Articoli
Cap.1
- Dettagli
- Categoria: Lettera agli Ebrei
- Pubblicato Giovedì, 03 Gennaio 2013 09:21
- Scritto da Cristoforo
- Visite: 4713
Lettera agli Ebrei
Cap. 1
Molte volte e in molti modi un tempo Dio avendo parlato ai padri attraversi i profeti, 2 alla fine di questi giorni ha parlato a noi attraverso il figlio, che ha posto erede di tutte le cose, per mezzo del quale anche ha fatto i mondi; 3 che essendo irradiazione della gloria e impronta della sua sostanza, portando pure tutte le cose con la parola della sua potenza, avendo fatto la purificazione dei peccati sedette a destra della maestà nelle altezze, 4 essendo diventato tanto superiore degli angeli quanto più eccellente di loro ha ereditato un nome. 5 A chi degli angeli infatti ha detto mai: Figlio mio sei tu, io oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre, ed egli sarà per me figlio? 6 Quando poi ancora introduce il primogenito nel mondo dice: e adorino lui tutti gli angeli di Dio. 7 E agli angeli dice: colui che fa i suoi messaggeri venti e i ministri suoi fiamme di fuoco 8, invece al Figlio: il tuo trono, o Dio, per l’eternità dell’eternità, e lo scettro di rettitudine, scettro del tuo regno. 9 Hai amato la giustizia e odiato l’iniquità; per questo unse te Dio, il tuo Dio con olio di esultanza, piuttosto che i tuoi compagni. 10 E: Tu da principio, Signore, fondasti la terra, e opere delle tue mani sono i cieli. 11 Essi periranno, tu invece permani, e tutti come veste invecchieranno, 12 e come mantello li avvolgerai, come veste saranno anche cambiati; tu invece sei lo stesso e i tuoi anni non verranno meno. 13 A quale degli angeli ha detto mai: Siedi alla mia destra, fino a che abbia posto i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi? 14 Non sono tutti spiriti servitori inviati per il servizio a motivo di coloro che stanno per ereditare la salvezza?
“Molte volte e in molti modi un tempo Dio avendo parlato ai padri attraverso i profeti, 2 alla fine di questi giorni ha parlato a noi attraverso il figlio, che ha posto erede di tutte le cose, per mezzo del quale anche ha fatto i mondi;”
Non c’è tempo nella storia di Israele che non sia percorso ed attraversato dalla Parola di Dio. Molte volte: non si tratta di fatti accidentali ed occasionali, ma sono una costante, quasi il carattere distintivo del rapporto tra un Dio diverso ed un popolo fatto diverso da una presenza continua del suo Signore, che in virtù della Parola, illumina, guida protegge, introduce in un cammino di eterna salvezza. In molti modi: se il modo è sempre quello ed è per bocca dei profeti, situazioni, fatti, finalità diversi hanno costretto il Signore a parlare assumendo toni ed atteggiamenti conformi. La parola di Dio è multiforme. Se pure esce dall’unico e medesimo Signore deve rapportarsi a circostanze, situazioni, persone diverse. Il Dio presso il quale non vi è ombra di cambiamento alcuno, si adatta ai continui cambiamenti dell’uomo ed usa un linguaggio conforme, per riportare ogni lingua all’unica eterna Parola che è il Figlio suo Gesù Cristo.
Possiamo anche mettere in conto come parola i segni che sono dati dal cielo e i gesti veicolati dall’uomo per induzione divina. Va fatta salva però in ogni caso una lettura ed una interpretazione di ciò che è dato come fatto, che non ha valore se non attraverso la parola dei profeti, fondata in Dio, da Lui agita. Una sola è la Parola che Dio ha rivolto al suo popolo, una sola è la Rivelazione, e una sola è l’intelligenza di questa Parola, così come codificata nelle Sacre Scritture. La Parola di Dio può anche essere diversamente intesa dai singoli, ma sempre in unità concorde con quanto custodito e trasmesso conforme a tradizione dalla totalità del popolo eletto. Una sola Parola dunque, una sola lettura, se pure esce da bocche diverse ed entra per orecchie diverse.
Ed è in questa ottica di continuità e di non rottura con il passato che si deve collocare ed intendere la parola di Gesù.
È sempre l’unica e medesima parola di Dio; ma si deve pure sottolineare la sua eccellenza rispetto a quella già data, in quanto suo adempimento e compimento finale.
È parola di un oggi, proiettato verso l’eterno oggi del Signore. Le cose di ieri ormai sono passate: non torneranno più, se non per riversare maggiore luce sul tempo presente, che riassume in sé ogni tempo passato e che è già ingresso nell’eternità di Dio. Se un tempo Dio ha parlato attraverso i profeti, uomini tra gli uomini, ultimamente ha parlato in virtù dell’eterno Figlio suo fattosi uomo. Quanto più è eccellente il Creatore rispetto ad ogni sua creatura, tanto più eccelle il Figlio di Dio rispetto ad ogni figlio dell’uomo.
Anche Gesù in un tempo e per un tempo ha chiamato se stesso figlio dell’uomo, fino al giorno in cui ha manifestato chiaramente il suo nome che è quello di Figlio di Dio.
Solo chi è veramente e propriamente per sua natura figlio può dirsi erede dei beni del Padre.
“che ha posto erede di tutte le cose, per mezzo del quale anche ha fatto i mondi;”
L’eredità del Cristo è unica ed esclusiva non semplicemente perché unico eterno Figlio, ma anche perché in Lui e per Lui tutti i mondi e le creature sono stati fatti. È riconosciuto dal Padre sovrano dell’universo e dobbiamo considerare il nostro rapporto con Lui risolutivo di ogni rapporto con il Padre. Se nei tempi antichi si poteva pensare che tutto si risolvesse in rapporto al Padre ora ci è dato comprendere che tutto si risolve in rapporto al Cristo: ieri, oggi, domani.
Non c’è oggi e non ci sarà domani per le creature senza il Cristo. Stessa Parola dunque, ma con una luce ed una guida diversa, sempre presente fin dai tempi di Adamo e sempre più chiaramente manifestatasi come luce che viene dal Figlio. E non per questo andiamo contro la volontà del Padre o togliamo qualcosa alla sua somma divinità; al contrario la portiamo alla sua esaltazione massima.
“3 che essendo irradiazione della gloria e impronta della sua sostanza, portando pure tutte le cose con la parola della sua potenza, avendo fatto la purificazione dei peccati sedette a destra della maestà nelle altezze, 4 essendo diventato tanto superiore degli angeli quanto più eccellente di loro ha ereditato un nome.”
La gloria del Figlio è la stessa gloria del Padre, che viene irradiata su tutto il creato perché sia da esso conosciuta ed esaltata. “E’ irradiazione della sua sostanza”: niente di diverso dunque dalla sostanza che è il Padre, se non perché la manifesta e la rende a noi accessibile e comprensibile. “Impronta della sua sostanza”. Al punto che Gesù può ben dire:” Chi ha visto me ha visto il Padre”. “ Io sono nel Padre ed il Padre è in me… io e il Padre siamo una sola cosa”.
“portando pure tutte le cose con la parola della sua potenza”, Non vi è potenza creatrice all’infuori della Parola di Dio che è il Figlio. In Lui , da Lui, per Lui furono fatte tutte le cose e tutte in Lui sussistono. La potenza del Logos, che è il Figlio, altro non è che la potenza che è il Padre.
Non c’è potenza del Padre che non si esprima e non operi attraverso il Figlio e non c’è potenza del Figlio che non sia fondata ed operata dal Padre. Tutte le cose dunque sono portate dalla potenza della Parola che è potenza del Figlio e del Padre nello stesso tempo. Ci saremmo aspettati che si dicesse “portando tutte le cose con la potenza della sua parola”. Ma con ciò ogni potenza sarebbe attribuita alla Parola ed in virtù della Parola. Scrivendo che “tutte le cose sono portate con la parola della sua potenza,” con riferimento al Padre, l’autore della lettera vuol farci comprendere che la Parola che è il Cristo non si manifesta come potenza creatrice se non in quanto essa stessa generata dalla potenza increata del Padre. Non c’è potenza che non venga dal Padre e non c’è potenza del Padre che si manifesti se non attraverso la Parola che è il Figlio.
“avendo fatto la purificazione dei peccati sedette a destra della maestà nelle altezze, 4 essendo diventato tanto superiore degli angeli quanto più eccellente di loro ha ereditato un nome.”
Gesù Cristo non solo ci ha manifestato la gloria e la potenza del Padre, ma anche e non ultimo, per quel che riguarda il nostro destino eterno, ci ha fatto conoscere il Suo amore, che unico dona vita eterna.
Nessuna possibilità di autoriscatto dalla schiavitù del Maligno per i figli di Adamo e nessuna reale capacità di purificazione in proprio, accetta a Dio, risolutiva e riparatrice di un rapporto insanabilmente infranto. Quello che non ha potuto fare nessun figlio dell’uomo è stato fatto dal Figlio di Dio. Fattosi carne e venuto in mezzo a noi ci ha riscattato dal potere del Maligno e ci ha purificato dai nostri peccati mediante un lavacro nel suo sangue versato per noi e per tutti sulla croce. In virtù di questo sacrificio, espressione ultima e somma dell’amore divino, ci ha fatto coeredi con Lui dei beni eterni del Padre. Il Figlio risorto da morte è asceso al Padre per sedere alla sua destra , non come è da sempre, ma con una gloria accresciuta agli occhi degli stessi angeli, non semplicemente quella del nome che porta in eterno, ma quella del nome che ha manifestato agli uomini e quindi a tutti gli angeli.
Se la risurrezione del Figlio è segno di potenza, la sua morte è ancor più ed ancor prima segno d’amore: sua manifestazione ultima ed estrema, del tutto impensabile per le creature e fonte di stupore, lode, meraviglia senza fine, così come è data dalla contemplazione del Cristo risorto che siede alla destra del Padre.
“4 essendo diventato tanto superiore degli angeli quanto più eccellente di loro ha ereditato un nome.”
Vi è un nome del Figlio che è in eterno e vi è un nome ereditato dal Padre in un tempo, per l’eternità. Se grande è da sempre la gloria del Creatore, ancora più grande è la sua gloria allorchè si è fatto Salvatore.
“5 A chi degli angeli infatti ha detto mai: Figlio mio sei tu, io oggi ti ho generato? E ancora: Io sarò per lui padre, ed egli sarà per me figlio?”
Nessun angelo del cielo può essere detto figlio di Dio per eterna generazione. Altri sono i figli creati dal nulla, Altro è l’unigenito Figlio che siede alla destra del Padre, impronta della sua sostanza. Molti sono detti figli di Dio, uno solo è da Lui chiamato Figlio, della sua stessa sostanza, a Lui coeterno. Molti chiamano Dio, Padre nostro, uno solo può chiamarlo, Padre mio.
“6 Quando poi ancora introduce il primogenito nel mondo dice: e adorino lui tutti gli angeli di Dio”.
Vi è un’eccellenza del Figlio rispetto ad ogni altro figlio che è da sempre; vi è pure un’eccellenza del Figlio rispetto al Padre voluta e accreditata dallo stesso Padre allorchè introduce il Figlio nel mondo. Nel Figlio fattosi uomo, morto e risuscitato per la salvezza del mondo è a noi dato di vedere e di adorare il volto più bello di Dio, l’espressione massima del Suo amore. Una meraviglia per i nostri occhi, ma anche per quelli del Padre che ogni occhio di angelo rivolge al Salvatore.
“7 E agli angeli dice: colui che fa i suoi messaggeri venti e i ministri suoi fiamme di fuoco”
Perché gli angeli devono adorare il Figlio? È presto detto: non solo da ultimo per l’amore che si è in Lui manifestato, ma ancora prima in quanto gli stessi angeli sono posti a servizio del Salvatore: messaggeri veloci come il vento e ministri pronti, ardenti e zelanti come fiamme di fuoco. Sta scritto nel Vangelo “ E angeli lo servivano”. ( Matteo 4,11)
“8, invece al Figlio: il tuo trono, o Dio, per l’eternità dell’eternità, e lo scettro di rettitudine, scettro del tuo regno.”
Non si diventa re se non per elezione, e non è re in eterno se non Colui che in eterno è eletto dal Padre. Il regno di Dio altro non è che il regno del Figlio, perché non c’è essere creato che non sia stato posto in Lui e per Lui. Se il Figlio vuol condurre al Padre, il Padre tutti riporta al Figlio. Nelle sue mani ha posto lo scettro della Giustizia. Non c’è giustizia se non nel Figlio ed in virtù del Figlio. È Lui l’unico giusto che fa giusti, è Lui l’unico giudice che giudica con rettitudine.
“9 Hai amato la giustizia e odiato l’iniquità; per questo unse te Dio, il tuo Dio con olio di esultanza, piuttosto che i tuoi compagni.”
Hai amato la giustizia e odiato l’iniquità, fin dalla creazione del mondo: quando guardasti tutto il creato per discernere la luce buona da quella cattiva, quando provvedesti perché ogni cosa fosse buona, quando ponesti il tuo sguardo sull’ uomo confermando la sua molta bontà, perché nel tuo volto e per il tuo volto fosse garantita giustizia eterna.
“10 E: Tu da principio, Signore, fondasti la terra, e opere delle tue mani sono i cieli.. “
Ancor prima della creazione di tutte le cose, tu ponesti un fondamento alla terra, allorchè separasti le acque dalle acque, per dare spazio all’universo. Opere delle tue mani sono i cieli: non solo il cielo dei cieli in cui abitano gli angeli, ma anche questi cieli terreni che sono quelli di Adamo.
“11 Essi periranno, tu invece permani, e tutti come veste invecchieranno,”
I cieli di questo mondo periranno per il peccato dell’uomo, tu invece rimani in eterno.
“12 e come mantello li avvolgerai, come veste saranno anche cambiati; tu invece sei lo stesso e i tuoi anni non verranno meno.”
Come hai creato questi cieli aprendoli, così anche li annienterai chiudendoli, per aprirne di nuovi ed eterni.
Cambieranno i cieli creati dal Signore, non cambierà il Signore nostro Dio, che vive e regna senza tempo.
“13 A quale degli angeli ha detto mai: Siedi alla mia destra, fino a che abbia posto i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi?”
Nel Cristo è resa manifesta ogni eccellenza del Figlio creatore rispetto ad ogni figlio creato.
Nessun angelo siede alla destra del Padre se non l’Unigenito Figlio. Non c’è vittoria sui suoi nemici se non in Lui ( ad opera di Lui ) e per Lui ( in vista di Lui ).
“14 Non sono tutti spiriti servitori inviati per il servizio a motivo di coloro che stanno per ereditare la salvezza?”
Non c’è creatura per quanto eccelsa, come gli angeli, che non sia al servizio dell’ unico Salvatore e dell’unica salvezza da Lui portata dal cielo. E tutto questo per il bene nostro: di noi che siamo la Chiesa di Cristo, destinata per Sua volontà ad ereditare vita eterna.
Cap.2
- Dettagli
- Categoria: Lettera agli Ebrei
- Pubblicato Giovedì, 03 Gennaio 2013 09:20
- Scritto da Cristoforo
- Visite: 4055
Cap. 2
Perciò è necessario ancor più che noi attendiamo alle cose udite, così che non le sfuggiamo. 2 Infatti se la parola proferita per mezzo di angeli fu salda e ogni trasgressione e disobbedienza ricevette giusta retribuzione, 3 come sfuggiremo noi avendo trascurato tale salvezza, che avendo preso inizio ad essere annunciata per mezzo del Signore è stata per noi confermata da quelli che hanno udito il Signore, 4 rendendo testimonianza Dio con segni come pure con prodigi e vari miracoli e con distribuzioni di spirito Santo secondo la sua volontà? 5 Infatti non agli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo. 6 ma qualcuno ha attestato in qualche luogo dicendo: cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui, o il figlio dell’uomo perché tu lo visiti? 7 Lo hai fatto di poco inferiore agli angeli, lo hai incoronato di gloria e di onore, 8 tutte le cose hai sottomesso sotto i suoi piedi. Infatti nel sottomettere a lui tutte le cose nulla lasciò a lui non sottomesso. Ora però non vediamo ancora tutte le cose sottomesse a lui; 9 ma vediamo Gesù di poco fatto inferiore agli angeli a causa delle sofferenze della morte coronato di gloria e di onore, così che per grazia di Dio per tutti gustasse la morte. 10 Conveniva infatti a lui per il quale e per mezzo del quale tutte le cose sono, avendo condotto molti figli alla gloria, rendere perfetto il capo della loro salvezza per mezzo delle sofferenze. 11 Ora colui che santifica e coloro che sono santificati sono tutti da uno solo; per la quale ragione non si vergogna di chiamarli fratelli dicendo: annuncerò il tuo nome ai miei fratelli in mezzo all’assemblea loderò te, 13 e ancora: ecco io sarò confidante in lui; e ancora: ecco io e i figli che a me ha dato Dio. 14 Poiché dunque i figli hanno comunicato a sangue e a carne, anche lui similmente ha partecipato delle stesse cose, affinché per mezzo della morte rendesse inoperante colui che ha la forza della morte, cioè il diavolo, 15 e liberasse questi, cioè quanti per paura della morte per tutta la vita erano soggetti a schiavitù. 16 Infatti certamente non si prende cura degli angeli, ma del seme di Abramo. 17 Perciò in tutte le cose doveva essere simile ai fratelli, per diventare misericordioso e fedele sommo sacerdote per le cose che sono verso Dio, per espiare i peccati del popolo. 18 Infatti in ciò in cui ha sofferto egli stesso essendo stato tentato, può portare aiuto a quelli che sono tentati.
“Perciò è necessario ancor più che noi attendiamo alle cose udite, così che non le sfuggiamo”.
Se la fede viene dall’ascolto e l’ascolto dalla Parola di Dio, non c’è vera fede né adempimento ultimo e definitivo di ogni credere se non se non si ha orecchi di ascolto in tutto e per tutto, fino alla fine.
Se gli Ebrei che ascoltarono un tempo, o per lo meno quelli che un tempo hanno ascoltato, non vogliono andare oltre ciò che è scritto nell’Antico Testamento, non vedranno la terra promessa e la luce di un nuovo giorno.
Non si deve ascoltare fino a metà, abbandonando il discorso della salvezza sul più bello o, peggio ancora, proprio alla fine, quando ormai la corona di gloria è a portata di mano.
“2 Infatti se la parola proferita per mezzo di angeli fu salda e ogni trasgressione e disobbedienza ricevette giusta retribuzione,”
La Parola di Dio, giunta ad Israele per bocca dei profeti, ha portato con sé ogni certezza sia riguardo al suo fondamento sia riguardo al suo fine. Nulla a che vedere con le opinioni e le convinzioni dell’uomo che, nel migliore dei casi, si devono intendere nella forma dell’invito e del consiglio, come si conviene per ogni parola che esce dalla bocca di una creatura sviata ed ottenebrata dal peccato. Dio ha parlato, sin dal principio, in maniera categorica nella forma del comando, come unicamente si addice a colui che unicamente è verità. La bocca dei profeti ha parlato come quella di angeli, che in tutto e per tutto fanno e dicono solo quello che è volontà di Dio. Chi nutre dei dubbi riguardo ai profeti, dubita di creature spirituali che vedono continuamente il volto di Dio e che non possono tradire il Signore, fonte del loro amore e della loro gioia. Nessun dubbio è ammesso riguardo a ciò che già è stato rivelato. Per questo Dio ha punito giustamente ogni trasgressione e disobbedienza. Per amore verso di noi, perché non prendiamo la sua parola con leggerezza senza tenerla nella dovuta considerazione, perché non c’è vita se non nel Logos e per L’eterno Logos di Dio che è il Figlio suo.
“3 come sfuggiremo noi avendo trascurato tale salvezza, che avendo preso inizio ad essere annunciata per mezzo del Signore è stata per noi confermata da quelli che hanno udito il Signore, …”
Se dunque già gli Ebrei, nostri padri, furono puniti severamente per la durezza del loro cuore, come potremo sfuggire al giudizio di Dio, noi, Ebrei dell’ultima ora che siamo stati confermati in misura massima riguardo alla Parola di verità? I profeti annunciarono come angeli di Dio la salvezza che doveva venire, noi abbiamo avuto dallo stesso Dio la conferma della salvezza già avvenuta. Non per bocca dei profeti, ma degli apostoli che sono stati testimoni diretti del Cristo, che null’altro hanno annunciato se non quello che hanno visto con i propri occhi, toccato con le proprie mani, udito con i propri orecchi. Se l’annuncio dei profeti è stato garantito dagli angeli, dal momento che nessuno può garantire riguardo a se stesso, la parola degli apostoli ha avuto e ha dato garanzie ancora più grandi e sicure per quel che riguarda il suo fondamento divino.
“4 rendendo testimonianza Dio con segni come pure con prodigi e vari miracoli e con distribuzioni di spirito Santo secondo la sua volontà?”
Segni, prodigi, miracoli in forme e misure innumerevoli hanno testimoniato la parola venuta dal cielo. Ci sono testimonianze concordi che vengono dalla terra, segni indiscutibili che vengono dal cielo. Ancor più, c’è il dono dello Spirito Santo, testimonianza ultima e definitiva per ogni uomo, oltre la quale nulla può essere dato.
Scrive Giovanni che lo spirito stesso attesta in noi che siamo figli di Dio. Basterebbe questa sola ed unica testimonianza. Ma il Signore ha voluto dare anche testimonianze più visibili, più comprensibili a tutti, anche per gli uomini meno spirituali. Nessun fatto storicamente accaduto, ha avuto testimonianza così piena e concorde dalla terra e dal cielo, quanto la morte e risurrezione di Cristo da morte. L’evento unicamente significante nella storia doveva essere confermato in maniera unica ed esclusiva. Arrossiscano di vergogna coloro che nutrono dubbi riguardo al Cristo storico.
Non c’è persona venuta al mondo che abbia avuto un così gran numero di testimoni e di testimonianze, dalla terra e dal cielo. La ragione è subito detta:
“25 Infatti non agli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo.”
Non ci sarà un mondo futuro, visitato da Dio e fatto pieno e perfetto dalla Sua presenza se non in virtù di Cristo, morto e risorto unicamente per donare a noi vita eterna. “ Perché in Lui e per Lui furono fatte tutte le cose e tutte in Lui sussistono”. È ripreso un motivo ampiamente ripetuto da Paolo, che mai deve dar noia alle nostre orecchie, perché è pilastro e fondamento della nostra fede.
“6 ma qualcuno ha attestato in qualche luogo dicendo: cos’è l’uomo perché ti ricordi di lui, o il figlio dell’uomo perché tu lo visiti?”
Il mondo futuro, che noi cerchiamo ed attendiamo, non è per gli angeli e neppure sarà ad essi sottomesso. Un mondo fatto per l’uomo dovrà essere sottomesso all’uomo: non a un uomo qualunque ma a colui che già nell’Antico Testamento in modo oscuro e profetico viene chiamato l’uomo, o il figlio dell’uomo. Non si tratta evidentemente di uno dei tanti uomini. In questo caso la domanda sarebbe puramente retorica e non avrebbe significato alcuno. La realtà dell’uomo è fin troppo ovvia e conosciuta, non pone e non merita interrogativo alcuno riguardo alla sua realtà ed identità. Prima ancora di chiederci chi è questo figlio dell’uomo, dobbiamo porci un interrogativo riguardo alla sua realtà più intima ed essenziale. Si pone sullo stesso piano dei figli di Adamo o su di un piano superiore? Se siamo di fronte ad una diversità di tipo ontologico, direbbero i filosofi, inerente al proprio essere, diciamo noi semplicemente, tale diversità va innanzitutto compresa e spiegata.
“7 Lo hai fatto di poco inferiore agli angeli, lo hai incoronato di gloria e di onore,”
Chi mai per un tempo e in un tempo è stato fatto di poco inferiore agli angeli e tuttavia è stato coronato di gloria e di onore al di sopra di ogni angelo?
“8 tutte le cose hai sottomesso sotto i suoi piedi. Infatti nel sottomettere a lui tutte le cose nulla lasciò a lui non sottomesso.”
Tutte le cose sono state a lui sottomesse: ma non alla maniera di Adamo. Ad Adamo fu dato un dominio sulle creature del cielo, della terra, dell’acqua, non la sottomissione totale e completa dell’universo. Se pur la più eccellente delle creature, destinata a dominare su tutte le creature minori, la sua signoria è stata fin dall’inizio limitata, relativa e, innanzitutto, subordinata . Subordinata a chi? Non semplicemente e solamente a Dio, ma a questa figura misteriosa a cui nella Scrittura si dà il nome di Figlio dell’uomo. Nessun uomo ha fatto proprio questo nome se non Gesù Cristo, Figlio di Dio, nel tempo della sua incarnazione. Colui che nell’eternità è semplicemente Figlio di Dio, in un tempo e per un tempo ha portato anche il nome di figlio dell’uomo. È il mistero dell’incarnazione del Cristo, che sotto le umili e apparenti spoglie di un qualsiasi uomo, alla fine manifesterà se stesso come Figlio di Dio. Figlio dell’uomo, per le sofferenze nella carne e per la morte in croce, Figlio di Dio per la sua resurrezione. Perché non poteva dimorare nella morte colui che è l’autore della vita e ha potere su ogni vita.
“Ora però non vediamo ancora tutte le cose sottomesse a lui; 9 ma vediamo Gesù di poco fatto inferiore agli angeli a causa delle sofferenze della morte coronato di gloria e di onore, così che per grazia di Dio per tutti gustasse la morte.”
Che Gesù sia l’eterno Figlio di Dio, ancora non ci appare chiaramente: non è ancora avvenuta la restaurazione finale di tutte le cose. E non ci giova più di tanto considerare innanzitutto la sua resurrezione da morte. Un segno di divina potenza è stato preceduto, anticipato, preparato da un segno di divino amore, che mette la morte di Cristo al di sopra di ogni morte. La corona di gloria e di onore non è stata posata dal Padre su Gesù risorto, ma prima ancora su Gesù morto in croce.
Non si comprende la risurrezione di Cristo se prima non si comprende la vitale necessità della sua morte.
Nelle icone orientali il volto di Cristo crocifisso appare già circonciso della gloria del Risorto. Attraverso una morte abominevole è a noi dato il segno chiaro e tangibile di un amore unicamente ed esclusivamente degno di onore.
E non è certamente a caso che la Tradizione cristiana ci metta in preghiera davanti ad un crocifisso. Nel Dio fatto uomo, che volontariamente accoglie la croce data dai figli di Adamo, è il segno e la manifestazione ultima e definitiva dell’amore salvifico del Signore.
Adesso finalmente Dio può dire al suo popolo, per l’ultima volta: “Cosa potevo fare o Israele per te, che io non abbia fatto?” Mancava soltanto la morte di croce dell’ eterno Figlio.
“10 conveniva infatti a lui per il quale e per mezzo del quale tutte le cose sono, avendo condotto molti figli alla gloria, rendere perfetto il capo della loro salvezza per mezzo delle sofferenze.”
Capo della salvezza per tutte le creature del cielo e della terra è L’Unigenito Figlio di Dio. Non si arriva alla gloria eterna se non attraverso un cammino di crescita spirituale guidato dal Cristo. Se il discorso poteva dirsi chiuso per le creature celesti ( avendo condotto molti figli alla gloria ), si è poi aperto per quelle della terra; per trovare il suo compimento ultimo e definitivo in un modo ancora più grande e sublime. In virtù delle sofferenze portate nel suo corpo mortale, il Figlio di Dio ha per così dire esaurito l’amore divino e lo ha portato al culmine di ogni perfezione.
“11 Ora colui che santifica e coloro che sono santificati sono tutti da uno solo;”
Si è figli dell’unico Dio in maniera diversa e a titolo diverso. Uno solo è il Figlio Santo eternamente generato, tutti gli altri sono creati dal Padre nel e per l’Unigenito Figlio, santificati in Lui e per Lui.
“per la quale ragione non si vergogna di chiamarli fratelli dicendo: annuncerò il tuo nome ai miei fratelli in mezzo all’assemblea loderò te,”
Una figliolanza increata ha fatto propria ogni figliolanza creata. Cristo non si è messo al di sopra dei suoi fratelli e non ha vantato un nome che è al di sopra ogni altro nome; ogni figlio ha voluto rendere compartecipe della Sua gloria, chiamandolo fratello. Ma ha dovuto rivendicare una propria centralità nell’assemblea, per un annuncio del nome del Padre fondato e fondante e per una lode adeguata ed adeguante.
“13 e ancora: ecco io sarò confidante in lui;”
E’ Cristo il modello di ogni vera ed autentica fede in Dio Padre.
“e ancora: ecco io e i figli che a me ha dato Dio.”
È ancora Cristo che riconosce ogni figlio di Dio come fratello adottivo: una fraternità accolta e condivisa conforme alla volontà del Padre.
“14 Poiché dunque i figli hanno comunicato a sangue e a carne, anche lui similmente ha partecipato delle stesse cose, affinché per mezzo della morte rendesse inoperante colui che ha la forza della morte, cioè il diavolo,”
Nelle vene dei figli circola un solo sangue e vi è la medesima carne. Non vi è vera fraternità se non là dove è annullata ogni diversità . Poiché i figli di Dio non potevano diventare come l’ Unigenito, è stato l’Eterno figlio che si è fatto come ogni figlio. Assumendo la carne e il sangue dell’uomo Cristo ha potuto sconfiggere e rendere inoperante in noi la forza del Diavolo: potenza di morte che è stata annientata da Colui che ha la potenza della vita. Portando nel suo corpo il nostro peccato ci ha liberati dall’antico padrone, che ha nome di diavolo.
“15 e liberasse questi, cioè quanti per paura della morte per tutta la vita erano soggetti a schiavitù.”
Nessuna possibilità per i figli di Adamo di autoliberazione e di autoriscatto dall’antico padrone. Il tempo dell’esistenza è tempo di schiavitù al Diavolo. E perché questo? Non è da sempre l’amore di Dio per ogni creatura? Forse che il Figlio ha cessato di operare in noi e per noi dopo il peccato d’origine? Quale grande inganno ha ordito contro di noi il Diavolo, se non quello di farci nemici di Cristo, di farci vedere nell’autore e nel perfezionatore della nostra vita, l’autore ed il perfezionatore della nostra morte! Eravamo pecore erranti, in fuga dal loro pastore, sedotte da un altro pastore: avevamo occhi non per Colui che conduce a vita eterna ,ma soltanto per colui che conduce a morte eterna. Eppure la morte ha dominato in tutti i figli di Adamo in tutti i tempi. Ma incombeva su uno stato di morte la paura di una morte ancora più grande. E così la morte non ha generato l’amore per la vita, ma l’attaccamento ad una vita che è morte. Il datore di ogni dono, è stato visto, come il ladro che viene di notte per portarci via ogni bene terreno. E per quel che riguarda l’eternità? È un pensiero sempre ricorrente ma sempre puntualmente rimosso. “ Niente c’è per l’uomo dopo la morte”. E allora, anima mia, mangia bevi, perché domani morrai.” Dove non c’è speranza in un’altra vita è rafforzato l’attaccamento a questa vita. Si può vivere anche nella rassegnazione e con la disperazione. Tanto grande è in noi il timore della morte, che ci fa accettare la schiavitù del maligno, quando questa non appare pure piacevole e irrinunciabile. “ La vita è bella”: una massima, che vuol essere di saggezza, manifesta la stoltezza massima dell’uomo; di colui che si attacca alla bruttezza di questa vita, perché non vede e non crede nella bellezza di un’altra vita. Una pecora sviata e dispersa ha bisogno di un buon pastore e un cuore malato necessita di un buon medico. Non c’è per noi vero pastore e medico sapiente ed efficiente all’infuori di Cristo Gesù, Figlio di Dio.
“16 Infatti certamente non si prende cura degli angeli, ma del seme di Abramo.”
Non gli angeli hanno bisogno delle cure di Cristo, ma noi che siamo creature della terra, noi che un tempo seme di Adamo, siamo stati fatti seme di Abramo, perché i nostri cuori si aprano alla speranza nel Salvatore mandato dal cielo.
“17 Perciò in tutte le cose doveva essere simile ai fratelli, per diventare misericordioso e fedele sommo sacerdote per le cose che sono verso Dio per espiare i peccati del popolo.”
Colui che ha la sua dimora eterna in cielo, ha posto la propria tenda su questa terra, ha assunto la nostra carne e, in tutto diventato simile a noi, si è fatto per noi misericordioso e sommo sacerdote. Non come colui che offre all’Altissimo sacrifici di animali, ma come colui che offre il sacrificio di se stesso: immolante ed immolato davanti al Padre, per espiare ogni peccato del popolo suo.
“18 Infatti in ciò in cui ha sofferto egli stesso essendo stato tentato, può portare aiuto a quelli che sono tentati.”
Non è vero amore se non quello che sa condividere, non solo l’effimera gioia di questa vita, ma, innanzitutto, la sofferenza che porta con sé. Non libera dal peccato se non colui che, libero dal peccato, ha vinto ogni sua tentazione.
Colui che ha potere sul male, ha distrutto in noi e per noi ogni potenza del Maligno, perché nel Salvatore e per il Salvatore che viene dal cielo diventi reale ed attuale la nostra vittoria sul peccato.
Cap.4
- Dettagli
- Categoria: Lettera agli Ebrei
- Pubblicato Giovedì, 03 Gennaio 2013 09:19
- Scritto da Cristoforo
- Visite: 3733
Cap. 4
Temiamo, dunque, che, rimanendo la promessa di entrare nel suo riposo, sembri che qualcuno di voi ne sia privo. 2 E infatti anche noi abbiamo ricevuto una buona notizia come anche quelli; ma non giovò la parola udita a quelli non essendo uniti per la fede a quelli che avevano ascoltato. 3 Entriamo infatti nel riposo noi che abbiamo creduto, come egli ha detto: Così che ho giurato nella mia ira: Non entreranno nel mio riposo, pur essendo fatte le opere dalla fondazione del mondo. 4 Egli ha detto infatti, in qualche luogo, a proposito del settimo giorno, così: E riposò Dio nel settimo giorno da tutte le sue opere, 5 e ancora in questo passo: non entreranno nel mio riposo. 6 Poiché dunque resta che alcuni entrino in esso, e quelli che per primi ricevettero la notizia non entrarono a causa della disobbedienza, 7 egli determina ancora un giorno, oggi, dicendo in Davide dopo tanto tempo, come è stato detto prima: Oggi, se avrete udito la sua voce non indurite i vostri cuori. 8 Infatti se Giosuè loro avesse fatto riposare, non parlerebbe di un altro giorno dopo queste cose. 9 Quindi resta un riposo sabbatico per il popolo di Dio. 10 Infatti chi è entrato nel suo riposo anche gli riposò dalle sue opere come Dio dalle proprie. 11 Affrettiamoci dunque ad entrare in questo riposo, perché qualcuno non cada nello stesso esempio della disobbedienza. 12 Viva infatti è la parola di Dio ed efficace e più penetrante di ogni spada a doppio taglio e penetrante fino alla divisione di anima e di spirito, di giunture e anche di midolla, e capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore. 13 E non c’è creatura invisibile davanti a lui ma tutte le cose sono nude e scoperte ai suoi occhi, davanti al quale noi renderemo conto. 14 Avendo dunque un sommo sacerdote grande che ha attraversato i cieli, Gesù il figlio di Dio, teniamo ferma la professione di fede. 15 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non possa compatire le nostre debolezze, ma provato in tutte le cose a somiglianza di noi senza peccato. 16 Avviciniamoci dunque con franchezza al trono della grazia, affinché riceviamo misericordia e troviamo grazia per un opportuno aiuto.
“Temiamo, dunque, che, rimanendo la promessa di entrare nel suo riposo, sembri che qualcuno di voi ne sia privo.”
L’antica promessa di un riposo eterno fatta da Dio al suo popolo è ancora viva ed attuale. È una promessa data a tutto Israele, ma vi è fondato timore che, come già è accaduto nel passato in immagine, così accada oggi e in futuro nella realtà.
“2 E infatti anche noi abbiamo ricevuto una buona notizia come quelli; ma non giovò la parola udita a loro, non essendo uniti per la fede a quelli che avevano ascoltato.”
Noi tutti, che viviamo nel presente, abbiamo ricevuto la buona notizia della salvezza. Lo stesso accadde per i nostri padri che furono nel deserto. Una parola data a tutti non comporta di necessità un ascolto da parte dell’intera comunità. L’antica promessa ha certamente giovato a coloro che hanno ascoltato, ma non giovò a coloro che si distaccarono e si dissociarono dai credenti.
“3 Entriamo infatti nel riposo noi che abbiamo creduto, come egli ha detto: Così che ho giurato nella mia ira: Non entreranno nel mio riposo, pur essendo fatte le opere dalla fondazione del mondo.”
Chi entra dunque nel riposo? Noi che abbiamo creduto in Cristo e nell’adempimento dell’antica promessa. Questa promessa è stata fatta quando già erano state compiute le cose create e Dio era già entrato nel riposo eterno.
“4 Egli ha detto infatti, in qualche luogo, a proposito del settimo giorno, così: E riposò Dio nel settimo giorno da tutte le sue opere, 5 e ancora in questo passo: non entreranno nel mio riposo.”
Leggiamo in Genesi che Dio riposò nel settimo giorno dalle sue opere, ma quando dice: “Non entreranno nel mio riposo”, il giudizio è calato nel tempo dell’uomo creato, che va distinto dal tempo del Dio Creatore. Gesù che è già entrato nel riposo del Padre, fin da quando ebbe fine la sua opera creatrice, non ha chiuso le porte dell’eternità, ma ha dato un tempo a tutti noi perché possiamo unirci a Lui.
“6 Poiché dunque resta che alcuni entrino in esso,”
Dai primi tempi, da quando Dio riposò dalle sue opere resta come dato di fatto che in ogni tempo alcuni entrino nel suo riposo. Quelli che si sono salvati attestano di per sé che le porte della salvezza sono ancora aperte.
“e quelli che per primi ricevettero la notizia non entrarono a causa della disobbedienza, 7 egli determina ancora un giorno, oggi, dicendo in Davide dopo tanto tempo, come è stato detto prima: Oggi, se avrete udito la sua voce non indurite i vostri cuori.”
È un dato di fatto ed è tramandato in Israele che i primi, quelli che hanno ricevuto la notizia in forma aperta e conclamata a tutti, non entrarono a causa della disobbedienza. Ma non per questo Dio ha chiuso il discorso per sempre.
Quello che fu detto nell’oggi di un tempo viene ripetuto nell’oggi di un altro tempo. E questo ci è chiaramente attestato da Davide allorché Dio pone sulle labbra del profeta le sue parole “ Oggi se avrete udito la sua voce non indurite i vostri cuori”. Stesse parole di un tempo, ma dette in un altro tempo.
“8 Infatti se Giosuè loro avesse fatto riposare, non parlerebbe di un altro giorno dopo queste cose.”
Se ai tempi di Giosuè si fosse realizzato il disegno eterno del nostro ingresso nel riposo di Gesù, l’antica promessa non sarebbe stata richiamata e riportata alla mente ai tempi di Davide.
“9 Quindi resta un riposo sabbatico per il popolo di Dio.”
Il riposo che ha avuto inizio l’ultimo giorno della creazione, alla fine di tutte le cose, rimane come reale possibilità offerta ancor oggi al popolo di Dio. Le porte della salvezza sono ancora aperte.
“10 Infatti chi è entrato nel suo riposo anche gli riposò dalle sue opere come Dio dalle proprie.”
Chi è entrato nel riposo eterno del Signore, attesta per questo che la salvezza è già stata donata e, che alcuni già riposano in essa, assieme al Signore nostro Dio. La certezza della salvezza data non esclude la speranza in una salvezza ancora attuale e non definitivamente conchiusa se non per quel che riguarda l’opera di Dio. C’è ancora tempo per il nostro sì al Salvatore nostro Gesù Cristo.
“11 Affrettiamoci dunque ad entrare in questo riposo, perché qualcuno non cada nello stesso esempio della disobbedienza.”
Chi ha tempo non aspetti tempo dice il proverbio. Affrettiamoci dunque perché non cadiamo in quella stessa disobbedienza di cui furono esempio i nostri padri.
“12 Viva infatti è la parola di Dio ed efficace e più penetrante di ogni spada a doppio taglio e penetrante fino alla divisione di anima e di spirito, di giunture e anche di midolla, e capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore.”
Brusco salto del discorso; ma solo in apparenza. Perché la nostra vita si risolve nel nostro rapporto con la Parola di Dio. È la Parola il primo strumento della salvezza che ci è donato dal Cristo. Se Cristo come persona, eccede la propria Parola come suono organizzato e pronunciato in modo significativo, non per questo la si deve trascurare e si deve ignorare la sua importanza nel disegno salvifico di Dio. Stupisce che mentre molto si discute e si disserta sui sacramenti, nella Chiesa cattolica pochi abbiano l’ardire di affermare con franchezza e determinazione che la Parola è il primo sacramento dato da Dio all’uomo. Se la Parola non è un sacramento, si spieghi allora perché così largo spazio e così grande importanza le venga data nel discorso salvifico. Nella lettera ai Romani Paolo afferma che è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede. Qui nella lettera agli Ebrei, si fa un passo avanti e si dice ancora di più.
“La Parola di Dio è sempre viva ( Lett. vivente )” : non ha data di scadimento. Come fu operante in maniera efficace un tempo, così lo sarà in ogni tempo. Finchè dureranno i tempi dell’uomo, ogni uomo potrà conoscere quale potenza di resurrezione sia data dalla Parola del Signore. Non solo illumina l’uomo vecchio e lo spinge a conversione: entra in ogni profondità nascosta ed opera in maniera fortemente incisiva, tagliando e mettendo a nudo, come un bravo chirurgo che ben sa discernere quello che è nascosto agli occhi della carne.
“e più penetrante di ogni spada a doppio taglio e penetrante fino alla divisione di anima e di spirito,
Non c’è nulla che entri dappertutto in profondità in ogni dimensione dell’uomo, quanto la parola di Dio. Per fare che cosa? Per mettere a nudo ciò che è nascosto, per distinguere nell’anima ciò che più propriamente è psiche e ciò che più propriamente è spirito.
La chiesa cattolica vede nello spirito semplicemente un aspetto e un attributo dell’anima. Noi pensiamo che si debba distinguere come fa la Parola di Dio e considerare anima e spirito come due dimensioni associate, ma non identificabili l’una con l’altra. Altre volte abbiamo sottolineato come nell’uomo si devono considerare non due dimensioni: corpo ed anima, ma tre: corpo, anima, spirito. E abbiamo dimostrato come questo sia chiaramente detto nelle Sacre Scritture, attestato in molti passi ed ultimamente in maniera indiscutibile dall’Apostolo Paolo. Non si tratta di una nuova ed originale dottrina cattolica, ma è ampiamente affermato in alcuni padri della Chiesa, in Gerolamo e in quel grande esegeta che fu Origene. Una strada interpretativa così importante, è stato purtroppo abbandonata, per l’eccessivo ed esclusivo peso che è stato dato alla teologia di Agostino. Se pur grande è l’amore e l’ammirazione che noi nutriamo nei suoi confronti, bisogna tuttavia dire, che sant’ Agostino, giunto tardi alla conversione, ignaro di greco ed ebraico, ha letto la Bibbia non tanto con la mente di un ebreo quanto con quella di un latino fortemente condizionato dalla sua formazione platonica. Per i greci l’uomo è unità di corpo ed anima, rigorosamente e strettamente bidimensionale. Per gli Ebrei, nel corso della loro storia illuminata dalla Parola di Dio, è venuta sempre più emergendo la realtà di un nostro essere tridimensionale, come unità di corpo, spirito ed anima. Non intendiamo ripetere quanto già scritto altrove. Nella lettera agli Ebrei, che stiamo commentando, la struttura creata e fondata del nostro essere risulta chiaramente tridimensionale. Se non accettiamo ed ammettiamo una realtà così evidente, il discorso di Paolo risulta vuoto ed insignificante. E’ di fondamentale importanza nella nostra vita di redenti che si affermi una capacità di discernimento fra ciò che è spirito destinato alla vita eterna e ciò che è psiche, destinato a perire con il corpo materiale, in quanto indissolubilmente legato ad esso. Vi è l’uomo psichico e vi è l’uomo pneumatico, cioè spirituale. Solo quest’ultimo entrerà nel regno dei cieli. Quel che nasce con la carne ed è indissolubilmente legato con la carne morirà con essa. Non così l’uomo spirituale creato dal soffio dell’alito divino. È fondato nello Spirito di Dio, perché originato dal Lui. Può rimanere un semplice spiraculum cioè uno spiraglio, un’apertura a, semplice coscienza del proprio essere immutabile ed eterno in quanto rapportato all’essere increato ed immutabile di Dio. Cosa o chi non può assolutamente finire nel nulla dopo la morte, indipendentemente dal giudizio divino? Il nostro io spirituale, come semplice coscienza di sé, in quanto fondato nell’immutabilità di Dio, non passibile di un annientamento, ma aperto fin dall’inizio alla possibilità di una crescita, nella Parola e con la Parola, fino alla statura dell’uomo maturo che è in grado di vedere Dio; ma anche ad una terribile inversa possibilità: quella di una chiusura allo Spirito Santo, nel rifiuto e nel non ascolto della Parola, con l’ esito finale di una morte, che non è caduta nel nulla ma continuo morire di morte, esclusione perenne e reiterata da ogni crescita nel Creatore. Escluso dal Creatore, se pur fatto per vivere in Esso, escluso dalla creazione, se pur originariamente rapportato ad essa, privato di ogni dono spirituale, della psiche e del corpo materiale per lui creati dal nulla: questa la sorte del dannato dopo il primo giudizio. Dopo la resurrezione dei morti i dannati saranno nuovamente associati al loro corpo e alla loro anima, non perché abbiano la vita e crescano in essa, ma perché brucino eternamente, cioè subiscano una continua diminuzione e contrazione del proprio essere, senza che la fiamma si estingua.
In quanto ai redenti è nostra opinione che l’io spirituale entrato nella gloria di Dio, dopo aver goduto di essa in modo esclusivo ( senza anima e corpo ) sia associato di nuovo ad un corpo e ad un’ anima, degni della perfezione del Creatore, senza macchia di peccato.
Non intendiamo dire, corpo ed anima che siano altri da, vissuti cioè come estranei al proprio essere originario, o peggio ancora come corpo ed anima appartenuti ad altro o ad altri, spezzando quel legame di continuità che unisce l’ultimo uomo al primo uomo. La diversità va intesa non in rapporto alla persona ma in rapporto alle proprie peculiari caratteristiche. Non possiamo pensare che un corpo deforme e la psiche di un mentecatto si ritrovino per sempre uniti allo spirito nello stesso modo; pur rimanendo gli stessi, cambiano gli attributi assumendo quella perfezione che non è conosciuta nello stato di peccato. Molto ci si preoccupa di affermare come verità di fede che ognuno di noi riavrà il proprio corpo e la propria psiche. Preoccupazione infondata che può dare luogo a malintesi e ad aspettative per nulla piacevoli.
Cieli nuovi e terra nuova, per un uomo fatto nuovo non solo dalla pienezza dello spirito celeste, ma anche da un corpo riformato dalla terra e da un’anima rifatta ad opera dell’unico ed esclusivo Signore.
“di giunture e anche di midolla, e capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore”.
Un discorso, già all’inizio non facile, trova ulteriore sviluppo.
La parola di Dio, abbiamo detto, non opera in superficie, ma in profondità in ciò che, senza la sua luce, è di per sé nascosto. Non esiste una semplice distinzione di ciò che è spirito e di ciò che è anima. Vi è tra i due un legame, una realtà intermedia, per noi indecifrabile, che li unisce l’uno all’altra. La Parola di Dio sa discernere ed operare in questi legami, perché l’anima non risulti dissociata dallo spirito e lo spirito inadeguato o meglio insufficiente rispetto alla necessità di un’anima che vuole essere santa, come Dio.
Se l’anima si definisce attraverso una molteplicità di attributi sia buoni sia cattivi, dello Spirito non si può parlare in termini qualitativi, ma solo quantitativi. Lo Spirito di Dio è solo Santo e non diversamente. Si è più o meno santi soltanto in rapporto ad una pienezza, più o meno piena.
È escluso che si possa dire dello spirito semplicemente: c’è o non c’è. Bisogna considerare la misura del dono. In qualsiasi caso rimane il soffio iniziale che vediamo in Eden, che ci fa un io spirituale creato cosciente di sé e della propria immutabile identità, in quanto unicamente rapportato all’immutabilità del Creatore. Lo spirito viene direttamente da Dio, non è semplicemente creato dal nulla, come lo sono il corpo e l’anima: non può finire nel nulla. Permane perciò la necessità di un suo eterno essere anche senza alcuna possibilità di crescita nello Spirito creatore, in quanto chiuso a quel continuo dono che porta l’uomo dall’età bambina a quella dell’uomo fatto adulto ad opera di Cristo, in grado di vedere Dio: pienezza dello Spirito donato in grado di vedere Colui che è pienezza dello Spirito in sé e per sé, il Padre nel Figlio ed il Figlio nel Padre. Chi è un dannato?
Semplice coscienza di sé come spirito, escluso però per sempre da ogni rapporto con lo Spirito Santo. Per libera scelta e non per volontà di Dio. Questo il primo grande tormento a cui si aggiungerà alla fine quello di un’anima e di un corpo ad esso riassociati che non potranno più avere alcuna espansione o allungamento o giuntura viva né verso lo spirito di Dio - rimasto ai minimi termini, come semplice coscienza di sé in rapporto ad un Creatore - né verso la creazione, tolta loro per sempre. Il fuoco inestinguibile è immagine di una esperienza di morte mai conchiusa, ma sempre in atto.
A questo punto forse è più comprensibile perché si parli di giunture e di midolla. Midolla è la parte più intima e nascosta, quella che potremmo chiamare spirito in senso stretto, ciò che è puro in assoluto: giunture tutto ciò che è collegato ad un livello più superficiale, attraverso legami e congiunzioni che sfuggono all’intelligenza umana. E chi può fare distinzione netta tra ciò che in noi è puramente spirituale, puramente materiale e puramente “animale”? Ai nostri occhi non c’è psiche senza carne e non c’è carne viva senza psiche. Ma ancora più, per chi può comprendere, non c’è anima senza spirito. Il salto di qualità netto, chiaro, indiscutibile tra un qualsiasi animale e l’uomo è dato dallo Spirito e non da semplice diversità dell’anima.
Quello che sfugge al nostro giudizio è ben conosciuto da Dio che sa dare un giusto peso, una equa misura una giusta valutazione ad ogni dimensione dell’uomo.
E a questo punto ci sia lecito una piccola digressione per parlare del nostro rapporto con coloro che appaiono poveri per quel che riguarda l’anima. Ci riferiamo innanzitutto ai malati psichici , nati tali o tali divenuti nell’età e per l’età, per le più svariate ragioni, che di per sé non hanno importanza alcuna. Di fatto sono e appaiono ai nostri occhi i più poveri di qualsiasi altro povero. Ma una precisazione va fatta.
La povertà che innanzitutto risalta ai nostri occhi non ha di per sé alcuna valenza, importanza, significato per ciò che più propriamente attiene allo spirito. È soltanto per un terribile inganno del Diavolo e per una deplorevole ignoranza della Parola di Dio, che ciò che di per sé appare come semplice povertà dell’anima sia da noi conosciuta, giudicata, considerata, come povertà dello Spirito. Povertà non degna di essere amata, meritevole di emarginazione e di dispregio e di allontanamento dalla nostra vita.
Che un povero mentecatto possa essere un ricco nello spirito è per noi assurdo e inconcepibile. E la ragione è presto detta. Siamo persone carnali e non spirituali, incapaci di cogliere nell’esistenza l’importanza e lo spessore dello Spirito Santo nella cui vita tutti siamo stati immessi. Nulla di spirituale vi è nei nostri discorsi, peggio ancora nel nostro modo di considerare le persone e di rapportarci ad esse. Domina in noi e fa da padrona incontrastata un’anima accecata dalla ragione, non guidata dallo spirito, incapace di attingere ad una visione spirituale dell’esistenza. Importa e vale ai nostri occhi solo l’apparente grandezza di ciò che propriamente è psiche. Di un uomo elogiamo l’intelligenza, l’arguzia del ragionare e del parlare, le disquisizioni sottili e convincenti, l’amabile e piacevole compagnia; tanto meglio se alla bellezza dell’anima si accompagna quella del corpo. E chi di noi può dire con san Paolo: “Io non conosco più nessuno secondo la carne. E se un tempo ho conosciuto Cristo secondo la carne ora non più?” Per quale ragione non amiamo e non ricerchiamo l’amicizia e la compagnia dei malati mentali? Ci sentiamo sminuiti ed avviliti dalla loro presenza. Non sopportiamo e non accettiamo la povertà della loro psiche. E chi di noi pensa mai che sono fratelli a pieno titolo, creature immesse nella vita dello Spirito, la cui esistenza ha valore davanti a Dio non come qualsiasi altra, ma al di sopra di qualsiasi altra, sofferenti il castigo del peccato d’Adamo, non solo per se stessi, ma per l’umanità tutta? Chi più simile e vicino al Cristo, che per salvarci dalla dannazione eterna si è fatto il più piccolo degli uomini portando su di sé l’ignominia della croce, con ogni offesa ed insulto, non escluso quello di “pazzo”? Si rallegri nel Signore ogni pazzo: porta un titolo, che lo stesso Cristo ha ricevuto dalla bocca dell’uomo: l’ha assunto su di sé come croce che porta alla salvezza. Non vogliamo tessere l’elogio della follia a modo di Erasmo: non siamo all’altezza di un ingegno. Vogliamo semplicemente dire che se non vediamo il Signore in queste persone e non cogliamo dalla loro amicizia frutti di santità, siamo lontani dalla vera fede.
Una Chiesa in cui non c’è posto né collocazione per i malati mentali è una chiesa non benedetta da Dio. Perché proprio là dove c’è una evidente povertà dell’anima il Signore fa larghe le vie dello Spirito. In quale modo? Scavalcando un rapporto con Dio mediato dalle complesse categorie della ragione per lasciare spazio e vigore ad un altro rapporto più immediato, vivo, profondo quale è dato dallo Spirito. Non esistono soltanto le categorie della ragione: ancora prima e ancora più ci sono quelle dello Spirito: mistero grande ed inaccessibile alla nostra intelligenza, eppure lo spirito sempre vive ed opera in tutti i suoi figli.
Non c’è cristiano che coltivi un rapporto di fraternità con i malati mentali o più semplicemente con i piccoli che non ne esca arricchito spiritualmente. Potrà patire il loro stato, diventare nevrotico per la condivisione di una sofferenza, ma sarà infinitamente compensato da Dio con ogni ricchezza di Spirito Santo.
“13 E non c’è creatura invisibile davanti a lui ma tutte le cose sono nude e scoperte ai suoi occhi, davanti al quale noi renderemo conto.”
Nessuna creatura può nascondersi ai suoi occhi neppure in ciò che appare a noi coperto e velato, quasi la sottopelle del nostro essere. E tutto questo per un giudizio secondo giustizia e verità. Non è concesso alcun giudizio ultimo e definitivo dell’uno riguardo all’altro, perché solo la Parola di Dio
“e capace di giudicare i pensieri e le intenzioni del cuore”.
È il cuore, la parte più profonda del nostro io, cioè il nostro spirito, il portatore della vera libertà per noi creata e a noi donata. Libertà che è innanzitutto scelta della creatura di essere in Dio o per Dio in un’apertura alla grazia divina, o di essere creatura in sé e per se nella chiusura e nel rifiuto della grazia. Tutto ciò che è legato e associato allo spirito ha valore ed importanza relativa e condizionata. L’anima può anche crescere molto, se pur dissociata o poco associata ( guidata, illuminata ) dallo spirito. In quanto al corpo può anche apparire bello, se pur associato ad uno spirito disubbidiente a Dio e a un’anima non cresciuta.
Vi è tra spirito, anima, corpo una molteplicità e una complessità di legami ed associazioni, in cui solo Dio può vedere. E questo innanzitutto giustifica e chiede l’ascolto della divina Parola, in quanto illuminante il nostro essere. Una parola che in ultima istanza giudica, ma ancor prima crea, corregge, guida, fortifica, conduce a buon fine. Se ancora non comprendi l’importanza della lettura e della meditazione della Parola ai fini della santificazione, altro non posso e non voglio dirti.
“14 Avendo dunque un sommo sacerdote grande che ha attraversato i cieli, Gesù il figlio di Dio, teniamo ferma la professione di fede.”
Cosa ci manca ancora che già non sia stato dato? Nulla: vi è già colui che per noi ha attraversato i cieli, per riconciliarci con Dio. Non resta che rimanere saldi nella professione di fede in Cristo Gesù, Salvatore nostro.
“15 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non può compatire le nostre debolezze, ma essendo stato provato in tutte le cose a somiglianza di noi senza peccato”.
L’amore che dona salvezza è l’amore che vuole e sa condividere la condizione di chi è perduto.
Gesù nostro sommo sacerdote ha portato su di sé tutte le nostre debolezze e tutte le nostre prove, ad eccezione del peccato: il giusto ha pagato per gli ingiusti, l’innocente per il peccatore. Non ha disprezzato la nostra miseria ma l’ha fatta propria, per liberarci dal potere del maligno
L’eterno Figlio di Dio che ha sofferto per noi tutti, cosa altro può volere e desiderare? Che ogni fratello condivida con Lui la gloria del cielo.
“16 Avviciniamoci dunque con franchezza al trono della grazia, affinché riceviamo misericordia e troviamo grazia per un opportuno aiuto.”
Nessun timore dunque, nessuna incertezza e trepidazione nell’avvicinarci a Cristo Salvatore. Ci sta aspettando a braccia aperte, seduto sul trono pieno di grazia, per colmarci di ogni dono di consolazione, di misericordia, di fortezza, perché la salvezza da lui operata in un tempo sia per noi viva ed attuale in ogni tempo.
Cap.3
- Dettagli
- Categoria: Lettera agli Ebrei
- Pubblicato Giovedì, 03 Gennaio 2013 09:20
- Scritto da Cristoforo
- Visite: 3847
Cap. 3
Perciò, fratelli santi, partecipi della chiamata celeste, considerate l’inviato e sommo sacerdote della nostra confessione di fede Gesù, 2 che è fedele a colui che lo fece come anche Mosé in tutta la sua casa. 3 Infatti questo fu reputato degno di maggiore gloria rispetto a Mosé, come ha onore tanto maggiore della casa colui che l’ha costruita. 4 Infatti ogni casa viene costruita da qualcuno, ma chi ha costruito tutte le cose è Dio. 5 Mosé fu certo fedele in tutta la casa di lui come ministro a testimonianza delle cose che dovevano essere dette, 6 Cristo invece come figlio sulla casa di lui; del quale la casa siamo noi, se però conserviamo la franchezza e il vanto della speranza. 7 Perciò, come dice lo spirito Santo: oggi se avrete udito la sua voce, 8 non indurite i vostri cuori come nella provocazione nel giorno della tentazione nel deserto, 9 dove i vostri padri mi tentarono nella prova e videro le mie opere per quaranta anni. Perciò detestai quella generazione e dissi: sempre si sviano col cuore, essi poi non hanno conosciuto le mie vie, 11 così che ho giurato nella via ira: non entreranno nel mio riposo. 12 Guardate, fratelli, che non vi sia in qualcuno di voi un cuore cattivo di incredulità nell’allontanarsi dal Dio vivente, 13 ma esortate voi stessi ogni giorno, sino a che l’oggi viene nominato, perché qualcuno di voi non si indurisca per l’inganno del peccato. 14 Infatti siamo diventati partecipi di Cristo, se però l’inizio della fermezza conserviamo fermo fino alla fine 15 nell’essere detto: oggi se avrete udito la sua voce non indurite i vostri cuori come nella provocazione! 16 Quali infatti avendo udito esacerbarono? Forse non tutti quelli che erano usciti dall’Egitto per mezzo di Mosé? 17 Chi poi detestò per quarant’anni? Non quelli che peccarono , i cui cadaveri caddero nel deserto? 18 A chi poi ha giurato che non sarebbero entrati nel suo riposo se non a quelli che disubbidirono? 19 E vediamo che non poterono entrare a causa dell’incredulità.
“Perciò, fratelli santi, partecipi della chiamata celeste, considerate l’inviato e sommo sacerdote della nostra confessione di fede Gesù, 2 che è fedele a colui che lo fece come anche Mosé in tutta la sua casa.”
Figli di Dio per adozione e fratelli fatti santi dall’eterno Unigenito, dobbiamo tenere in perenne considerazione l’autore ed il perfezionatore della nostra chiamata al regno dei cieli.
Vi è un solo sommo sacerdote che ha innalzato al cielo un sacrificio per la vita eterna, e in nessun’altra confessione di fede è data la salvezza se non in quella che porta il nome di Gesù Cristo. Da lui santificati, in Lui abbiamo il modello dell’autentica fede che in tutto e per tutto deve seguire le vie indicate dal nostro Salvatore. Non c’è fedeltà di figli al Padre che non debba avere come modello colui che è eternamente fedele. La fede comporta l’amore e l’amore cerca e vuole la volontà di colui che si ama. Come Gesù è stato fedele al Padre? Obbedendo in tutto e per tutto alla sua volontà. L’amore non ammette e non accetta un’obbedienza a metà e neppure con riserve. Se già in Mosè gli Ebrei hanno avuto il modello di un capo costituito da Dio stesso su tutto il suo popolo, ora ci è dato dal cielo un modello ancora più grande, definitivo e risolutivo del nostro rapporto con il Signore. Come è ricordato Mosè? Come colui che è stato fedele a Dio in tutto quel che riguarda la casa a lui affidata.
“3 Infatti questo fu reputato degno di maggiore gloria rispetto a Mosé, come ha onore tanto maggiore della casa colui che l’ha costruita.”
Se Mosè è stato fedele nella casa a lui affidata, in Gesù abbiamo un modello di fede ancora più grande. Dio Padre ha dato al Figlio non solo la gestione della sua casa, ma la costruzione della stessa casa. L’autorità di Mosè sul popolo santo è una autorità costituita, delegata e creata. L’autorità che si deve riconoscere a Gesù gli appartiene come cosa propria, in quanto in Lui e per Lui siamo stati creati.
“4 Infatti ogni casa viene costruita da qualcuno, ma chi ha costruito tutte le cose è Dio.”
Non c’è casa senza costruttore e non è costruttore di ogni cosa se non l’eterno Dio. La vita che portiamo non è cosa nostra, ha un suo padrone a cui dobbiamo rendere conto in ultima istanza, ma ancora prima si deve rendere conto a coloro che sono stati messi a capo dal Signore stesso.
“5 Mosé fu certo fedele in tutta la casa di lui come ministro a testimonianza delle cose che dovevano essere dette,”
Il popolo del Signore deve ogni obbedienza a Mosè in quanto fedele in tutto e per tutto al suo mandato. Negli ultimi tempi Dio ha dato la sua casa non nelle mani di un ministro, uomo tra gli uomini, ma nelle mani di un ministro diverso, che può vantare per sé il titolo di Signore e creatore dell’universo.
“6 Cristo invece come figlio sulla casa di lui; del quale la casa siamo noi, se però conserviamo la franchezza e il vanto della speranza.”
Se è giusta e doverosa l’obbedienza a Mosè, per la Legge di Dio a lui affidata, ancora più è dovuta l’obbedienza al Cristo Figlio di Dio, creatore di ogni cosa ed autore della nostra salvezza. La casa del Padre, che siamo noi, è anche casa del Figlio e ciò che è dovuto al Padre è innanzitutto dovuto al Figlio, perché il Padre ogni cosa ha messo nelle sue mani.
Ciò che è realtà eterna è stato a noi manifestato nel tempo e col tempo. La rivelazione conosce tappe e momenti diversi. Gli Ebrei non devono fermarsi all’osservanza della Legge data attraverso Mosè. Negli ultimi tempi ha messo la sua dimora fra il popolo eletto lo stesso eterno Figlio di Dio, fattosi carne per noi, morto e risorto perché abbiamo vita eterna. Non c’è risoluzione ultima e definitiva del nostro rapporto con Dio se non nell’obbedienza a Cristo. Da Lui e per Lui sono adempiute le antiche promesse: non c’è fondata speranza di vita eterna se non riponiamo in Lui la nostra fede. La fede in colui che è mandato dal cielo crea e alimenta la speranza nei beni celesti. Chi aspira e desidera vita eterna, non può avere fondata speranza se non in Cristo e per Cristo. Non basta la speranza passata se pur viva e forte: bisogna rimanere in essa, conservandone intatta la potenza e la freschezza. Impariamo dalle cose passate e da ciò che nel passato Dio ha detto al suo popolo!
“7 Perciò, come dice lo spirito Santo: oggi se avrete udito la sua voce, 8 non indurite i vostri cuori come nella provocazione nel giorno della tentazione nel deserto, 9 dove i vostri padri mi tentarono nella prova e videro le mie opere per quaranta anni.”
Ciò che lo Spirito Santo ha detto nell’oggi di un tempo, ha valore nell’oggi di ogni tempo. E cosa dice lo Spirito Santo al suo popolo? “ Oggi se avrete udito la sua voce, non indurite i vostri cuori”. Il Padre che parla oggi, ha già parlato ieri, affermando in maniera categorica che sempre ed ovunque è dovuto l’ascolto della sua parola. È condannato l’indurimento di cuore del passato, come lo è quello del presente e come lo sarà quello di ogni futuro.
L’indurimento di cuore è prodotto dal non ascolto della parola o da un ascolto che si pone in un’ottica sbagliata, che non è quella dell’obbedienza, ma della messa in discussione. Un’obbedienza a Dio condizionata nella forma del dialogo, del voler comprendere, sapere, vedere, più propriamente si deve definire tentazione nei confronti dello stesso Dio. Il Signore che mette alla prova i nostri cuori, non può accettare che si metta alla prova il suo cuore. È il modo migliore per rompere un dialogo d’amicizia e per perdere i frutti e i doni dell’amore divino. Se Dio manifesta a noi il volto suo proprio che è quello dell’amore, la nostra malvagità ci fa vedere un volto divino diverso: quello dell’ira del Creatore che chiude le porte del Regno dei cieli.
“Perciò detestai quella generazione e dissi: sempre si sviano col cuore, essi poi non hanno conosciuto le mie vie, 11 così che ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio riposo”.
Perchè innanzitutto si è detestati dal Signore? Perché il nostro cuore si è allontanato da lui: ha preso strade diverse. Non è semplicemente lontano in linea retta, ma è lontano per via traverse, in una tale complessità e complicazione di sentieri che difficilmente è trovata la strada del ritorno. Non hanno conosciuto le mie vie, quelle che sono chiaramente indicate dai comandi del cielo, e con ciò si sono persi in un peregrinare che rifiuta la guida del Signore.
“11 così che ho giurato nella mia ira: non entreranno nel mio riposo”.
Non per sempre saremo inseguiti dall’amore di Dio: viene il tempo in cui l’amore prende il volto dell’ira, la promessa di salvezza diventa giuramento di condanna.
“12 Guardate, fratelli, che non vi sia in qualcuno di voi un cuore cattivo di incredulità nell’allontanarsi dal Dio vivente,”
Qual è il cuore cattivo? Non innanzitutto quello che fa il peccato, ma ancora prima quello che non pone nel Signore ogni sua fiducia e non confida nella sua opera di salvezza. È la mancanza di fede che ci allontana sempre di più da Cristo Salvatore. E più si è lontani, più si perde nella capacità di ascolto: Il Signore può ben alzare la sua voce, ma non c’è più orecchio per sentire e per comprendere.
“13 ma esortate voi stessi ogni giorno, sino a che l’oggi viene nominato, perché qualcuno di voi non si indurisca per l’inganno del peccato.”
Quale vantaggio nell’ esortazione continua ed incessante alla fede che il fratello fa al fratello? Ogni distanza dall’ascolto viene per così dire appianata: chi è più lontano viene richiamato da chi è più vicino. È il grande dono dell’oggi vissuto nella Chiesa e con la Chiesa. Nella comunità degli eletti rimane viva la proclamazione della parola di Dio, i cuori duri vengono battuti, l’inganno del peccato viene continuamente smascherato.
“14 Infatti siamo diventati partecipi di Cristo, se però l’inizio della fermezza conserviamo fermo fino alla fine 15 nell’essere detto: oggi se avrete udito la sua voce non indurite i vostri cuori come nella provocazione!”
Siamo diventati partecipi di Cristo non come singoli ma come parte del suo corpo che è la Chiesa. Non bisogna andare fuori da ciò che già è stato dato ed operato in noi dal Signore. L’insegnamento che ci viene dal passato va custodito e fedelmente tramandato. Ciò che è stato a noi detto nell’oggi di un tempo, deve essere conservato e richiamato nella mente nell’oggi di ogni tempo.
“16 Quali infatti avendo udito esacerbarono? Forse non tutti quelli che erano usciti dall’Egitto per mezzo di Mosé? 17 Chi poi detestò per quarant’anni? Non quelli che peccarono , i cui cadaveri caddero nel deserto? 18 A chi poi ha giurato che non sarebbero entrati nel suo riposo se non a quelli che disubbidirono? 19 E vediamo che non poterono entrare a causa dell’incredulità.”
Nessuno si illuda che la storia dell’uomo nel rapporto con Dio, così come è da Lui conosciuta, richiamata, guidata possa conoscere dei sostanziali cambiamenti.
Quello che è accaduto ieri può ripetersi anche oggi. Siamo un popolo di dura cervice, sempre pronto alla disobbedienza ed alla incredulità. Il passato del popolo eletto illumini il suo presente di popolo rivisitato da Dio; in maniera più grande, forte, decisiva e determinante, che vuole una risposta più pronta ed immediata, una maggiore perseveranza nell’obbedienza e una fede più viva e sincera in Dio Salvatore.
Cap.5
- Dettagli
- Categoria: Lettera agli Ebrei
- Pubblicato Giovedì, 03 Gennaio 2013 09:18
- Scritto da Cristoforo
- Visite: 4085
Cap. 5
Infatti ogni sommo sacerdote preso dagli uomini è costituito per gli uomini per le cose che riguardano Dio, affinché offra doni e vittime per i peccati, 2 potendo sentire giusta compassione per gli ignoranti e gli erranti, perché anche lui è circondato di debolezza 3 e per essa deve, così per il popolo come anche per sé, offrire sacrifici per i peccati. 4 E non per se stesso qualcuno riceve l’onore, ma chi è chiamato da Dio come Aronne. 5 Così anche il Cristo non glorificò se stesso per essere diventato sommo sacerdote, ma chi gli disse: Figlio mio sei tu, io oggi ti ho generato; 6 come anche in un altro passo dice: Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek; 7 il quale ( Cristo ) nei giorni della sua carne avendo offerto a colui che poteva salvarlo dalla morte, con preghiere come anche con suppliche con grido forte e lacrime, ascoltato a motivo della cautela, 8 pur essendo figlio imparò dalle cose che soffrì l’obbedienza, 9 e reso perfetto divenne per tutti gli obbedienti a lui causa di salvezza eterna, 10 essendo proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek. 11 Riguardo a questo il discorso è per noi molto e difficoltoso da dire, perché siete diventati indolenti di orecchi. 12 E infatti dovendo essere maestri a motivo del tempo, avete ancora bisogno che qualcuno vi insegni i rudimenti del principio delle parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. 13 Infatti ogni partecipante del latte è inesperto della parola di giustizia, infatti è un bambino. 14 Invece il cibo solido è dei perfetti, di coloro che a causa della consuetudine hanno esercitate le capacità di discernimento per distinguere bene e male.
“Infatti ogni sommo sacerdote preso dagli uomini è costituito per gli uomini per le cose che riguardano Dio, affinché offra doni e vittime per i peccati, 2 potendo sentire giusta compassione per gli ignoranti e gli erranti, perché anche lui è circondato di debolezza 3 e per essa deve, così per il popolo come anche per sé, offrire sacrifici per i peccati.”
Un confronto è dovuto fra un qualsiasi sommo sacerdozio e quello del Cristo: se eccellente è il primo, molto di più lo è il secondo.
Ogni sommo sacerdote è preso dagli uomini e costituito per gli uomini, non per regolare innanzitutto i rapporti fra i propri simili, ma per curare il loro rapporto con Dio. Cosa fa il sommo sacerdote per conciliare la terra con il cielo, le creature con il Creatore? Offre doni e vittime per i peccati. Cosa ci mette di propriamente suo? Nulla! Più semplicemente condivide la realtà esistenziale degli uomini per i quali svolge un servizio presso Dio. “Potendo sentire compassione per gli ignoranti e gli erranti, perché anche lui è circondato di debolezza”. È una possibilità inerente alla sua stessa natura di figlio di Adamo quella di compatire una situazione umana di ignoranza e di lontananza da Dio, perché anche lui vive in quella debolezza che ha nome di peccato. Deve quindi offrire sacrifici di espiazione a Dio non solo per il popolo, ma anche per se stesso. Quale merito e quale vanto? Nessuno?
“4 E non per se stesso qualcuno riceve l’onore, ma chi è chiamato da Dio come Aronne.”
Se è un onore portare il titolo di sommo sacerdote, è un onore ricevuto e non meritato. Ma allora quale l’importanza di un sommo sacerdote? Se è in tutto uguale agli altri uomini fra i quali è eletto, se offre sacrifici di espiazione non solo per il popolo ma anche per se stesso, perché gli è dovuto un onore del tutto particolare? Unicamente perché così ha voluto Dio. È Lui che chiama al sommo sacerdozio, è lui che conferisce onore ed importanza a questo titolo.
Non si opera in nome di Dio se non si è approvati e mandati da Dio. Non c’è nulla nella realtà creata che non rimandi al suo Creatore e ad una lode che è soltanto per Lui ed in vista di Lui. La creatura è per la gloria del Creatore: tutto ciò che viene da Dio deve tornare a Sua lode.
“5 Così anche il Cristo non glorificò se stesso per essere diventato sommo sacerdote, ma chi gli disse: Figlio mio sei tu, io oggi ti ho generato;”
Neppure Cristo, nella sua diversità rispetto ad ogni essere creato, è venuto meno a questo eterno principio di giustizia che vuole Colui che viene dopo sottomesso a Colui che viene prima. Cristo diventato sommo sacerdote per volontà del Padre, pur avendo ricevuto un nome che è al di sopra di ogni altro nome, non cercò la gloria sua, ma quella di Colui che gli disse: Figlio mio sei tu: oggi ti ho generato.
“6 come anche in un altro passo dice: Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek,”
Se tanto grande è l’eccellenza del sacerdozio di Cristo rispetto a quello dell’uomo, quanto più si deve tenere in onore un sacerdozio eterno rispetto a un sacerdozio che cade in un tempo e per un tempo!
“7 il quale ( Cristo ) nei giorni della sua carne avendo offerto a colui che poteva salvarlo dalla morte, con preghiere come anche con suppliche con grido forte e lacrime, ascoltato a motivo della cautela,”
La sofferenza del Cristo è nel tempo e per il tempo della sua carne: ciononostante porta e riassume in sé la sofferenza dell’umanità tutta. Sarebbe riduttivo ridurre tutto alla morte di croce. Mistero incomprensibile per la ragione, eppure è verità di fede che non c’è sofferenza umana che non sia stata portata dal Cristo. Ma neppure si deve pensare che il Dio fattosi uomo abbia sofferto diversamente da ogni uomo. L’umanità della sofferenza del Cristo appare ben visibile e palpabile nel momento della prova, allorché assalito dall’angoscia per l’imminente morte chiede al Padre di essere liberato. Niente dunque del superuomo, dell’eroe di miti e leggende, che corre intrepido incontro alla morte, ma tutta quella povertà e miseria che è tipica dell’uomo più comune e vile e abbietto.
“avendo offerto con preghiere come anche con suppliche… con grido forte e lacrime.” Qui c’è tutto l’uomo che non semplicemente prega, ma supplica, non solo fortemente grida, ma anche fortemente piange. Ma dalla prova estrema nasce la vittoria ultima gradita ed accetta al Padre.
“Tuttavia non la mia, ma la tua volontà sia fatta”.
Ci sembra che così vada interpretata l’espressione “fu ascoltato a motivo della cautela”. Qual è questa cautela? La prudenza e la saggezza dell’uomo schiacciato dal dolore, che purtuttavia non smarrisce la sua identità di Figlio, chiamato a fare la volontà del Padre. Nulla a che vedere con le bizze di una creatura che alza strepiti con tutte le sue forze, per la cui testa non passa neppure per sbaglio la volontà di accettare una sofferenza per il bene di tutti i fratelli.
“8 pur essendo figlio imparò dalle cose che soffrì l’obbedienza,”
Quale definizione possiamo dare di un figlio? Figlio è colui che in tutto e per tutto fa la volontà del Padre. In quanto al Cristo questo è già dato ed assodato dall’eternità. Obbediente in quanto Dio, vuol essere anche obbediente in tutto e per tutto anche in quanto uomo.
La gloria dell’eterno Figlio non è stata sminuita dalla sua morte in croce, al contrario ha trovato la sua ultima e suprema esaltazione, davanti agli occhi degli stessi angeli.
Nessun essere creato avrebbe mai immaginato un amore che arriva a tanto. Obbediente al Padre per se stesso, si è fatto obbediente anche per noi nel tempo della sua dimora terrena. La sua obbedienza ha colmato ogni nostra disobbedienza e ci ha rese creature nuove capaci di fare la volontà di Dio. Ciò che era impossibile all’uomo è stato reso possibile in virtù del Figlio dell’uomo.
“9 e reso perfetto”
Nessuna imperfezione poteva essere imputata al Figlio di Dio. Ma colui che era di per sé perfetto ha voluto aggiungere perfezione a perfezione, oltre ogni ragionevole immaginazione. E chi avrebbe mai pensato a un amore così grande? Eppure ciò che è al di sopra di ogni umano pensiero è storicamente accaduto sotto gli occhi dei mortali. Si può mettere in discussione la resurrezione del Cristo, ma in quanto alla morte molti hanno visto e testimoniato.
“divenne per tutti gli obbedienti a lui causa di salvezza eterna,”
Un’obbedienza per noi ed in vista di noi ci ha collocati in un rapporto diverso con il Padre. Cristo si è fatto per noi mediatore di ogni grazia per la vita eterna. Una mediazione da lui espletata conforme alla volontà del Padre, che in questo modo ha dato nelle sue mani la salvezza dell’umanità.
Quale il segno di questo conferito potere salvifico?
“10 essendo proclamato da Dio sommo sacerdote secondo l’ordine di Melchisedek.”
Il sacerdozio conferito all’uomo è secondo un ordine che appartiene alla terra, quello conferito a Cristo è secondo un ordine divino, di cui è figura il sacerdozio di Melchisedek.
“11 Riguardo a questo il discorso è per noi molto e difficoltoso da dire, perché siete diventati indolenti di orecchi. 12 E infatti dovendo essere maestri a motivo del tempo, avete ancora bisogno che qualcuno vi insegni i rudimenti del principio delle parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido.”
Un discorso di per sé difficile richiede orecchi di ascolto. L’intento di chi parla si deve incontrare con l’interesse di chi ascolta e con la sua capacità di comprendere.
Il tempo dovrebbe rendere maestri per quel che riguarda le verità di fede. Non sempre le cose vanno in questo modo. E bisogna riprendere il discorso da capo e ripetere come si fa con i bambini. Cominciando con i rudimenti del sapere, che per il credente in Gesù sono tutto ciò che è principio della Parola di Dio, vale a dire criterio e norma di interpretazione, capacità di comprendere sotto il velo dell’immagine. C’è ancora bisogno di un’alimentazione a base di latte, di ciò che è immediatamente assimilabile da tutti, anche dai bambini.
“13 Infatti ogni partecipante del latte è inesperto della parola di giustizia, infatti è un bambino.”
Tutti coloro che sono nutriti da Dio con un latte spirituale non hanno esperienza, cioè conoscenza propria della parola di giustizia. Sono ancora bambini nella fede, non ancora in grado di nutrirsi con la parola che afferma ed esalta la giustizia di Dio. Il peccato non è compreso in tutta la sua gravità e serietà se non da chi è cresciuto nella conoscenza di Dio. Soltanto conoscendo Dio, in virtù della Sua parola, si conosce se stessi come peccatori.
“14 Invece il cibo solido è dei perfetti, di coloro che a causa della consuetudine hanno esercitate le capacità di discernimento per distinguere bene e male.”
Il cibo solido, quello che tiene in vita l’uomo adulto , è da Dio dispensato ai perfetti. Perfetto è l’uomo che in virtù della sua consuetudine quotidiana con la parola, grazie ad una “ruminatio” continua ed incessante sa discernere per grazia di Dio ciò che è bene e ciò che è male.
Non basta la conoscenza del bene e del male che ci è data dopo il peccato originale. C’è bisogno di una conoscenza superiore, che è superamento di una consapevolezza di peccato assai immatura ed acquisizione di un’altra ad essa superiore, a noi data e per noi creata dalla parola di Dio.