniera indifferenziata e per moto spontaneo, ma conforme alla propria specie e conforme alla propria individualità, secondo eterne idee dettate dall’eterno Logos.
Finchè il discorso riguardo all’individuo rimane nel mondo vegetale, certo  può apparire semplice. Salendo nella scala degli esseri animali, tutto si fa più complesso.
“39 Non ogni carne è la stessa carne, ma altra certo è quella di uomini, altra invece la carne di animali, altra poi la carne di uccelli, altra poi di pesci.”
Vi è differenza fra vita vegetale e vita animale, fra un ipotetica e possibile coscienza vegetale e coscienza animale. L’uomo ha creato concetti tipo: varietà specie, famiglia, genere, per indicare la molteplice diversità e complessità degli esseri viventi.
Allorché si entra nel mondo animale si può parlare di carne in senso generico: Mentre vi è una pluralità di carni diverse raggruppabili per categorie diverse, allorché arriviamo a parlare dell’uomo certamente vi è un salto di qualità. Una fondamentale ed indiscutibile diversità che lo pone su di un piano incomparabile con quello di un qualsiasi animale. Non semplicemente per quel che riguarda la carne, ma ancor più ed ancor prima per quel che riguarda l’intelligenza. Mentre l’intelligenza degli animali è rivolta unicamente al creato, l’intelligenza dell’uomo è rivolta al Creatore: si può parlare nell’ un caso di semplice coscienza di sé in rapporto a ciò che è dato e trovato, riguardo all’uomo vi è innanzitutto una primordiale e fondamentale coscienza di sé in rapporto al Creatore. L’io animale è soltanto in rapporto al creato, l’io umano è innanzitutto in rapporto al Creatore.
Da lui creato è anche in lui fondato. In altre parole non c’è consapevolezza di un io se non in rapporto ad un tu. Noi abbiamo all’origine semplice coscienza di noi stessi come  io creato, fondato in un Creatore e a lui relazionato. Il tu dell’io, che dà coscienza di se stesso a se stesso, è il Creatore, mentre per l’animale il tu è semplicemente  il creato a  cui può relazionarsi.
L’intelligenza dell’uomo, in quanto consapevole del proprio fondamento e del proprio fine, è detta ragione. La ragione nulla può pensare di vero se non in rapporto a Colui che la fonda, l’alimenta e la sostiene,  che è il fine del suo stesso pensiero.
“40 E corpi celesti vi sono e corpi terrestri; ma altra invero la gloria dei celesti, altra invece quella dei terrestri.”
Se andiamo più in su nella scala degli esseri, oltre i corpi terrestri ci sono quelli celesti. Altra è la gloria che è data a ciò che appartiene alla terra, altra la gloria di ciò che sta in cielo. In quanto essere materiale e spirituale, creato dalla terra per essere innalzato in cielo, l’uomo porterà lo splendore del corpo materiale e lo splendore di quello spirituale.
“41 Altra la gloria del sole, e altra la gloria della luna e altra la gloria delle stelle: una stella infatti da un’altra stella differisce in gloria.”
Se c’è diversità tra corpo e corpo materiale e non c’è uomo del tutto uguale ad un altro uomo, c’è pure diversità tra corpi e corpi spirituali. Non tutti gli esseri celesti risplendono della stessa luce: così sarà anche dei nostri corpi spirituali. L’uomo porterà in uno sia la gloria del terrestre sia quella del celeste, ma in una diversità di splendore per quel che riguarda lo spirito e in una diversità di bellezza per quel che riguarda il corpo.
“42 Così anche la risurrezione dei morti. Si semina in corruzione, si risorge in incorruttibilità;”
Se viene seminato un corpo materiale corrotto, risorgerà un corpo incorruttibile, non soggetto cioè ad alcuna potenza demolitrice.
“43 si semina in disonore, si risorge in gloria;”
Si semina nel disonore del peccato di Adamo, si risorge nella gloria del Cristo Salvatore.
“si semina in debolezza, si risorge in forza;”
Si semina nella debolezza della carne e del sangue, si risorge nella potenza del Salvatore.
“44 si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale.”
Si semina un corpo che è semplicemente  animale, ed ecco risorge un corpo spirituale. Sparisce dunque il primo, per lasciare il posto all’altro? Non questo vuol dire Paolo. Se è fuori discussione la risurrezione del corpo e dell’anima, che ne sarà dello spirito, di quell’alito divino che è all’origine della vita? Risorgerà anche lui?
“Se c’è un corpo animale, c’è anche un corpo spirituale.”
Se ci è ben chiaro che esiste un corpo animale ( unità di anima e carne ), forse abbiamo dimenticato che abbiamo ricevuto anche un corpo spirituale? Cosa troviamo scritto in Genesi?
“45 Così anche è scritto: fu fatto il primo uomo Adamo in anima vivente, l’ultimo Adamo in spirito vivificante.”
La diversità tra il primo Adamo e l’ultimo è Adamo è la diversità tra un essere in anima vivente e un essere in spirito vivificante.
Discorso molto difficile, diversamente e malamente interpretato. Per comprendere dobbiamo innanzitutto tradurre alla lettera, quello che è esattamente scritto, e ritornare alla lettura di Genesi.
Formavit igitur Dominus Deus hominem de limo terrae et inspiravit in faciem eius spiraculum vitae et factus est homo in animam viventem. ( Gen. 1,7 )
“Formò pertanto il Signore Dio l’uomo dal fango della terra e ispirò nel suo volto uno spiraglio di vita, e fu fatto l’uomo in anima vivente”.
Cosa dobbiamo affermare che vi è contrapposizione netta, diversità ed alterità fra il primo Adamo “in anima vivente “ e l’ultimo “in spirito vivificante”? O non si deve considerare piuttosto che l’ultimo Adamo è la realizzazione del primo, non la sua semplice restaurazione in virtù della vittoria del Cristo sul peccato, ma la sua realizzazione ultima e definitiva ad opera dello stesso Cristo, che non solo risuscita l’uomo che è trovato all’inizio, ma ancor più porta a compimento il progetto divino ed eterno di una creatura chiamata ad una crescita  da “anima vivente” a “ spirito vivificante”.
E tutto questo non è comprensibile se noi non intendiamo l’uomo già all’origine formato da tre dimensioni diverse messe nell’uno dal Creatore, non in maniera indifferenziata ma differenziata. Dapprima è il fango formato  che sarà la carne dell’uomo, poi un  soffio dell’alito divino sul suo volto, insufflato sopra, in maniera che sia accolto e  recepito dentro come proveniente dal di fuori. La misura del soffio è limitata, quel tanto che basta perché Adamo prenda consapevolezza di un proprio io spirituale  fondato da e  relazionato a un Tu che è puro Spirito. Al corpo e allo spirito verrà poi associata un’ anima intelligente, non insufflata, ma creata dal nulla.
Con la creazione dell’anima l’uomo è essere completo. Soltanto l’anima più propriamente è creata dal nulla, mentre la carne viene dalla terra formata, e lo spirito dall’alito divino insufflato. 
“Non è prima il corpo spirituale ma quello animale, poi lo spirituale.”
Soltanto l’essere come corpo, cioè come un  insieme di parti necessariamente ed organicamente unite in funzione della vita può dirsi persona.
Il primo Adamo è definito da Paolo come essere animale. Questo significa che l’anima è la sua dimensione prevalente, unificante, intorno al quale ruota tutto il resto. L’anima creata ad immagine di Dio, non porta in sé Dio, ma è in vista del possesso di Dio. A tal scopo è relazionata con lo Spirito Santo, in virtù di un Suo soffio, che essa fa suo con un respiro più o meno largo, più o meno attingente, in ogni caso necessariamente dato per moto proprio.  Quel tanto che basta perché Dio possa farsi sentire direttamente dall’uomo e l’uomo possa attingere direttamente a Dio, come attraverso un canale, un’apertura,  (spiraculum – spiraglio) che può allargarsi e crescere più o meno a secondo della volontà dell’uomo e del dono di Dio.
Un’apertura totale di tale spiraglio segna il passaggio dell’uomo da anima vivente a spirito vivificante
Ma c’è un cammino da compiere, una libera crescita in cui è decisiva e determinante la volontà creata dell’uomo. Attingendo sempre più dal soffio divino, alimentandosi di esso in un crescente desiderio di pienezza, l’anima alla fine  sarà completamente riassorbita dallo Spirito al punto da diventare con Esso una sola realtà. In virtù di tale crescita e di una raggiunta maturità l’anima creata ad immagine di Dio,  colmata, riempita completamente dal suo Spirito, raggiungerà la piena figliolanza divina. “Sarete tutti dei e figli dell’Altissimo”. Una creatura non più semplice immagine di Dio, ma come Dio, inserita nella sua stessa realtà spirituale. Se nel primo Adamo, che è anima vivente, lo Spirito procede dall’esterno all’interno, come in un travaso, nel secondo Adamo che è spirito vivificante, lo Spirito, in virtù di una pienezza sovrabbondante e traboccante e di una fonte trovata in se stesso, innalzerà al Creatore un eterno inno di lode al suo Amore. Spirito vivificante è la creatura che possiede lo Spirito nella sua misura ultima e definitiva, oltre la quale non si può andare ma solo fare ritorno alla propria sorgente. La vita sgorga dal proprio essere in quanto radicata e fondata nell’interiorità dell’io. Tutto ciò che può essere prodotto dell’io, altro non è che prodotto dello stesso Dio. La volontà della creatura si è fusa in unità indissolubile con la volontà del Creatore, di modo che l’uno vuole ciò che vuole l’Altro e viceversa.
Nella dimensione ultima e definitiva l’anima non avrà più alcun ruolo che si possa mettere in conflitto con lo spirito: saranno una sola cosa: l’anima con lo spirito e lo spirito con l’anima. Come tutti abbiamo portato l’immagine del primo Adamo così tutti i redenti porteranno l’immagine del secondo Adamo che è Cristo. Il primo Adamo è in funzione del secondo. Se Adamo all’inizio è ad immagine di Dio, cioè simile al Figlio, non è ancora l’immagine di Dio, nella forma eternamente compiuta. Perché si realizzi questo  disegno eterno che lo vuole accanto al Cristo, primogenito dei molti fratelli, come Lui, in tutto identico a Lui, c’è bisogno di un cammino di crescita, fino alla statura dell’uomo perfetto che è considerato degno di vedere Dio: non semplicemente fuori di sé, ma dentro di sé, non con occhi  fatti dal nulla, ma donati in proprio,  non  quelli della creatura, ma quelli del Creatore. E quali sono questi occhi che vedono il Padre in sé e sé nel Padre se non quelli del Figlio? Se soltanto l’ultimo Adamo avrà gli occhi del Cristo, già fin dall’origine l’uomo vive cresce, si alimenta sotto gli occhi dell’eterno Figlio. Se il fine di un cammino è Cristo, già all’inizio è trovato lo stesso Cristo.
Diversamente l’uomo dovrebbe procedere da solo, senza guida, senza luce, senza appoggio: E quale assoluta garanzia può avere Adamo di raggiungere la statura dell’eterno Figlio,  se già fin dall’inizio non è posto in Lui e per Lui?
Con quale immagine è significato tutto ciò in Genesi? Con l’albero della vita che è collocato in Eden, non in un punto qualsiasi, ma al centro, in una posizione focale e determinante.
L’uomo creato da Dio dal nulla non è fondato nel nulla, ma nello stesso Creatore: più propriamente il Padre lo affida al Figlio, perché in Lui cresca, di Lui si nutra,  liberamente mangiando. Come vi è un cibo materiale che alimenta una vita materiale, così fin dall’origine è donato all’uomo un cibo spirituale che ha nome di Logos o Parola. Ci si nutre della Parola non semplicemente udendo la Parola ma ascoltandola, cioè ubbidendo a quello che ci comanda.
Il passaggio da conoscenza a conoscenza scandisce le fasi e i momenti di un processo di crescita, in virtù della quale l’Adamo bambino, che è anima vivente, raggiunge a poco a poco la piena maturità, allorchè è   fatto spirito vivificante. Non più una vita pervasa da un semplice soffio dell’alitare divino, ma una vita che porta in sé lo stesso alitare divino, quale procede dal Figlio, nel pieno possesso del Figlio. Il primitivo cammino in Eden, interrotto dalla colpa di Adamo è ripreso e perfezionato dal Cristo ,che lo rende nuovamente possibile nonostante il peccato, allorché fattosi carne, muore e risorge per donarci quella vita eterna che era già in un eterno progetto d’amore. Il Cristo che è alla fine della storia dell’uomo è lo stesso Cristo che è dato e trovato all’inizio. Non cambia la meta finale di un cammino di vita eterna: è cambiato semplicemente il piano in cui e su cui avviene questo cammino, che non è più quello dell’essenza, ma dell’esistenza: non semplicemente quello di un uomo che alla fine è fatto Dio, ma ancor prima quello di un Dio che si è fatto uomo, perché l’impossibile sia reso possibile dalla manifestazione estrema del Suo amore. E quale amore più grande di quello di un Dio che si fa creatura e offre la sua vita in un unico eterno sacrificio, che dato una volta per sempre ogni giorno è dato di nuovo, per tutto il tempo dell’uomo? Nella primitiva luce che è data al primo Adamo, perché non invano muova i suoi primi passi e perché non cada in qualche pietra d’inciampo, troviamo le ragioni dell’ultima luce che viene dal cielo.
Abbiamo detto che Adamo è creato bambino, ma solo perché diventi adulto, anima vivente, ma solo perché diventi spirito vivificante. Come avviene in pratica  questo finale cammino? In virtù di una creatura formata da più dimensioni, in cui l’anima occupa una posizione centrale e dominante: non chiusa in sé e per sé ma aperta, cioè relazionata e unita a due diverse realtà: da un lato lo Spirito creatore, da  cui può liberamente attingere una vita increata in maniera più o meno larga col proprio respiro, dall’altro un proprio corpo materiale da cui attinge una vita creata.
La relazione dell’anima con lo Spirito creatore e con la materia creata è così intima e stretta, legata in indissolubile unità che si può a ragione parlare dell’uomo come creatura formata da tre dimensioni : lo spirito, l’anima, la carne. L’uomo è fatto innanzitutto da un’anima associata allo spirito e alla carne: è un’anima vivente. Perché  innanzitutto l’anima? Perché è la dimensione che l’uomo avverte in sé come prioritaria, quella che più gli appartiene in proprio e gli è più propria come creatura, cioè come novità apparsa dal nulla.
Dal punto di vista cronologico l’anima è tuttavia preceduta dalla materia e dallo stesso spirito. Non può esistere di per sé se non in quanto legata, alimentata, nutrita, vivificata da un lato dalla carne, dall’altro dallo spirito. Diversamente, s’intende, perché altra è la carne  altro è lo spirito, ma tuttavia in maniera tale che non c’è anima senza carne e senza spirito.
È inconcepibile una resurrezione dai morti se non come resurrezione dell’uomo nella totalità del suo essere: anima, corpo, spirito.
Ma allora in quale dimensione l’uomo già dopo questa morte ha vita eterna? È esatto dire che l’anima non muore? O non si deve piuttosto dire che è il nostro spirito che dopo la morte entra nella beatitudine eterna? La carne ritornerà alla terra per essere plasmata di nuovo e l’anima nel pensiero divino, per essere rifatta senza macchia di peccato. E tutto questo avverrà alla resurrezione dei morti per gli eletti. In quanto ai dannati ben diversa la loro sorte. Il loro spirito, già “all’inferno” dopo la prima morte, sarà anch’esso riassociato ad una carne e ad un’anima,  ma  soltanto perché l’uomo nella sua compiutezza,  tocchi la compiutezza dell’abisso, il fondo più fondo, là dove il verme non muore e il fuoco non si spegne.
Se qualcuno può trovare  assurdo quanto da noi scritto, pensi quanto è assurda e terribilmente tragica la sorte di un’anima, ovvero di una psiche  ammalata, pazza tanto per intenderci, che ritrovi alla resurrezione dei morti la propria identità nell’essere uguale a quella già conosciuta. La coscienza di sé, o io semplice, non è data innanzitutto da un’anima associata ad uno spirito e ad una carne, ma da un’anima e da una carne associate ad uno spirito di per sé immutabile. La presenza di esso al divino e del divino in esso, può crescere o diminuire per libera scelta, o per dono celeste. Solo lo spirito è garanzia di una coscienza che permane identica a se stessa, consapevolezza di un io che sempre ci accompagna dalla nascita alla morte e sempre continuerà ad esistere per l’eternità. Diversamente associato ad una carne e ad un’anima, per la gloria eterna o per la dannazione eterna, ma già di per sé fondato nell’eternità, per il soffio dell’alito divino, da cui è stato “generato”.
La concezione dell’uomo come creatura bidimensionale, unità di anima e carne non è propriamente ebraica e biblica, ma greca.
Purtroppo alcuni padri della Chiesa, soprattutto Agostino, per certi aspetti, hanno letto le Scritture con la mentalità e lo spirito della filosofia greco platonica. Hanno colto certe somiglianze, non sempre hanno compreso la diversità. Mentre in Paolo è fin troppo chiara la distinzione fra spirito, anima, corpo, per Agostino la parola spirito è sinonimo di anima, o poco più.
Diversamente da Agostino, Origene,  innanzi tutti, e poi tra gli altri Gerolamo, considerano l’uomo come formato da tre dimensioni: spirito, anima, carne. La riduzione dell’uomo a semplice unità di anima e corpo rende incomprensibili ed inspiegabili molti passi della Scrittura. Non si può intendere la finale risurrezione dei morti e la vita eterna che è già data dopo la morte individuale, se non consideriamo l’uomo come formato da tre dimensioni. E tutto questo era fin troppo chiaro agli ebrei del tempo di Gesù. Tanto è vero che il discorso riguardo alla fede nella resurrezione dei morti faceva tutt’uno con quello riguardo allo spirito. Troviamo scritto in Atti che mentre i Sadducei non credevano né nello Spirito né nella resurrezione dei morti, i farisei, di cui Paolo faceva parte, credevano sia nella resurrezione dei morti sia nell’esistenza dello Spirito  (Atti 23,8 ). E non poteva essere diversamente perché si tratta di aspetti dello stesso problema. Se non c’è spirito cosa sopravvive alla morte della carne? L’anima? Ma non c’è anima se non in unità con un corpo materiale e non c’è corpo che alla propria morte non porti con sé la propria anima. L’anima è creata dal nulla e può anche morire: è fatta salva però la sua eterna idea che è in Dio. L’anima non ha occhi per vedere il Creatore, come può avere vita o dannazione eterna subito dopo la separazione dal corpo? Non esiste un essere come semplice anima, che possa vedere la gloria del Creatore, viceversa ci sono creature che stanno davanti a Dio come semplici spiriti. È lo spirito dell’uomo, l’io originario, che è semplice coscienza di sé in rapporto al Creatore che non può in alcun modo morire, ma soltanto passare da una vita all’altra, da una vita di possesso parziale di Dio ad una di pienezza totale, da un mancato e sbagliato rapporto con lo Spirito che l’ha originato, alla privazione assoluta di ogni Sua pienezza, come semplice coscienza di sé che non può morire una volta per sempre, ma deve continuamente morire di morte eterna.
“47 Il primo uomo dalla terra è argilloso il secondo uomo dal cielo. 48 Quale quello di terra, tali anche quelli di terra, e quale quello celeste, tali anche quelli celesti;”
Paolo vuol sottolineare una fondamentale diversità tra il primo uomo ed il secondo: alla resurrezione dei morti non avremo la semplice restaurazione del primo, senza peccato, ma molto di più la natura terrena sarà rivestita da quella celeste. La priorità dell’anima cederà il posto a quella dello spirito. Non più un’anima vivente semplicemente associata ad un alito divino, ma uno spirito vivificante, collocato e trovato al centro  dell’ essere creato: eterna presenza del Cristo, possesso della totalità dello Spirito Santo, garanzia di una conoscenza in Dio fondata, che non si allontana verso le creazione se non per riportarla al Creatore, in un eterno inno di lode. Non vedremo semplicemente Dio nelle cose, ma le cose con gli occhi di Dio, in una perenne e concorde compresenza degli occhi creati della carne, con quelli increati dello Spirito.
“49 e come portammo l’immagine di quello di terra, porteremo anche l’immagine di quello celeste.”
Qual è l’immagine portata dall’uomo? Quella dell’eterno Figlio di Dio. Ma vi è differenza tra il primo Adamo e l’ultimo Adamo. Il primo è creato dal nulla: e l’immagine del Figlio è impressa a somiglianza di, non garantisce la presenza eterna del Cristo, ma soltanto una fondata vocazione ad essere come il Cristo. Alla resurrezione dei morti  non saremo semplicemente portati al Padre dall’immagine del Figlio, ma porteremo noi stessi l’immagine del Figlio, e  in Cristo e per Cristo canteremo l’eterna lode all’unico Sommo Creatore.
Più di tanto non ci è dato comprendere e Paolo non può dire.
“50 Questa cosa ora dico, fratelli, che carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio né la corruzione eredita l’incorruttibilità. “
È la conclusione di un discorso difficile, che non può togliere il velo a ciò che è ancora mistero. Benchè la realtà finale sia ancora oscura per noi, perché non abbiamo intelligenza spirituale per comprendere, una cosa è certa: non sarà l’uomo carnale da noi trovato e lasciato in questa vita ad entrare nell’eternità.
Lo spirito vitale che scorre attraverso il sangue nella nostra carne, non possederà il regno dei cieli. Ciò che è nato dalla corruzione non può ereditare l’incorruttibilità. Saremo trasformati in spirito, anima, carne, nella totalità del nostro essere.
“51 Ecco un mistero a voi dico: tutti non ci addormenteremo nella morte, tutti saremo trasformati,”
In una complessa trama di misteri, difficilmente dispiegabile e in tutto non comprensibile, Paolo osa andare oltre col discorso.
Chi crede ha già vita eterna e  non tutti ci addormenteremo nella morte. Non ci sarà gusto della morte se non per chi non è nel novero degli eletti.
“Chi crede in me non gusterà morte in eterno”: è scritto nel Vangelo. Per coloro che non credono, per i morti,  nulla possiamo dire se non che saranno esclusi dalla comunione con Dio. Una cosa però è certa per tutti: salvati o dannati,  chi non conoscerà morte o chi si addormenterà nella prima morte, tutti saremo trasformati.
“52 in un istante, in un batter d’occhio, a l’ultima tromba: suonerà infatti e i morti risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati.”
Al suono dell’ultima tromba, dopo il quale nessun suono sarà più udito, risorgeranno i morti incorruttibili, cioè assumeranno lo stato ultimo e definitivo, non soggetto a corruzione, cioè a cambiamento alcuno. Risorgeranno sia gli eletti che hanno già vita eterna, sia i dannati che gustano la prima morte, e ci sarà una universale trasformazione.
“53 E’ necessario infatti che il corpo corruttibile questo rivesta l’incorruttibilità e questo corpo mortale che rivesta l’immortalità.”
Se vi è un corpo destinato alla corruzione dovrà essere rifatto incorruttibile, se vi è un corpo destinato alla morte dovrà rivestire l’immortalità.
“54 Quando poi  questo corpo corruttibile rivestirà l’incorruttibilità e  questo corpo mortale rivestirà l’immortalità, allora avverrà la parola quella scritta: Fu ingoiata la morte per la vittoria.”
Non si potrà dire che la morte è stata ingoiata e vinta per sempre in virtù del Cristo se non nella restaurazione finale di tutte le cose e della ricomposizione dell’uomo nell’unità di tutte le sue dimensioni.
“55 Dov’è o morte la tua vittoria? Dove o morte il tuo pungiglione?”
Quale vittoria ci sarà alla fine per la morte? Nessuna. Sarà messa sotto i piedi del Cristo, da lui schiacciata. Non ci sarà più alcuna morte , ma non sarà tolto lo stato di morte, per chi non ha accolto la vita: è lo stato del perdente e non del vincente, di chi è stato sconfitto per sempre e porterà per sempre l’umiliazione del vinto.
“56 Ora il pungiglione della morte è il peccato, poi la forza del peccato è la legge;”
Se il pungiglione attraverso il quale viene inoculato il veleno della morte è il peccato; non vi sarà più alcuna possibilità di peccato. Non vi sarà più alcuna legge di Dio da osservare, perché tutto avrà raggiunto il suo finale compimento. Non avranno più Legge da osservare gli eletti e ciò è garanzia di uno stato definitivo, senza ricaduta e  ritorno. E neppure i dannati, perché sarà tolta loro ogni possibilità di intraprendere di nuovo un cammino di rinascita in Cristo.
Nessun dover essere, ma soltanto il rimanere nello stesso essere: nell’eternità.
“57 ma grazia sia resa a Dio  che concede a noi la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo.”
Se non tutti potranno alla fine ringraziare il Signore, ogni ringraziamento è a noi dovuto a Dio, per la vittoria che ci concede in Cristo Gesù.
“58 Perciò, fratelli miei amati, saldi diventate, irremovibili, sovrabbondando nell’opera del Signore sempre, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.”
Chi è un rassegnato, quasi un predestinato alla perdizione, può anche vivere in ogni mollezza lasciandosi trasportare da ogni soffio di vento. Noi che siamo in Cristo, noi fratelli amati di Paolo, dobbiamo essere saldi ed irremovibili nella fede, sapendo che la nostra fatica nel Signore non è vana, ma avrà il suo finale coronamento in una gioia eterna.

cap13

                                                 Cap. 13
Qualora nelle lingue degli uomini parli e degli angeli, l’amore però non ho, sono un bronzo risuonante o cembalo strepitante. 2 E qualora abbia la profezia e conosca i misteri tutti e tutta la scienza e qualora abbia tutta la fede tanto da spostare montagne, l’amore però non abbia, nulla sono. 3 E qualora distribuisca in cibo tutte le mie sostanze e qualora consegni il mio corpo per essere bruciato, l’amore però non abbia, in nulla traggo vantaggio. 4 L’amore è paziente, è benevolo l’amore, non invidia, l’amore non si vanta, non si gonfia, 5 non si comporta sconvenientemente, non cerca le cose di sé, non si adira, non calcola il male, 6 non si rallegra per l’ingiustizia, si compiace invece della verità; 7 tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. 8 L’amore mai cade; sia invece le profezie, saranno abolite; sia le lingue cesseranno; sia la scienza sarà abolita. 9 In parte infatti conosciamo e in parte profetizziamo; 10 quando però venga la cosa perfetta, quella in parte sarà abolita. 11 Quando ero bambino, parlavo come un bambino, pensavo come un bambino, ragionavo come un bambino; quando sono diventato uomo, ho eliminato le cose che erano del bambino. 12 Vediamo infatti ora attraverso uno specchio in modo confuso, allora invece faccia a faccia; ora conosco in parte, allora invece conoscerò come anche fui conosciuto. 13 Ora poi resta la fede, la speranza, l’amore, le tre cose queste: più grande però di queste è l’amore.


                                                
“Qualora nelle lingue degli uomini parli e degli angeli, l’amore però non ho, sono un bronzo risuonante o cembalo strepitante. 2 E qualora abbia la profezia e conosca i misteri tutti e tutta la scienza e qualora abbia tutta la fede tanto da spostare montagne, l’amore però non abbia, nulla sono. 3 E qualora distribuisca in cibo tutte le mie sostanze e qualora consegni il mio corpo per essere bruciato, l’amore però non abbia, in nulla traggo vantaggio.”
In pochi versetti l’esaltazione massima dell’amore, fatta dall’Apostolo.
Quando si Parla di amore chi non tira in ballo le parole di Paolo? Quel che importa è amare. È il modo più semplice per mettere fine e troncare qualsiasi discussione che richieda una conoscenza ed un approfondimento della Parola di Dio. Chi ama può mettere la propria ignoranza al di sopra di qualsiasi sapienza. L’amore è la via d’uscita dalle tenebre della nostra vita. Tutto il resto al confronto è nulla e può anche essere rigettato. Parola di Paolo!
Un discorso di assoluta semplicità che fa tutt’uno con la semplicità dell’amore.
Ed è certamente vero. Ma una domanda preliminare s’impone: dove è e dove è trovato l’amore? Qual è la sua fonte, la sua scaturigine, il suo fine? Possiamo intendere l’amore come una delle tanti virtù, la più eccelsa di cui l’uomo è capace? Se dall’amore tutto è misurato chi è la misura dell’amore? Se l’amore tutto giudica, chi giudica l’amore? L’amore stesso?  Ma a questo punto un’ultima domanda chiarificatrice. Chi è l’amore che tutto giudica e che da nessuno è giudicato, che tutti giustifica e che non ha bisogno di giustificazione alcuna? Solo Dio è amore. L’uomo lo possiede come dono e non c’è dono che innanzitutto non rimandi a colui che dona. La umana possibilità d’amore è data soltanto in virtù di una grazia che è partecipazione al divino in ciò che gli è di più esclusivamente proprio.
Non possiamo porci il problema del nostro rapporto con l’amore se prima non ci chiediamo quale sia il nostro rapporto con Dio.
L’amore di cui parla Paolo non ha nulla a che vedere con l’amore così come l’intende l’uomo. Nessun riferimento al nostro sentire carnale e psicologico, ma esclusivamente a ciò che appartiene in proprio al solo ed unico Dio. Per distinguere l’amore umano detto  eros o filìa ( amicizia ) i Settanta hanno usato una parola abbastanza rara in greco, agàpe, conferendole un significato del tutto nuovo, estraneo alla cultura ellenistica. Se l’eros appartiene esclusivamente all’uomo, l’agàpe è esclusivo di Dio. La Volgata ha tradotto il termine agàpe, con caritas. Il significato nell’intento del traduttore vuol essere il medesimo.
L’amore è innanzitutto discensivo da Dio all’uomo e solo di riflesso ascensivo dall’uomo a Dio.
“Amerai il Signore Dio tuo con tutto… e amerai il prossimo come te stesso.”
L’amore che viene da Dio si rivolge in primo luogo a Dio e soltanto per riflesso per esuberanza di una pienezza si riversa sul prossimo, cioè su colui che è vicino. L’amore quindi non può mai essere indifferenziato né rispetto alla Sua fonte né rispetto al Suo fine. È fondato, in quanto ha la sua origine in Dio, è finale, in quanto riporta allo stesso Dio.
Se l’amore è dono di Dio non si può contrapporre ad ogni altro dono del cielo se non per assurdo, per una situazione ambigua e contradditoria del cuore dell’uomo che si appropria dei doni di Dio, senza rendere lode a Colui che ne è il dispensatore.
“Qualora nelle lingue degli uomini parli e degli angeli, l’amore però non ho, sono un bronzo risuonante o cembalo strepitante.”
È una condizione ipotetica dell’uomo, non verificata e non verificabile là dove il dono è accolto con rendimento di grazie, ma là dove il dono non riconosce apertura e lode al Signore. Se l’amore vero giudica e smaschera quello falso ed ingannevole prodotto dal Maligno, perché venuto da Dio riporta allo stesso Dio e conclude nell’inno di lode al Signore, l’amore vero è anche in grado di smascherare ogni falsità ed abuso rispetto al dono. Falsità perché ci sono doni che hanno la parvenza di Verità, mentre in realtà sono Menzogna, abuso, perché il dono, che non crea e non cementa l’unione tra colui che benefica e colui che è beneficato, si risolve alla fine in un male e in danno.
In quali doni divini si insinua più facilmente quella falsità che è giudicata e smascherata dall’amore, unico dono che il Satana non può falsificare in quanto gli è assolutamente estraneo e nemico? In primo luogo Paolo mette il dono delle lingue, cioè la capacità di parlare in maniera forte e convincente agli uomini, ma anche agli angeli che sono demoni, dai quali viene questa parola e a cui riporta.
“2 E qualora abbia la profezia e conosca i misteri tutti e tutta la scienza.”
Avere la profezia  è parlare in nome di Dio, conoscere i misteri è entrare nel profondo del divino, avere scienza dello stesso divino è conoscerlo in tutti i suoi aspetti meno reconditi.
Si dà la possibilità di tali doni senza amore? Sì, quando non vengono da Colui che è amore, ma dal Maligno, dalla sua potenza di contraffazione di tutto ciò che è operato dal Cristo.
Rinfacciare la mancanza di amore a chi porta i doni di Dio, altro non è che smascherare la falsità di tali doni, come provenienti dal Maligno, come opera di seduzione e di allontanamento dal Signore.
“e qualora abbia tutta la fede tanto da spostare montagne, l’amore però non abbia, nulla sono.”
Vi è anche una falsa fede che va ben oltre il semplice granello di senape, più grande , più potente ed appariscente nella sua capacità di spostare montagne, cioè un’esistenza che prima si presentava fissa, immobile, inamovibile per la sua intrinseca pesantezza.
Ci sono persone neoconvertite che dimostrano un grande zelo, che fanno oggi quello che ieri era impensabile. Sono in grado di suscitare meraviglia e stupore per il modo in cui credono, eppure anche in tutto questo si può nascondere l’opera del Satana.
“E qualora distribuisca in cibo tutte le mie sostanze e qualora consegni il mio corpo per essere bruciato, l’amore però non abbia, in nulla traggo vantaggio.”
Vi è anche la falsificazione ultima ed estrema dell’amore in riferimento al fine che gli è più strettamente proprio, come riconciliazione della creatura con il Creatore come adesione assoluta all’unica Verità. Ci sono uomini capaci di un amore eroico ed estremo nel loro donare tutto agli altri e nel loro spirito di sacrificio per la Verità.
Sono quelli più pericolosi per la nostra salvezza e quelli che fanno più male all’umanità. Fanno credere che si possano fare gesta d’amore e scelte di verità senza possedere, manifestare, annunciare Colui che è unicamente amore: Gesù il Salvatore. Nessun diavolo più pericoloso di quello che si manifesta sotto le sembianze dell’amore, privo di Colui che ne è il fondamento.
Ce n’é abbastanza per scoraggiarsi, se l’amore non mostrasse anche il suo aspetto più vero e più sincero. Il Satana può simulare l’amore, in conoscenza di lingue, misteri occulti, possesso di scienza delle cose divine, amore al prossimo e amore per la verità. Non può falsificare gli attributi più tipicamente esclusivi dell’amore.
“L’amore è paziente,”
L’amore vero che viene da Dio è innanzitutto paziente, sa aspettare, non mette le mani sull’altro senza il suo consenso. L’amore falso nel volere l’altro per sé è precipitoso, sottopone a forzature e a costrizione, non rispetta la libertà di chi gli è prossimo. O con me o contro di me.
“è benevolo l’amore,”
L’amore è benevolo, nel senso che vuole il bene dell’altro, non l’altro in funzione di sé ma sé in funzione dell’altro.
“non invidia,”
Non vuole per sé quello che è dato ad altri. È contento e pago di ciò che è dato dal Signore
“l’amore non si vanta,”
Non mette in evidenza se stesso con uso strumentale dei doni di Dio.
“non si gonfia,”
Non conosce arroganza e superbia, nulla conosce come proprio.
“5 non si comporta sconvenientemente,”
Si comporta in modo conveniente con tutti, per la loro salvezza.
“non cerca le cose di sé,”
Non ha  interesse  per sé, ma solo per le cose di Dio.
“non si adira,”
Non si lascia prendere dall’ira
“non calcola il male,”
Non incrimina per il male commesso: è propenso al perdono e a minimizzare le colpe degli altri.
“6 non si rallegra per l’ingiustizia,”
Non prova gioia per l’ingiustizia; non c’è ingiustizia che non lo rattristi.
“si compiace invece della verità;”
Gode della verità, in essa pone ogni suo compiacimento.
“7 tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.”
L’amore è ognuna di queste cose e tutte quante insieme. Copre l’errore col perdono, crede sempre nella misericordia divina, non perde mai la speranza, perché Dio può tutto in tutti. Sopporta ogni male ed ogni ingiustizia per recuperare l’altro al Signore.
“Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli ma l’amore non ho, sono un bronzo echeggiante, un cembalo sonoro.
Avessi pur la profezia, conoscessi i misteri tutti e tutta la scienza, possedessi una fede da trasportare le montagne, ma l’amore non ho, io sono un niente.
Distribuissi a bocconi i miei beni e il mio corpo dessi a bruciare, ma se l’amore non ho, niente mi giova.” ( 1 Cor.13,1-3 ).
E’ inizialmente qualcosa di molto semplice, ciò che qui viene detto, cioè che una vita ha senso e valore solo finchè in essa c’è amore, e che una vita non è niente, assolutamente niente, e non ha alcun senso e valore, se in essa non c’è amore.
Una vita ha tanto valore, quanto amore.
Tutto il resto non è niente, assolutamente niente, è del tutto indifferente, del tutto secondario; ogni bene e male, ogni grandezza e ogni meschinità è secondaria: solo su un punto siamo interpellati: se abbiamo amore…
Non è degna di essere vissuta, non lo è veramente in nessuna misura, quella vita che è senza amore, mentre dove è l’amore la vita è pienamente significativa…
Davanti all’amore tutto il resto diventa piccolo, tutto ciò che è apparentemente grande si annienta, va in rovina… Che cos’è una vita piena di disciplina, di onore, di gloria, di splendore, a confronto di una vita nell’amore? E certo questa domanda non si ferma qui, ma ha una straordinaria forza aggressiva e incalza. Che cosa è mai anche una vita piena di religiosità, di morale, di disciplina, di sacrificio e di rinuncia, se non è una vita nell’amore?
“Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli…” A che proposito? Evidentemente solo in rapporto a ciò che per me è sacro, importante e serio nella vita. A chi rivolto? Evidentemente a chi vorrei portare a comprendere queste cose, a chi vorrei guadagnare alla santa causa, supposto dunque che ci fosse dato anche il dono, unico nel suo genere, di dire, di compendiare in parole ciò che sentiamo e ciò che altri devono portare in sé silenziosamente; posto che così agissimo reciprocamente col massimo di franchezza e di dedizione, se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma l’amore non ho, sono un bronzo echeggiante, un cembalo sonoro. Questo è come un lampo paralizzante e distruttore, è la possibilità con cui non abbiamo fatto i conti, che anche le nostre più sante parole possano diventare dissacrate atee, volgari. E questo se ad esse manca il cuore, se esse sono senza amore.
E’ dunque possibile che la parola, data a noi uomini a causa della nostra più intima comunione, sia dissacrata, in quanto separata dall’amore, serva a se stessa, ami se stessa. Un bronzo echeggiante, un cembalo sonoro: una vuota eco, un vuoto chiacchierio, senza cuore, senza anima, questo possono diventare le nostre parole, questo sono le parole che ci scambiamo.
Questa è la prima cosa: l’uomo dalla parola seria, religiosa, sottoposto al giudizio dell’amore, diventa un bronzo echeggiante, un cembalo sonoro, un nulla; e forse l’uomo dalla lingua pesante, inceppata, come Mosè, o addirittura dalla bocca chiusa nel mutismo, lui può essere salvato dal medesimo amore; la parola senza amore è dunque il primo punto.
Più profonda della parola è la conoscenza, il sapere e i misteri del mondo di qua e di là, la dedizione e il raccoglimento del pensiero di Dio, dell’immersione nella profondità del presente e del passato, dell’illuminazione del futuro: anche questo non è una forma della vita religiosa, davanti a cui abbiamo  quasi  paura?
Quanto sacrificio e rinuncia pretende la verità, la conoscenza per essere raggiunta… E di nuovo si dice: “Se l’amore non ho , io sono un niente”. Conoscenza, sapere, verità senza amore è un niente, non è verità. Infatti verità è Dio e Dio è amore. “professate la verità, nella carità”, dice Paolo in un altro punto. Verità per se stessa, verità detta nell’inimicizia, nell’odio, non è verità, ma menzogna; infatti la verità pone davanti a Dio e Dio è amore. La verità è chiarezza dell’amore o non è niente.
Ma abbiamo ancora trascurato una piccola frase, che sta in mezzo; in questa frase è svelato davanti a noi un terribile mistero. “possedessi una fede da trasportare le montagne, ma l’amore non ho, io sono un niente” Possedessi una fede”: che cosa si dice con questo, quale corda della nostra interiorità è fatta vibrare? Il massimo della fede, della fiducia, della certezza di essere vicino a Dio e della vicinanza a Dio a noi, in tutte le preoccupazioni e le angosce della nostra vita, il massimo della fede in modo da non avere più timore del giorno che inizia, non è questo ciò che chiediamo quotidianamente? Ciò di cui vorremmo esser sazi, ciò secondo cui vorremmo comportarci fino alla nostra fine? Ed ora anche qui si infiltra la riserva: se non avessi l’amore, sarei un nulla. Che specie di mistero è un uomo che ha il massimo della fede, eppure non ama? Egli non ama Dio e il suo fratello: in quale oscuro abisso siamo costretti qui a gettare lo sguardo? Una fede, che nella radice più profonda è autoritaria ed egoista, che cerca se stessa, una fede senza Dio, che crede non per amore di Dio, ma per amore di sé?
Dio ci protegga da questo abisso, da tale idolatria che ci inganna facendoci credere di essere vicini a Te, mentre ne siamo lontani; o Dio, chi ci soccorrerà in questa miseria?
Ed ora non c’è più nessun appiglio – sarebbe sempre più tremendo e disperato; alla fede senza Dio, senza amore, si avvicina l’azione dell’amore, che pure è senza amore; l’opera, che in apparenza è simile all’amore, eppure Ti è totalmente estranea.
Distribuissi i miei beni ai poveri, rinunciassi e mi sacrificassi come solo l’amore è capace di fare, “se non ho l’amore”, ma tale sacrificio venisse dall’egoismo e dalla vanità del mio cuore, e tale sacrificio dovesse ingannare Dio e il prossimo e il mio cuore, niente mi giova.
E da ultimo che cosa può dare ancora l’uomo religioso, se non la sua stessa vita in sacrificio, in martirio a Dio, a Cristo? E se dessi a bruciare il mio corpo, se io stesso dimostrassi e suggellassi nella morte la mia serietà, la mia religiosità, se diventassi martire per la causa di Dio? O Dio, quale grazia poter morire per te!- Ma se non ho l’amore, niente mi giova. Se io mostrassi di amare Dio fino al sacrificio della morte, eppure non lo amassi, ma amassi solo me stesso e il mio zelo o sogno del martirio, anche sul martire sarebbe pronunciato il giudizio: l’amore lo farebbe precipitare nel nulla.
Chi comprende ancora questo? Chi è questo amore? Questo amore a Dio e agli uomini? Non è parola, non è conoscenza, non è fede, non è azione e sacrificio d’amore nel nostro significato. L’abbiamo noi? E’ già stato pronunciato anche su di noi il giudizio? Ora noi invochiamo l’amore, affinchè venga a noi da Dio stesso e ci salvi, e ci sottragga all’abisso dell’annullamento. O Dio di ogni amore, vieni nel nostro cuore sviato e salvaci per amore, attraverso l’amore. ( Bonhoeffer )
L’uomo ha e trova in se stesso una grande capacità e possibilità di simulazione dell’amore: ne possiede la forma, non il fondamento e la sostanza. Come distinguere il vero amore da quello falso ed ingannevole? Se l’amore dimora in quell’interiorità nascosta che è detto cuore, come riconoscerlo così com’è realmente?
Dalle sue opere, diremmo noi. Non c’è risposta più ovvia ed immediata.
Le opere manifestano esteriormente tutto ciò che cresce e si alimenta nella nostra interiorità. Per comprendere l’amore dunque dovremmo innanzitutto chiederci cos’è amore. Ma il paradosso sta proprio in questo: che la risposta è data proprio da tutto ciò che può essere sua falsificazione ed annullamento:
L’amore è  capacità di comunicazione, di scienza e di conoscenza, di fede, di donazione totale dei propri beni e della propria vita, per il prossimo e per un ideale: è tutto questo e nello stesso tempo non è trovato in tutto questo.
La domanda che cos’è l’amore è dunque sbagliata e fuorviante. Innanzitutto dobbiamo chiederci chi è amore? Vi è un amore che viene dall’uomo e vi è un amore che viene da Dio. Non possono stare insieme ed operare in sintonia l’uno con l’altro, ma soltanto l’uno contro l’altro, fino ad eliminazione dell’altro.
Il primo amore è detto egoismo ed è amor proprio o amore di se stessi, il secondo è detto agape ed è l’amore di Dio per noi e di conseguenza soltanto come semplice risposta l’amore nostro per Dio. Prima di considerare gli attributi dell’amore dobbiamo quindi chiederci a chi appartengono in proprio questi attributi? In altre Parole chi è amore, secondo verità e giustizia? Dove risiede l’amore? Chi è il suo fondamento ed il suo fine? Vi è una sola risposta possibile: l’amore è Dio: in maniera unica ed esclusiva, di modo che di nessun altro si può dire che è amore se non in Lui e per Lui, per suo dono e grazia.
Se dunque uno solo è l’amore, qualsiasi altro amore che si ponga di fronte a lui e non sottomesso a Lui è falsità ed inganno del maligno.
Soltanto il possesso dell’amore porta a tutto ciò che è operazione dell’amore. Cioè a tutte quelle azioni che a nostro giudizio sono la sua manifestazione più veritiera.
Ma in questa rincorsa all’amore può esserci un terribile equivoco ed un mortale inganno: quando l’amore pretende ad una propria autonomia da Colui che è il suo fondamento, imitandone l’operare, rifiutandone la sua fonte e la sua scaturigine.
Prima dunque di chiederci che cos’è l’amore, come si manifesta e si esprime, dobbiamo porci un’altra domanda.
Chi è l’amore? Se la conversione viene dalla luce, non può esserci luce se non riguardo ad un operare che viene fatto nelle tenebre. Allorchè una luce divina entra nelle tenebre della nostra vita, ecco ci è dato comprendere che in nessun altro è amore se non in Dio, così come ci è dato conoscere dal Figlio suo e sperimentare dal loro Spirito, quello Santo.
Se dunque solo Dio è amore, va rigettato qualsiasi altro amore che non operi in Lui e per Lui.
Se l’operare segue all’essere, la prima domanda della  vita, non può essere riguardo al suo operare, ma riguardo al suo essere, ovvero al suo fondamento ed al suo fine. Non si è in virtù di qualcosa, attraverso un atto di auto fondazione nella vita, ma in virtù di qualcuno,  cioè un atto di creazione che è fatto dall’uno per altri.
Se non c’è in noi questa consapevolezza che viviamo solo in Dio e per Dio, che non c’è dono che non venga dall’alto, che il fondamento della vita è anche il suo fine, che non vi è amore se non nell’unico amore, tutto si risolve nel più diabolico inganno.
Quello del sacrificio della propria vita che non si associa a quello di Cristo, per completare quello che manca ai patimenti della sua croce, ma quello che diviene l’alternativa, il sostituto, la propria opposizione all’unico eterno sacrificio gradito al Padre.
Liberaci o Signore da tutto ciò che è illusione d’amore, apri i nostri cuori a te che sei unico, vero amore.
“8 L’amore mai cade;”
L’amore non cadrà mai e non verrà mai meno: è attributo divino e non umano.
“sia invece le profezie, saranno abolite; sia le lingue cesseranno; sia la scienza sarà abolita.”
Profezie, lingue, scienza saranno abolite. Svolgono una funzione temporanea in vista di un recupero della creatura all’amore del Creatore. Allorchè l’amore di Dio sarà tutto in tutti, verrà meno ogni dono che prepara ed introduce nella salvezza.
“9 In parte infatti conosciamo e in parte profetizziamo; 10 quando però venga la cosa perfetta, quella in parte sarà abolita.”
Conoscenza e profezia sono sempre parziali, date in  questo o quel tempo, in relazione a  questo o a quell’uomo. Quando sarà adempiuto pienamente il divino progetto d’amore, sarà abolito tutto ciò che vi ha concorso: realizzata un’opera gli strumenti usati non avranno più valore.
“11 Quando ero bambino, parlavo come un bambino, pensavo come un bambino, ragionavo come un bambino; quando sono diventato uomo, ho eliminato le cose che erano del bambino.”
I doni di Dio sono in vista di una crescita e di una maturazione di un uomo che è trovato all’inizio bambino, svolgono semplicemente una funzione che è quella di farci uomini maturi in Cristo. Allorchè la maturità è raggiunta, vengono dismesse le cose che erano del bambino, per il bambino.
“12 Vediamo infatti ora attraverso uno specchio in modo confuso, allora invece faccia a faccia;”
Ora vediamo come in uno specchio ed abbiamo bisogno di aiuti correttivi, allora invece vedremo faccia a faccia ed ogni rinforzo per arrivare alla piena visione di Dio sarà inutile.
“ora conosco in parte, allora invece conoscerò come anche fui conosciuto.”
Una conoscenza parziale di Dio ha bisogno di essere confortata e surrogata da altre conoscenze donate. Quando conosceremo Dio com’è veramente, vedremo noi in Lui e Lui in noi, per partecipazione e non per semplice rivelazione.
“13 Ora poi resta la fede, la speranza, l’amore, le tre cose queste: più grande però di queste è l’amore.”
Fin che siamo in questa vita cosa rimane di più essenziale per la salvezza? In successione temporale: fede, speranza, amore. Dal punto di vista del valore, la cosa più grande è l’amore: caparra nel tempo della vita eterna, sicuro possesso di Dio nell’eternità.

 

cap14

                                    Cap. 14
Perseguite l’amore, ambite poi alle cose spirituali, soprattutto però che profetizziate. 2 infatti il parlante in lingua non agli uomini parla, ma a Dio; nessuno infatti intende, in spirito però parla misteri; 3 invece il profetizzante agli uomini parla ad edificazione ed esortazione e consolazione. 4 Il parlante in lingua edifica se stesso; invece il profetizzante edifica l’assemblea. 5 Ora voglio fratelli che tutti voi parliate in lingue, soprattutto però che profetizziate; più grande è poi il profetizzante che il parlante in lingue a meno che  egli non interpreti, affinché l’assemblea edificazione riceva. 6 Ora poi, fratelli, qualora venga da voi parlando in lingue, che cosa a voi gioverò se non a voi parlassi o in rivelazione o in scienza o in profezia o in insegnamento? 7 Similmente le cose inanimate emettenti suoni sia flauto sia cetra , qualora distinzione ai suoni non dia, come si  riconoscerà quello suonato da flauto o quello suonato dalla cetra? E infatti se un incerto suono la tromba dà, chi si preparerà alla guerra? 9 Così anche voi attraverso la lingua qualora non chiaro diate il discorso, come si riconoscerà la cosa detta? Sarete infatti parlanti all’aria. 10 Tante, per esempio, varietà di voci vi sono nel mondo e nulla è senza voce; 11 se dunque non conosco il significato della voce, sarò per il parlante straniero e il parlante a me straniero. 12 Così anche voi, poiché siete zelatori di spiriti, per l’edificazione dell’assemblea cercate affinché ne abbiate in abbondanza. 13 Perciò il parlante in lingua preghi affinché qualcuno interpreti. 14 Qualora infatti io preghi in lingua, il mio spirito prega, la mia intelligenza è senza frutto. 15 Cosa dunque c’è da fare? Pregherò con lo spirito, pregherò però anche con l’intelligenza; salmeggerò con lo spirito, salmeggerò però anche con la intelligenza. 16 Poiché se tu benedici in spirito, l’occupante il posto del comune fedele come dirà l’amen sul tuo rendimento di grazie? Poiché cosa dici non sa; 17 tu invero infatti bene rendi grazie ma l’altro non è edificato. 18 Rendo grazie a Dio, che di tutti voi di più in lingue parlo; 19 ma in assemblea voglio dire cinque parole con la mia intelligenza, affinché anche altri istruisca, che diecimila parole in lingua. 20 Fratelli, non siate bambini nei giudizi ma nella malizia siate bambini, nei giudizi invece siate adulti. 21 Nella legge è scritto: Con altre lingue parlanti e con labbra di stranieri parlerò al popolo questo e neppure così ascolteranno me, dice il Signore. 22 Pertanto le lingue sono segno non per i credenti ma per i non credenti, invece la profezia non per i non credenti ma per i credenti. 23 Qualora dunque si raduni l’assemblea intera nello stesso luogo e tutti parlino in lingue, entrino poi comuni fedeli o non credenti, non diranno che siete ammattiti? 24 Qualora invece tutti profetizzino, entri poi qualcuno non credente o comune fedele, è convinto del suo errore da tutti, è giudicato da tutti, 25 le cose nascoste del suo cuore diventano manifeste, e così caduto sulla faccia adorerà Dio proclamando: Veramente Dio è fra voi. 26 Cosa dunque c’è da fare fratelli? Quando vi radunate, ciascuno ha un salmo, ha un insegnamento, ha una rivelazione, ha un discorso in lingua, ha un’interpretazione: tutto per edificazione avvenga. 27 Sia che qualcuno in lingua parli, in due o al più tre e per ordine parlino, e uno interpreti; 28 qualora però non ci sia un interprete, taccia in assemblea, a se stesso invece parli e a Dio. 29 I profeti poi due o tre parlino e gli altri giudichino; 30 qualora poi a un altro sia rivelato sedente, il primo taccia. 31 Potete infatti uno ad uno tutti profetizzare, affinché tutti imparino e tutti siano esortati. 32 E gli spiriti dei profeti ai profeti sono sottomessi; non è infatti Dio di disordine ma di pace. Come in tutte le assemblee dei santi 34 le donne nelle assemblee tacciano; infatti non è permesso ad esse di parlare, ma siano sottomesse, come anche la legge dice.35 Se poi qualcosa vogliono imparare, a casa interroghino i propri mariti; vergognoso infatti è per una donna parlare in assemblea. 36 Oppure la parola di Dio da voi uscì, oppure a voi soli giunse? 37 Se qualcuno crede di essere profeta o spirituale, riconosca le cose che scrivo a voi che sono comando del Signore. 38 Se invece qualcuno non lo riconosce, non è riconosciuto. 39 Dunque fratelli miei, ambite il profetizzare e non impedite il parlare in lingue; 40 tutte le cose però decorosamente e con ordine avvengano.

 

                               
“Perseguite l’amore, ambite poi alle cose spirituali, soprattutto però che profetizziate.”
Prima cosa che deve starci a cuore è l’amore; bisogna poi ambire a tutto ciò che è spirituale, innanzitutto la profezia.
“2 infatti il parlante in lingua non agli uomini parla, ma a Dio; nessuno infatti intende, in spirito però parla misteri; 3 invece il profetizzante agli uomini parla ad edificazione ed esortazione e consolazione.”
Chi parla in lingue parla a Dio, ma non parla agli uomini, perchè nessuno è in grado di intendere; parla in spirito ma ciò che dice è un mistero.
“4 Il parlante in lingua edifica se stesso; invece il profetizzante edifica l’assemblea.”
Chi parla nelle lingue lo fa solo per propria edificazione; chi profetizza invece edifica tutti coloro che ascoltano.
“5 Ora voglio fratelli che tutti voi parliate in lingue, soprattutto però che profetizziate; più grande è poi il profetizzante che il parlante in lingue a meno che  egli non interpreti, affinché l’assemblea edificazione riceva.”
Desiderio di Paolo è che tutti parlino in lingue: è cosa buona e dono del Signore per edificazione del singolo. Molto meglio però se è diffuso fra tutti il dono della profezia. È da tenere in maggior considerazione colui che profetizza rispetto a colui che parla in lingue, a meno che sappia interpretare ciò che dice per l’edificazione di tutti.
“6 Ora poi, fratelli, qualora venga da voi parlando in lingue, che cosa a voi gioverò se non a voi parlassi o in rivelazione o in scienza o in profezia o in insegnamento?”
Quando si parla lo si fa per essere compresi, diversamente cosa giova il parlare? Paolo  dà importanza relativa al dono delle lingue. È per l’edificazione del singolo, come rendimento di lode al Signore, non alimenta e non fa crescere la comunità. L’Apostolo preferisce parlare in rivelazione, cioè annunciare le cose che gli sono state dette da Dio, oppure in scienza, mettendo cioè a conoscenza di tutti il suo sapere nelle cose riguardanti il divino, o in profezia, cioè parlando in nome di Dio o in insegnamento cioè proclamando la Parola che edifica ed istruisce come quella di un maestro nello spirito.
“7 Similmente le cose inanimate emettenti suoni sia flauto sia cetra , qualora distinzione ai suoni non dia, come si  riconoscerà quello suonato da flauto o quello suonato dalla cetra? E infatti se un incerto suono la tromba dà, chi si preparerà alla guerra? 9 Così anche voi attraverso la lingua qualora non chiaro diate il discorso, come si riconoscerà la cosa detta? Sarete infatti parlanti all’aria. 10 Tante, per esempio, varietà di voci vi sono nel mondo e nulla è senza voce; 11 se dunque non conosco il significato della voce, sarò per il parlante straniero e il parlante a me straniero. 12 Così anche voi, poiché siete zelatori di spiriti, per l’edificazione dell’assemblea cercate affinché ne abbiate in abbondanza.”
Dal tono del discorso sembra che la chiesa di Corinto dia particolare importanza al dono delle lingue. Paolo smonta l’attaccamento a tale dono.
Deve essere tenuto in considerazione ciò che è per l’edificazione di tutti.  Se già  sul piano materiale, suoni di per sé indistinti o poco chiari non sono di utilità alcuna, quanto più ciò che ha valore spirituale. Cercate di avere in abbondanza i doni che interessano la crescita della chiesa tutta.
“13 Perciò il parlante in lingua preghi affinché qualcuno interpreti.”
Chi parla in lingua preghi il Signore perché vi sia qualcuno in grado di interpretare e di rendere a tutti comprensibile ciò che è detto.
“14 Qualora infatti io preghi in lingua, il mio spirito prega, la mia intelligenza è senza frutto.”
Riguardo alla stessa preghiera, quella fatta in lingua è moto spontaneo dello Spirito, nulla dice all’intelligenza, che rimane senza frutto. Uno spirito che parla in dissociazione con l’intelligenza non nutre e non fa crescere.
“15 Cosa dunque c’è da fare? Pregherò con lo spirito, pregherò però anche con l’intelligenza; salmeggerò con lo spirito, salmeggerò però anche con la intelligenza. 16 Poiché se tu benedici in spirito, l’occupante il posto del comune fedele come dirà l’amen sul tuo rendimento di grazie? Poiché cosa dici non sa; 17 tu invero infatti bene rendi grazie ma l’altro non è edificato.”
Buona cosa è pregare con lo Spirito, ma allo spirito si deve accompagnare l’intelligenza. Se non c’è intelligenza dello spirito, a cosa ci serve? Si può ben dare l’assenso con l’amen a quanto detto in spirito, ma se non si comprende non si è edificati. Lo spirito eccede sempre la nostra intelligenza, ma non può essere realtà a se stante che non fa crescere  la nostra anima. Ci troveremmo
di fronte ad una dissociazione in noi della stessa grazia divina, che opera sullo spirito senza operare sull’anima. Nella realtà spirituale, che è tipica del demonio, ci possono essere fenomeni di trasporto e di lingue incomprensibili. Ma nel regno di Dio, che è regno di luce e non di tenebre, niente può operare in occulto senza essere manifesto all’intelligenza dei redenti.
“18 Rendo grazie a Dio, che di tutti voi di più in lingue parlo; 19 ma in assemblea voglio dire cinque parole con la mia intelligenza, affinché anche altri istruisca, che diecimila parole in lingua.”
Paolo che possiede il dono delle lingue al massimo grado, non fa sfoggio di esso durante l’assemblea. Preferisce dire poche parole semplici con la propria intelligenza, per istruire anche gli altri, piuttosto che parlare in lungo ed in largo con le lingue, senza essere capito.
“20 Fratelli, non siate bambini nei giudizi ma nella malizia siate bambini, nei giudizi invece siate adulti.”
Parlare in lingue di cui non si comprende il significato non è di per sé indice di raggiunta maturità: è tipico dell’età infantile. Buona cosa essere bambini nella malizia, ma in quanto alla capacità di discernimento e di giudizio meglio essere persone adulte e mature.
“21 Nella legge è scritto: Con altre lingue parlanti e con labbra di stranieri parlerò al popolo questo e neppure così ascolteranno me, dice il Signore.”
Paolo ricorda che nella Scrittura le lingue appaiono date ai cuori increduli, perché siano confermati nella loro durezza. Sono per lo più un segno di riprovazione e non di elezione.
“22 Pertanto le lingue sono segno non per i credenti ma per i non credenti, invece la profezia non per i non credenti ma per i credenti.”
Le lingue sono segno per coloro che non credono; a quelli che credono Dio parla per bocca dei profeti, che fanno da ponte tra la parola divina e quella umana.
“23 Qualora dunque si raduni l’assemblea intera nello stesso luogo e tutti parlino in lingue, entrino poi comuni fedeli o non credenti, non diranno che siete ammattiti? 24 Qualora invece tutti profetizzino, entri poi qualcuno non credente o comune fedele, è convinto del suo errore da tutti, è giudicato da tutti, 25 le cose nascoste del suo cuore diventano manifeste, e così caduto sulla faccia adorerà Dio proclamando: Veramente Dio è fra voi.”
Una comunità dove tutti parlano in lingue non può avere alcuna espansione verso coloro che ancora non credono. Più che comunità di illuminati si presenta a quelli che sono di fuori o parzialmente dentro come una comunità di matti. Dove va a finire la vocazione missionaria della chiesa, il suo potere di illuminare quelli che vivono nelle tenebre e di convertire quelli che sono nell’errore? Chi potrà adorare Dio e riconoscere la sua onnipotente presenza in una chiesa che dice parole incomprensibili?
“26 Cosa dunque c’è da fare fratelli? Quando vi radunate, ciascuno ha un salmo, ha un insegnamento, ha una rivelazione, ha un discorso in lingua, ha un’interpretazione: tutto per edificazione avvenga.”
Come ci si deve dunque comportare nell’assemblea? Se ci sono doni diversi e ognuno ha qualcosa di proprio da dire, si proceda in maniera ordinata, tenendo conto che è prioritaria la comune edificazione.
“27 Sia che qualcuno in lingua parli, in due o al più tre e per ordine parlino, e uno interpreti; 28 qualora però non ci sia un interprete, taccia in assemblea, a se stesso invece parli e a Dio.”
Se c’è da parlare in lingua, ci deve essere qualcuno che interpreti: non è inoltre opportuno che si vada per le lunghe, parlino due o tre al massimo in ordine.
“29 I profeti poi due o tre parlino e gli altri giudichino; 30 qualora poi a un altro sia rivelato sedente, il primo taccia.”
Anche per quel che riguarda i profeti non bisogna tirare in ballo tante cose e tante persone. Parlino due o tre e gli altri giudichino e facciano da verifica. Se poi uno sedente ha urgenza di parlare taccia chi ha la parola.
“31 Potete infatti uno ad uno tutti profetizzare, affinché tutti imparino e tutti siano esortati.”
A tutti è permesso profetizzare, ma in ordine, uno ad uno, per l’edificazione e l’esortazione di tutti.
“32 E gli spiriti dei profeti ai profeti sono sottomessi; non è infatti Dio di disordine ma di pace.”
Chi ha lo spirito di profezia accetti il confronto e la sottomissione a chi ha lo stesso dono. Il nostro Dio non è un Dio di confusione e di divisione ma di pace.
“Come in tutte le assemblee dei santi 34 le donne nelle assemblee tacciano; infatti non è permesso ad esse di parlare, ma siano sottomesse, come anche la legge dice.”
Come è consuetudine nelle assemblee dei santi le donne tacciano: siano sottomesse come dice la stessa legge di Dio.
“35 Se poi qualcosa vogliono imparare, a casa interroghino i propri mariti; vergognoso infatti è per una donna parlare in assemblea.”
Le donne che vogliono imparare interroghino a casa i loro mariti: è una vergogna per una donna parlare in assemblea.
Così era consuetudine nella chiesa primitiva, non sempre ciò accade nella chiesa dei nostri tempi. Non c’è motivo di discussione al riguardo. Certe consuetudini e norme non hanno valore assoluto, sono relative a tempi e situazioni particolari. Vero è che la chiesa non è edificata dalle donne che vogliono prevaricare rispetto all’uomo e non conoscono quella sottomissione in amore e verità che è grazia e dono del cielo. Il femminismo non appartiene allo spirito della Chiesa, che vuole ogni membra del corpo al proprio posto, per l’edificazione di tutti.
“36 Oppure la parola di Dio da voi uscì, oppure a voi soli giunse?”
La parola di Dio non è uscita da una sola comunità, e non è giunta ad una sola comunità. Ciò che è detto agli uni e agli altri è detto per tutti.
“37 Se qualcuno crede di essere profeta o spirituale, riconosca le cose che scrivo a voi che sono comando del Signore.”
Se qualcuno crede di essere un profeta ed un uomo spirituale, deve riconoscere che Paolo non dice cose proprie, frutto di un rapporto personale con il Signore. Non scrive secondo l’opinione che viene dall’uomo, ma richiama a tutti il comando che viene dal Signore.
“38 Se invece qualcuno non lo riconosce, non è riconosciuto.”
Se qualcuno non riconosce il comando del Signore, non è da Lui conosciuto: è un estraneo, non può far parte del corpo della Chiesa.
“39 Dunque fratelli miei, ambite il profetizzare e non impedite il parlare in lingue; 40 tutte le cose però decorosamente e con ordine avvengano.”
Come concludere un discorso?  Si deve ambire allo spirito di profezia, senza impedire il parlare in lingua. Tutte le cose però siano fatte con decoro ed in maniera ordinata.

cap12

                                                  Cap. 12
Riguardo poi le cose spirituali, fratelli, non voglio che voi ignoriate. 2 Sapete che quando eravate pagani verso gli idoli senza voce ogni volta eravate condotti essendo trascinati. 3 Perciò dichiaro a voi che nessuno parlando nello Spirito di Dio dice: Anatema è Gesù, e nessuno può dire: Signore è Gesù, se non nello Spirito Santo. 4 Ci sono poi divisioni di carismi , però è lo stesso Spirito; 5 e divisioni di ministeri, e lo stesso Signore; 6 e divisioni di operazioni ci sono, però lo stesso Dio operante le cose tutte in tutti. 7 A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito per l’utile. 8 A uno infatti per mezzo dello Spirito è dato il linguaggio di sapienza, a un altro invece il linguaggio di scienza secondo lo stesso Spirito, 9 a un altro la fede nello stesso Spirito, ad un altro invece carismi di guarigione nell’unico Spirito, 10 a un altro poi opere di potenza, a un altro invece la profezia, a un altro poi discernimenti di spiriti, a un altro la varietà di lingue, a un altro invece l’interpretazione delle lingue; tutte però queste cose opera l’unico e lo stesso Spirito distribuendo particolarmente a ciascuno come vuole. 12 Come infatti il corpo è uno e ha molte membra, tutte però le membra del corpo molte essenti un solo corpo sono, così anche il Cristo. 13 e infatti in un solo Spirito noi tutti in un solo corpo fummo immersi, sia giudei sia Greci sia schiavi sia liberi, e tutti in un solo Spirito ci abbeverammo. 14 E infatti il corpo  non è un solo membro ma molte. 15 Qualora il piede dica: Poiché non sono una mano, non sono dal corpo, non per questo non è dal corpo? 16 E qualora dica l’orecchio: Poiché non sono occhio, non sono dal corpo, non per questo non è dal corpo? 17 Se intero il corpo fosse occhio, dove l’udito? Se intero udito, dove l’odorato? 18 Ora invece Dio dispose le membra , ciascuna di esse, nel corpo come volle. 19 Se però le membra tutte un solo membro, dove il corpo? 20 Ora invece certo vi sono molte membra, però un solo corpo. 21 Non può poi l’occhio dire alla mano: Bisogno di te non ho, o ancora la testa ai piedi: Bisogno di voi non ho; 22 ma molto più le sembranti membra del corpo essere più deboli sono necessarie, 23 e quelle che pensiamo essere del corpo  più disonorevoli queste di maggiore onore circondiamo, e le membra nostre indecorose  hanno maggiore decoro, 24 invece le nostre decorose non ne hanno bisogno. Ma Dio compose il corpo dando onore maggiore alla parte mancante, 25 affinché non vi sia separazione nel corpo, ma allo stesso modo le membra le une si preoccupino delle altre. 26 E sia che soffra un solo membro, soffrono insieme tutte le membra; sia che sia onorato un solo membro, gioiscono insieme tutte le membra. 27 Voi ora siete corpo di Cristo e sue membra ognuno per la sua parte. 28 E coloro che pose Dio nell’assemblea innanzitutto pose come apostoli, in secondo luogo profeti, in terzo luogo maestri, poi poteri miracolosi, poi carismi di guarigioni, di assistenza, di governo, varietà di lingue. 29 Forse tutti sono apostoli? Forse tutti profeti? Forse tutti maestri? Forse tutti hanno poteri miracolosi? 30 Forse tutti hanno carismi di guarigioni? Forse tutti in lingue parlano? Forse tutti le interpretano? 31 Ambite però ai carismi più grandi. E anche mostro a voi la via per eccellenza.

 


“Riguardo poi le cose spirituali, fratelli, non voglio che voi ignoriate.”
Entrando nella realtà multiforme e complessa delle cose spirituali Paolo vuole che i cristiani abbiano un giusto criterio di discernimento. Non bisogna avere idee sbagliate riguardo a certe manifestazioni dello Spirito che possono essere diversamente intese.
“2 Sapete che quando eravate pagani verso gli idoli senza voce ogni volta eravate condotti essendo trascinati.”
Un confronto si deve innanzitutto fare con l’esperienza passata di pagani e quella presente di cristiani. Vi è una potenza diabolica che conduce verso gli idoli quasi per trascinamento. Una forza che vede l’uomo impotente incapace sia di discernimento sia di porre resistenza.
“3 Perciò dichiaro a voi che nessuno parlando nello Spirito di Dio dice: Anatema è Gesù, e nessuno può dire: Signore è Gesù, se non nello Spirito Santo.”
In Cristo le cose stanno diversamente: quella potenza che da Lui viene e ha nome di Spirito Santo è spirito di discernimento che,  allorchè si esprime, altri non può esaltare e glorificare se non il solo Gesù Salvatore.
Se non si possono  distinguere gli spiriti che portano verso gli idoli muti in rapporto agli stessi idoli che di per sé sono un nulla,  per quel che riguarda lo Spirito Santo vi è un sicuro indizio di autenticità. Lo Spirito Santo non può contraddire se stesso in quello che dice: non può maledire Gesù e nello stesso tempo dargli lode come Dio. Qualsiasi cosa dica lo Spirito è solo per esaltare l’unico Cristo e l’unico Salvatore.
Quando una persona parla sotto l’influsso dello Spirito quello che dice deve essere pienamente concorde in sé ed esprimere una indivisibile ed inattaccabile coerente unità.
Esaminiamo una persona che parli sotto l’influsso di uno spirito, almeno così è in apparenza e così si ritiene per il modo in cui è trascinata. Se anche lo Spirito santo fosse semplice potenza diabolica di trascinamento verso questo o quell’idolo, potrebbe dire tutto e il contrario di tutto, benedire e maledire un idolo nello stesso tempo.
Ma si può ammettere che lo Spirito santo dia lode e maledizione al Cristo nello stesso tempo? Qualora si verificasse una simile eventualità non dobbiamo noi rigettare questo spirito come demoniaco?
Donde dunque si distingue lo spirito che viene da Dio da quello che viene dal demonio? Non per le sue manifestazioni esteriori, dalle quali una persona appare visibilmente agita e spinta da un potenza non umana, ma precisamente soltanto in relazione alla lode verso il Cristo, sua sorgente. Non può bestemmiare e lodare Cristo nello stesso tempo.
Attenzione dunque ai giudizi facili e superficiali dettati dalle suggestioni emotive. Lo Spirito Santo si distingue semplicemente per quel che dice, ed altro non dice se non l’unica eterna lode al Figlio di Dio.
Uniforme e indivisibile in se stesso in rapporto al Cristo, lo Spirito Santo può a noi dare doni diversi, senza contraddire la sua propria identità.
“4 Ci sono poi divisioni di carismi , però è lo stesso Spirito; 5 e divisioni di ministeri, e lo stesso Signore; 6 e divisioni di operazioni ci sono, però lo stesso Dio operante le cose tutte in tutti.”
Se si può parlare di diversità dello Spirito Santo è semplicemente in relazione ai doni che vengono da lui, ai ministeri ed alle sue opere potenti.
“7 A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito per l’utile.”
Manifestazioni diverse dell’unico Spirito sono date soltanto per l’utile di tutti e di ognuno, per una completezza dei singoli che è arricchimento e completamento di tutto il corpo di Cristo che è la Chiesa.
“8 A uno infatti per mezzo dello Spirito è dato il linguaggio di sapienza, a un altro invece il linguaggio di scienza secondo lo stesso Spirito, 9 a un altro la fede nello stesso Spirito, ad un altro invece carismi di guarigione nell’unico Spirito, 10 a un altro poi opere di potenza, a un altro invece la profezia, a un altro poi discernimenti di spiriti, a un altro la varietà di lingue, a un altro invece l’interpretazione delle lingue;”
Paolo parla di carismi diversi facendo un elenco chiaro e ben differenziato. Ciò che poteva essere immediatamente comprensibile ai destinatari della lettera, non lo è altrettanto per noi. Nella Chiesa primitiva la presenza dello Spirito si manifestava in una molteplicità di doni, che oggi non è più riscontrabile, almeno per quel che riguarda ciò che cade sotto gli occhi.
Possiamo  ritenere che l’elenco sia fatto in modo  ordinato dall’alto al basso secondo un criterio non rigido di decrescente importanza. Al primo posto viene la sapienza. È quel sapere che ci rende simili a Colui che è l’eterna sapienza, ovvero il Cristo: Noi portiamo il suo sapore ed il suo profumo, perché da Lui attingiamo, Lui portiamo, Lui doniamo. Viene poi la scienza che può rappresentare rispetto alla sapienza un qual cosa di più per quel che riguarda la conoscenza, ma un di meno per quel che riguarda la sua vicinanza al Cristo. Dal Cristo ci è data ogni santa conoscenza, ma il sapore che ne viene non è in rapporto alla quantità, ma alla qualità. Si può conoscere tanto, ma in superficie, e allora avremo la scienza, si può conoscere poco ma in profondità, ed avere sapienza.
Niente di meglio e di più edificante di una grande conoscenza associata ad una grande sapienza. Si parla poi di fede. Noi intendiamo fede nella sua forma più semplice, più o meno associata alla sapienza,  alla scienza, e agli altri doni dello spirito. La fede ha una sua centralità nel rapporto creatura-Creatore che ha valore in sé e per sé indipendentemente dai doni cui è associata. Benchè la fede appaia in una scala, ci sembra che nella medesima scala sia il dono aggregante e portante in sé ogni altro dono, in forme e misure diverse. Nella parte più bassa della scala  appaiono doni che oggi sono difficilmente trovati nella Chiesa, a parte le loro scimmiottature e parodie.
Carismi di guarigione dalle malattie, in senso materiale ma anche spirituale; opere di potenza, opere miracolose non spiegabili in termini naturali; profezia intesa come il parlare in nome di Dio; discernimenti di spiriti, capacità di riconoscere quello che viene da Dio da quello che viene dal Maligno, varietà di lingue,  loro interpretazione.
Una simile molteplicità e diversità di doni  è  stata trovata nella Chiesa soltanto ai tempi degli apostoli. Non abbiamo elementi sufficienti per dare spiegazioni adeguate. Nella Chiesa, di tali doni è rimasto il ricordo, per quel che dice Paolo, non altro.
Quello che sicuramente possiamo dire è che  nulla di simile  troviamo nei vari movimenti odierni dello spirito, in cui più che i doni, c’è la loro farsa e lo zampino del diavolo.
“tutte però queste cose opera l’unico e lo stesso Spirito distribuendo particolarmente a ciascuno come vuole.”
Tutto ciò che è operato in virtù dei doni viene dall’unico e stesso Spirito che distribuisce a ciascuno secondo la sua volontà.
“12 Come infatti il corpo è uno e ha molte membra, tutte però le membra del corpo molte essenti un solo corpo sono, così anche il Cristo.”
In Cristo noi tutti formiamo un solo corpo con molte membra.  Non si può parlare di molteplicità di membra se non in rapporto all’unico e solo corpo.
“13 e infatti in un solo Spirito noi tutti in un solo corpo fummo immersi,”
Come vi è un solo corpo di Cristo, così unico è lo Spirito che circola in esso e lo vivifica. E questo in virtù del nostro battesimo che ci ha immerso, ci ha fatto entrare con la totalità del nostro corpo nell’unico corpo del Signore.
“sia giudei sia Greci sia schiavi sia liberi, e tutti in un solo Spirito ci abbeverammo.”
La diversità che ci distingue come uomini di questo mondo, sarà assorbita nell’unità dello Spirito, perché tutti abbiamo bevuto ad un’unica fonte spirituale.
“14 E infatti il corpo  non è un solo membro ma molte.”
Il corpo non è formato da un solo membro ma da molte membra in unità concorde. E l’unità concorde è data e garantita dal solo Cristo, a cui apparteniamo.
“15 Qualora il piede dica: Poiché non sono una mano, non sono dal corpo, non per questo non è dal corpo? 16 E qualora dica l’orecchio: Poiché non sono occhio, non sono dal corpo, non per questo non è dal corpo?”
Come la diversità delle nostre membra non esclude l’unità e l’unicità del nostro corpo, così la molteplicità dei corpi umani non esclude l’unità e l’unicità del corpo di Cristo. Molti corpi sono uniti in un unico corpo, di modo che la vita che è data dal Cristo trascorra in tutti i corpi in maniera solidale e concorde in virtù del loro essere nell’Uno.
“17 Se intero il corpo fosse occhio, dove l’udito? Se intero udito, dove l’odorato?”
Le diversità che sono trovate nel corpo umano in relazione alla pluralità delle membra non spezzano il legame con l’unico e medesimo io. Un corpo non è formato da parti indifferenziate, ma dall’unità di parti diverse.
È la diversità concorde delle parti che rendono grande e bello lo stesso corpo. “18 Ora invece Dio dispose le membra , ciascuna di esse, nel corpo come volle. 19 Se però le membra tutte un solo membro, dove il corpo? 20 Ora invece certo vi sono molte membra, però un solo corpo. 21 Non può poi l’occhio dire alla mano: Bisogno di te non ho, o ancora la testa ai piedi: Bisogno di voi non ho;
22 ma molto più le sembranti membra del corpo essere più deboli sono necessarie, 23 e quelle che pensiamo essere del corpo  più disonorevoli queste di maggiore onore circondiamo, e le membra indecorose di noi hanno maggiore decoro, 24 invece le nostre decorose non ne hanno bisogno.”
Un lungo discorso per dire cosa? Che la diversità dei  corpi non può essere inserita in una scala di valori, dove l’uno è più o meno importante dell’altro, ma come in un cerchio, uno accanto all’altro. Al centro sta Cristo che irradia la stessa ed identica vita al tutto, in maniera che i molti sono formati nell’uno dall’uno. È sbagliato dire che i molti formano l’uno,  come se l’uno fosse la loro semplice somma, l’uno è prima ed ancor più dei molti, quello che ad essi dà la vita, e li fa essere un cuore solo ed un’anima sola. In Cristo nessuno di noi è un più o un meno rispetto ad un altro, la diversità è solo in funzione di una perfetta unità ricca di ogni molteplicità.
“Ma Dio compose il corpo dando onore maggiore alla parte mancante, 25 affinché non vi sia separazione nel corpo, ma allo stesso modo le membra le une si preoccupino delle altre. 26 E sia che soffra un solo membro, soffrono insieme tutte le membra; sia che sia onorato un solo membro, gioiscono insieme tutte le membra. 27 Voi ora siete corpo di Cristo e sue membra ognuno per la sua parte.”
Se in Cristo siamo un cuor solo ed un’anima sola dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri, di modo che tutto si condivida gioie e sofferenze.
“28 E coloro che pose Dio nell’assemblea innanzitutto pose come apostoli, in secondo luogo profeti, in terzo luogo maestri, poi poteri miracolosi, poi carismi di guarigioni, di assistenza, di governo, varietà di lingue.”
Se è vero che in quanto persone davanti a Dio abbiamo tutti la stessa dignità e la stessa importanza, non lo stesso si può dire dei doni. Doni diversi non esaltano la diversità delle persone, ma persone diverse esaltano la diversità dei doni. Perché non c’è dono che non venga dall’unico e medesimo Cristo e non sia dato per l’utilità di tutti e di ognuno.
Nella Chiesa del Signore, Dio stesso ha assegnato ad ognuno un posto ben definito e gli ha assegnato un ruolo, un compito, una vocazione per il bene di tutti. Innanzitutto gli apostoli: è dal loro annuncio che nasce la Chiesa. In secondo luogo i profeti : sono loro che dicono le cose di Dio e parlano in suo nome. In terzo luogo i maestri, cioè quelli che istruiscono e spiegano la parola rivelata. Se in primo luogo ci sono coloro che veicolano la Parola di Dio che è potenza, in secondo luogo coloro che operano sugli altri nella potenza dello stesso Dio. Possiamo fare di questi ultimi doni una semplice graduatoria che vede ai primi posti i poteri miracolosi, i carismi di guarigione, poi l’assistenza, il governo e alla fine la varietà di lingue.
“29 Forse tutti sono apostoli? Forse tutti profeti? Forse tutti maestri? Forse tutti hanno poteri miracolosi? 30 Forse tutti hanno carismi di guarigioni? Forse tutti in lingue parlano? Forse tutti le interpretano? 31 Ambite però ai carismi più grandi. E anche mostro a voi la via per eccellenza.”
Nella Chiesa non si può pretendere di essere tutto, sia apostoli sia profeti sia maestri, né di avere ogni potenza dello spirito.
Non è un male  desiderare i carismi più elevati, non per innalzare noi stessi da noi stessi, ma per essere innalzati dal dono di Dio. Non noi portiamo in alto il dono, ma il dono porta noi in alto. Paolo mostra una via che è la più sicura, l’eccellente in assoluto.

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