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Del modo di intendere la Scrittura

Del modo di intendere la Scrittura
Adattamento alla lingua corrente di Cristoforo
Tu es ipse rex meus et Deus meus
Poiché la scrittura, dilettissimi in Cristo Gesù, è fatta dallo Spirito Santo con meravigliosa arte, ha bisogno di grande considerazione. Per cui, per più facile intelligenza, i dottori danno molte regole, quasi come chiavi per comprenderla  e svelare i suoi segreti  e mettere d’accordo quelle cose che paiono contrarie. Tra le altre mettono certe regole di Ticonio donatista, che questi fece dopo che si convertì alla fede cattolica, lasciando l’eresia di Donato. E queste regole le corresse poi Sant’ Agostino. E Sant’ Isidoro anche lui le espone e queste chiavi sono molto necessarie per entrare nei segreti della Sacra Scrittura, perché la divina Scrittura, secondo quanto dice S. Giovanni al quinto capitolo, è un libro scritto dentro e fuori, segnato e sigillato con sette sigilli, sotto i quali sono nascosti i sette principali misteri evangelici del Nuovo Testamento, cioè il mistero della Trinità, dell’incarnazione e predicazione di Cristo Gesù, della sua passione e morte, della risurrezione, dell’annuncio della legge evangelica, dell’ultimo giudizio, e della nostra glorificazione. Questi misteri erano sigillati nel Vecchio Testamento: in questo libro, scritto dentro e fuori, sotto segni, figure, e vaticini dei santi profeti e soprattutto nel libro dei salmi, erano nascosti tali misteri. E dice San Giovanni ( al quale fu mostrato questo libro chiuso ) che non si trovava alcuno che  potesse aprirlo e sciogliere questi sette sigilli, se non l’agnello Cristo Gesù. Qui habet clavem David. Qui aperit e nemo claudit. Claudit et nemo aperit.( Che ha la chiave di Davide. Che apre e nessuno chiude. Chiude e nessuno apre ). E perciò Gesù fece conoscere questa chiave agli apostoli e agli altri discepoli quando, secondo ciò che è scritto,  aperuit sensum ut intelligerent scripturas  (  aprì il senso perché comprendessero le Scritture ) ma molto più eccellentemente nel giorno della Pentecoste, dando loro i doni dello Spirito Santo. Allo stesso modo lo ha poi comunicato ai santi dottori. Ma nota che, benchè sia solamente una la chiave, cioè  la potestà e  facoltà data a santi dello Spirito Santo di aprire questo libro, nondimeno i dottori mettono molte chiavi o, per dire meglio, molte regole e molti modi per potere e sapere usare e adoperare questa unica chiave. Possiamo anche dire, e meglio, che questa  chiave è Cristo, che apre ogni cosa; e questa principale ci dà poi certe chiavi particolari e i dottori ne hanno raccolte molte, ma  noi ne esporremo solo sette. E benché non tutte siano ora a proposito, tuttavia brevemente ne parlerò per istruzione di quelli che sono studiosi delle Sacre Scritture.
La prima è del nostro Signore Gesù Cristo e del suo corpo mistico che è la Chiesa, perché la Scrittura Sacra, per la connessione del capo a tutto il resto del corpo, qualche volta in un medesimo contesto, senza alcun intervallo, passa dal capo alle membra. Cioè ora parla del capo Cristo Gesù e immediatamente, senza altro intervallo, parla del corpo mistico, cioè delle membra della Chiesa. Come è nel salmo 21: Deus Deus meus respice in me. ( Dio, Dio mio, volgiti a me ). Che sono parole di Cristo al Padre e immediatamente continua: Longe a salute mea, verba delictorum meorum.  ( Lontano dalla mia salvezza, le parole delle mie colpe ). Le quali parole si intendono del corpo mistico cioè delle sue membra spirituali che sono i fedeli, i quali uniti per fede a Cristo fanno un corpo. Parimenti nel Cantico dice: osculetur me osculo oris sui, quia meliora sunt ubera tua vino.  ( Mi bacerà con il bacio della sua bocca, poiché le tue mammelle sono migliori del vino ).Quando dice “osculetur me osculo oris sui”, sono parole del corpo mistico di Cristo, cioè della Chiesa sposa di Cristo, la quale desidera i dolci amplessi dello sposo. Quando immediatamente poi dice: “quia meliora sunt ubera tua vino”, sono parole del capo, cioè di Cristo Gesù sposo della Chiesa, che loda la sua sposa. La seconda chiave e regola è del diavolo, capo dei malvagi e del corpo mistico suo, che sono i malvagi, perché come dice san Gregorio in una certa omelia: “certe iniquorum omnium caput diabolus est, et huius capitis membra, sunt omnes iniqui”.  ( Certamente capo di tutti gli iniqui è il diavolo, e membra di questo capo sono tutti gli iniqui ). E perciò per la grande unione che ha il capo con il resto del corpo qualche volta la Scrittura in un medesimo contesto di parole e senza alcuno intervallo, come è detto sopra nella prima regola, parla del diavolo e delle sue membra, che sono il corpo suo mistico. Come, ad esempio, Isaia nella capitolo 14 parlando del re di Babilonia, che era membro del diavolo, subito senza alcun intervallo, comincia a parlare del principe dei demoni dicendo: “Quomodo cecidit de caelo Lucifer… ( Come Lucifero cadde dal cielo ). Così che chi non fosse istruito nelle regole delle Scritture continuerebbe a riferire tali parole al medesimo re di Babilonia, e così sbaglierebbe, se non in questa almeno in molte simili frasi. La terza regola è del vero corpo mistico  del nostro Salvatore, che sono i cristiani che gli sono uniti per fede e carità e nello stesso tempo del suo corpo finto, che sono i cattivi cristiani, che gli sono uniti solamente per il credo. E perciò in un medesimo contesto di parole e senza alcun intervallo, la Sacra Scrittura esprime quello che appartiene ai buoni e quello che appartiene ai cattivi. Come è scritto nel Cantico al primo capitolo: “Nigra sum sed formosa, filiae Hierusalem”. Queste parole sono della sposa, cioè della chiesa, la quale quanto ai cattivi che sono in lei, dice: nigra sum. Ma  quanto ai buoni che essa contiene aggiunge: “Sed formosa”. Chi non avesse questa regola applicherebbe tutta la frase ai cattivi e non vi troverebbe alcun senso ragionevole. La quarta è del tutto e insieme della parte, del genere e insieme della specie, perché la Scrittura qualche volta in un medesimo ordine di parole, passa dal genere alla specie e dal tutto alla parte e viceversa. Onde Isaia nel capitolo 13 prima parla chiaramente contro la città di Babilonia dicendo : Onus Babilonis. E immediatamente passa a parlare di tutto il mondo in genere dicendo. A summitate coeli, Dominus, et vasa furoris eius, ut disperdat omnem terram. ( Dall’alto del cielo, il Signore, e i vasi del suo furore, per distruggere tutta la terram ). Poi immediatamente ritorna a parlare di Babilonia. La quinta è riguardo alla lettera e allo spirito. Cioè del senso letterale e del senso spirituale, perché nell’esporre le Scritture si deve diligentemente considerare quello che si deve spiegare letteralmente e quello che si deve intendere secondo il senso mistico e spirituale. Onde, dopo il senso letterale, si deve cercare il senso spirituale e dopo un senso  letterale neanche rilevante, si deve investigare il più importante e il più pregno  di Spirito Santo.
La sesta è dei tempi, poiché la Scrittura qualche volta narra i fatti particolari dei tempi, cioè tutto il tempo e non tralascia nulla , qualche volta tace certi fatti minori e certi particolari, affinché il senso mistico si intenda meglio e più perfettamente. La settima regola è dell’ anticipare e del riassumere, perché nella scrittura, qualche volta, le cose si narrano per anticipazione, cioè prima che siano fatte, qualche volta accade che quelle cose che sono fatte prima si scrivono poi per riassunto. Ora vedi che noi abbiamo esposto queste regole più ampiamente di quanto noi non pensassimo, solamente per venire a quella che fa a nostro proposito che è la terza, quella del corpo mistico del nostro Salvatore che sono i buoni, e del suo corpo mistico falso e non vero che sono i cattivi, perché voi vedrete nello svolgimento del discorso che Asaf e Davide qualche volta stanno in  persona dei giusti, qualche volta in persona dei peccatori e qualche volta dei perfetti e qualche volta degli imperfetti e perciò non deve meravigliare se allora nel processo dell’esposizione io non ripeterò queste cose; e nota, se uno vuole queste cose facilmente e prontamente intendere, non gli sembri troppo strano che deve prendere familiarità con il linguaggio e col modo di parlare della Scrittura. Se tu vai in un qualche paese lontano, dove ci sia una lingua a te ignota e voglia tu abitare e fare le tue faccende in simili luoghi, bisogna che tu ti faccia familiare questa lingua se tu la vuoi apprendere ed intendere perfettamente, perché in principio tutte le lingue paiono strane ma se uno vi si abitua, a poco a poco, infine  gli pare facilissima. E perciò dovete considerare quante cose si richiedono per intendere le Scritture, perché prima si richiede la purezza del cuore la quale si acquista nel domare le proprie passioni e nel togliere l’attaccamento a queste cose terrene.
Secondo, un lungo esercizio nel vivere bene perché non basta domare i vizi, bisogna anche fare esercizio di virtù e non solamente un anno,  cinque, o dieci, ma lungamente così che l’uomo abbia fatto del  bene operare  un abito. Terzo, leggere  spesso le Sacre Scritture e farsi familiare il modo di parlare di quelle come ho detto sopra. Quarto, osservare le regole che osservano i dottori nell’esporre la Scrittura e non andare fuori da quelle. Ultimo, darsi alle sante meditazioni e contemplazioni, così che bisogna spesso stare da soli e fuggire il consorzio degli altri e pregare spesso e in questo modo si acquista l’intelligenza delle Sacre Scritture. Ora se i nostri cristiani considerassero quanto tempo ci vuole per guadagnare queste cose, non direbbero come dicono sempre: io voglio studiare prima logica e filosofia e darmi alle cose sottili dell’ingegno e poi io potrò meglio applicarmi alle Sacre Scritture. Oh, non si deve qualche volta studiare queste cose? Sì, ma non vi consumare tutto il tempo della tua vita. Bisogna queste scienze umane lasciarle presto e darsi alla vita buona e a poco a poco contemplare le Sacre Scritture e farsele familiari. Ma i cristiani moderni fanno il contrario. Spendono molto tempo nell’imparare  questioni e cose vuote e non studiano le Scritture e non curano la vita buona. Poi in breve tempo vogliono diventare maestri. E perciò non fa meraviglia se la Scrittura non li degna, ma li scaccia da sé come estranei e sconosciuti. O grande ignoranza degli uomini d’oggi! Vedono che le scienze umane si acquistano a stento in un lungo tempo e si mettono in testa   di poter acquistare la scienza di Dio in un anno? O stolti e tardi di cuore! Oh, non è buona cosa studiare le scienze del mondo? Io ti ho risposto sopra come tu devi fare. Oppure cosa ne dici tu padre? Io non so cosa rispondere, io dirò come disse San Francesco ai suoi frati che gli chiesero se egli voleva che essi studiassero le scienze. Rispose di sì. Ma prima e principalmente dovevano pregare, come facevano gli apostoli. Così dico a voi. Non è male imparare le scienze profane. Ma innanzitutto e principalmente dobbiamo applicarci alla preghiera e mortificare le nostre passioni e poi darci alla lettura delle Sacre Scritture, perché allora facilmente le intenderemo, senza tanta logica e filosofia. Ma lasciami prendere fiato e ti mostrerò ancora meglio quanto siano negligenti oggi i cristiani in questo punto. Tre grandi stoltezze io vedo essere nei cristiani moderni, perché essi sono simili a figli stolti  mandati dai loro padri a studiare  legge. Alcuni di loro ad ogni altra cosa attendono eccetto che alle leggi: chi si dà all’arte oratoria, chi alla poesia, chi alla musica, chi all’astrologia. E di rado e molto da lontano guardano i libri delle leggi. Alcuni studiano sì bene, ma solo i commenti e non guardano mai i testi. Costoro non possono diventare dotti perché trascurano il fondamento della dottrina. Altri guardano bene i testi della legge, ma non attingono all’intelligenza né all’intendimento di colui che ha fatto quella legge, ma solamente si interessano all’apparato esteriore di quelle parole, come suonano bene e  alla serietà di quelle sentenze e le imparano a memoria per poterle poi applicare, e di fatto non le comprendono se non superficialmente. Così fanno i nostri cristiani, l’impegno principale dei quali dovrebbe essere la preghiera e la contemplazione, perché tutta  la perfezione dei cristiani è la carità, la quale massimamente si acquista nell’applicarsi alla preghiera. Ma alcuni sono venuti a tanta stoltezza che essi abbandonano il più importante impegno del cristiano e si danno ad ogni altro impegno, esercizio, secondo che essi si sentano attirati da diversi piaceri…

 

Padre nostro

Gerolamo Savonarola
Commento al Padre nostro
adattamento alla lingua corrente di Cristoforo
Pater noster
Io chiamo Padre, te, o Dio mio, che solo sei beato e potente, Re dei re e Signore dei signori. Tu che solo hai l’immortalità e abiti una luce inaccessibile, che nessuno uomo vide mai, né con le sue forze può vedere. Tu che hai creato ogni cosa, visibile e invisibile, non perché tu ne avessi bisogno, ma solo per comunicare la tua bontà, poiché tu sei in te stesso e da te solo beato, e le cose di fuori non possono né accrescere né diminuire la tua perfetta beatitudine. Tu Padre, puoi tutto, poiché  tutto hai fatto dal nulla, e nel nulla tutto ritornerebbe, se la mano tua non lo sostenesse. Tu sei così sapiente che al tuo occhio nulla è nascosto, ma tutte le cose sono nude e aperte dinanzi a te. Tu sei buono e per la grandezza e la sovrabbondanza della tua bontà, esci in qualche modo fuori di te, quantunque in te stesso pieno e perfetto, e  dovunque ti diffondi, e largamente ti distendi alla provvidenza di tutte le cose, tutto in tutto l’universo e tutto in ciascuna parte, senza confonderti con esso. Tu sei Dio grande che vinci ogni nostro sapere e non vi è Dio fuori di te; Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo. Tre persone, ma non tre sostanze, non tre Signori, non tre Iddii, ma un Signore, un Dio, una sola sostanza, una sola maestà. Che cosa sono dunque io, o Signore Iddio, io che dal nulla sono stato creato e che pure ti invoco col nome di Padre? Polvere e cenere, che non posso far bianco uno dei miei capelli che, sebbene vivo, sono come morto, perché  chiuso nelle tenebre dell’ignoranza e pieno di peccati, i quali si moltiplicano più dei capelli del mio capo. Che cosa sono io, o Signore Iddio, io vermiciattolo e fango, dinanzi a te che fai cose grandi e mirabili e inscrutabili senza numero? Che cosa sono io? Come ho il coraggio di chiamarti padre e di dirmi tuo figlio? Tanto ardire non avrei certo se tu non lo comandassi. O amatore degli uomini! Quanto grande è la tua benignità da voler essere chiamato padre degli uomini peccatori! Quanto buono sei tu, il Padre  “che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti!”. Tu ci ha amato tanto da darci il tuo Figlio unigenito, “affinché chi crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna”. Perdonami, o Signore Dio, se oso chiamarti Padre, poiché non faccio questo per mia presunzione ma per tua somma bontà. Certo a te veniamo con grande fiducia, poiché tu ci comandi che, venendo a te e pregandoti, all’inizio della nostra preghiera ti chiamiamo Padre. E qual è quel figlio che non sia amato dal padre? E che cosa non otterrà il figlio dal padre? Considerando dunque la tua ineffabile misericordia, io confido di ottenere da te qualunque cosa desidero, non solo per la mia salvezza, ma anche per quella dei miei prossimi, poiché tu comandi che diciamo non “Padre mio”, ma “Padre nostro”, affinché io chieda con fiducia non solo per me, ma anche per i miei fratelli. Vengo dunque sicuro a te, non per me solo, ma anche per i miei cari, e per gli amici e per i nemici, sperando di ottenere dalla tua pietà, non piccoli, ma grandi, anzi grandissimi favori.
Qui es in caelis
Oh Signore Dio onnipotente, io so che tu sei dappertutto. Tu vi sei col tuo essere, perché ogni cosa hai creato senza intermediario, e su ogni cosa vegli, conservandola perché non ricada nel nulla. Tu sei dappertutto con la tua presenza, perché tutto vedi e nulla vi è che possa sfuggire all’occhio tuo onniveggente; “perché le tenebre per te non sono oscure, e la notte è chiara come il giorno; quali le tenebre tale la luce”. Tu sei ovunque con la tua potenza che pervade tutte le cose, le quali operano perché tu operi in esse e potentemente le governi. Non faccio dunque fatica a cercarti: basta che ti cerchi nel mio cuore. “E dove andrò tanto lontano da uscire fuori di te? E dove sono tanto nascosto da fuggire la tua faccia? Se io salissi fino al cielo, ivi tu sei; se discendessi nell’abisso, sei pure presente. Se potessi mettere le ali e volare oltre l’oceano, la tua mano mi accompagna, la tua destra mi sostiene”. Come dunque, o Signore, ti ho detto: “che sei nei cieli”?. Forse che non sei anche in terra? Ma tu sei nei cieli ben altrimenti che in terra. Nei cieli vi sono gli angeli e i santi che sono i cieli dei cieli, e tu sei in essi con effusione così piena e ineffabile che al paragone quasi non sembri essere nelle altre cose, le quali rispetto alle beate gerarchie sono quasi nulla. E sono anche  cieli le anime dei giusti, pellegrini ancora su questa terra, ma dalla terra tanto elevati, puri, semplici, il cui pensiero rivolto al cielo ne riflette il raggio luminoso che li trasfigura. E tu sei in essi per la tua grazia, tesoro celeste e tanto prezioso che chi senza di esso fosse ricco di tutto ciò che vi è nell’universo, sarebbe pure povero, miserabile, spregevolissimo. In questi cieli dunque tu sei con l’ineffabile tua bontà e con paterno affetto. E tu, o Padre nostro, ci insegni a dire: “che sei nei cieli”, affinché impariamo a levare al cielo la nostra mente moderando gli affetti terreni e pensiamo che nulla in terra dobbiamo desiderare, mentre ripetiamo che tu sei nei cieli, non in terra. Poiché il cielo è il tuo seggio e la terra non è altro che lo sgabello dei tuoi piedi. Abbiamo dunque fiducia di chiederti non poco, ma molto; poiché sei Padre grande e sopra tutti ricchissimo, possessore di tesori celesti, che occhio mai non vide né orecchio udì né cuore umano saprebbe sognare e tali tesori hai preparato per quelli che ti amano.
Santificetur nomen tuum
Sia santificato il tuo nome! Sia conosciuto, sia amato, sia lodato, sia esaltato, sia celebrato, sia predicato in tutto il mondo, e quanto è grande il tuo nome, tanta sia la lode! Poiché tu solo sei, tu solo potente, tu solo sapiente, tu solo buono e misericordioso e benedetto nei secoli dei secoli. Nessuna creatura al tuo cospetto è degna di lode, nessuna è buona, nessuna è santa; perché a paragone di te tutto il mondo è nulla, e anche le stelle dinanzi a te non sono chiare. Poiché tu sei luce, e in te non vi ha alcuna tenebra; ma è tenebra invece ogni altra luce al tuo cospetto. Tu sei bontà e dinanzi a te ogni altra bontà è solo parvenza. La tua maestà è così grande che ad essa si sottomettono le forze che reggono l’universo, né vi è cosa che possa resisterle. Ti preghiamo dunque, Padre buono, Padre santo, che  il tuo nome sia santificato, sia conosciuto quanto è adorabile e Santo. Che il nome della tua maestà, della tua sapienza, della tua bontà, della tua giustizia e misericordia, da tutti in tutto il mondo si tema e si ami; che nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio, in cielo, in terra, negli abissi, e ogni lingua confessi che tu sei Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo: che un solo Dio sei tu, vero invisibile, immutabile, incomprensibile, e che il Signore Gesù è nella gloria di Dio Padre. Ma perché, o Signore Iddio, noi lodiamo gli uomini e ricordiamo il nome famoso di molti? Perché lodano gli uomini la polvere e la cenere? Perché rendiamo agli uomini onori quasi divini e li chiamiamo grandi, o santi e beati? E che cosa hanno fatto di grande ai tuoi occhi? Non sei forse tu quello che in loro hai operato ogni bene? Perché lodiamo la sega e il martello e non piuttosto l’artefice? Sii dunque lodato tu solo e solo il tuo nome sia santificato in tutta la terra, perché tu solo sei mirabile nelle tue opere e mirabile nei tuoi santi. Sia santificato dunque il tuo nome in tutta la terra! E la terra, valle di lacrime, diventerà giardino di consolazione; perché causa di tutti i mali è l’ignoranza del tuo nome. E qual uomo mai, se davvero conoscesse la tua maestà, non ti temerebbe? Se conoscesse la tua sapienza non ti riverirebbe? Se conoscesse la tua bontà non ti amerebbe? È mai possibile che alcuno, credendo di fede viva che il tuo Figlio fu per noi crocifisso, non voglia poi prendere la sua croce e seguirlo? Diffondi dunque, diffondi, o Padre santo, la conoscenza e l’amore del tuo nome per tutti i paesi dove sono uomini, gli uomini che periscono senza di te. Fa’ che a te ritornino e ti amino e risplenda in essi, e per essi in tutto il mondo, la tua gloria.
Adveniat regnum tuum
Venga il tuo regno! Mostra a noi la tua faccia, e così venga a noi  il tuo regno! Poiché chi vede la tua faccia possiede ogni cosa; e questa appunto è la vita eterna, conoscere te solo Dio vero e quello che tu hai mandato Gesù Cristo. Che cosa non ha chi ha colui che ha ogni cosa? Che cosa non possiede chi possiede colui che possiede ogni cosa? Che cosa non vede chi vede colui che vede ogni cosa? Chi è ammesso alla tua vista, o Signore Iddio, regna con te e possiede il tuo regno nei secoli e oltre ancora. Venga dunque a noi il tuo regno! E venga presto! Perché siamo esuli in questa valle di miseria, circondati dai dolori della morte e atterriti dai pericoli dell’inferno; su questa terra di maledizione dove non ci riesce di evitare i peccati, dove soffriamo di continuo infinite molestie, dove nessuno mai può essere felice, ricco o povero che sia, dotto o ignorante. Dappertutto è affanno e afflizione di spirito. Onde vediamo chiaro, o Padre, che tu non hai posto in questa valle la nostra eredità, che la nostra patria è un’altra, cioè il regno tuo, il quale non è di questo mondo. Noi dunque, pellegrini quaggiù come tutti i nostri padri, preghiamo te, Padre celeste, di volerci presto concedere il regno che ci hai preparato dal principio del mondo. Affretta, o Signore, il giorno in cui, tratti fuori da questo secolo malvagio, regneremo con te e con i tuoi santi nei secoli eterni.
Fiat voluntas tua sicut in caelo et in terra
Sia fatta, o Signore, la tua volontà in terra, come è fatta in cielo! Poiché ben comprendiamo che nessuno può possedere il tuo regno se non colui che è retto, secondo quanto sta scritto: “La luce è sorta fra le tenebre per gli uomini retti”; e nessuno può fare la tua volontà se non per il dono della tua grazia, perché nessuno viene a te se non è attratto dalla tua forza divina. Dunque, o Signore, la tua volontà sia fatta dalla tua stessa misericordiosa onnipotenza, perché solo nella tua grazia noi possiamo fare in terra la tua volontà, come in cielo la fanno i beati nella tua gloria. Pensa a noi tuoi figli, o Padre nostro, e fa’ tu in noi quello che è bello al tuo sguardo, perché se i tuoi fedeli ti servono degnamente, ciò è tutto effetto dei tuoi doni. Purifica i nostri cuori, o luce beatissima! Fa’ che scacciamo perfettamente l’amor proprio e rinneghiamo le nostre voglie, di modo che in noi si compia la tua volontà e la nostra perisca; così propriamente che nulla rimanga in noi di nostro, ma la tua volontà sia di noi padrona in tutto. Purifica le nostre intenzioni, e fa che non amiamo più nessuna cosa terrena, che freniamo e teniamo in servitù la nostra carne, che rifiutiamo la gloria del mondo, che conosciamo chiaro come sei tu che ogni cosa operi in noi e noi non siamo nulla, nulla possiamo, nulla sappiamo, degni solo di disprezzo e confusione. Fa, o Signore e Padre, che ti amiamo perfettamente con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutto lo spirito, con tutte le forze e il prossimo come noi stessi. Con questo amore osserveremo davvero i tuoi comandamenti e faremo la tua volontà perché in questo doppio precetto si contiene quanto la legge e i profeti hanno proclamato.
Panem nostrum quotidianum da nobis hodie
Dacci oggi il nostro pane, o Signore, perché noi non siamo sufficienti da noi soli a nulla, neppure a formare il più lieve pensiero; ed è necessario che tu, padre buono, prepari ai piccoli figlioletti il cibo quotidiano per l’anima e per il corpo. Se tu vuoi dunque (e ce ne dai così viva brama) che entri in noi la tua grazia e la tua carità, che entrata vada crescendo, che cresciuta si conservi e ci possieda interamente; dacci oggi il pane della tua parola e dei tuoi sacramenti. Apri gli occhi dell’anima nostra, onde possiamo intendere le cose scritte dai tuoi santi profeti ed Evangelisti; perché tu solo hai la chiave delle Scritture, e tu “chiudi e nessuno apre”. Avvalora in noi la devozione, cosicché ci accostiamo con umiltà e fervore al mirabile sacramento del prezioso corpo e sangue del tuo Figlio unigenito e Signor nostro Gesù Cristo, e in lui cresciamo nello Spirito, e nel vigore di quel cibo, camminando di virtù in virtù, possiamo arrivare al regno dei cieli. Preparaci dunque, o Padre ineffabilmente buono, tali cibi; e prepara anche la nostra bocca a riceverli, risanando in noi il gusto, il palato e la lingua; che cibi tanto eccellenti non ci sembrino leggeri ed insipidi. Preparaceli ogni giorno, che non ci accada di languire nel lungo cammino; perché siamo troppo fragili; e se ogni giorno non ne mangiassimo, tosto ci coglierebbe la morte. Dacci dunque il pane soprasostanziale; ma dacci pure, finché siamo pellegrini in questa vita, il pane corporale e le altre cose necessarie. Non ti domandiamo ricchezze, non onori, non regni temporali; ma solo quanto è indispensabile alla vita presente, per poterti servire, o Signore Iddio, con animo più tranquillo. Poiché come la prosperità delle ricchezze potrebbe levare in superbia il nostro cuore, così la troppa ristrettezza ci renderebbe ansiosi del domani. Dunque, o Signore, “non ci mandare ricchezze, ma nemmeno l’estrema povertà: dacci soltanto ciò che è necessario alla vita”. E daccelo per mezzo del nostro lavoro quotidiano; perché non lo prendiamo già da te restando nell’ozio. Sappiamo, come sta scritto per tua ispirazione, che la donna forte “non mangiò oziosa il pane” ed ha pur detto il tuo apostolo: “chi non lavora non mangi” e ancora il salmista cantava: “mangiando del lavoro delle tue mani sei felice e avrai bene “.
Et dimitte nobis debita nostra
“E rimetti a noi i nostri debiti” poiché siamo debitori verso di te, e per molti titoli. E chi potrebbe enumerare i peccati che abbiamo fatto? E chi potrebbe sopportare quelli che commettiamo ogni giorno? In verità anche quando ci crediamo giusti, la nostra giustizia è immondezza. È in noi colpevole il pensiero, poiché non si può contare quanto quotidianamente accolga di cattivo e di vano. È colpevole la parola, perché anche gli uomini perfetti a stento frenano la lingua. È colpevole l’opera, oh quanto spesso! E al contrario come raramente facciamo qualcosa di buono! Se sapessimo sottilmente scrutare, vedremmo bene, o Signore, che col nostro fare, anziché edificatori, siamo piuttosto distruttori delle opere tue, e le negligenze poi, le omissioni nostre sono innumerevoli come i granelli dell’arena del mare. Con quale faccia dunque, o Signore, oseremo venire al tuo cospetto, se non ci avessi tu stesso data fiducia per la morte del tuo carissimo unico Figlio “il quale ci amò e ci purificò da i nostri peccati lavandoci nel suo sangue?”. Oh quanto è grande la tua bontà! Veramente eccede e sovra eccede la smisurata mole di tutti i nostri peccati; poiché tu “vuoi la misericordia e non il sacrificio”; o, se sacrificio vuoi, non è quello del sangue, ma “il sacrificio dello spirito afflitto per la colpa: né tu disprezzi un cuore contrito ed umiliato”. E buon per noi che sia così! Che “se tu volessi giudicare secondo le nostre iniquità, o Signore, chi potrebbe sostenersi dinanzi a te?”. Ma abbiamo fiducia, “perché presso di te vi è il propiziatore”, cioè il Signore nostro Gesù Cristo tuo Figlio, il quale è “il propiziatore per i nostri peccati”. Rivolgi dunque il tuo sguardo, o Dio nostro protettore, e “mira nella faccia del tuo Cristo”, e per lui rimetti i nostri debiti. Rimettili “come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. O Signore, che noi li rimettiamo davvero e sinceramente! È giusto che se tu, Padre, perdoni i peccati che noi abbiamo commesso contro di te, noi pure perdoniamo quelli che i nostri prossimi hanno fatto contro di noi, e che sono tanto meno gravi. Perdona dunque a noi, come noi perdoniamo a loro. E noi perdoniamo così di cuore, che non solo non vogliamo ai nostri nemici rendere male per male, ma, quando occorra, siamo pronti a far loro del bene. Così tu, Padre, perdona a noi! Non far vendetta dei nostri peccati, ma cancellali misericordiosamente, e concedici tutti quei beni che ci possono essere di giovamento ora e nel futuro; cosicché  si avveri il detto del tuo profeta che “in cambio delle nostre colpe abbiamo ricevuto dalla mano del Signore beni raddoppiati”.
Et ne nos inducas in tentationem
E non ci indurre in tentazione, o Dio, poiché se cadiamo in peccato a nulla ci vale l’aver fatto per l’innanzi qualunque opera buona: l’aver posseduto il dono stesso della tua grazia divina sarebbe vanto inutile, se la violenza della tentazione riuscisse a spogliarcene, perché sta scritto: “colui che persevererà sino alla fine, questi sarà salvo”; e dunque chi sino alla fine non persevererà, questi non si potrà salvare. E per bocca del profeta Ezechiele tu hai detto: “Se il giusto si allontanerà dalla sua giustizia, e commetterà iniquità secondo tutte le abominazioni che suole commettere l’empio, forse che egli vivrà?”. No. “Tutte le sue giustizie, che gli avrà operato, non saranno più ricordate: egli morirà nel misfatto che avrà commesso e nel peccato che avrà fatto”. O spavento! Il mondo è pieno di trappole e noi camminiamo nelle tenebre, e abbiamo nemici che non dormono né di giorno né di notte. Ti supplichiamo dunque, o Padre, compi l’opera che hai cominciato, così che “la tua misericordia ci accompagni lungo i giorni del nostro vivere quaggiù, affinché abitiamo poi nella tua casa, o Signore, per tutta la lunghezza dei giorni eterni”. Non volgere da noi la tua faccia, e non fare a noi secondo il merito dei nostri peccati. Aiutaci, o Dio, salvezza nostra, e continua l’opera di grazia che hai cominciato in noi, onde per mezzo della perseverante pazienza salviamo l’anima nostra. Ora tu, o Signore, che alla nostra domanda ci rimetti i nostri debiti, rimettili in modo da non più indurci in tentazione, in tale tentazione cioè a cui non abbiamo forza di resistere. Non permettere che la tentazione ci assalga con così grande violenza, che la nostra debolezza ceda, e l’anima incontri la morte.
Sed libera nos a malo
“Liberaci dal male”! Sappiamo, o Signore, che molte cose ci è necessario soffrire per amore tuo, e che è ambita fortuna per la gloria del tuo nome essere crocifissi con il tuo Cristo. E tuttavia ti preghiamo di liberarci da tutti questi mali che ci assediano, e da queste tribolazioni, che senza posa consumano il nostro vigore. Te ne preghiamo, perché sommamente temiamo che la nostra coscienza ne riporti ferita di peccato. Liberaci, o Signore, da questo male, troppo spaventoso per chi apprezza all’infinito la tua grazia. Chi potrà mai persistere fermo nella tua carità, tra le onde violente della tribolazione, se tu non la rafforzi? Forse non sei tu, e tu solo, colui che hai dato ai martiri fra i tormenti la vittoria? E non è forse questo il loro canto trionfale? “Se non era con noi il Signore, lo dica ora Israele, se non era il Signore con noi… quando contro di noi si accese il furore dei nemici, il torrente ci avrebbe travolti nelle sue acque rovinose”. E chiudono il loro inno così: “Il nostro aiuto è nel nome del Signore, che ha fatto il cielo e la terra”. Dunque, o Signore e Padre, “liberaci dal male”, cioè dalle tribolazione e dalle tristezze presenti. Non già che le rifiutiamo, ma non vogliamo che ci trascinino alla colpa e alla perdizione. Vogliamo, sì, con la nostra croce seguire il Signore Gesù “provato in tutti i modi a somiglianza nostra, ma senza peccato”. Egli che “nella via della vita terrena bevve al torrente delle tribolazioni, e da queste alzò rinvigorito il capo”.

 

 

La vita di Gerolamo scritta da fra Placido dei Cinozzi




Vita di Gerolamo Savonarola



di fra Placido dei Cinozzi



( Estratto di una lettera
di fra Placido dei Cinozzi, dell’ordine dei Predicatori di Firenze, “Sulla vita
e i costumi del reverendo padre frate Gerolamo Savonarola da Ferrara” a frate
Giacomo Siculo, vicario generale dello stesso ordine, dopo la morte del
sopraddetto profeta )



Adattamento alla lingua
corrente di Cristoforo



La vita del padre fra
Girolamo, fin dalla fanciullezza, fu sempre pura ed immune da colpa; e
soprattutto fu obbedientissimo sia ai genitori sia a tutti i superiori, ai pari
e agli inferiori; e visse al secolo senza alcun motivo di rimprovero, secondo
quanto i suoi familiari e molti altri mi hanno riferito. Fattosi poi religioso,
all’età di anni ventuno, come proprio lui mi disse in riferimento ai tre voti
essenziali e principali, non ho mai udito né visto alcuna cosa anche minima,
per la quale qualcuno si sia dovuto turbare o scandalizzare. E  quanto al voto della povertà, riguardo al suo
nutrimento, fu molto sobrio e semplice; riguardo al vestire sempre si rallegrò
di portare panni grossolani e semplici: e così avrebbe desiderato vedere gli
altri religiosi. E questi erano i suoi discorsi quando conversava con gli
altri, benché poco parlasse prima di venire fra noi in Toscana, dicendo sempre:
“Noi ci siamo allontanati dallo stile di vita dei nostri antichi padri”. E
parlandomi un giorno degli abusi del nostro tempo, e di quello a cui era
ridotta la religione, mi disse, come andando un giorno a caso per un convento,
non so se a Modena o a Piacenza, aprendo un uscio,  vide una tavola piena di conversi; e fra le
altre cose che egli vide, avevano a mensa molte torte di marzapane. Fu preso da
tanto zelo per onore di Dio che non poté trattenersi dal dire: “Ah, ah, poltroni,
un giorno la pagherete!”. Quanto alla castità, non soltanto non ho trovato uomo
che ne abbia sospettato, ma neppure qualcuno nella cui mente  sia mai venuto simile pensiero. Mi disse un
padre degno di stima: “Io l’ho confessato in Lombardia più di cento volte e
ogni volta dubitavo se egli avesse mai commesso un peccato veniale”; e lodava
molto la sua vita. Quanto all’ obbedienza, alla quale ha sempre tenuto più che
a tutte le altre virtù, perché si pone contro la superbia e, se qualche volta
la si può simulare, certamente è impossibile che in un tempo così lungo in
qualche modo non si fosse scoperta, sebbene egli abbia avuto familiarità sia
con i migliori ingegni dell’età nostra sia con i migliori uomini che si possono
trovare; aggiunto anche  come molti con grande
sagacia abbiano investigato su questo, e tuttavia in questo uomo si trova tutto
il contrario, cioè che fu obbedientissimo più di quanto un altro sia mai stato,
e non soltanto verso i suoi superiori, ma anche verso i più piccoli. E molti
altri lombardi mi hanno detto queste esplicite parole: “Benché egli conversasse
poco, tuttavia in tale frangente era tanto affabile e umile che ogni minimo frate
lo avrebbe fatto andare e stare a suo comando”. Sembra cosa impossibile che, se
in quell’uomo vi fosse stata falsità,  abbia
generato tanta gioia e una letizia così grande in tutti quelli che gli
parlavano e un desiderio altrettanto grande di star con lui: poiché  sia stato pure un uomo tribolato quanto si
voglia e anche indurito nel male, appena parlava, subito si scioglieva tutto il
cuore; e di tal cosa ci sono molte testimonianze. Da questa vita e da questo
insegnamento ne è seguito tra gli altri frutti questo in particolare:  essendo nella città di Firenze una grande
moltitudine di uomini e donne di diversi stati e condizioni, cioè nobili,
mercanti e altri artigiani e plebei, i quali erano così mal messi riguardo alla
fede e alle cose di Dio, come pubblicamente loro hanno detto e anche la loro
vita disonesta lo manifestava, che deridevano tutti gli altri. E, poiché era
ciascuno a modo suo molto sagace e astuto, pervertivano quasi il resto della
città; e in questo stato si trovava la maggior parte della città, quando questo
servo di Dio cominciò a predicare. E benché vi fosse una categoria di uomini
che frequentavano alcune belle e oneste cerimonie ed erano considerati gli
uomini migliori di Firenze,  benché
abbondassero di cerimonie esteriori, erano tuttavia vuoti di ogni carità e
amore di Dio e del prossimo, le cui pratiche quasi tutte si riducevano a se
stesse. E perché questa predicazione ha messo allo scoperto molte loro magagne
che prima non si conoscevano, si sono ingegnati con ogni loro forza di mettere
in ridicolo, non dico le cose future che lui preannunciava, ma anche la
dottrina, e sono arrivati a tanto, insieme con religiosi e altri sacerdoti di
Italia, che, per coprire i loro difetti, si sono molto scoperti, e per coprire
le loro nudità sono rimasti più nudi. Ma torniamo alla prima generazione,
chiamandola dei pubblicani e delle meretrici. Costoro venendo a bere alle acque
di questa predicazione, credendo fare di essa come avevano fatto   delle altre del passato, sono rimasti
inebriati in tal modo che non soltanto hanno abbandonato i loro cattivi costumi
e le disonestà, vivendo castamente e santamente, e restituendo il maltolto, ma
anche la roba, la reputazione e la propria vita. E per non fare un solo peccato
e non soltanto per non peccare, quanto hanno esposto la propria vita più e più
volte, allorché hanno creduto che fosse per l’onore di Dio! E tutto quell’ingegno
che avevano e adoperavano per il male lo hanno convertito in onore di Dio, nel
restituire il mal tolto, che ne è risultato un gran numero di denari ( come
disse una volta il padre fra Gerolamo, predicando, erano stati più di 100.000
ducati); ma anche hanno prestato gratuitamente al Comune e hanno fatto molte
elemosine; e poi ultimamente con la morte del padre, sono stati condannati a
pagare parecchie migliaia di fiorini e tuttavia in tutto sono stati pazientissimi.
Quanto alla fama, vero è che ci fu un tempo in cui chi credeva era tenuto in
palma di mano, ma dopo che fu percosso il padre, e che non fu più conveniente metter
da parte il proprio onore e  patire per
Cristo, subito i vapori caddero a
terra, le stelle si fermarono nel firmamento; e così con grande derisione e
soprattutto i più nobili erano sbeffeggiati; si sputava loro in faccia da gente
da poco. Presi, tormentati con diverse torture, qualcuno anche fu messo a
morte, come Francesco Valori, uomo molto retto e buono; e tutte queste cose
sopportavano con grande gioia. Ma più tormento avevano, senza paragoni, quelli
che facevano torturare anche se non avevano essi torturato di persona, perché
trovandoli innocentissimi in ogni cosa, temevano che, uscendo eletti dagli
stessi dei magistrati, un giorno questi non si vendicassero contro di loro. E
per essere  al riparo da ciò li
ammonirono che essi non potessero avere incarichi chi per due e chi per tre
anni. Per la qual cosa, conosciuta da tutti o dalla maggior parte la loro
innocenza e pazienza, furono restituiti al primitivo stato e assunti fra i primi
magistrati della città. Nè per questo mai alcuno si vendicò delle ingiurie
subite, ma amministrò a tutti la giustizia in modo uguale. Ma cosa dirò io
della morte di qualcuno, non dico della pazienza nel morire, ma della grande
gioia che sovrabbondava in loro nella oscura notte della loro cattura in San
Marco? Un giovane fra gli altri, di sangue nobile, che da lupo era diventato
agnello, da Lucifero, cioè superbissimo, mansuetissimo e umile (veramente ne
avevo piena conoscenza per aver avuto con lui molta familiarità ) che prima che
fosse  nominato teneva  l’arma in mano, bestemmiatore e tutto pieno
di vizi, poi ripieno di ogni virtù. Costui mi cadde quasi ai piedi ferito a
morte, con volto tutto allegro e gioioso mi chiese la Santa comunione, dicendo:
“Padre, non sono mai stato così contento; il Signore mi ha fatto una grazia
troppo grande”. E avendo la crocetta rossa in mano, baciandola e dicendo: “ Ecco
quanto è buono”, era tanta la gioia che si vedeva nel volto, che quelli che
erano presenti desideravano grandemente una simile morte. E così fattolo
comunicare da Fra Domenico da Pescia, confortando i circostanti e baciando
detta croce e dicendo “ecce quam bonum” spirò. Questo padre condusse alla vera
semplicità di Gesù Cristo un’altra generazione di uomini, cioè teologi,
filosofi, canonici e legali. E questi tali furono i più eccellenti che si
trovassero nella nostra città; fra i quali vi fu il conte Giovanni della Mirandola,
di ingegno grandissimo, il quale più volte lo sentii equiparare dal padre fra
Girolamo all’ingegno di S. Agostino e di San Tommaso. Questi dapprima era
contrario a tale opera, poi diventò favorevole e fautore di essa . Poi maestro
Domenico Benivieni, uomo assai singolare di vita e dottrina e unico nella
nostra città. Di poi, essendo a Prato in San Domenico, convocò un giorno a se
tutto il ginnasio pisano e fece una predica lunga tre ore. Erano presenti quasi
tutti e soprattutto i principali lettori dello studio; in questo discorso
dimostrò l’eccellenza della fede. E fu questo sermone di tale efficacia e di
tale forza, che quasi tutti ne furono presi, e soprattutto i suoi avversari, di
modo che messer Ulivieri, canonico fiorentino, considerato primo filosofo
d’Italia, disse queste precise parole, pubblicamente dopo che fu finita la
predica: “Scolari miei e tutti voi altri, andiamo e portiamo i libri dietro a
quest’uomo, perché appena ne siamo degni”. E tutti gli altri nemici diventarono
amici e frequentavano quanto era possibile le sue predicazioni, e pubblicamente
confessavano il loro errore e difendevano la verità. Detto messer Ulivieri una
invernata intera venne a udire fra Gerolamo in san Marco, e stava sino a due
ore di notte, non senza suo gran disagio perché era pure avanti in età e
corpulento. E ancor di più sentii allora che egli richiese al padre che lo
vestisse: infatti morì . Da ultimo mi rimane da raccontarti il frutto che ha
fatto questa dottrina nei fanciulli e nelle fanciulle della città; ma prima riguardo
alle fanciulle, che ,come sai, sembra che naturalmente non abbiano altro desiderio
se non di adornarsi e  di rincorrere cose
grandemente lascive e vane e, in questo, spendere quasi tutto il loro tempo. La
qual cosa per le predicazioni del padre lasciarono del tutto. Non parlo semplicemente
della dignità del loro stato e di ogni decoro che si richiede a simile stato,
ma di ogni cosa superflua e portamento disonesto, dicendo alla madre e
soprattutto le nobili: “Madre nostra, quello che avresti speso in nostro ornamento
datelo ai poveri di Gesù Cristo”. E così datesi tutte al Signore vivevano in
una grandissima carità. Ma potrò io mai con umana lingua narrarti il
cambiamento e la mirabile conversione, stupenda e quasi impossibile di
parecchie migliaia di fanciulli di ogni condizione? Questi, quali fossero prima
e quanto immersi in ogni vizio, lo sanno tutti gli uomini di questa città,
quanto superbi nel vestire e quanto sfacciati negli altri ornamenti, in modo
che da come portavano i capelli sembravano non solo fanciulle, ma addirittura
pubbliche meretrici; disonesti nel parlare e nelle opere, soprattutto in quanto
al vizio della sodomia poiché  era simile
Firenze ad un’altra Sodoma, cosa certamente orribile; erano anche giocatori,
bestemmiatori e molto aperti a ogni tipo di vizi; questi, alle prediche del
detto padre, mirabilmente cambiarono, anzi deposero ogni vanità nel vestire,
nella capigliatura, nella borsa e in tutto il resto. Si emendarono dai vizi
sopraddetti e diventarono ferventi a tal punto che erano di esempio a tutta
Firenze. Si vedeva di certo rifulgere, in quei volti uno splendore di grazia
divina, in modo che in virtù di loro si facevano cose grandissime. E
soprattutto si adoperavano per estirpare i giochi della città e del contado;
dividendosi in molti gruppi, venticinque o trenta, andavano a vedere se si
giocava; e dove trovavano giocatori, prima che iniziassero, o con buone parole
o con minacce, e qualche volta con forza toglievano loro le carte, i dadi e i
loro strumenti; in maniera  che avevano
creato tal terrore di loro fuori e dentro che rare volte i giocatori li
aspettavano, perché sapevano che non c’era alcun rimedio. E, quando da soli non
avessero potuto, avevano il favore degli Otto e dei Signori, i quali li favorivano
assai; per questo mai si trovò che facessero scandalo alcuno per un tempo così
lungo. Così si ridusse la città in quel tempo in un vivere buono e santo: e invece
di fare a sassate, vizio assai dannoso, che per molte centinaia di anni
signorie e altri magistrati e centinaia di predicatori non avevano mai potuto
rimuovere, usando tutte le loro forze, il padre frate Gerolamo con una semplice
parola tolse ogni cosa. E questi fanciulli, i primi della città, invece di
raccogliere sassi andavano a raccogliere per i poveri e per il Monte della Pietà,
e in un tempo maggiore e in  un maggior numero
di pubbliche  donazioni , questi
fanciulli raccolsero molte centinaia e centinaia di ducati, pur essendo loro
più volte rimproverati ,e venendo loro rivolte parole disoneste e loro in  tutto pazientissimi. E, fra le altre, una
volta mi trovai che uno di età di anni cinquanta o circa, nobile  di sangue, ma non quanto alle virtù, chiamando
alcuni di questi fanciulli e fortemente turbato disse: “Voi siete figli di
uomini dabbene e non ne portate il ritratto. Lasciate stare queste cose,
pensate al piacere, e a fare a sassi come eravate soliti”. Alle quali parole
uno di loro rispose con grande benevolenza, dicendo: “O padre nostro, noi
credevamo che voi ci lodaste di questa cosa, e che fortemente voi ci riprendeste
quando facessimo a sassi o ad altre cose disoneste, e voi fate tutto il
contrario”. Alla quale risposta adirato disse: “Voi siete molto tristi”, e
passò via con molta furia. E simili cose spesso capitavano loro; poiché quelli
che dovevano essere loro di esempio erano 
di impedimento, a parole e a fatti. Ma che dirò io della grande
obbedienza che essi portavano al padre e alla madre? Sapete quanto è difficile
allevare i figli in Firenze. Erano diventati non soltanto obbedientissimi ai
loro genitori, ma mostravano una grande mansuetudine e rispetto verso tutti
quelli con i quali dialogavano, e non parlavano d’altro se non di Gesù Cristo,
senza alcuna ipocrisia, ma con grande sincerità in ogni loro azione.



Riguardo all’ascoltare le
prediche del padre frate Gerolamo e la Parola di Dio, erano molto solleciti e,
soprattutto, così desiderosi che ogni mattina erano i primi a prender posto,
contro ogni inclinazione infantile; e qui stavano, spesso  due o tre ore prima, in gran silenzio,
dicevano le loro preghiere o cantavano litanie o versetti a ciò preparati o
altre lodi, sino a quando il padre saliva sul pulpito; e tutto facevano seduti
su certi gradini a loro riservati. Credo che il numero registrato  fosse ogni mattina più di duemila, benché
negli ultimi tempi fossero molti di più; al punto che padre frate Gerolamo
ordinò che fossero divisi secondo i quattro quartieri di Firenze e si
nominassero loro custodi e guide, e assegnò loro fra Domenico da Pescia perché
li istruisse in tali cose, e perché stessero occupati in maniera buona e
lodevole. Stabilirono dunque questi fanciulli che si purificasse tutta la città
da molte vanità e superfluità, come erano carte, tavole da gioco, dadi, pitture
sconce, veliere, rilievi disonesti, scacchiere, arpe, liuti, chitarre, capelli
finti, tavole, tele di pitture preziose ma lascive, specchi, pettini, profumi,
ampolle e simili cose. Andavano dunque questi giovanetti dabbene per le case
dei cittadini con grande umiltà e chiedevano simili cose. Erano molti quelli che,
volentieri per amor di Dio, le davano e questi ricevevano la benedizione da
loro. Trovavano qualche volta degli scellerati che li offendevano e anche lì
percuotevano e loro sopportavano pazientemente. E tal cosa durò molti mesi,
così che  si radunarono  molte cose e quasi da non contare, le quali
furono valutate più migliaia di ducati. A queste cose, in presenza di tutto il
popolo sulla piazza dei Signori, fatta prima una costruzione bellissima di
legno, dove furono elegantemente sistemate tutte le  sopraddette con mirabile distinzione, alla
presenza di questi giovanetti e chi con trombe pifferi e campane, si diede fuoco
con grandissimo giubilo. Il giorno in cui si fece questo fuoco, che fu il
giorno di carnevale, si comunicarono in S. Marco, fra uomini, donne e fanciulli,
in molte migliaia, con canti e inni che sembrava che gli angeli fossero venuti
a giubilare con gli uomini. Queste opere si facevano in Firenze al tempo del
padre Fra Gerolamo. Guarda che frutti mirabili erano questi! Oh che gloriosa
città era quella! Mi ricordo che fece fare il padre fra Gerolamo una
processione di fanciulli la domenica dell’Ulivo, tutti vestiti di bianco; il
numero di questi salì a più di cinquemila, e furono contati di proposito,
perché questo fatto fu giudicato cosa mirabile e stupenda; poiché andavano con
tanta umiltà e compostezza e ordine che facevano stupire ognuno. Ciascun
quartiere aveva il suo simbolo, sotto il quale andavano tutti con una croce
rossa e con l’ulivo in mano: sul capo ognuno portava una ghirlanda. Dietro a tutti
seguiva una innumerevole moltitudine di uomini e donne. Terminata la
processione si radunarono sulla piazza di S. Marco  con i loro tabernacoli e le insegne, e tutti i
frati di San Marco uscirono fuori e
fecero un ballo intorno alla piazza, in albis, e cantarono e saltarono a
imitazione di Davide intorno all’arca. E veramente questo fu un giorno
meraviglioso e stupendo, nel quale certamente impazzì per gioia e contentezza
tutto quel popolo. Di seguito cominciarono questi giovanetti a riandare per la città
un’altra volta per purificarla; e ricevettero di simile cose lascive in numero
maggiore e ancor più belle. Ma quello che era stato ordinato non si poté
mandare ad effetto per la malignità di molti, perché in quel tempo fu preso e
ucciso il detto padre frate Gerolamo. Queste cose lascive si arsero poi
nell’orto di San Marco. Chi volesse comprendere meglio e di più il frutto
meraviglioso di questi fanciulli e l’ordine di tutto legga Gerolamo Benivieni
nel suo grande volume, nelle canzoni e nei sonetti che lui fa di amori celesti,
in un commento sopra certe canzoni da lui composte a proposito di queste
processioni e feste. Nell’anno del Signore 1481, essendo detto padre frate
Gerolamo, dell’ordine dei predicatori dell’osservanza,  studente in santa Maria degli angeli in
Ferrara, e ,a causa della guerra che avevano mosso i veneziani al duca di
Ferrara, essendo entrato in questa città ogni accorgimento  riguardo al tutto e ad ogni cosa in
particolare, fu egli assegnato dai suoi superiori in San Marco. Ma essendo
priore maestro Vincenzo Bandella, conosciuta la sua dottrina e bontà, lo fece
lettore in S. Marco; e, secondo quanto mi riferì un certo frate timorato e suo
discepolo,  fra Gerolamo per
l’insegnamento e per l’esempio era da tutti tenuto in gran venerazione, e tutti
esortava molto a studiare la Scrittura: riferendomi questo tale che il più
delle volte che lui veniva a leggere lo aveva osservato che aveva gli occhi
bagnati di lacrime, poiché  aveva
piuttosto meditato qualcosa che studiato la lezione. Ma, poiché la possedeva
molto bene, convinceva ottimamente. In seguito, la Quaresima dopo, fu scelto a
predicare in San Lorenzo; e, poiché né in gesti né in pronuncia soddisfece
quasi a nessuno, al punto che mi ricordo, avendolo udito tutta la quaresima,
alla fine rimanemmo fra uomini e donne e fanciulli meno di venticinque. Per
questa ragione, vedendo questo, e anche essendogli detto da altri, come li udii
dire poi più volte, deliberò di lasciar stare del tutto il predicare e di
continuare la lettura; e tornò in Lombardia. Poi nell’anno 1489, avendo questi
frati di San Marco fatta una pressante richiesta di riaverlo, lo ottennero per
il capitolo e fu lui assegnato per lettore. E così cominciando a leggere la Parola,
piacque a tutti quei padri che in chiesa, il giorno delle feste dopo vespro, si
leggesse qualcosa delle Scritture. E così per obbedienza la prima domenica di
agosto 1489, cioè il primo di questo mese cominciò a esporre l’Apocalisse, e
sopra questo testo propose quattro cose principali: la prima, la verità della
fede di Gesù Cristo, la seconda, la verità del vivere bene cristiano; la terza,
il rinnovamento della Chiesa, la quarta la conversione degli infedeli. L’anno
seguente, cioè nel 1490, fu eletto priore di San Marco. E poiché molti, anzi
tutti, avendo mostrato la sua dottrina e bontà e la dolce conversazione che era
pieno di spirito Santo, ammaestrandoli sempre e confortandoli dolcemente che
essi si impegnassero per avere qualche profitto nella vita spirituale e che si
prendessero cura dei cattivi costumi del tempo presente; per questo più e più
volte lo esortarono perché si trovasse un modo per poter giungere a questa
perfezione. E poiché sembrava impossibile, stando tutti insieme, conseguire ciò,
pensarono che sarebbe stata  cosa buona staccarsi
dalla Lombardia, dicendo che questo non era una novità, ma che anticamente la
Toscana era separata dalla Lombardia . In breve tempo  sottoscrissero ciò, attraverso un notaio, più
di cento frati. Lui dunque, visto questo, mise mano all’impresa, e così ottenne
il risultato sperato, contro l’opinione e il potere di molti principi d’Italia
e di altri grandi prelati. Nel tempo in cui si mandava in esecuzione tale cosa
lui faceva fare ogni giorno quattro volte preghiere comuni per questa cosa in
particolare. E per i grandi contrasti e per le impugnazioni cui andava incontro
tale cosa, molti di quelli che si erano sottoscritti, anzi la maggior parte,
cominciarono fortemente a temere, pensando di essere tutti dispersi poi da
questi frati lombardi. E lui più volte pubblicamente disse loro che non
avessero alcun timore, perché si sarebbe ottenuto in ogni modo, poiché questa
era la volontà di Dio: e questo sentii dire da più persone che più volte lo
avevano udito da lui: anche se lo sentii dire dal padre frate Girolamo,
dicendolo in loro presenza: “Io vi dissi già che questa cosa è da Dio, e in
ogni modo la otterremo”; e loro acconsentivano che era vero. Dubitarono poi i
frati che, benché questo si ottenesse, morto lui non sarebbe durato. Rispose a
questo che sarebbe durato in ogni caso.



L’ultimo giorno in cui si
ottenne il breve di questa separazione, la santità del nostro signore
Alessandro VI, avendo convocato tutti i cardinali al concistoro necessario per
più cose, disse loro che, per quel giorno, non voleva assegnare alcun breve:
che avessero pazienza, che doveva spedire cose importanti. Poi, al termine del
giorno, licenziò i cardinali circa alle ore 23:30 e il cardinale di Napoli,
nostro protettore, rimase con lui e togliendosi di dosso il breve, disse: “Beatissimo
padre, prego la santità vostra di voler segnare questo breve”; e rifiutando lui
il tutto, il cardinale, facendo pressione su di lui con una dolce parola, gli
tolse l’anello dal dito e lo segnò lui stesso; e presa  licenza dal pontefice, lo dette a frate Domenico
da Pescia, che era lì fuori che lo aspettava col compagno. E così, avuto questo
breve, discendendo le scale del palazzo, i frati lombardi le salivano con
lettere di principi al pontefice (credo che fra gli altri vi fosse il duca di
Milano) e altri prelati, le quali lettere contenevano che non si facesse tale
separazione. Quando giunsero su, presentate che le ebbero, il Papa rispose: “Se
fossero arrivate prima, pochi minuti fa, sarebbero state esaudite”. Otto giorni
prima che si ottenesse il detto breve, il vicario generale di Lombardia mandò
una prescrizione al padre fra Gerolamo, sotto pena di scomunica, che, vista la
presente, senza alcuna scusa andasse a trovarlo. E questa prescrizione la
indirizzò al priore di Fiesole, facendo anche a lui una prescrizione che,
immediatamente, vista la lettera acclusa, la porgesse nella mano stessa del
padre fra Gerolamo: e perché arrivasse in modo più sicuro, mandò appositamente
uno. Ma senti quello che accadde. Il detto priore, il giorno in cui costui
venne con queste lettere era venuto a Firenze per faccende del convento. Il
portatore le diede in mano al vicario del convento, dicendogli l’importanza di
tale lettera, e se ne venne a Firenze. Il detto vicario prese la lettera, e per
non dimenticarsene la mise nella stanza del priore, sulla tavola da pranzo,
dicendo: “E’ impossibile che appena torni non la veda”. Alla sera torna il
priore ; il vicario non si ricorda della lettera e il priore non la vede; e
così andò per otto o nove giorni. Poi, quando piacque a Dio, il priore,
guardando sulla tavola, vide questa lettera e apertala, subito, preso il
compagno, va a Firenze per fare quanto in quella è scritto. E, datala in mano
al padre fra Gerolamo, questi alquanto sorridendo gli rispose: “O padre priore,
se voi me l’aveste portata ieri avrei fatto quanto in essa contenuto. Ma ieri
sera noi abbiamo avuto un breve da Roma, che siamo separati dalla
Lombardia”.  Pensa lo stato d’animo del
priore, considerando che a causa sua e del suo vicario del convento era
accaduto tale guaio! E questo mi disse più volte frate Silvestro in pubblico e
in privato. Leggendo dunque il padre fra Gerolamo nell’anno sopraddetto l’Apocalisse,
e riprendendo aspramente i vizi, e dimostrando attraverso le Scritture che era
necessario il rinnovamento della Chiesa per gli infiniti peccati del clero,
egli così diceva spesso: “Io sarò come una grandine, perché spezzerò il capo a
quelli che non staranno al coperto”. In modo che molti cittadini, suo amici, preoccupati
per le difficoltà interne, perché temevano di dispiacere al popolo e a Lorenzo
dei Medici, e a lui non osavano dirlo per la gran stima che gli portavano,
molte volte lo invitarono a lasciar stare questo modo di predicare e a seguire
l’antico; e lui a tutti rispondeva che quello era il vero modo di predicare, e
che in qualsiasi modo quella dottrina che lui predicava si doveva allargare e
fare gran frutto. E ancor più disse che alcuni famosi predicatori avrebbero
perso la loro fama, e che sarebbe rimasta in piedi solo questa dottrina, benché
dovesse subire molti contrasti e tribolazioni. Vedendo dunque Lorenzo dei Medici
che la fama di questo padre cresceva e che non aveva alcun riguardo nel suo
predicare, poiché metteva troppo allo scoperto la sua nascosta tirannide, usò
più artifici e modi per renderselo benevolo come era solito fare con molti
altri, secondo quanto mi disse il padre frate Gerolamo; ma non giovandogli
alcuna cosa, mandò cinque degli uomini più importanti della città i quali sono:
messer Domenico Bonsi, messer Guido Antonio Vespucci, Francesco Valori, Paolo
Antonio Soderini, Pier Filippo Pandolfini ovvero Bernardo Rucellai. Questi con
gran reputazione erano stati ambasciatori al Papa e al re di Napoli, dai Veneziani
e a Milano, ed erano uomini molto onorati e considerati, molto avveduti in
quello che facevano. E disse loro che fingessero di andare di propria volontà
per il bene pubblico della città e che lo esortassero a predicare come tutti
gli altri; e che non si impicciasse riguardo alle cose future o ad altre in
particolare. Questi, giunti in San Marco,  fecero la loro proposta che lasciasse da parte
simili argomenti; ma come intesi allora, temettero assai nel parlare, a tal
punto che sembrava che le lingue si appiccicassero loro al palato. Alla quale
proposta il padre fra Gerolamo rispose in tal modo: “Voi dite che venite a me spontaneamente
per amore del bene pubblico e della vostra città, ma non è così. Lorenzo dei Medici,
è lui che vi manda. Ma ditegli da parte mia che lui è qui cittadino di Firenze
e il primo, e io sono straniero: che lui deve partire e presto e che faccia
penitenza poiché Dio  vuol castigare lui
e tutti i suoi; e che io devo rimanere. Lui deve andare e io devo stare” .
Cosicché tutti i cinque non seppero rispondere cosa alcuna, e presa licenza, se
ne andarono. E benché io lo venissi a sapere lo stesso giorno  , udii poi che  replicò la cosa sul pulpito, e vi erano
presenti due dei predetti cittadini, i quali fecero cenno ai circostanti che
era tutto vero. Vedendo dunque Lorenzo che questa cosa non aveva avuto l’effetto desiderato, anzi il
contrario, perché si cominciò a diffondere per la città come questi uomini
erano rimasti confusi, tirò in ballo le cose spirituali, cioè di toglierli la
fama grazie agli uomini spirituali. E così fu. Vi era in quel  tempo maestro Mariano della Barba, frate
osservante eremitano, il quale aveva predicato in Firenze più quaresime e in
san Gallo più tempo nei giorni di festa e aveva avuto sempre un ammirevole
ascolto, più di ogni predicatore che fosse stato a Firenze trent’anni prima o
più; al quale detto Lorenzo aveva fatto costruire il convento di San Gallo e
aveva fatto molti altri benefici, così che  l’aveva messo in grande stima presso tutti gli
uomini dabbene; e lui più volte con qualche parola lo esaltava dai pulpiti,
benché in modo accorto, perché era astuto. Il padre frate Gerolamo, invece, predicava
riprendendo i vizi e soprattutto toccava tutti i tasti e non aveva alcun
riguardo. Ordinò Lorenzo al detto fra Mariano che facesse una predica nella
quale si dicesse che predire cose future non era che mettere sedizione nei
popoli. La qual cosa Lorenzo ottenne da lui con poca fatica , sia per i grandi
benefici fattigli sia anche perché lui vedeva venir meno a poco a poco il
grande consenso intorno a lui e soprattutto quello degli uomini dabbene ed
intelligenti. Fece una predica il giorno dell’ascensione credo nell’anno 1491
in San Gallo, dopo vespro, e propose questo tema: “Non sta a voi conoscere i
tempi o i momenti…”; E nel suo procedere mostrò tanto accanimento che anche
quelli che erano suoi amici e suoi difensori si accorsero che procedeva tutto
da una grande passione. E io mi ricordo, essendo presente a questa predica, poiché
ero uno di quelli che piuttosto stavano dalla sua parte che da quella di padre
Fra Gerolamo; e quella fu un motivo per  abbandonare le sue prediche insieme con molti
altri. Vi fu a questa predica Lorenzo e il conte Giovanni della Mirandola, che
anche lui allora era contro fra Gerolamo, messer Angelo da Montepulciano e
quasi tutto il fiore degli uomini dabbene; in modo che all’uscire dalla predica
vi fu  fra tutti una divisione. Ma certo
quella fu una buona ragione  per fargli
perdere la reputazione che aveva acquistato in parecchi anni; e credo anche che
fosse l’inizio in cui il conte della Mirandola si ritirò da lui insieme con
molti altri. E soprattutto per il fatto che vi si aggiunse questo:  essendo riferito al padre frate Gerolamo e
predicando in seguito la domenica successiva a quella dello spirito Santo,
riprese il medesimo tema cioè: “Non sta a voi conoscere i tempi…”, E spiegò
come si deve intendere, dando piena soddisfazione a quelli che ascoltavano e
poi con fare molto mansueto disse alla fine della predica: “Fratello mio avrei
caro che tu fossi presente, spero tuttavia che ti sarà riferito: non sei tu che,
non  molti giorni fa,  venisti qui da me in San Marco e con tanta
umiltà e mansuetudine mi mostrasti che questo nostro predicare ti piaceva molto
e che stava per far molto frutto offrendoti tu a me, in tutte le cose che tu
potessi fare, di essere sempre prontissimo, con molte altre simili parole? Chi
t’ha dunque messo in testa tali cose? Per quale ragione ti sei così presto
rivoltato?”. In questo modo fu chiaro a tutti che aveva fatto tale cosa per
compiacere ad altri e anche per vedersi diminuire ogni giorno sempre di più gli
ascoltatori. E così penso che questa fosse la ragione per cui, vedendosi in
qualche modo svergognato, partì e andò a Roma e qui si sforzò di sconfiggerlo
per più anni e in pubblico e in privato e non soltanto lui quanto tutto l’ordine
di San Domenico. In questo tempo gli venne una grave infermità che quasi tutto
si scoraggiò e fu consigliato dai medici che andasse ai bagni di Pozzuoli, al
di là di Napoli, dove visse con gran pompa e grandi apparati, in modo che
meravigliò molti che erano a questi bagni. Finalmente nel ritornare a Roma ebbe
notizia come quattro dei suoi frati erano annegati con le loro cose; e fu tanta
la sofferenza che patì che uscì di sé, e così lungo la via morì senza altri
sacramenti. E benché lo tenessero nascosto più giorni tuttavia in quel
farneticare diceva sempre: “Presto, a Roma, a Roma io sono cardinale; il Papa
manda a dire attraverso di me” e simili parole. Questa fu la su fine. Avendo
detto Lorenzo provato in tutti i modi propri e con molti di altri e nessuno
giovandogli, stava così prendendo tempo: perché essendo già nella stima del
popolo e di molti uomini dabbene, non vi vedeva tornare ad onore suo  fare cosa alcuna con asprezza. Come piacque a
Dio, si ammalò detto Lorenzo e aggravandosi, in poco tempo venendo a morte,
mandò un messo al detto padre frate Gerolamo, dicendo queste precise parole. ”Andate
dal padre frate Gerolamo perché io non ho mai trovato uno che sia vero frate se
non lui”. E così andando a Careggi, poiché qui si trovava, e venendo da lui, dopo
alquante parole disse che si voleva confessare. E il padre frate Gerolamo disse
di essere contento, ma che prima della confessione gli voleva dire tre cose; se
lui le faceva non doveva dubitare in alcun modo della sua salvezza. Lui rispose
di essere contento e che voleva farle. Il padre disse: “Lorenzo, dovete avere
una grande fede”. Al quale rispose: “Padre, questa c’è”. Allora fra Gerolamo
soggiunse la seconda: “Bisogna che restituiate il mal tolto”; e lui stando
alquanto sopra di sé disse: “Padre, in ogni modo io lo voglio fare o lo farò
fare ai miei eredi, non potendo io”. Il padre gli disse la terza: “Bisogna che
voi restituiate la libertà della città alla Repubblica, e facciate in modo che
rimanga nel suo primo stato”. Alle quali parole non dette mai alcuna risposta .
E così andandosene detto padre, senza altra confessione, non molto tempo dopo
morì. E queste parole le udii da frate Silvestro che morì con padre frate
Gerolamo, così che credo a ragione che l’abbia saputo e  sentito dire dal padre fra Gerolamo. A molti
suoi amici, come dice anche maestro Domenico Benivieni,  e Alessandro Acciaiuoli il quale fu presente
nella sagrestia di S. Marco, predisse questa morte di Lorenzo dei Medici e di
papa Innocenzo VIII, di re Alfonso, figlio del re Fernando, la venuta in Italia
del re di Francia, la perdita dello stato del duca di Milano. Rivelò il segreto
del suo cuore a più persone e tra gli altri, come dice maestro Domenico
Benivieni di esserne a conoscenza, specialmente a frate Francesco Chieri,
procuratore dell’ordine dei predicatori. Il quale, non comportandosi  rettamente 
né secondo verità, ma falsamente e nascostamente, in cuore suo era
contrario al padre frate Gerolamo. Della qual cosa rimproverandolo il padre, lui
negava e piangeva dicendo: “Io non sarò mai contrario né a voi né alle opere
vostre”. Il padre frate Gerolamo da ultimo gli disse simili parole: “Tu  fai finta di credermi e non mi credi, sarai
mio avversario; ma alla fine Dio ti scoprirà”. Costui fu quello che  con Alessandro VI, per sua improba
giustificazione, si tolse di dosso alcune lettere che avevano scritto vari
frati di San Marco come accusa nei confronti di padre frate Gerolamo, e le mostrò
al pontefice, e disse: “Vedete, santissimo padre, queste sono lettere dei frati
di San Marco”. Ne venne come conseguenza che il pontefice per assolvere se
stesso disse poi al maestro dell’ordine: “I tuoi frati ti hanno consegnato a
me”. Se poi fu scoperto, lo giudichino coloro che l’hanno dovuto approvare. Ma
la morte alla fine conferma ogni cosa: poiché morì credendo di non dover mai
morire e senza i sacramenti della Chiesa, con molti comportamenti da
femminucce, dicendo: “Come è possibile che io debba morire?” E molte altre cose
simili…



Nel 1494, predicando in San
Lorenzo disse  queste parole (essendo in
pace tutto il mondo, alla fine era deriso dalla maggior parte ): “Credete a
quello che vi dico, verrà presto uno di là dai monti a modo di Ciro, al quale
Dio sarà sua guida e comandante e nessuno potrà resistergli, e prenderà le
città e le fortezze con le ricchezze e tutti gli animi si turberanno”. Predisse
ai fiorentini nelle medesime prediche: “Quando verrà questo come Ciro, allora,
Firenze, tu sarai come ubriaca, dubitando assai con chi tu debba fare alleanza
e poi, dopo molte consulte, la prenderai a rovescio cioè con quello che ebbe a
perdere. E così fu: poiché, quando si seppe con certezza come questo re di
Francia assolutamente voleva passare, sera e mattina si tenevano consigli,  e per la diversità di opinioni se ne usciva
senza alcuna conclusione…



Disse che questa doveva
essere la prima delle tribolazioni d’Italia e che Roma doveva essere
completamente sottomessa in questi tempi. Disse anche in pubblico e in privato:
“Questa luce che io predico deve patire grandissime tribolazioni e contrasti,
maggiori di quella dei martiri, perché dobbiamo combattere contro una doppia
potenza, doppia sapienza e doppia malizia; tuttavia non sarà mai calpestata:
anche da questo deve nascere tutto il rinnovamento della Chiesa”…  Disse, essendo il re di Francia venuto a
Pisa, che i fiorentini dovevano soffrire molte tribolazioni, ma non la
distruzione del loro stato. Essendosi ribellata Pisa, per la venuta del Re ,
disse che sarebbe tornata del tutto sotto il dominio dei fiorentini, non con la
forza, ma piuttosto miracolosamente…



Venendo poi il re di
Francia in Firenze, e essendovi rimasto otto giorni con molto timore di tutto
il popolo, che in quel tempo si sollevò  tutto in armi… frate Gerolamo, essendo a
mensa, costretto credo dalla Signoria, disse a tutti i suoi frati che dopo la
messa se ne andassero a pregare e qui in coro stessero tutti inginocchiati per
terra finché lui tornasse; poiché dubitava che quel giorno si facesse un gran
massacro nella città e che voleva andare di persona sino alla maestà del Re: e
prese come suo compagno fra Tommaso Bulini e andò a trovare detto Re che era
alloggiato in casa di Piero dei Medici; e giunti alla porta gli si fa incontro
la guardia del Re, dicendo: “Dove andate voi? Tornate indietro, che la maestà
del Re e i suoi baroni non vogliono che entri alcun uomo e soprattutto voi,
perché non siate di impedimento, poiché vogliono mettere a sacco tutta la città”.
E stando così il padre frate Gerolamo un po’ in pensiero, questa guardia si
girò per un po’ dall’altra parte e, come mi riferì frate Tommaso Brusi  (mi disse proprio queste parole): “Noi passammo
la seconda e terza guardia e ci trovammo nella stanza dove era il re, senza che
ci fosse detta alcuna parola, e giunti dove lui era già tutto armato, il padre
frate Gerolamo cominciò a parlargli vivamente, dicendogli in conclusione che
era volontà di Dio che egli se ne andasse e che non facesse nulla alla città e
in caso contrario sarebbe capitato male. Fu tanto il terrore che gli entrò
addosso che, partito il padre frate Gerolamo e firmati i capitoli come piacque
al padre, senza alcun cittadino di Firenze, non passò molto che, sapendolo
pochissimi dei suoi, montò a cavallo e uscì fuori della città non senza grande
meraviglia di tutti”… Predisse, avendo già soggiogato il regno di Napoli, che
doveva egli tornare indietro, perché tutti erano dell’opinione che egli andasse
alla conquista di Costantinopoli e già tutte quelle parti della Grecia per la
sua fama sino ad Adrianopoli erano state abbandonate, e i turchi avevano forte
timore..



Predisse tornando da Napoli
detto re, essendo a Siena e come pubblicamente si diceva, che il Re voleva fare
al ritorno quello che non aveva fatto all’andata, cioè mettere a fuoco e fiamma
tutta la città; predisse, dico che avrebbe mandato queste nuvole e tempesta a
piovere altrove; e così fu che piovvero con un gran danno degli italiani.



Predisse anche che, se egli
non avesse reso Pisa ai fiorentini e non li avesse trattati bene,  gli sarebbe morto il figlio e ancor più Dio
gli avrebbe tolto la vita, e così fu. Come adempimento venne la notizia della
sua morte la mattina della notte in cui era stato presso il padre fra Gerolamo.



Predisse ai fiorentini che
il nuovo Stato che avevano creato dopo la cacciata di Piero dei Medici non
sarebbe durato, perché non era secondo la volontà di Dio; e come dovevano
crearne un altro, poiché quello doveva rimanere: la qual cosa a tutti sembrava
impossibile sia per essere cosa nuova sia anche perché quelli che reggevano in
quel tempo erano quasi tutti contrari a questo.



Predisse anche
pubblicamente che questo nuovo stato se per malignità di qualcuno fosse andato per
terra, nel giro di poco tempo si sarebbe ricostruito e allora avrebbe avuto la
sua perfezione…



 





 



 



 


 

omelie Savonarola frammenti

Gerolamo Savonarola
Sermoni –frammenti
adattamento alla lingua corrente di Cristoforo
Gran cosa è certamente l’amore potente, perché l’amore fa ogni cosa, muove ogni cosa, supera e vince ogni cosa. E la ragione è questa, quia omne agens agit propter finem, cioè per amore del fine che ha la condizione del bene. L’amore dunque muove ogni cosa… Trae a sé ogni cosa. E poiché  la carità è un amore massimo fra tutti, opera cose grandi e mirabili. Fra le altre cose che fa la carità, una è che essa adempie dolcemente e facilmente la legge divina, secondo ciò che è scritto: plenitudo legis est dilectio. Il cristiano che ama Dio governa bene se medesimo e gli altri, e osserva bene tutte le leggi che sono secondo la ragione, perché così come i rami, i fiori, le foglie e i  frutti sono in potenza nella radice dell’albero, e similmente ogni scienza e ogni legge naturale è radicalmente fondata nel lume della ragione, del quale è scritto: signatum est super nos lumen vultus tui, Domine; così nella carità è fondamentalmente e virtualmente ogni legge, e chi ha la carità può adempiere facilmente ogni legge, essendo la legge una certa misura e regola degli atti umani, che indirizza e regola le operazioni umane. La carità poi è misura e regola di tutte le misure e di tutte le  regole, perché la carità misura e regola tutte le altre leggi. Ciascuna legge particolare è in tal modo misura e regola di un atto e di una operazione, che non è regola d’altra operazione… Non così la carità, perché  essa è misura e regola di ogni cosa e di tutte le operazioni umane. E perciò chi ha questa legge della carità, regola bene se e gli altri, e interpreta bene tutte le leggi. Questo si può ben vedere in quelli che hanno cura d’anime, perché chi non ha la carità, e regge e governa i sudditi suoi secondo che trova scritto nella regola o nelle leggi canoniche… se non vi applica la legge della carità, che è misura e regola universale, non reggerà mai bene. Ad esempio, dice la legge: tutti digiunino la quaresima. Se il rettore e prelato vuole questa regola accomodare ugualmente a ciascuno, sarà giudicato troppo severo e non cercherà la salute delle pecorelle, quia qui nimis emungit elicit sanguinem: chi troppo munge la pecorella ne fa venire il sangue. Così il prelato che indiscretamente e ugualmente vuole che tutti osservino la regola o la legge canonica, senza dubbio nuocerà alla salute di molti. Perché non tutti possono né a tutti conviene ugualmente osservare il rigore delle leggi, per la diversità delle complessioni e la fragilità dei corpi e le condizioni dei tempi. Similmente se egli vuole troppo rilassare la regola e le leggi, la religione va per terra. Bisogna dunque che la carità entri di mezzo, che non lasci errare né il prelato né il sottomesso. È necessaria a tutti. La carità è una misura che è piccola, grande e mediocre, e a ognuno s’adatta. Sta con i piccoli, con i grandi, con i mediocri. Essa si conviene, si conforma e si adatta a ogni stato: ai vergini, ai continenti, alle maritate e agli ecclesiastici e ai secolari e infine si conviene a ogni stato e può reggere e governare ciascuno. Sai tu perché oggi non si trova buon governo di anime? Perché la carità è spenta, esinanita fino ai fondamenti. Quando poi alla carità si aggiunge la scienza delle Scritture, con la esperienza della vita spirituale, allora è ottima misura e regola sopra tutte le altre regole e misure. La quale, come è detto, devono avere i prelati, altrimenti non si fa niente, si perde il tempo, le anime periscono e i prelati insieme con i fedeli se ne vanno a casa del diavolo. Prendi l’esempio del medico che porta amore e carità all’infermo, che se egli è buono e amante, dotto ed esperto, non vi è meglio di lui. Tu vedrai che l’amore gli insegnerà ogni cosa, e sarà misura, regola di tutte le misure e di tutte le regole della medicina. Perché lui applicherà con grande diligenza tutte le regole della medicina all’infermo. Se egli non ha amore cercherà il guadagno e poco si curerà della salute dell’infermo. Se esso lo fa per amore, si mette a sopportare ogni fatica, a fare ogni cosa, non risparmia alcuna fatica, viene due o tre volte al giorno presso l’infermo, vuole comprendere ogni cosa, ordina le medicine e vuole vedere l’effetto. Guarda quel che fa l’amore: prendi l’esempio dalla madre verso il figliolo. Chi ha insegnato a quella giovinetta che non ha mai fatto figli a governare il suo figliolo? L’amore. Vedi quanta fatica sopporta il dì e la notte per allevarlo e le sembra ogni gran fatica leggera: che ne è causa? L’amore. Vedi quanti versi, quanti atti e gesti e quante dolci parole fa verso il suo figliolo. Chi le ha insegnato? L’amore. Chi anche ha insegnato alla gallina a nascondere sotto le ali i suoi pulcini? L’amore. Prendi esempio da Cristo, che mosso da intensissima carità si è fatto per noi  fanciullo, resosi simile in ogni cosa ai figli degli uomini nel sopportare fame, sete caldo, freddo e disagi. Chi gli ha fatto fare questo? L’amore. Ora conversa con giusti, ora con pubblicani; e visse in modo che tutti gli uomini e tutte le donne, piccole e grandi, ricchi e poveri, lo possono imitare, ognuno a suo modo e secondo il suo proprio stato, e senza dubbio si salva. Dico a modo suo, perché noi non possiamo imitarlo in ogni cosa. Ma basti che egli sia vissuto in  modo tale che ogni condizione umana possa da lui prendere regola di ben vivere. E chi gli ha fatto tenere tale vita comune e così mirabile? Senza dubbio la carità. Per questo l’apostolo, che lo seguì, diceva scrivendo ai Corinti: cum liber essem ex hominibus, omnium me servum feci. Alla fine la carità lo mise in croce, la carità lo risuscitò, lo fece salire in cielo, e operare così tutti i misteri della nostra redenzione…
Vedendo il diavolo, che è nemico di Cristo Gesù e della Chiesa, un tempio così bello gli venne invidia. E prima tentò apertamente mediante i Giudei, poi mediante i romani, terzo, attraverso gli eretici di distruggere la Chiesa di Cristo Gesù. Ma non gli riuscì. Che fece? Disse in sé medesimo: “Qui bisogna provare in un altro modo!”. E venne di notte con molti dei suoi. Questa notte è la notte dei tiepidi e dei falsi fratelli, i quali per non essere conosciuti vanno di notte e travestiti, quia veniunt in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces. Per poter fare il male che essi vogliono, si mettono le vesti delle pecorelle. Le vesti delle pecorelle di Cristo Gesù sono: digiunare, pregare, fare delle elemosine, darsi delle regole e atti simili. E queste cose usano i tiepidi per poter meglio ingannare e perché le loro frodi non siano così conosciute. Ora questi tiepidi e falsi fratelli con la loro tiepidità hanno distrutto la Chiesa di Cristo Gesù; con la loro ipocrisia hanno rovinato ogni cosa. Non c’è nulla che tanto abbia nuociuto e continuamente nuoccia alla Chiesa di Cristo Gesù quanto l’ipocrisia. È venuto dunque il diavolo; questo è il nemico che ha fatto tante malvagità nel tempio di Dio, ha usato per suoi strumenti i cattivi prelati, i quali con le opere perverse e con il cattivo esempio l’hanno distrutto. Il popolo e la plebe se ne sono andati dietro a loro e sono i popoli diventati una medesima cosa con loro. È stato tolto via il fondamento: non c’è più memoria dei profeti; non sono più ricordati gli apostoli, le colonne della Chiesa sono state gettate per terra, cioè non si tiene più conto dei santi Vangeli, perché sono mancate le basi, cioè i dottori; non si trova chi li annunci, né chi li esponga ai popoli. Le pareti sono rovinate: queste dicemmo che erano i contemplativi. Tu ne vedi pochi oggi dei contemplativi. È stato levato l’oro del tempio, cioè la vera sapienza di Dio che brilla e risplende, che rende lieto il cuore dell’uomo. Non ha più tetto la Chiesa, perché il clero, cioè i sacerdoti di quella e i buoni capi che la difendevano dalle acque sono stati tolti via. Piove dappertutto, dappertutto grandina, tempesta, in modo che quei pochi buoni che sono rimasti, non hanno più dove ripararsi e dove ricoverarsi. Le pietre del tempio sono sconnesse, una qua e una là e rotte perché è mancata la calce. Dove vedi tu vero amore e vera carità oggi nei cristiani? Sono tutti divisi, non sono più uniti in Cristo Gesù, non vanno più d’accordo; ognuno perseguita il suo prossimo… ognuno ne toglie un pezzo…  Sono caduti tutti i muri della chiesa. Dov’è la giustizia dei capi e dei rettori? Dove è la sollecitudine dei pastori? Dove sono gli esempi dei buoni sacerdoti e dei buoni religiosi? Dov’è l’obbedienza dei sudditi verso i prelati? Dov’è la discrezione dei prelati verso i sudditi? Dove è la riverenza dei secolari verso i sacerdoti? Non è rimasto più nulla di buono. Oh Signore, non vedi tu quante malvagità hanno commesso nella tua Chiesa? Essi hanno tolto tutte le sue cose preziose. Lasciamo stare il fatto che usano male i beni ecclesiastici  spendendoli in pompe e vanità. È molto peggio il fatto che essi hanno usurpato i vasi del tuo tempio, hanno tolto i candelabri d’oro e le lanterne, i turiboli e innumerevoli vasi doro e d’argento che erano destinati e consacrati al tuo culto. Li hanno impiegati per uso personale… Ma, Signore, il loro peccato è tanto maggiore  perché dopo che l’hanno fatto se ne fanno gloria e vanto. Il peccare è cosa umana; gloriarsi d’aver peccato è cosa diabolica. Costoro dunque non sono uomini, ma diavoli… Quelli che ti hanno in odio Signore, sono i peccatori e  i falsi cristiani e soprattutto quelli che sono costituiti in autorità. E questi oggi si gloriano d’aver tolto la rigidità e la severità del canone, le istituzioni dei santi padri, l’osservanza delle buone leggi. Si vantano di aver fatto largo il vivere cristiano, si gloriano, dico, vanamente e in modo dissoluto: in medio solemnitatis tuae, cioè nel luogo dove si celebravano un tempo devotamente le tue solennità, ovvero si gloriano nel mezzo delle tue solennità, perché le solennità tue e dei tuoi santi le hanno convertite in feste del diavolo. Lo vuoi tu vedere? Pensa che nelle grandi solennità si corrono i palii, si fanno i tornei, le giostre, gli spettacoli disonesti e tutti i giochi che già facevano i gentili. Si fanno più peccati nei giorni festivi che negli altri; e quanto le solennità sono più grandi tanto più fanno peccati. Vedi la notte di Natale, dove tutti i cristiani dovrebbero andare in chiesa a udire i santi uffici e a ringraziare Iddio di tanto beneficio. Tuttavia molti in tal notte vanno nelle taverne a riempirsi il ventre; poi si mettono a giocare, bestemmiano, si danno alla lussuria e commettono mille mali. Queste sono le grazie che rendono a Dio per tanto beneficio; similmente fanno gli altri giorni festivi. Dice quella donna vanitosa: “Quando mai verrà domenica, che io possa andare a ballare, che io mi possa lustrare e far bella e  farmi vedere a questo e a quello?”. Quell’altro giovane dice: “Io sto tutta la settimana a bottega, io non mi do un’ora di divertimento e mi pare mille anni che debba venire tale festa. Io andrò pure a giocare un poco e a divertirmi”. Ma se non facessero questi peccati pubblicamente, come essi fanno, sarebbe minor male…  non si sono vergognati di peccare; ma pubblicamente operano in modo che ognuno vede i segni dei loro peccati. Ad esempio, vedi oggi le donne portare le insegne e gli ornamenti delle meretrici e tutti i modi di ornarsi che usano le meretrici li vogliono usare anche loro. I sacerdoti portano le belle zazzere e bei giubboni di seta e vogliono vestire più pomposamente dei secolari. Non ti sembra che essi pongano i segni dei loro peccati manifestamente in modo che ognuno li vede? Dimmi, quando tu vedi una donna andare col seno scoperto e lisciarsi in modo superfluo, non dici tu: “Che segni sono questi? Questi non sono segni di donna onesta. Certo deve essere macchiata dentro da qualche cattiva intenzione. Se tu la vedi tutto il giorno ciarlare con i giovani tu te ne fai un cattivo concetto, che non sia pudica. Tu vedi là un sacerdote giocare pubblicamente, frequentare le taverne, tenere la concubina e fare simili peccati; tu dici nel tuo cuore: costui ha posto le insegne del peccato, cioè i suoi segni, in pubblico. Le monache stanno tutto il giorno alle grate a cicalare con le giovani secolari. Che segni sono questi, se non segni manifesti di poca devozione? E, cosa che è peggio, non cognoverunt ( non hanno conosciuto). E che cosa non hanno conosciuto? I loro peccati; anzi reputano i peccati virtù… E così vedete che non ci può essere nulla di peggiore, quando i peccati sono considerati virtù, e le virtù vizi. Chi sono quelli che riconoscano di avere sbagliato? Chi è quello che vi dica: “io ho fatto male?”. Chi è quello che si confessi veramente e senza scusarsi? Ognuno vuole scusare il suo peccato; e perciò costoro non cognoverunt. Fanno i peccati in modo manifesto, mettono fuori le insegne dei loro peccati, perché ognuno li veda, e poi li vogliono scusare… Hanno spezzato le porte del tempio: non si vedono più nella chiesa prelati buoni, sono venuti i nemici, e hanno cavato dai gangheri queste porte. Cosa vuol dire, cavare dai gangheri? Vuol dire essere fuori di giudizio e aver perso il cervello. Non ti sembra che oggi i prelati abbiano perso il cervello? Non vedi che essi fanno ogni cosa a rovescio di quello che dovrebbero fare? Non hanno giudizio i prelati, non sanno discernere inter bonum et malum, inter verum et falsum, inter dulce et amarum; le cose buone paiono loro cattive, le cose vere paiono loro false, le dolci amare e al contrario. Secondo, non basta ai demoni d’aver  divelte le porte dai gangheri, le hanno gettate in terra. Vedi oggi i prelati e i predicatori prostrati con  l’affetto in terra e in cose terrene; la cura delle anime non sta più loro a cuore, basta prendere le entrate; i predicatori predicano per piacere ai principi, per essere da loro lodati e magnificati… E hanno fatto peggio ancora, perché non solo hanno distrutto la Chiesa di Dio, ma hanno fatto una chiesa a modo loro. Questa è la Chiesa moderna. Non è edificata con pietre vive, cioè  con cristiani stabili nella fede viva formata di carità: è costruita di legno, cioè di cristiani preparati come esca al fuoco dell’inferno… Vattene a Roma e per tutto il mondo cristiano; nelle case dei grandi prelati e dei grandi maestri non ci si interessa se non a poesie e all’arte oratoria. Va’ pure e vedi: tu li troverai con i libri d’umanesimo in mano e dannosi per l’intelligenza; con Virgilio e Orazio e Cicerone reggere le anime. Vuoi tu vedere che la Chiesa si governa per mano di astrologi? E non c’è prelato, né gran maestro che non abbia qualche familiarità con qualche astrologo, che gli predice l’ora e il minuto in cui deve cavalcare o fare qualche altra cosa o faccenda… I nostri predicatori hanno lasciato anche la Sacra Scrittura e si sono dati all’astrologia e alla filosofia e quella predicano sui pulpiti e la fanno regina; e la Scrittura Sacra l’adoperano come ancella, perché essi predicano la filosofia per sembrare dotti, non perché serva loro a esporre la Sacra Scrittura. Ora ecco come sono fatte le colonne della nostra Chiesa… Solamente una cosa c ‘e  in questo nostro tempio che ci diletta assai: è tutto dipinto e pieno di orpelli. Così la nostra chiesa ha di fuori molte belle cerimonie nel rendere solenni gli uffici ecclesiastici, con belli paramenti con molti drappelloni,  con candelabri d’oro e d’argento, con tanti bei calici che è una cosa da re. Tu vedi là quei gran prelati con quelle belle mitrie d’oro e gemme preziose in capo, con pastorali d’argento. Tu li vedi con quelle belle pianete e piviali di broccato all’altare cantare quei bei vespri e quelle belle messe adagio, con tante belle cerimonie, con tanti organi e cantori che tu resti stupefatto; e ti sembrano costoro uomini di gran serietà e santità e non credi che essi possano sbagliare, ma che ciò che dicono e fanno si debba osservare come il Vangelo. Ecco com’è fatta la moderna chiesa! Gli uomini si pascono di queste frasche, e si rallegrano in queste cerimonie e dicono che la Chiesa di Cristo non fiorì mai così bene e che il culto divino non fu mai così bene esercitato quanto al presente, come disse una volta un gran prelato, che la Chiesa non fu mai in tanto onore, e che i prelati non furono mai in tanta reputazione, e che i primi prelati erano prelatuzzi in confronto a questi nostri moderni… È vero che i primi prelati erano prelatuzzi, perché erano umili e poveri e non avevano tanti grassi vescovadi, né tante ricche badie, come i nostri moderni. Non avevano anche tante mitrie d’oro né tanti calici, anzi quei pochi che avevano li fondevano per la necessità dei poveri. I nostri prelati per far dei calici tolgono quello che è dei poveri, senza il quale non possono vivere. Ma sai tu quel che voglio dirti? Nella primitiva chiesa erano i calici di legno e i prelati d’oro; oggi la Chiesa ha i prelati di legno e i calici d’oro. E fu detto una volta a San Tommaso d’Aquino da un gran prelato che gli mostrò un gran bacino pieno di ducati e disse: “Maestro Tommaso, guardate qua. La Chiesa non può più dire come disse Pietro: non ho argento e d’oro”. Soggiunse San Tommaso e disse: “Essa non può oggi dire anche quel che segue subito dopo e come già diceva: ”Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo Nazareno risorgi e cammina”… I tiranni ammazzano tutti gli uomini buoni che temono Dio, o li confinano, o li abbassano di modo che non hanno incarichi nella città; e questo fanno perché non si sollevino contro di loro. Secondo, tutte le buone leggi, consuetudini e cerimonie che si fanno per la libertà, o le tolgono o non vogliono che le si ricordi. Terzo, per tenere i sudditi in festa e sollazzo, perché  non abbiano a pensare a qualche novità, introducono nuove feste e nuovi spettacoli. La medesima cosa è accaduta alla Chiesa di Cristo Gesù. Primo, essi hanno levato via i buoni uomini, i buoni prelati e predicatori; non li vogliono presso di loro, non vogliono che questi tali governino. Secondo, essi hanno rimosso tutte le buone leggi, tutte le buone consuetudini che aveva la Chiesa; non vogliono neanche che si nominino. Va, leggi il decreto, quanti belli statuti, quante belle ordinazioni circa la onestà dei chierici, circa le vergini sacre, circa il santo matrimonio, circa i re e i principi, come essi si devono comportare riguardo l’obbedienza dei pastori! Va, leggi, dico e troverai che non si osserva cosa che vi sia scritta; si può bruciare il decreto, come se non ci fosse. Terzo, hanno introdotto feste e solennità loro per guastare e mandare per terra le solennità di Dio e dei santi… Che fai tu dunque Signore? Vieni a liberare la tua Chiesa dalle mani dei diavoli, dalle mani dei tiranni, dalle mani dei cattivi prelati. Non vedi tu che è piena di animali, piena di bestie, leoni, orsi e lupi, che l’hanno tutta distrutta? Non vedi tu, Signore la nostra tribolazione? Ti sei tu dimenticato della tua Chiesa? Non l’ami tu? Non l’hai tu cara? Essa è pure la tua sposa! Non la conosci tu? È quella medesima per la quale tu  discendesti nel ventre di Maria, per la quale tu prendesti carne umana, per la quale tu patisti tanti obbrobri, per la quale tu volesti versare il tuo sangue in croce! Dunque ti è costata assai, signore, e perciò noi ti preghiamo che tu venga, e presto, a liberarla! Vieni, dico, e punisci questi cattivi, confondili, umiliali, perché noi in pace ti possiamo servire!...

Poenitentiam agite: appropinquabit regnum caelorum…
Ognuno che vuole cercare la sua beatitudine si deve sforzare di fare vera penitenza in questa vita, ed io non smetto di esclamare: agite poenitentiam, fate penitenza poiché in voi si avvicinerà il regno dei cieli; ed ho chiamato ognuno che entri nella arca. E nelle prediche precedenti ho detto quali segni accompagnano coloro che hanno fatto vera penitenza. Il primo segno è la gioia di esultanza nella mente: il vero penitente si vede sempre stare allegro in ogni cosa e paziente. Il secondo segno è la illuminazione, poiché egli conosce che la semplicità,  vita di Cristo e dei veri cristiani, è la più grande felicità, e il vero penitente ha tanta luce che conosce esser vani tutto il mondo e ogni suo piacere. Il terzo segno è la lode, poiché sempre si vede in lui la lode di Dio, e il suo parlare è sempre riguardo alle cose divine e a lode e gloria di Dio. Il quarto segno è la conversazione con i buoni: non vedi più il vero penitente conversare con le cattive compagnie né con persone mondane, ma con coloro che sono modesti, moderati, devoti. Orsù, dilettissimi, sapete che abbiamo fatto l’arca e che molti penitenti e buoni vi sono entrati. Questa mattina io volevo dare alcuni insegnamenti a quelli che sono entrati, e non sembra che ancora mi sia permesso: io ti spiegherò la ragione. Ma prima mi volgo a te, Signore mio onnipotente. Io confesso la mia ignoranza. Veramente, Signore, tu mi hai vinto, e resto confuso dinanzi al tuo cospetto. Io ritenevo bene, Signore, che tu fossi sommamente buono, e fosse infinita la tua misericordia; ma la mia immaginazione non andava tanto alto quanto veramente tu sei misericordioso. Io vedevo i peccati di molti tanto grandi e tanto gravi, vedevo e consideravo l’ostinazione tanto fissa nei loro cuori, che io mi immaginavo che non potessero più avere da te, Signore mio, misericordia alcuna, ma aspettassero solamente il loro castigo; e mi sembrava che ci fosse solo da seguire quelli che sono convertiti e sono entrati nell’arca del santo vivere, e volevo dar loro quegli insegnamenti che fossero necessari per la loro perseveranza, e mi sembrava che a questi cattivi ed ostinati dovesse quasi aprirsi la terra e inghiottirli e che non avessero più misericordia presso di te. Ma mi fu detto: “aspetta; parla ancora loro, e chiama a penitenza quelli che sono pieni di ruggine e di peccati”. E perciò, Signore mio, io ho detto che tu mi hai vinto e che la mia immaginazione non andava tanto in alto. E pertanto, dilettissimi  miei, questa mattina non predicherò, ma parleremo e chiameremo ognuno a penitenza, se vorranno tornare. O peccatori, o ostinati, o tiepidi, o tutti quelli che si attardano all’ultimo a pentirsi, agite poenitentiam, fate penitenza; fatela ora, non indugiate più, poiché il Signore ancora vi aspetta e certamente vi chiama. Udite le mie parole non come venute da me, ma da Dio. Io non posso fare altro se non dire: agite poenitentiam. Vedete quanto Dio è buono e quanto è misericordioso, e che vorrebbe condurvi nell’arca e salvarvi! Venite, peccatori, venite, perché Dio vi chiama. Io provo gran dolore e grande compassione di voi. Venite in questa solennità di tutti i santi che è oggi; la quale, quando io la considero, accresce assai il mio dolore, perché, quando io considero la gioia e la loro beatitudine, nella quale oggi in questa solennità si ritrovano, confrontando poi quella con la  miseria in cui voi vi trovate, non posso se non di cuore per carità dolermi. La loro beatitudine e  contentezza sono tanto grandi che non si può immaginare, nonché dire…
O uomini insensati, che peccando volete perdere tanta pace e riposo, agite poenitentiam; fate penitenza, ritornate a Dio e troverete ogni riposo; pentitevi dei vostri errori: confessate, rafforzate il vostro proposito di non più peccare, comunicatevi con quel santo sacramento, il quale farà anche voi esser beati!
Quando io guardo quelli che sono convertiti e che sono nella via del vivere bene cristiano e che si confessano e spesso si comunicano, ci si vede in loro quasi un qualcosa di divino, una modestia, una gioia spirituale; hanno quasi mutata la loro faccia in forma angelica. E di contro, guardando nella faccia dei cattivi e perversi ostinati, e soprattutto in alcuni religiosi quando sono sfrenati nei loro vizi, li vedrai come demoni e peggiori di quelli non consacrati. E tuttavia questi religiosi usano ogni giorno questo sacramento! Vedi quanta disparità di effetto nasce tra costoro: ai buoni questo sacramento rende dolcissimi i cuori e causa in loro ogni modestia; il contrario si vede nascere nei cattivi. E perciò io consideravo e dicevo: se questo sacramento, nella quale si crede quello che non si vede, dà tanta letizia a chi, ben disposto, lo prende e lo riceve, oh quanta sarà ed è maggiore questa letizia in quelli spiriti beati che faccia a faccia lo vedono, godono e fruiscono! Oh cuore umano, perché non ti struggi e ti sciogli in tanta dolcezza e  in tanto amore?
Super flumina Babjlonis illic sedimus, flevimus.
Quegli Israeliti, lamentandosi e ricordandosi della loro cattività in Babilonia dicevano: “sopra i fiumi di Babilonia, qui abbiamo seduto, qui abbiamo pianto”; e si ricordavano della loro patria da dove erano stati strappati, e perciò si lamentavano e piangevano e dicevano: applicavimus organa salicibus, cioè “noi non stiamo più in canti e in suoni, anzi abbiamo attaccato i nostri strumenti musicali ai salici, e stiamo sopra i fiumi di Babilonia sempre in pianto”. O Firenze, siedi sopra i fiumi dei tuoi peccati! Fa’ un fiume di lacrime per lavarli; ricordati della tua patria celeste donde è venuta la tua anima; cerca con la penitenza di tornare a quella patria, come facevano quegli Israeliti! Non si può cantare ma piangere in terra straniera, cioè in te che sei estraniata e scostata da Dio per i tuoi peccati…
Così tu, guarda queste tribolazioni che si vedono preparate e cercane la causa; e troverai che i peccati ne sono la causa;… e così conoscerai che Dio manda queste tribolazioni, e che Dio è il capo di questi eserciti e che li conduce: e perciò farai penitenza dei tuoi peccati, se sarai saggio e vorrai che Dio ti aiuti in queste angustie. E perché te l’ho detto tante volte prima che le tribolazioni venissero, e che Dio le manderà per purificare la sua chiesa da tanti mali, perciò dovresti ormai credere, vedendone l’effetto…
Le tue scelleratezze dunque, o Italia, o Roma, o Firenze, le tue empietà, le tue fornicazioni, le tue crudeltà, le tue scelleratezze fanno venire queste tribolazioni. Ecco la causa! E se tu hai trovato la causa di questo male cercane la medicina… La penitenza è l’unico rimedio; e se voi soli farete penitenza rimuoverete una grande parte delle tribolazioni… Non ti ricordi, Firenze, quando, più anni or sono, io ti dicevo queste parole venute da Dio: “Io vi parlo nel mio santo zelo; ecco che verranno giorni nei quali caverò fuori la mia spada sopra di te. Convertitevi, diceva Dio, convertitevi prima che si adempia la mia ira; perché sopravverrà la tribolazione e tu allora cercherai  pace e non la troverai!… Voi dovreste conoscere ormai che io vi parlo da padre come ai propri figliuoli, per il vostro bene, e dovreste vedere che Dio in questa vostra afflizione mi ha dato a voi per padre, e per mostrarvi la via di correzione … Ma poiché io vi ho parlato fino a qui indistintamente a tutti e vedo che non giova, per questo bisogna venire un po’ ai singoli.
O sacerdoti, udite le mie parole; O preti, o prelati della Chiesa di Cristo, lasciate i benefici che non potete tenere; lasciate le  pompe dei vostri convitti e pranzi, che fate tanto splendidamente; lasciate, dico, le vostre concubine ed i cinedi, poiché è tempo, dico, di fare penitenza, perché non vengano le grandi tribolazioni per le quali Dio vuol riparare la sua chiesa. Dite le vostre messe con devozione; altrimenti, se non vorrete intendere quel che Dio vuole, voi alla fine perderete i benefici della vita. O monaci lasciate la superfluità delle vesti e degli argenti e di tanta grassezza delle vostre badie e benefici. Datevi alla semplicità e lavorate con le vostre mani come facevano gli antichi monaci, vostri padri e vostri predecessori; altrimenti, se non lo farete volentieri, verrà tempo che lo farete per forza.
O monache, lasciate, lasciate anche voi, le vostre superfluità; lasciate le vostre simonie quando accettate le monache che vengono a stare nei vostri monasteri; lasciate tanti apparati e tante pompe quando si consacrano le vostre monache… piangete, dico, più presto i vostri difetti e i vostri errori: perché vi dico che viene più presto tempo da piangere che da cantare e da far feste, perché Dio vi punirà se non cambiate vita e costumi. Se non lo farete, non vi meravigliate poi se viene lo sterminio e se ogni cosa sarà in pericolo. O frati miei, a voi dico: lasciate le superfluità e le vostre pitture e le vostre frasche. Fate le tonache non con tanta larghezza di panni e ben grosse. Con le vostre superfluità non vi accorgete che togliete le elemosine ai poveretti? O fratelli, o figlioli c’è bisogno di dire apertamente a questo modo, perché nessuno possa poi dire: “io non lo sapevo”, e scusarsi… Io vi annuncio che, se non ascolterete la voce di Dio,  Egli vi punirà. O mercanti lasciate le vostre usure, restituite il mal tolto, la roba altrui; altrimenti voi perderete ogni cosa. O voi che avete del superfluo, datelo ai poveri, poiché non è vostro… Datelo, dico, a quei buoni uomini di San Martino, portatelo là a loro; non dico a me né ai miei frati , perché non tocca a noi distribuire le elemosine ai poverelli. Voi, poveretti, andate da coloro che distribuiscono le elemosine della città, e sarete aiutati. Io vi dico che chi ha del superfluo lo dia ai poveri; e ancor più vi dico che è tempo di dare anche più del superfluo. O sacerdoti, bisogna che io ritorni a voi; io dico dei cattivi, con riverenza sempre dei buoni. Lasciate, dico, quel vizio indicibile, lasciate quel maledetto vizio che tanto ha provocato l’ira di Dio sopra di voi; poiché, guai, guai a voi! O lussuriosi, vestitevi di cilicio e fate penitenza che ne avete bisogno! O voi che avete le vostre case piene di vanità e di immagini e cose disoneste e libri scellerati , e il Morgante e altri versi contro la fede, portateli a me per farne fuoco o un sacrificio a Dio. E voi madri, che adornate le vostre figlie con tanta vanità e superfluità e capigliature, portatele tutte qua a noi per mandarle a fuoco, di modo che quando verrà l’ira di Dio, non trovi queste cose nelle vostre case. E così vi comando come padre vostro. In questo caso, se farete così in queste cose come io vi ho detto sarete sufficienti voi soli a placare l’ira di Dio; altrimenti non vorrei dovervi dare qualche cattiva notizia. Orsù, quattro parole ancora, e poi andate a casa…
Poenitentiam agite, fate penitenza. Ecco che è cominciata la tribolazione in Italia che da tanti anni io ti ho annunciata. Cosa dici tu ora, o tiepido, che tanto hai deriso e beffato le nostre parole? O tiepidi, almeno ora piangete i vostri peccati e riconoscete il vostro errore… Ognuno si riconosca e dica: i miei peccati sono la causa di queste tribolazioni. O peccatori, le vostre scelleratezze, i vostri peccati hanno chiamato e fatto venire queste tribolazioni. Pensi ognuno a se stesso e fate penitenza; non avete altro rimedio. Io l’ho detto tante volte, io ho esclamato tante volte, io ho per te pianto tante volte, Firenze…
O Firenze, io ho voluto parlare questa mattina a te e a ognuno in particolare e apertamente, dal momento che non posso fare altro. E ancora la voce chiama, vox dicentis: clama, la voce di uno che dice: chiama. E chi  chiamerò io ancora? Io ho chiamato ognuno a penitenza… Io mi rivolgo a te, Signore mio, che sei stato ucciso per nostro amore, e per i nostri peccati. Parce, Domine, populo tuo, perdona, Signore, al popolo fiorentino che vuole essere tuo… Noi siamo oggi nella festività di tutti i santi. Io vi prego, santi gloriosi, per la vostra solennità, che voi preghiate il Signore per questo popolo. E tu, Signore, che  ci hai cibato in questo santo giorno della tua dolcezza, ti prego, da’ a questo popolo una vera conoscenza di te e una vera penitenza dei suoi peccati, per i meriti della tua passione e per i meriti della tua Santissima madre e per le preghiere a te  di tutti i santi e dei cherubini e serafini e di tutti i cori angelici e di tutte le gerarchie dei tuoi santissimi angeli e spiriti beati. E togli loro questa tribolazione; e piuttosto fa’ me  menzognero e salvo, sempre, il tuo onore, Signore mio, che sei benedetto nei secoli dei secoli amen.

In te Domine speravi

In te Domine speravi
Salmo 30
Gerolamo Savonarola ( adattamento da testo in volgare di Cristoforo )
La tristezza m’ha posto l’assedio; con grande e forte esercito mi ha circondato; essa ha occupato il mio cuore; con strepito ed armi, di giorno e di notte, non cessa di combattere contro di me. I miei amici sono nel suo accampamento e mi sono diventati nemici. Tutte le cose che io vedo, tutte le cose che io odo, mi mettono davanti gli stendardi della tristezza. La memoria degli amici mi rattrista; il ricordo dei miei figliuoli mi affligge; il pensiero del monastero e della cella mi tormenta; la riflessione sui mie studi mi dà dolore ; la consapevolezza dei miei peccati mi opprime; e come a quelli che hanno la febbre tutte le cose dolci sembrano amare, così a me tutte le cose si risolvono in dolore e tristezza. Certo, grande peso è sul cuore questa tristezza. Essa è un veleno d’aspide, una perniciosa peste:mormora contro Dio, non smette di bestemmiare, rafforza la disperazione. Io, uomo infelice, che farò? Chi sarà quello che mi libererà dalle sue mani sacrileghe? Se tutte le cose che io vedo e odo, seguono le sue insegne e fortemente combattono contro di me, chi sarà il mio protettore? Chi mi aiuterà, dove andrò? In che modo fuggirò?
So io quello che farò. Io mi convertirò alle cose invisibili e le porrò contro le visibili. E chi sarà capitano e guida di un esercito tanto eccelso e così terribile? Sarà la speranza che fa parte delle cose invisibili. La speranza, dico, sarà contro la tristezza e la vincerà. Chi è quello che possa stare contro la speranza? Ascolta quel che dice il Profeta: “Tu sei, Signore, la mia speranza; tu hai posto il tuo rifugio in alto”. Chi sarà contro a Dio? Chi potrà superare il suo rifugio che è in alto? Chiamerò dunque lei e certo essa verrà, né mi confonderà. Ecco, essa è già venuta; mi ha portato allegrezza, mi ha insegnato a combattere e mi ha detto: Chiama e non smettere-; e io le dissi: _ Chi chiamerò?- Essa mi disse : _ Di’ con piena fiducia con tutto il tuo cuore: In te, Domine, speravi; non confudar in aeternum, in iustitia tua libera me-. O mirabile potenza della speranza, la presenza della quale la tristezza non ha potuto sopportare! Già è venuta la consolazione! Gridi ora e faccia rumore la tristezza col suo esercito; tutto il mondo mi venga addosso; si alzino su i nemici; niente temo, quotiamo in te, Domine, speravi, perché, Signore, io ho sperato in te, perché tu sei la mia speranza, perché tu hai posto altissimo il tuo rifugio. Io sono già entrato in quello; la speranza mi ha introdotto in esso; io non vi entrai per mia presunzione; lei mi scagionerà dalla colpa dinanzi a te. Ecco, la speranza mi disse: “O uomo, il rifugio di Dio è altissimo! Apri i tuoi occhi e rifletti: solo Dio è; solo lui è il pelago infinito della sostanza; tutte le cose sono come se non fossero, perché tutte procedono da lui, e se lui non le sostenesse, tornerebbero nel nulla, perché di nulla sono fatte. Considera la potenza di colui che nel principio creò il cielo e la terra. Ora non opera lui in tutte le cose? Chi può, oltretutto, muovere la mano senza di lui? Chi può pensare alcuna cosa da sé solo? Considera la sua sapienza, lui governa tutte le cose in tranquillità, lui vede tutte le cose, ai suoi occhi tutte le cose sono nude e aperte. Questi è quello che sa e può liberarti, lui solo ti può consolare, lui solo salvare. Non voler confidare nei figli degli uomini, nei quali non c’è salvezza. Il cuore degli uomini è nella sua mano  e dove lui vorrà, lo volgerà. Questi è quello che può e sa aiutarti. Ma forse potresti avere dubbi sulla sua volontà? Ora pensa alla sua bontà. Considera il suo amore. Ora non è egli amatore degli uomini, lui che per gli uomini si fece uomo e per i peccatori un crocifisso? Questo è veramente il padre tuo che ti ha creato, che ti ha riscattato, che ti ha sempre fatto il bene. Potrà il padre abbandonare il figlio suo? Gettati in lui e ti accoglierà e salverà… Ascoltando, dunque, io le parole della speranza, che è venuta a liberarmi dalle mani della tristezza, io ho sperato in te, Signore, desiderando innanzi tutto di essere libero dai peccati e di giungere per la misericordia e grazia tua alle cose eterne che non si vedono. Questo è il mio primo desiderio, perché i miei peccati sono la mia più grande tribolazione dalla quale viene ogni altra tribolazione. Togli via da me, Signore, i miei peccati, e resto libero da ogni altra tribolazione, perché la tribolazione e l’angustia procedono dalla fonte del cuore, perché ogni tristezza viene dall’amore. Se io amo il figlio e lui muore, io ne son afflitto, perché ho perduto quello che amavo; ma se io non amo il servo e lui muore, io non me ne rattristo, perché ho perduto quello che non amavo. Se tu rimuovi da me, Signore, i miei peccati per la tua grazia, che altro resta se non che io ti ami con tutto il cuore, e che io disprezzi tutte le cose temporali come vane?... Dagli uomini sono in questo tempo confuso e prevalgono contro di me quando mi perseguitano; ma questo ancora è permesso da te, perché io non sia confuso in eterno. Se, dunque, dinanzi a te mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, io sopporto volentieri le confusioni di questo tempo, per non essere confuso in eterno. Il spererò nel Signore così come la speranza mi insegna a sperare, e sarò presto libero da ogni tribolazione. E per quali meriti sarò io libero? Non per i miei, Signore; sed in iustitia tua libera me, ma liberami nella tua giustizia: nella tua giustizia dico e non nella mia, perché io cerco misericordia, non metto davanti la mia giustizia. Ma se, per la tua grazia, tu mi farai giusto, io avrò la tua giustizia, perché la grazia tua in noi è la giustizia tua… la tristezza è tornata: ci è venuta con grande… Essa è armata da ogni parte con spade e lance. Ci viene addosso con grande impeto. Già ha circondato la nostra città. Il rumore dei suoi cavalieri mi ha sbigottito. Lei, stando di fuori, impone silenzio e da lontano parlò così. “Oh, ecco quello che  ha sperato nel Signore; che ha detto: io non sarò confuso in eterno, quello che ha seguito la speranza consolatrice! E, accorgendosi lei che a queste parole io mi vergognavo, avvicinandosi disse: “Dove sono le promesse della tua speranza? dov’ è la consolazione? Dov’è la liberazione? Cosa ti hanno giovato le lacrime? Cosa ti hanno portato dal cielo le tue preghiere? Tu hai chiamato e nessuno ti ha risposto. Tu hai pianto, e chi si è mosso a misericordia sopra di te? Tu hai invocato il tuo Dio, e lui ha taciuto. Tu hai pregato e supplicato, e lui non ti ha detto una parola, né si è curato di ascoltarti. Tu hai implorato tutti i santi, e nessuno di loro ti ha guardato. Ecco quello che ti hanno portato le parole della speranza? Tu ti sei affaticato e nelle tue mani niente ti sei trovato. Credi tu che Dio si prenda cura di queste cose infime? Lui va a spasso intorno ai cardini del cielo e non tiene in considerazione le nostre cose. Lei diceva, bestemmiando queste cose, e raccapricciandomi io alle sue parole, avvicinandosi, mi parlò nell’orecchio e disse:  “Credi tu che siano vere le cose che predica la fede? Vuoi tu vedere che sono invenzioni e finzioni di uomini? Conoscilo da questo che, se Dio si fosse fatto uomo e per gli uomini si fosse fatto crocifiggere, non potrebbe  avere tanta pietà da non consolare un uomo afflitto da grandissimo dolore e a lui supplicante e piangente. Se, come si dice, la bontà infinita lo fece discendere dal cielo per andare sulla croce, per quale ragione ora non discenderebbe lui agli uomini miseri per consolarli? Questo certamente è più facile che soccorrere con la medesima pietà. Per quale ragione gli angeli e i beati, se sono così pietosi,  non vengono a consolarti? Quanti uomini credi che, se potessero, verrebbero a te, e con parole ed azioni, per quanto fosse loro concesso, ti rallegrerebbero? Quanti ancora sarebbero quelli che ti libererebbero da ogni angustia? Perché questo non fanno i beati, che si crede siano molto migliori degli uomini? Credi a me: tutte le cose si reggono a caso, e non sono altre cose se non quelle che si vedono con gli occhi. Il nostro spirito si ridurrà a fumo. Chi è quello che sia mai ritornato dopo la morte dall’inferno a dirci alcune cose di quelle che si dicono avvenire alle anime dopo la morte? Sono tutte favole di donnicciole. Alzati su, dunque e ricorri agli aiuti degli uomini, perché libero da codesta prigione tu viva in tale modo che tu non ti affatichi sempre invano, ingannato da questa tua speranza”. Dette queste parole, si udì nel suo campo tanto rumore e tanto strepito d’armi e suono di trombe che appena potevo per la paura stare ritto, e, se non mi avesse dato aiuto la mia amata speranza, la tristezza mi avrebbe portato legato con catene al suo paese.
Venne, dunque la speranza abbagliante di un divino splendore e, sorridendo, disse: “O soldato di Cristo, che cuore è il tuo? Che animo è il tuo in questa guerra?”. La qual cosa io udendo improvvisamente arrossii, e lei mi disse: “Non volere temere: il male non ti prenderà. Tu non perirai: ecco io sono con te per liberarti. Ora non sai tu che è scritto: Dixit insipiens in corde suo: non est Deus, disse l’insensato nel suo cuore: Dio non c’è? Questa tristezza ha parlato come una donna pazza. Ora si potrà essere persuasi che Dio non c’è, o che Dio non abbia provvidenza di tutte le cose? Ora potrai dubitare della fede tu , che con tante argomentazioni e ragioni l’hai rafforzata? Io mi meraviglio che tu sia così caduto per le sue parole. Dimmi ti prego, hai tu cominciato a dubitare nel tuo cuore della fede? Vive il Signore e vive l’anima tua”. O madre mia dolcissima, io non ho sentito in me un minimo stimolo d’infedeltà, perché, per la grazia di Cristo, io non credo essere meno vere le cose delle fede di quelle che io vedo con gli occhi del corpo; ma la tristezza mi opprimeva in modo che io  ero portato alla disperazione più che alla mancanza di fede”. O figlio, sappi che questo è un grande dono di Dio, perché il dono della fede è da Dio, non per le opere, cosicchè nessuno si glori. Sta’ su, dunque, e non volere temere; ma piuttosto conosci per questo che Dio non ti ha abbandonato,  se questi non esaudisce presto, non è da disperarsi. Se egli indugia, aspettalo pure, perché Egli verrà a noi e non tarderà. Il contadino che lavora, pazientemente aspetta il frutto nel suo tempo. La natura non all’improvviso introduce la forma quando essa genera qualche cosa, ma prima prepara la materia e a poco a poco la dispone fino a renderla idonea e pronta a riceverla. Sappi nondimeno che il Signore esaudisce sempre quelli che pietosamente e umilmente lo pregano, né mai si partono da lui vuoti. Io non mi sforzerò di provarti questo con delle ragioni, avendolo provato in te medesimo. Dimmi chi alzò il tuo cuore a Dio dalla terra? Chi ti spinse a pregare? Chi ti ha dato il dolore per i peccati e le lacrime? Chi ti ha dato speranza? Chi ti ha lasciato allegro durante e dopo la preghiera? Chi ti ha confermato ogni giorno nel tuo santo proposito? Non è stato Dio, il quale opera tutto in tutte le cose? Se, dunque, lui continuamente ti dona questi beni, perché dice colei che è la peggiore di tutte le donne : dove sono le tue preghiere? Dove sono le lacrime? E le altre simili parole di bestemmia? Ora non sai tu che la Gerusalemme celeste è divisa da questa terrena?  Ora non sai tu che non è conveniente né necessario né ancora utile che Dio o gli angeli o i suoi santi discendano visibilmente agli uomini e parlino con loro familiarmente? Certo non è conveniente rispetto alla distanza dei meriti, perché quale rapporto c’è tra la luce e le tenebre? E perciò non stanno bene insieme i pellegrini  e i beati del cielo: città diverse hanno cittadini diversi. Nondimeno ad alcuni fatti santi per eccellenza , essendo già vicini alla patria, è concesso vedere gli angeli e parlare con loro, ma un privilegio speciale non spetta a tutti. Non è neppure necessario, perché nonostante i beati invisibilmente ci governino, illuminino e consolino, non c’è bisogno di apparizioni visibili, benché il Signore sia tanto buono che non tralascia le apparizioni divine quando c’è bisogno.  Pertanto, cos’è quello che lui abbia potuto fare per la nostra salvezza e non l’abbia fatto? Neppure è utile , perché la troppa familiarità partorisce disprezzo… ti basti, dunque, la invisibile visita , perché il Signore sa quello di cui hai bisogno. Ora non t’ha egli consolato? Io so quello che tu hai sentito nel tuo cuore. Sta’ su dunque, e torna alla preghiera. Chiama, domanda, cerca, picchia, persevera, perché se non ti darà a ragione dell’amicizia, nondimeno per importunità ti darà tutte le cose che ti sono necessarie”. Consolato da queste parole mi levai su e gettatomi davanti al Signore, continuai la mia preghiera dicendo: “ inclina ad me aurem tuam; accelera ut eruas me.
Signore Dio mio, io torno a te. La speranza m’ha mandato: io non vengo per mia presunzione. La bontà tua m’invita: la misericordia tua mi attira. O quanta degnazione! Io mi rallegro certo, né mi resta altra consolazione. Felice è certamente questa necessità che mi costringe a venire a Dio, la quale mi sforza a parlare con Lui, che mi sospinge a pregare… Strappami, Signore, dalla mano del Maligno; liberami dal legame del peccato; tirami fuori dal laccio della morte; portami fuori dal profondo dell’inferno; salvami dall’oppressione e dalla dura schiavitù della tristezza, perché l’anima mia si rialzi su e si rallegri in te e ti benedica tutti i giorni della sua vita. Oh, misero me! Ecco di nuovo la tristezza rafforzata. La bandiera della Giustizia le va innanzi. Un esercito innumerevole la segue. Ciascuno ha la lancia in mano. Io vedo dappertutto i vasi della morte. Guai a me, perché io perisco” Essa mi chiama con terribile voce e dice: “ o misero, questa tua speranza ti inganna. Ecco che tu ti sei affaticato invano. Tu hai detto al Signore; piega a me il tuo orecchio, affrettati a liberarmi. Ha Egli inclinato il suo orecchio a te? La tua preghiera è stata esaudita? Dov’è la tua liberazione? È Lui venuto presto a liberarti? Tu sei ancora legato. Niente di nuovo per te. Se tu credi essere vera la fede, perché consideri solamente la speranza? non sai tu che Dio è giusto? Hai tu dimenticato le sue giustizie? Lui non perdonò ai suoi angeli; non ebbe di loro misericordia e non ne avrà; per un solo peccato furono dannati in perpetuo. Adamo peccò e la giustizia di Dio ha punito per esso con la morte tutta l’umana generazione… Credi tu che la misericordia di Dio sia più grande della sua giustizia? Certo in Dio non è maggiore né minore l’una o l’altra, perché ciò che è in Dio è la sua sostanza. Ma consideriamo le opere della giustizia e della misericordia. Certo le opere della giustizia eccedono le opere della misericordia. Ne è testimone Il Signore che disse: “Molti sono i chiamati, ma pochi sono gli eletti”. Pensa, ti prego, quanti infedeli sono dannati, quanti cattivi cristiani, e quanti pochi vivano bene, e facilmente intenderai essere molti di più i vasi della giustizia che della misericordia, perché gli eletti sono i vasi della misericordia e i reprobi i vasi della giustizia. Non ti dia speranza Maria Maddalena, non il ladrone, non Pietro, non Paolo, perché Maria Maddalena fu una sola, uno il ladrone, uno Pietro, uno Paolo. Pensi tu di dover essere annoverato tra questi pochi? Tu che hai commesso tanti e così gravi peccati;  che sei stato scandalo della Chiesa, che hai offeso il cielo e la terra? Ecco il tuo occhio ha pianto; il tuo cuore ha chiesto misericordia, e non hai ancora ottenuto misericordia. Tante preghiere di quelli che ti amavano non sono state esaudite. E perché questo? Certo perché tu sei computato tra i vasi di giustizia. Quella tua speranza t’ha fatto affaticare invano. Segui il mio consiglio. Il cielo ti rifiuta; la terra non ti riceve. Chi potrebbe sopportare così grande confusione? È meglio per te morire che vivere. Scegli la morte, la quale, se nessuno ti dà, dattela con le tue mani. Lei mi metteva innanzi queste cose con grande importunità, e tutto il suo esercito con grandi voci raddoppiava dicendo: “ La morte è il solo tuo rifugio!”. Udendo queste parole,mi sbigottii e subito caddi bocconi urlando e dicendo: “Signore aiutami. Non mi abbandonare, Signore! Speranza mia, vieni! Vieni, speranza mia!”. Ed ecco subito la speranza discese dal cielo con splendore e mi toccò il fianco e mi alzò su e mi fece stare sui miei piedi, e disse: “ fino a quando sarai tu fanciullo? Quanto tempo dovrai tu stare per imparare a combattere? Tu sei stato tante volte nella battaglia e sei entrato nel mezzo dell’ombra della morte e non hai ancora imparato a combattere. Non volerti, non volerti turbare per la grande giustizia di Dio. Fatti forza, pusillanime! Temino coloro che non si convertono al Signore, coloro che vanno nelle loro vie, che seguono le vanità, che non conoscono la via della pace. Abbino paura gli empi, che peccano e dicono: che cosa ho io fatto? I quali non si convertono col cuore,i quali sono chiamati e rifiutano di venire… certo, questi tali punisce la giustizia di Dio; questi tali uomini appartengono a quella giustizia; ma i peccatori i quali tornati in sé, si alzano su e ricorrono al padre delle misericordie dicendo: “ Padre, io ho peccato contro il cielo e innanzi a te, ma sii propizio a me peccatore”, questi confidino nel Signore, perché colui che li ha attirati certo li accoglierà e li giustificherà. Questa empia tristezza ci metta davanti, se può farlo, qualche peccatore, grande quanto può, il quale si sia convertito al Signore e non sia stato da lui accolto e giustificato… Figlio mio non voler disprezzare la disciplina del Signore e non ti affannare quando sei da lui rimproverato, perché Dio castiga colui che egli ama e flagella ciascun figlio suo che lui accoglie. . persevera, dunque, in questa disciplina. Iddio si offre a te, come ci si offre a un figlio. E benché pochi siano gli eletti in confronto dei reprobi, nondimeno innumerevoli sono quelli che si salvano. E non è solamente una Maria Maddalena, un ladrone, un Pietro, un Paolo, anzi innumerevoli hanno seguito le loro orme facendo penitenza, e sono stati accolti dal Signore e adornati di molti e grandi doni della grazia… non voler turbarti per la moltitudine e la gravità dei peccati. Non ti è già venuta incontro la misericordia? Non t’ha essa baciato? Ecco che tu sei caduto e non ti sei fatto male e rotto. Perché? Ora non sei tu un vaso fragile, il quale cadendo, è di necessità che si rompa se  qualcuno non pone già sotto la sua mano? Perché dunque cadendo, non ti sei rotto? Chi ha messo sotto la sua mano? Chi, dico, se non il Signore? Questo è un grande segno della tua elezione… Umiliati ormai sotto la potente mano di Dio e per l’avvenire sii più cauto. La pazienza ti è di necessità. Prega, senza interruzione, e Dio ti esaudirà quando sarà il tempo. Sta’ su dunque, e scaccia da te ogni tristezza. Abbraccia i piedi del Signore e lui ti benedirà e salverà. Dette queste cose , lei fu rapita in cielo, lasciandomi tutto confortato e mirabilmente consolato. Alla quale io subito obbedendo con tutto il cuore, stetti dinanzi a Dio, e rivoltomi ai piedi del mio Salvatore, confidentemente dissi: “Esto mihi in Deum protectorem et in domum refugii ut salvum me facias  … A ogni tentazione, a ogni tribolazione e finalmente a ogni necessità di qualunque ragione, aprimi, Signore, la casa del tuo rifugio; aprimi il seno della tua pietà; si manifestino le viscere della tua misericordia, cosicchè tu mi salvi. Qui non verrà il tentatore; il calunniatore non vi salirà; il pessimo accusatore dei fratelli non vi giungerà. Io vi starò sicuro, e quasi già mi pare essere sicuro. Grazie a te, buon Gesù, che mi mandasti la speranza, la quale mi ha resuscitato dalla polvere e mi ha tolto dallo sterco e mi ha posto dinanzi a te, perché tu mi sia come Dio protettore e come casa di rifugio e mi salvi. L’anima mia di nuovo si turba. Ecco la tristezza viene a noi con la bandiera della Giustizia, e non si ritira dalla sconfitta di ieri, ma con altre armi viene a noi armata, perché stanotte essa mi tolse le armi e ha cinto le mie spade ai suoi soldati. Io, dunque, disarmato ed infermo cosa farò? Ecco, quanto ella grida con audacia! Con grande impeto mi assale. Quanto è ella fiduciosa della vittoria! Ella mi disse: “Dov’è il tuo protettore? Dov’è la casa del rifugio? Dov’è la tua salvezza? Ancora stai tu fermo nella tua vana fiducia? Quelle tue consolazioni procedono dalla tua immaginazione. Tu  fingi che Iddio sia a te propizio e tuo protettore e casa del tuo rifugio, e ti sembra di essere salito sino al cielo. Tu ti lasci ingannare dalla tua fantasia, e da vana speranza sei consolato. Pensi tu di essere stato rapito sino al terzo cielo? Questi sono tutti sogni! Ricordati quanto sia grave peccato l’ingratitudine. Ora non secca questa la fonte della misericordia? Ricordati che il Signore pianse sopra la città di Gerusalemme e le preannunciò i futuri mali dicendo: “E verranno i giorni per te, e i tuoi nemici ti verranno intorno come uno steccato, e ti circonderanno e ti stringeranno e getteranno per terra te e i tuoi figli che sono in te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra”… Tu certo, tu, dico, sei questa città ornata da Dio di molti e grandi benefici  e non li hai conosciuti, ma sei stato ingrato. Lui t’ha creato a sua immagine e ti ha generato in mezzo alla Chiesa e non tra gli infedeli; ti ha posto in un florida città; ti ha santificato con l’acqua del battesimo; ti ha nutrito in una casa religiosa, ma tu corresti dietro ai tuoi pensieri, hai camminato nella vanità della tua sensualità e sei giunto nel profondo del peccato. Il Signore ti chiamava e tu non gli rispondevi; spesso ti ammonì e tu disprezzasti il suo consiglio. Quante volte ti ha Lui illuminato! Quante volte ti ha convertito dal cuore! Quante volte t’ha svegliato dal sonno! Lui ti invitava e tu trovavi delle scuse; lui ti attirava e tu gli resistevi. Finalmente la pietà ineffabile e immensa vinse. Tu peccasti ed egli ti visitò; tu cadesti e Lui ti tirò su; tu fosti ignorante e lui ti insegnò ; tu fosti cieco e lui ti illuminò. Ti condusse dallo strepito del mondo, dalla tempesta del mare alla quiete e al porto di religioso. Ti diede l’abito della santa conversazione; volle che tu fossi suo sacerdote; ti condusse agli studi della sua sapienza. Nondimeno, tu fosti sempre ingrato e facesti negligentemente l’opera di Dio, sapendo pure che era scritto: “Maledetto colui che farà l’opera di Dio con negligenza”. Neppure  così la divina pietà ti abbandonò, ma sempre benignamente ti promosse a cose migliori e, quello che è il massimo, ella ti ornò della scienza delle Scritture; ti pose in bocca la parola della predicazione; e, quasi come uno dei grandi, ti pose nel mezzo del popolo. Ma  tu insegnasti agli altri e non tenesti in considerazione te stesso, curasti gli altri e non salvasti te stesso. Tu alzasti in alto il tuo cuore nella tua bellezza, e per questo tu hai perso nella tua bellezza la tua sapienza. Tu sei fatto dal nulla, e nulla sari in eterno. Ora non sai tu che il servo, sapendo la volontà del Signore e non facendola sarà molto castigato? Ora non sai tu che Dio fa resistenza ai superbi? Come sei tu caduto, o Lucifero, che nascevi al mattino, che colpivi le genti con lo splendore, che dicevi nel tuo cuore: io salirò in cielo? Nondimeno tu sei gettato nell’inferno, nel profondo del lago. La tignola sotto te sarà il tuo letto; la tua coperta saranno i vermi. Credi ora di trovare misericordia tu che hai scandalizzato molti , che tante volte chiamato e ammonito da Dio non hai voluto rispondere? Dove sarebbe la giustizia di Dio? Dove sarebbe l’equità del giudizio? La misericordia non sempre favorisce il peccatore. Ella ha posto a se stessa dei limiti. Non è scritto: “Io vi chiamai e voi avete rifiutato; io aprii le mie mani e non ci fu chi si degnasse di uno sguardo; voi avete disprezzato tutto quanto il mio consiglio e non avete fatto  stima dei miei rimproveri; e io anche nel vostro profondo riderò e vi schernirò con risa quando vi accadrà quello che voi temevate”. Ecco che non sempre la misericordia perdona al peccatore. Ora non consideri tu che i gradini della misericordia abbiano fine in te, che, essendo onorato da Dio di tanti benefici, sei cascato nel profondo del mare; che, ornato di tante grazie, per la tua superbia e vanagloria sei stato scandalo di tutto il mondo? Non ti inganni, dunque, la vana speranza alla quale vai dietro. Vivi ormai come ti piace, non volere in questa e nell’altra vita essere tormentato dalle pene dell’inferno. Scegli di abitare con quelli che passano i loro giorni nei beni e si danno buon tempo e nel punto della morte vanno all’inferno. Né ti trattenga la vergogna: fa’ la faccia della meretrice. Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo. La tua piaga è disperata:  si è fatta insanabile. Dopo che ella ebbe dette queste parole, tutto il suo esercito con voci tremende urlava e ripeteva le medesime parole dicendo: “ la tua piaga è senza speranza: è diventata insanabile!”. Ma io, ricordando l’ammonizione di mia madre, benché alquanto avvilito d’animo, per quanto potei, mi levai su e stetti in piedi, alzando gli occhi al cielo da cui aspettavo aiuto.  Ed ecco la speranza con volto allegro, ornata di divini splendori, discendendo dall’alto disse: “ chi è costei la quale esprime i suoi concetti con insensato linguaggio? La quale ha posto dei confini alla misericordia? La quale vuol fare finito quello che è infinito ? Che crede di portare con le sue mani l’acqua del mare? Ora non hai tu udito il Signore che dice: “In qualunque giorno il peccatore si pentirà, in se stesso piangendo, io non mi ricorderò di tutte le sue iniquità”. Qual è l’uomo che non pecca? Chi può dire: il mio cuore è puro? La preghiera del Signore appartiene a tutti; in lei tutti siamo costretti a dire: Et dimitte nobis debita nostra…, e perdona a noi i debiti, cioè i nostri peccati. Il Signore insegnò agli apostoli  a pregare in questo modo. Dunque, questa preghiera non apparterrà  agli altri uomini? Ora non ricevettero gli apostoli le primizie dello Spirito? Per quale ragione, dunque, insegnò loro il Signore a pregare così se essi non avevano peccato? E se avevano peccato loro, chi si potrà gloriare di non essere peccatore? Ascolta quello che dice il discepolo diletto del Signore: “Se noi diciamo che non abbiamo peccato, noi inganniamo noi stessi e la verità non è in noi”. E l’apostolo Giacomo dice: “Noi abbiamo tutti percosso ed offeso in molte cose”. Dunque, tutti peccarono e continuamente gli uomini santi di Dio hanno tutti bisogno della misericordia di Dio, perché è scritto: “Il giusto cadrà sette volte al giorno e si alzerà di nuovo”. Dunque la misericordia non ha confini; ma ogni volta che il peccatore si pentirà nel suo cuore, la misericordia sarà pronta a soccorrerlo. E non importa se si parla dei grandi o dei piccoli peccati. Tu sei caduto, alzati su e la misericordia ti accoglierà. Tu sei caduto in rovina, chiama e la misericordia verrà a te. Tu sei caduto un’altra volta e di nuovo sei in rovina, convertiti al Signore, e le viscere della sua misericordia si apriranno a te. Tu sei caduto e precipitato la terza e la quarta volta, piangi e la misericordia non ti abbandonerà. Quante volte tu pecchi, altrettante volte alzati  e la misericordia non avrà fine. O tristezza, la peggiore delle donne, perché rinfacci tu i benefici ricevuti? Ora non ricevette Davide, profeta massimo, molti e grandi benefici; del quale disse il Signore: “Io ho trovato un uomo secondo il mio cuore”, e nondimeno lui peccò e certo gravemente così nell’adulterio come nell’omicidio dell’uomo giusto e innocente? E certamente Dio non pose termine in lui alla sua misericordia. Perché aggiungi tu  il peccato della superbia? Ora non alzò Davide il suo cuore in superbia e fece contare il popolo d’Israele e si gloriava come re grande e potente nella sua virtù, né però per questo fu riprovato? E perché? Perché lui non nascose il suo peccato e non lo esaltò come  Sodoma, ma disse: “Io confesserò contro di me la mia ingiustizia al Signore”. La misericordia , dunque, non ha posto termini, ma i cattivi gli hanno posto i confini perché essa non arrivi a loro; perché essa va fino ai loro termini, ma loro la scacciano… Ascolta il Signore Gesù che dice: “La mia volontà è fare la volontà di colui che mi ha mandato perché io conduca a perfezione l’opera sua”. Colui , dunque, il quale ha cominciato ad amarti e ad attirarti con i suoi benefici e con le sue grazie  e a purificarti dai peccati, certo condurrà a perfezione l’opera sua, perché queste sono tutte preparazioni a vita eterna. Perché, dunque, essendo tu ora caduto non hai sbattuto? Ora non è stato perché il Signore pose sotto la sua mano? E perché egli ha posto sotto la sua mano? Perché ha Egli convertito il tuo cuore a sé? Perché ti ha provocato a penitenza? Perché ti ha consolato? Non ad altro fine se non per purificarti e farti degno sua grazia e condurti a vita eterna. Queste non sono illusioni o tue immaginazioni, ma divine ispirazioni. Ma diciamo che esse sono immaginazioni: ora non sono buone? Non vengono dalla virtù della fede? Essendo, dunque, ogni bene da Dio, certo queste immaginazioni sono illuminazioni divine. Adunque, esulta e sta’ allegro in queste parole”. A queste tali parole il mio cuore si confortò in modo che per la gioia io cominciai a salmeggiare e a dire: Dominus illuminatio mea, Signore tu sei la mia illuminazione e mia salvezza! Chi temerò io? Signore, protettore della mia vita, di chi avrò io paura? E, gettatomi ai piedi del Signore, dissi con lacrime: “Signore, se contro a meno stessero gli accampamenti di gente d’ arme, il mio cuore non temerà, quoniam fortitudo mea et refugium meum es tu, et propter nomen tuum deduces me et nutries me”.

 

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