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Atti degli Apostoli cap28

 

                                                Cap. 28
E salvati allora conoscemmo che l’isola viene chiamata Malta. 2 Gli indigeni offrirono a noi non la ordinaria benevolenza, avendo infatti acceso un falò accolsero tutti noi a causa della pioggia che era sopraggiunta e per il freddo. 3 Allora Paolo raccogliendo una certa qualità di legna secca e avendola posta sul fuoco, una vipera per il calore essendo uscita si attaccò alla sua mano. 4 Ora quando videro gli indigene l’animale pendente dalla sua mano, gli uni agli altri dicevano: Indubbiamente è un omicida questo uomo che scampato dal mare la vendetta divina non gli ha permesso di vivere. 5 Egli allora avendo scosso l’animale nel fuoco non patì alcun male, 6 quelli ora aspettavano di vederlo gonfiare o cadere giù di colpo morto. Ma aspettando essi per molto tempo e vedendo niente di insolito a lui accadente, avendo cambiato idea, dicevano che  lui era un dio. 7 Ora In quelle zone intorno a quel luogo c’era il podere del primo dell’isola di nome Publio, che avendo accolto noi tre giorni con benevolenza ospitò. 8 Avvenne poi che il padre di Publio afflitto da febbri e dissenteria giacesse a letto, dal quale essendo entrato Paolo e avendo pregato avendo imposto a lui le mani lui guarì. 9 Ora essendo accaduta questa cosa anche i rimanenti sull’isola aventi malattie venivano ed erano curati, 10 essi anche con molti onori onorarono noi e ai salpanti fornirono le cose per le necessità. 11 Poi dopo tre mesi salpammo in una nave alessandrina , che aveva svernato nell’isola, con l’insegna dei Dioscuri. 12 E avendo approdato a Siracusa vi rimanemmo tre giorni, 13 di là avendo staccato le ancore giungemmo a Reggio. E dopo un giorno essendo sopraggiunto lo scirocco in due giorni arrivammo a Pozzuoli, 14 dove, avendo trovati dei fratelli, fummo pregati di rimanere presso di loro sette giorni. E così giungemmo a Roma. 15 E di là i fratelli, avendo ascoltato le cose riguardo noi vennero incontro a noi fino al Foro Appio e alle Tre Taverne. Paolo avendo visto questi, avendo reso grazie a Dio riprese coraggio. 16 Quando poi entrammo in Roma fu permesso a Paolo di abitare per conto proprio con il soldato lui sorvegliante. 17 Avvenne poi dopo tre giorni che lui convocasse i primi dei Giudei. Essendo convenuti poi essi diceva a loro: Io, uomini fratelli, niente avendo fatto contro il popolo o le usanze dei padri sono stato consegnato prigioniero da Gerusalemme nelle mani dei Romani, 18 che avendo interrogato me volevano rilasciarmi perché nessuna colpa degna di morte c’era in me. 19 Ma opponendosi i Giudei fui costretto ad appellarmi a Cesare non come al mio popolo avendo qualcosa da accusare. 20 Per questo motivo dunque ho chiamato voi per vedervi e parlarvi, a causa infatti della speranza di Israele mi cinge 3 questa catena. 21 Quelli poi a lui dissero: Noi né lettere su te abbiamo ricevuto dalla Giudea né giungendo qualcuno dei fratelli ha annunciato o detto cosa su te cattiva. 22 Ora riteniamo opportuno da te ascoltare le cose che pensi, infatti riguardo questa setta è a noi noto che dovunque trova opposizione. 23 Avendo poi fissato a lui un giorno vennero da lui nell’alloggio molti ai quali esponeva rendendo testimonianza del regno di Dio, convincendo loro riguardo a Gesù a partire dalla legge di Mosè e dai profeti, dal mattino fino a sera. 24 E alcuni si convincevano per le cose dette, altri non credevano. 25 Ora essenti discordi gli uni con gli altri si lasciavano avendo detto Paolo una sola parola: Bene lo Spirito Santo ha detto per il profeta Isaia ai vostri padri 26 dicendo: Va’ da questo popolo e di’: Con l’udito ascolterete e non comprenderete affatto e guardanti guarderete e non vedrete affatto. 27 Infatti ingrassò il cuore di questo popolo e cogli orecchi malvolentieri hanno udito e i loro occhi hanno chiuso; perché non vedano con gli occhi e cogli orecchi odano e col cuore comprendano e ritornino, e risani loro. 28 Noto dunque sia a voi che ai gentili è stata inviata questa salvezza di Dio. Ed essi  ascolteranno. 30 Rimase poi due anni interi nella propria casa in affitto e riceveva tutti gli entranti da lui, 31 annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardo il Signore Gesù Cristo con ogni franchezza senza impedimento.

 


                                             Cap. 28
E salvati allora conoscemmo che l’isola viene chiamata Malta.
Dopo la salvezza la conoscenza piena dell’isola di approdo, secondo il nome, che le viene dato da coloro che l’abitano.
2 Gli indigeni offrirono a noi non la ordinaria benevolenza, avendo infatti acceso un falò accolsero tutti noi a causa della pioggia che era sopraggiunta e per il freddo.
È l’accoglienza fatta ai santi, a coloro che sono scampati dall’ira del Maligno. Non una comune benevolenza, ma una benevolenza al di sopra di qualsiasi altra che si possa immaginare. Il freddo della pioggia cede il posto al calore del falò acceso dall’amore e per amore.
3 Allora Paolo raccogliendo una certa qualità di legna secca e avendola posta sul fuoco, una vipera per il calore essendo uscita si attaccò alla sua mano.
Finchè siamo in questo mondo, benché ogni giorni fatti salvi dal Cristo, il Maligno continua i suoi attacchi velenosi.
Non sopporta il fuoco acceso dall’amore, esce allo scoperto attacca e si attacca alla mano di Paolo.
4 Ora quando videro gli indigeni l’animale pendente dalla sua mano, gli uni agli altri dicevano: Indubbiamente è un omicida questo uomo che scampato dal mare la vendetta divina non gli ha permesso di vivere. 5 Egli allora avendo scosso l’animale nel fuoco non patì alcun male, 6 quelli ora aspettavano di vederlo gonfiare o cadere giù di colpo morto. Ma aspettando essi per molto tempo e vedendo niente di insolito a lui accadente, avendo cambiato idea, dicevano che  lui era un dio.
Il pensiero di quelli che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo è mutevole ed altalenante. Facilmente sono attratti e si riempiono di stupore per la salvezza portata dal cielo. Altrettanto facilmente fanno marcia indietro quando vedono l’opera del Maligno. I giudizi fatti sulla vita di un apostolo rimangono per lo più in superficie: si vede soltanto quello che cade sotto gli occhi. Dapprima Paolo è accolto come un salvato dall’ira divina, poi lo si vede come un omicida, degno dell’ira del cielo, infine addirittura come un dio. Quando non si vive fondati nella fede e radicati nella speranza in Cristo Salvatore tutto si pensa e si dice.
7 Ora In quelle zone intorno a quel luogo c’era il podere del primo dell’isola di nome Publio, che avendo accolto noi tre giorni con benevolenza ospitò.
Rapido cambiamento di scena. Dall’uomo comune si passa al primo dell’isola, l’unico degno di essere chiamato per nome.
Publio accoglie Paolo e i suoi con benevolenza e lo ospita nella sua casa.
Altro è dare ospitalità lasciando fuori dalla propria casa, altro è lasciare entrare nella propria dimora.
Si entra subito in una comunione di cuori e di intenti. L’altro non è più un estraneo e lo si mette al corrente di ogni pena e di ogni angoscia.
8 Avvenne poi che il padre di Publio afflitto da febbri e dissenteria giacesse a letto, dal quale essendo entrato Paolo e avendo pregato avendo imposto a lui le mani lui guarì.
Publio lascia mano libera a Paolo su tutta la sua famiglia e Paolo può imporre le mani e guarire il padre afflitto da febbri.
Non può esserci opera alcuna di salvezza nella casa che non accoglie chi annuncia il Vangelo di Cristo.
Gli altri vengono semplicemente informati e messi al corrente. Nulla hanno visto e sperimentato in proprio, ma la fama delle opere di Dio passa di bocca in bocca e c’è un concorso di massa. Per la salvezza dell’anima? Non sembra proprio. L’interesse delle masse è sempre per la salute del corpo e per il benessere fisico.
9 Ora essendo accaduta questa cosa anche i rimanenti sull’isola aventi malattie venivano ed erano curati, 10 essi anche con molti onori onorarono noi e ai salpanti fornirono le cose per le necessità.
Le folle accorrono ovunque c’è aria di guarigione. Non sono respinte dal Signore, ma spesso le cure sono conformi alle loro aspettative. C’è una fede che sa rendere onore a Dio con preghiere di ringraziamento e con generose offerte ai ministri della Chiesa, che fa comparse brevi e fugaci.
Non sa trattenere chi annuncia il Vangelo: non c’è interesse per l’ascolto. Alla fine ognuno ritorna alla vita di prima e se ne va per i fatti suoi.
L’Apostolo non approfitta della situazione per fondare una qualche comunità: sarebbe un inganno ed una illusione. E neppure si lascia prendere dal male del mattone. Se ne va altrove, per annunciare ad altri e per portare altra salute. Il moltiplicarsi di luoghi di culto non accresce il numero dei fedeli: giustifica ed alimenta il pietismo popolare, che è altro dalla vera fede.
11 Poi dopo tre mesi salpammo in una nave alessandrina , che aveva svernato nell’isola, con l’insegna dei Dioscuri. 12 E avendo approdato a Siracusa vi rimanemmo tre giorni, 13 di là avendo staccato le ancore giungemmo a Reggio. E dopo un giorno essendo sopraggiunto lo scirocco in due giorni arrivammo a Pozzuoli, 14 dove, avendo trovati dei fratelli, fummo pregati di rimanere presso di loro sette giorni. E così giungemmo a Roma.
Dopo tante traversie per mare, finalmente Roma.
15 E di là i fratelli, avendo ascoltato le cose riguardo noi vennero incontro a noi fino al Foro Appio e alle Tre Taverne. Paolo avendo visto questi avendo reso grazie a Dio riprese coraggio.
L’accoglienza riservata al gruppo dai cristiani di Roma dà coraggio a Paolo. A Roma rinasce la speranza di una chiesa nuova che parla la lingua di tutte le genti.  Chi siano questi primi cristiani trovati nella capitale dell’Impero non è dato sapere. Ci sono e basta. La loro presenza di per sé sola attesta che il Vangelo ormai ha preso radici nella grande città.
16 Quando poi entrammo in Roma fu permesso a Paolo di abitare per conto proprio con il soldato lui sorvegliante.
Benchè sorvegliato speciale, Paolo gode di una sua libertà per quel che riguarda l’annuncio della Parola.
17 Avvenne poi dopo tre giorni che lui convocasse i primi dei Giudei.
La prima convocazione fatta da Paolo riguarda ed interessa i capi dei Giudei. A loro si deve annunciare per primi, perché per primi sono stati coinvolti in un disegno di divina salvezza.
Essendo convenuti poi essi diceva a loro: Io, uomini fratelli, niente avendo fatto contro il popolo o le usanze dei padri sono stato consegnato prigioniero da Gerusalemme nelle mani dei Romani, 18 che avendo interrogato me volevano rilasciarmi perché nessuna colpa degna di morte c’era in me. 19 Ma opponendosi i Giudei fui costretto ad appellarmi a Cesare non come al mio popolo avendo qualcosa da accusare.
In poche parole Paolo rende conto ai Giudei di Roma quanto gli è accaduto a Gerusalemme. Proclama innanzitutto la propria innocenza riguardo alle accuse che gli sono state mosse di aver detto ed operato contro il popolo e le usanze dei padri.
Consegnato come prigioniero nelle mani dei Romani, questi nessuna colpa degna di morte hanno in lui trovato. Al contrario volevano lasciarlo andare libero. L’ostilità persistente dei Giudei lo ha costretto ad appellarsi a Cesare per essere così condotto a Roma e cambiare aria, non come colui che ha nell’animo di accusare il suo popolo per quanto accaduto.
20 Per questo motivo dunque ho chiamato voi per vedervi e parlarvi, a causa infatti della speranza di Israele mi cinge questa catena.
Perché dunque Paolo ha convocato i capi dei Giudei che sono in Roma? Per vederli e per fare loro sapere che porta le catene a causa della speranza di Israele in un Salvatore mandato dal cielo.
21 Quelli poi a lui dissero: Noi né lettere su te abbiamo ricevuto dalla Giudea né giungendo qualcuno dei fratelli ha annunciato o detto cosa su te cattiva.
Riguardo a Paolo non sembra proprio che per lui ci sia molto interesse a Gerusalemme. Evidentemente c’è soddisfazione perché finalmente è andato fuori dai piedi, lontano dalla città santa.
22 Ora riteniamo opportuno da te ascoltare le cose che pensi, infatti riguardo questa setta è a noi noto che dovunque trova opposizione.
Diverso il discorso per quel che riguarda la nuova via a cui alcuni hanno aderito. Che si tratti di una setta è fuori discussione ed è noto che ovunque viene contrastata.
C’è interesse e volontà di ascolto riguardo all’opinione di Paolo in proposito.
23 Avendo poi fissato a lui un giorno vennero da lui nell’alloggio molti, ai quali esponeva rendendo testimonianza del regno di Dio, convincendo loro riguardo a Gesù a partire dalla legge di Mosè e dai profeti, dal mattino fino a sera.
Ha inizio così nella casa di Paolo una evangelizzazione sistematica, a partire dai Giudei. Paolo espone come uno che è stato testimone di tutto quel che riguarda Gesù. Il discorso non conosce fretta e rifugge da qualsiasi approssimazione. Si parte dall’inizio della promessa, da Mosè e dai profeti e si parla incessantemente da mattina a sera, a tempo pieno. Per Paolo non c’è altro interesse.
24 E alcuni si convincevano per le cose dette, altri non credevano.
L’annuncio del Vangelo, crea divisione, convince gli uni, indurisce gli altri.
25 Ora essenti discordi gli uni con gli altri si lasciavano
La divisione e la confusione dei cuori è tale per cui non si intravede proprio la possibilità di creare una comunità di cristiani fatta di soli Giudei.
avendo detto Paolo una sola parola:
Il commento di Paolo alla situazione che si è venuta creando è alquanto lapidario. Si è realizzata ormai pienamente ed ha raggiunto il suo massimo sviluppo l’incredulità di Israele e la durezza del suo cuore riguardo al Cristo Salvatore mandato dal cielo. Hanno udito, hanno visto, è stato loro annunciato e spiegato.
Nessuna volontà di conversione e di salvezza.
Bene lo Spirito Santo ha detto per il profeta Isaia ai vostri padri 26 dicendo: Va’ da questo popolo e di’: Con l’udito ascolterete e non comprenderete affatto e guardanti guarderete e non vedrete affatto. 27 Infatti ingrassò il cuore di questo popolo e cogli orecchi malvolentieri hanno udito e i loro occhi hanno chiuso; perché non vedano con gli occhi e cogli orecchi odano e col cuore comprendano e ritornino, e risani loro.
La storia della salvezza è ormai giunta alla svolta finale. Dopo il dono di Dio, il giudizio per il suo popolo.
È tempo di rendere ufficiale la cosa. 
28 Noto dunque sia a voi che ai gentili è stata inviata questa salvezza di Dio. Ed essi  ascolteranno.
Per bocca di Paolo l’ultima parola di Dio ad Israele. Il suo rifiuto del Cristo ha aperto la strada della salvezza ai Gentili. I Gentili ascolteranno e saranno il nuovo popolo di Dio.
30 Rimase poi due anni interi nella propria casa in affitto e riceveva tutti gli entranti da lui, 31 annunciando il regno di Dio e insegnando le cose riguardo il Signore Gesù Cristo con ogni franchezza senza impedimento.
Brusca conclusione degli Atti degli Apostoli. Null’altro si dirà e si saprà di Paolo. A Roma si conclude per la Scrittura la sua missione di Apostolo delle genti. A Roma il Vangelo è annunciato a tutti, con franchezza e senza impedimento.
Alla centralità di Pietro e di Paolo nella Chiesa del Signore è affiancata ora un’altra centralità: quella di Roma.
Il discorso è volutamente interrotto. D’ora innanzi chiunque vorrà ascoltare la Parola di salvezza, ed essere in essa confermato ed approvato dovrà guardare a Roma e a coloro che da Roma annunciano e presiedono.
In poche parole, senza possibilità di replica e di revisione è affermato il primato del papa, in quanto vescovo di Roma.
Roma caput mundi è stata eletta da Dio come caput ecclesiae.
Cadrà la Roma dei Cesari e non cadrà il mondo, quando cadrà la Roma dei papi, sarà la fine della Chiesa tutta.

Da don Divo Barsotti
Meditazione sugli Atti degli Apostoli – Edizioni san Paolo
 
Insegnamento degli Atti
L’argomento fondamentale della teologia degli Atti è la Chiesa: è la Chiesa opera dello Spirito, la Chiesa in cui domina il Cristo, ma una Chiesa intesa in modo più complesso di quanto non dicano comunemente gli esegeti. Fra i commentatori alcuni oppongono la Chiesa giudaico - cristiana di Gerusalemme alla concezione di Paolo di una Chiesa puramente carismatica; altri riconoscono negli Atti una Chiesa gerarchica; ma non si trovano molto concordi, proprio perché non vedono quello che a me sembra di aver rilevato e cioè che veramente negli Atti al vertice vi è Pietro: in lui, nella funzione che gli è propria, le varie concezioni della Chiesa si unificano. Egli è al di sopra di tutte le varie denominazioni che fanno parte dell’unica Comunità cristiana. Negli Atti Pietro non è il capo della comunità dei Giudeo-cristiani. E non è vero nemmeno che Paolo sia capo di una Chiesa ellenistica e puramente carismatica in opposizione alla Chiesa giudaico-cristiana, perché come Giacomo si ordina a Pietro, così anche Paolo si ordina a Pietro.
Già fin dall’inizio Pietro è colui nel quale la Chiesa è una. Sacramento visibile dell’unità è Pietro e il suo ministero è ordinato a manifestarlo. Non è Paolo che introduce i pagani nel cristianesimo, ma Pietro. Il rilievo   dato alla conversione di Cornelio, narrata nel cap. 10 e ripetuta pochi capitoli dopo quando Pietro vuol giustificare il suo operato a Gerusalemme, ben dice l’importanza che ha, per gli Atti, la figura di Pietro, in quanto trascende la Chiesa giudaico-cristiana di Gerusalemme. D’altra parte il fatto che le Comunità di cristiani venuti dal paganesimo sentano la necessità, in Paolo che le ha fondate, di essere riconosciute da Pietro, ci insegna che queste comunità non sono puramente carismatiche, ma acquistano una loro legittimità proprio dal fatto che sono riconosciute da lui. Nel Concilio di Gerusalemme chi veramente dirige le questioni e decide, è Pietro e le decide assumendo in modo pieno la impostazione di Paolo: “In nessun altro vi è salvezza; non vi infatti altro nome noto agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” ( 4,12 )…
Vi è negli Atti una Chiesa giudaico cristiana la quale però non porta con sé le promesse di un avvenire. È vera la concezione di Paolo: con il dono dello Spirito Santo una nuova economia religiosa è sorta e il giudaismo è finito. Questa Chiesa ha una struttura gerarchica? Si innesta sul tronco giudaico? Il passaggio al Nuovo Testamento implica qualche continuità con l’Antico? Questo sembra essere il punto nevralgico della ecclesiologia degli Atti, che insegna una costituzione gerarchica della Chiesa. I dodici non sono delegati dalla Comunità, non parlano in nome della Comunità, non nascono da una Comunità già esistente. E dei dodici il primo è Pietro.
Non si può dubitare negli Atti degli Apostoli della costituzione gerarchica della Chiesa, non solo per quanto riguarda Gerusalemme ( che in fondo, anzi, una volta partito Pietro, non sembra più retta dall’apostolo, ma da Giacomo ), ma anche le stesse Chiese create e fondate da Paolo… Nel discorso a Mileto, Paolo stesso afferma che lo Spirito Santo ha posto i presbiteri o i vescovi a guida delle Chiese. La Chiesa è gerarchica anche là dove fioriscono i carismi: anche se l’apostolato di Paolo è soprattutto carismatico, le Chiese da lui fondate sono rette dal ministero stabile dei presbiteri…

La teologia degli Atti che cosa ci dice in ordine alla vita spirituale? Primo: che è inseparabile la vita interiore di unione con Dio da una missione che il cristiano ha nel mondo. È forse l’insegnamento più grande: l’uomo non è strumento delle opere di Dio, se prima di tutto non vive una vita di unione con Lui; d’altra parte Dio si rivela all’uomo e vive in lui precisamente in quanto lo fa strumento della sua azione nella Chiesa, in quanto gli dà una missione nel mondo. Secondo: non vi è missione che sottragga l’uomo nella Chiesa, che non implichi anzi un suo inserimento nella Chiesa, una sua dipendenza dalla Chiesa, un vivere a servizio dello Spirito per la Chiesa intera. Questo è l’insegnamento generico che ci donano gli Atti, ma noi dobbiamo anche rilevare quello che più particolarmente il libro ci può dire. Occorre riconoscere che la vita spirituale negli Atti è vita “nello Spirito”, una vita in cui l’uomo è posseduto dallo Spirito che ne usa e ne fa suo strumento.
L’uomo non vive più per sé, ma, posseduto dallo Spirito, compie le opere di Dio. L’uomo non vive più una vita propria: Paolo, una volta che è stato chiamato, è segregato dallo Spirito Santo, strappato al suo ambiente familiare, alle sue occupazioni e posto unicamente a servizio di Dio nella Chiesa. La vita spirituale è dunque un essere posseduto da Dio e perciò un essere strappato prima di tutto alle sue radici per essere a servizio esclusivo del Kyrios. Dio ci possiede ed Egli soltanto vive in noi. Posseduti da Dio noi siamo mossi dallo Spirito Santo, costretti dallo Spirito. Viviamo quello che Egli vuole, siamo portati là dove Egli vuole. È da rilevare come solennemente ritorna negli Atti la parola del Signore a Paolo: è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma ( 23,11 ). Le difficoltà non sono ostacolo all’azione divina; possono insorgere , possono moltiplicarsi, ma esse faranno ancora più visibile la potenza dello Spirito che muove l’Apostolo al compimento dei disegni divini. Noi non comprendiamo mai la volontà di Dio: è una pretesa assurda. La volontà di Dio non la compie che Dio! Questo dicono gli Atti: è nella misura che l’uomo è posseduto da Dio che egli compie la sua volontà. Così Paolo realizzerà quanto Dio gli aveva detto, proprio in quanto , prigioniero è portato in catene dallo Spirito a Roma dove Dio lo aveva chiamato. La vita spirituale è esercizio di fede, di speranza , di amore. Di una fede che ci strappa alle radici per farci aderire unicamente a Cristo, di una speranza che ci spinge irresistibilmente in avanti, di un amore che è passione divorante e non ci lascia più nulla, non ci lascia vivere più una nostra vita. Paolo è dominato da questa potenza dello Spirito. È l’uomo dello Spirito. In lui si manifesta, più che la vita dell’uomo, la vita stessa di Dio. E non è soltanto Paolo colui nel quale si vede vivere Dio: è tutta la Chiesa. È impressionante come questa avanzi, senza soste, fino a raggiungere Roma. Sono pochi decenni, e in così breve tempo una fede, che chiedeva agli uomini tutto, una dottrina che era stoltezza per i pagani e scandalo per i Giudei, conquista buona parte del mondo.
Il tema fondamentale della vita spirituale è la conversione; la esige Pietro nel discorso della Pentecoste, lo insegna Paolo nel discorso di Mileto. Non chiedono altro tanto Pietro che Paolo.
Quest’ultimo dice che il contenuto della sua predicazione è uno solo: la conversione e la fede in Cristo.
Questa conversione di cui parlano gli Atti è la metanoia di cui parlava già nostro Signore all’inizio del suo Vangelo. L’uomo deve essere solidale con tutti, uno con tutti, ma deve rompere una sua solidarietà con se stesso. Il cristiano non vive per sé, non vive che la morte di sé per essere “abitato” da Dio. La conversione è proprio lo strapparsi alle proprie radici per essere posseduti dal Kyrios. Chi vuol vivere una propria vita non è ancora cristiano, anzi è in opposizione radicale al cristianesimo stesso. Cristiano è colui che si è donato a Cristo e non vive più di sé, non vive più per sé. È quello che opera lo Spirito Santo secondo la prece eucaristica: “Perché non viviamo più per noi stessi, ma per Lui che è morto e risorto per noi, il Cristo ha mandato, o Padre, lo Spirito Santo”. ( preghiera eucaristica IV ). La conversione è opera dello Spirito Santo. Per questo Pietro chiede la conversione a coloro che lo ascoltano nel giorno della Pentecoste: essa è il primo frutto dello Spirito Santo. È in questa conversione dell’essere a Dio, perché Dio lo possegga interamente, che si manifesta di più l’azione dello Spirito. Nessuno infatti potrebbe strapparsi alle proprie radici se Dio non lo strappasse e non lo facesse suo. Nel farci suoi lo Spirito prolunga in qualche modo l’incarnazione stessa del Verbo. Così la Chiesa è questo prolungamento di incarnazione divina, il prolungarsi e il dilatarsi del mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo. Il medesimo Luca, il quale vede nell’incarnazione del Verbo l’opera dello Spirito Santo, al capitolo 2 degli Atti vede che è opera egualmente dello Spirito la nascita della Chiesa. Nella Chiesa è la presenza stessa del Cristo risorto. La Chiesa è il Cristo medesimo che continua e si diffonde. L’azione dello Spirito è in ordine alla glorificazione del Kyrios. Quest’azione, che si esplica nella ricchezza straordinaria dei carismi, ha un duplice fine: la santità personale del discepolo e l’efficacia della sua testimonianza nel mondo. Per quanto riguarda la santità del discepolo è da notare il suo rapporto vivo e personale col Cristo. Il Cristo appare a Stefano morente, a Paolo sulla via di Damasco e continua a intervenire costantemente nella sua vita, lo conforta, lo assicura, lo dirige, con parole e con la visione. Gli Atti dicono che abitualmente gli appare e gli parla nel sogno. Questa espressione può essere intesa nel senso più ovvio e immediato, oppure questa espressione vuol significare già uno stato particolare di astrazione e di estasi? Il libro conosce l’estasi di Pietro che vede sul mezzogiorno aprirsi il cielo e scendere dal cielo una tovaglia con sopra animali puri e impuri. I sogni di Paolo certamente, almeno in parte sono simili all’estasi di Pietro. Di più non possiamo dire, ma già questo è sufficiente a farci comprendere come i carismi di cui parlano gli Atti, sono assai simili alla esperienza mistica di tanti cristiani nei secoli che seguiranno. Questo anche ci insegna come l’esperienza mistica non è affatto estranea alla vita cristiana. Per quanto riguarda i carismi in ordine alla efficacia della testimonianza, il primo rilievo che s’impone è che questa efficacia è duplice: sui corpi col miracolo – e i miracoli sono molti e non possiamo escluderli: resurrezione di morti, guarigioni istantanee, innocuità del veleno…- sull’anima con le conversioni che opera la parola dell’annuncio, ma soprattutto con la forza e la franchezza che danno al ministro nell’affrontare ogni potere e ogni pericolo, senza che da nulla egli possa esser mai sopraffatto, con la visione delle cose che debbono accadere… la vita del singolo come la vita della Comunità è costantemente diretta, sorretta, alimentata dall’azione dello Spirito; così lo Spirito Santo è veramente il principio di quella vita spirituale, sia personale sia collettiva, di cui gli Atti ci raccontano gli avvenimenti. In questa narrazione così si ha una certa epifania dello Spirito: l’uomo si manifesta come “uomo di Dio” e la Comunità ci si rivela quasi la presenza anticipata del Regno di Dio sopra la terra.

 

 

Atti degli Apostoli cap27

                                                      Cap. 27
Quando poi fu deciso che noi salpassimo verso l’Italia, consegnarono Paolo e alcuni altri prigionieri a un centurione di nome Giulio delle coorte Augusta.
2 Essendo saliti allora su una nave adramittena in procinto di navigare verso i luoghi lungo le coste dell’Asia partimmo essendo con noi Aristarco macedone tessalonicese.
3 L’altro giorno approdammo a Sidone, Giulio trattando Paolo con benevolenza gli permise essendo andato dagli amici di ricevere assistenza.
4 E di là essendo partiti navigammo sotto Cipro perché i venti erano contrari, 5 e avendo attraversato il mare  lungo la Cilicia e la Panfilia  giungemmo a Mira di Licia. 6 E là avendo trovato il centurione una nave alessandrina navigante verso l’Italia ci fece salire in essa.
7 Poi per molti giorni navigando lentamente e a stento essendo giunti di fronte a Cnido, non permettendo a noi il vento di approdare navigammo sotto Creta di fronte a Salmone, 8 a stento e costeggiando essa giungemmo a un luogo chiamato Buoni Porti vicino al quale c’era la città di Lasea. 9 Ora molto tempo essendo trascorso ed essendo già rischiosa la navigazione poiché anche il digiuno era già passato Paolo li ammoniva dicendo loro: Uomini vedo che la navigazione sta per essere con pericolo e molto danno
11 Ma il centurione credeva di più al nocchiero e al padrone della nave che alle cose dette da Paolo.
12 Non essendo ora il porto idoneo per lo svernamento i più presero consiglio di salpare di là, se forse avrebbero potuto essendo giunti svernare a Fenice, un porto di Creta guardante a libeccio e a maestrale. 13 Ora essendosi levato leggero uno scirocco, avendo ritenuto di attuare il loro proposito, avendo levata l’ancora da vicino costeggiavano Creta. 14 Ora dopo non molto tempo si abbattè contro di essa un vento d’uragano, quello chiamato Euro-aquilone. 15 Ora essendo trascinata via la nave e non potendo resistere al vento avendola consegnata ad esso eravamo portati. 16 Poi avendo corso sotto a una certa isoletta, chiamata Cauda, potemmo a stento essere padroni della scialuppa, 17 che, avendo sollevato a bordo, i mezzi ausiliari usavano cingendo la nave di canapi, temendo di andare a sbattere contro la Sirte, avendo calato l’attrezzo in questo modo erano portati alla deriva. 18 Ora sbattuti noi violentemente dalla tempesta il giorno seguente gettavamo il carico 19 e il terzo giorno con le loro mani gettarono via l’attrezzatura della nave. 20 Poi né il sole né le stelle apparendo per più giorni, incombendo la tempesta non piccola, del resto era tolta ogni speranza di noi scampare. 21 Essenti da molto senza cibo Paolo in mezzo a loro disse: Conveniva veramente, o uomini, avendo obbedito a me, non partire da Creta e guadagnare questo pericolo e il danno. 22 E per le cose di adesso vi esorto a stare di buon animo: non ci sarà alcuna perdita di vita eccetto della nave. 23 Si è presentato infatti a me questa notte un angelo di Dio, di cui io sono al quale anche servo dicendo: Non temere, Paolo, bisogna ti presenti a Cesare, ed ecco ha fatto grazia a te Dio per tutti i naviganti con te. 25 Perciò uomini state di buon animo. Credo infatti a Dio che così sarà in quel modo in cui è stato detto a me. 26 Ma contro una certa isola bisogna che andiamo noi a sbattere.27 Ma quando fu la quattordicesima notte essendo portati qua e là noi nell’Adriatico, verso metà della notte congetturavano i marinai che si avvicinasse a loro una certa terra. 28 E avendo gettato lo scandaglio trovarono braccia venti, poco dopo essendo andati oltre e di nuovo avendo gettato lo scandaglio trovarono braccia quindici. 29 Temendo che dovunque avremmo sbattuto contro luoghi scogliosi, da poppa avendo gettato le quattro ancore, pregavano si facesse giorno. 30 Ora i marinai cercando di fuggire dalla nave e avendo calato la scialuppa in mare col pretesto come da prua volendo tendere le ancore, 31 disse Paolo al centurione e ai soldati: Se costoro non rimangono nella nave, voi non potete essere salvi. 32 Allora i soldati recisero le funi della scialuppa e la lasciarono cadere. 33 Ma fino a che stava per farsi giorno, esortava Tutti Paolo a prendere cibo dicendo: quattordici  giorni oggi aspettando senza cibo perseverate niente avendo preso. 34 Perciò esorto voi a prendere cibo: questo infatti è per la vostra salvezza, nessuno capello infatti di voi si perderà dalla testa. 35 Ora avendo detto queste cose e avendo preso del pane rese grazie a Dio davanti a tutti e avendolo spezzato cominciò a mangiare. 36 Allora divenuti di buon animo anch’essi presero cibo. 37 Ora eravamo tutte le persone sulla nave duecentosettantasei. 38 Saziati poi del cibo alleggerivano la nave gettando il grano in mare. 39 Quando poi fu giorno, non riconoscevano la terra, ma scorgevano un certo golfo avente una spiaggia a cui volevano, se avessero potuto, spingere la nave. 40 E le ancore avendo staccato tutt’intorno le lasciarono in mare, e insieme avendo allentato i legami dei timoni e avendo alzato la vela di prua al soffiante vento si dirigevano verso la spiaggia. 41 Essendosi poi imbattuti in un luogo fra due mari arenarono la nave e la prua essendosi incagliata rimaneva immobile, la poppa invece veniva sfasciata dalla violenza delle onde. 42 Allora ci fu la decisione dei soldati di uccidere i prigionieri, affinchè qualcuno essendosi gettato a nuoto non fuggisse. 43 Allora il centurione volendo salvare Paolo impedì loro il proposito, e ordinò a quelli che potevano nuotare, essendosi gettati per primi di andare a terra 44 e i rimanenti alcuni su delle tavole, altri su alcune di quelle dalla nave. E così avvenne che tutti furono salvi a terra.

 

Atti 27
Quando poi fu deciso che noi salpassimo verso l’Italia, consegnarono Paolo e alcuni altri prigionieri a un centurione di nome Giulio delle coorte Augusta.
Paolo ormai si sente nelle mani del Signore, un consegnato all’uomo, ma soltanto perché sia fatta la volontà di Dio. Nulla di diverso nella sua vita rispetto a quella di altri: diversa è la sua fede e diversa la sua speranza.
Chi è prigioniero dell’uomo si muove trascinato dall’uomo, chi è schiavo di Cristo procede sicuro sulle proprie gambe.
2 Essendo saliti allora su una nave adramittena in procinto di navigare verso i luoghi lungo le coste dell’Asia partimmo essendo con noi Aristarco macedone tessalonicese.
Se in altre occasioni Paolo si è sentito solo, ora gode il conforto di una presenza fraterna che vuol fare insieme un viaggio e condividere un cammino di obbedienza alla volontà di Dio.
Si tratta di persone che nulla possono decidere e ai quali è inibita ogni iniziativa. Eppure si respira aria di libertà. “Saliti… partimmo…approdammo.
Da soggetti passivi di una storia si sentono come attivi protagonisti.
Perfino il centurione, che è dalla parte avversa, è benevolo nei confronti di Paolo, quasi fosse anch’egli sottomesso alla volontà di Dio.
3 L’altro giorno approdammo a Sidone, Giulio trattando Paolo con benevolenza gli permise essendo andato dagli amici di ricevere assistenza.
Paolo può muoversi come vuole, non deve neppure chiedere e già gli è concesso quel che desidera.
4 E di là essendo partiti navigammo sotto Cipro perché i venti erano contrari, 5 e avendo attraversato il mare  lungo la Cilicia e la Panfilia  giungemmo a Mira di Licia. 6 E là avendo trovato il centurione una nave alessandrina navigante verso l’Italia ci fece salire in essa.
Il viaggio è narrato in prima persona in maniera precisa e circostanziata: non è frutto di fantasia e pura invenzione ma realtà storicamente accertata e testimoniata da coloro che erano con Paolo.
7 Poi per molti giorni navigando lentamente e a stento essendo giunti di fronte a Cnido, non permettendo a noi il vento di approdare navigammo sotto Creta di fronte a Salmone, 8 a stento e costeggiando essa giungemmo a un luogo chiamato Buoni Porti vicino al quale c’era la città di Lasea. 9 Ora molto tempo essendo trascorso ed essendo già rischiosa la navigazione poiché anche il digiuno era già passato Paolo li ammoniva dicendo loro: Uomini vedo che la navigazione sta per essere con pericolo e molto danno non solo del carico e della nave ma anche delle nostre vite.
Preme a Paolo arrivare a destinazione. Non si potrà parlare di un annuncio del Vangelo alle genti se non quando la centralità della Chiesa passerà da Gerusalemme a Roma, capitale dell’impero.
Così almeno la pensa Paolo, ma tutto sembra andare per il verso storto. I venti soffiano contrari, non è permesso approdare, a stento si naviga sotto costa, il viaggio va per le lunghe e si profila pieno di pericoli. Se l’Apostolo attende un segno ed una verifica dal cielo, c’è poco da sperare.
Il digiuno sembra non aver sortito l’effetto desiderato e il Signore non benedice il viaggio. Inutile persistere nell’intento, meglio pensare a salvare le vite e la nave col suo carico.
11 Ma il centurione credeva di più al nocchiero e al padrone della nave che alle cose dette da Paolo.
Accade spesso che chi non crede in Dio, diventi strumento inconsapevole della Sua volontà. Chi è  vero nocchiero e unico padrone della nave, che è la chiesa, la fa in barba sia a chi crede sia a chi non crede.
Costi quel che costi, si deve proseguire. Nessuna potenza avversa può fermare l’annuncio del Vangelo.
12 Non essendo ora il porto idoneo per lo svernamento i più presero consiglio di salpare di là, se forse avrebbero potuto essendo giunti svernare a Fenice, un porto di Creta guardante a libeccio e a maestrale. 13 Ora essendosi levato leggero uno scirocco avendo ritenuto di attuare il loro proposito, avendo levata l’ancora da vicino costeggiavano Creta.
Quando c’è determinazione in un proposito basta un minimo segno favorevole e uno spiraglio di luce nella tempesta, perché i più decidano di andare avanti. È il Signore che guida le cose e dà consiglio agli incoscienti.
14 Ora dopo non molto tempo si abbattè contro di essa un vento d’uragano, quello chiamato Euro-aquilone.
Non c’è volontà di Dio così decisa e manifesta che non trovi subito un ostacolo ed un’opposizione da parte del Maligno, che si abbatte contro la Chiesa come un uragano.
15 Ora essendo trascinata via la nave e non potendo resistere al vento avendola consegnata ad esso eravamo portati. 16 Poi avendo corso sotto a una certa isoletta, chiamata Cauda, potemmo a stento essere padroni della scialuppa, 17 che, avendo sollevato a bordo, i mezzi ausiliari usavano cingendo la nave di canapi, temendo di andare a sbattere contro la Sirte, avendo calato l’attrezzo in questo modo erano portati alla deriva.
La nave non è più sotto il controllo  dell’uomo: forze superiori la trascinano via, non si sa dove. Le possibilità di intervento per evitare un totale disastro sono minime. Si gioca in difesa, facendo  ciò che è ancora possibile per non andare incontro a morte sicura. Quando ormai si va alla deriva non resta che darsi da fare per evitare che l’urto porti la nave allo sfacelo completo.
18 Ora sbattuti noi violentemente dalla tempesta il giorno seguente gettavamo il carico 19 e il terzo giorno con le loro mani gettarono via l’attrezzatura della nave.
Gettato in mare tutto il carico  , il giorno dopo la nave è depauperata e spogliata anche delle sue attrezzature.
20 Poi né il sole né le stelle apparendo per più giorni, incombendo la tempesta non piccola, del resto era tolta ogni speranza di noi scampare.
Perso ogni bene,  è tolta anche la speranza di salvare la pelle. Niente di buono viene dal cielo, nessuna luce, né quella del sole né quella delle stelle. E tutto questo per più giorni.
21 Essenti da molto senza cibo Paolo in mezzo a loro disse: Conveniva veramente, o uomini, avendo obbedito a me, non partire da Creta e guadagnare questo pericolo e il danno.
Non è un discorso fatto col senno di poi. Paolo è consapevole di portare con sé una luce che viene dal cielo. Chi non lo ascolta è meritevole di un rimprovero e di un richiamo.
22 E per le cose di adesso vi esorto a stare di buon animo: non ci sarà alcuna perdita di vita eccetto della nave. 23 Si è presentato infatti a me questa notte un angelo di Dio, di cui io sono, al quale anche servo dicendo: Non temere, Paolo, bisogna ti presenti a Cesare, ed ecco ha fatto grazia a te Dio per tutti i naviganti con te.
Un angelo del cielo mandato da Dio, di cui Paolo è servo, si è presentato all’Apostolo. È necessario che Paolo si presenti davanti a Cesare: per questo a lui e a tutti quelli che sono sulla stessa nave è fatta salva la vita.
Chi opera per il bene della Chiesa ottiene grazie non solo per sé , ma anche per tutti coloro che lo seguono in un cammino benedetto dal cielo. C’è una vicinanza coi santi, scelta in maniera consapevole oppure semplicemente trovata e verificata dal singolo, che è sempre occasione di salvezza.
25 Perciò uomini state di buon animo. Credo infatti a Dio che così sarà in quel modo in cui è stato detto a me. 26 Ma contro una certa isola bisogna che andiamo noi a sbattere.
Paolo può ben rasserenare gli animi, in virtù della propria fede. Ma anche chi non crede dovrà andare a sbattere con la testa. La via della salvezza non è indolore per nessuno.
27 Ma quando fu la quattordicesima notte essendo portati qua e là noi nell’Adriatico, verso metà della notte congetturavano i marinai che si avvicinasse a loro una certa terra. 28 E avendo gettato lo scandaglio trovarono braccia venti, poco dopo essendo andati oltre e di nuovo avendo gettato lo scandaglio trovarono braccia quindici. 29 Temendo che dovunque avremmo sbattuto contro luoghi scogliosi, da poppa avendo gettato le quattro ancore pregavano si facesse giorno.
L’urto contro gli scogli appare ormai chiaro ed inevitabile. Ultima speranza: gettare la quattro ancore di salvezza ( in immagine i vangeli ) e pregare che arrivi il giorno del Signore a fare luce. Non tutti si associano alla preghiera , ma soltanto quelli che si trovano a poppa, cioè in una posizione di impotenza e di arretratezza, rispetto a quelli che sono a prua. Ma cosa fanno quelli davanti? Cercano di salvarsi con i mezzi di salvataggio approntati dall’uomo, abbandonando la nave e chi rimane in essa.
30 Ora i marinai cercando di fuggire dalla nave e avendo calato la scialuppa in mare col pretesto come da prua volendo tendere le ancore, 31 disse Paolo al centurione e ai soldati: Se costoro non rimangono nella nave, voi non potete essere salvi.
È affermata da Paolo in maniera aperta e conclamata una salvezza che viene unicamente dall’obbedienza alla fede in Cristo. Nella chiesa non ci può essere salvezza degli uni che non sia anche salvezza degli altri.
Chi si sottrae all’obbedienza del capo, fa perire tutto il corpo. La libertà di fuga, seppure è lasciata aperta, non porta buon frutto.
Molto meglio quando siamo fermati nonostante e contro la nostra volontà.
32 Allora i soldati recisero le funi della scialuppa e la lasciarono cadere.
Per comando di chi è superiore è reciso ogni tentativo di perseguire una salvezza in proprio, che è abbandono della Chiesa, disobbedienza al Signore, tradimento nei confronti della comunità.
33 Ma fino a che stava per farsi giorno, esortava Tutti Paolo a prendere cibo dicendo: quattordici  giorni oggi aspettando senza cibo perseverate niente avendo preso. 34 Perciò esorto voi a prendere cibo: questo infatti è per la vostra salvezza, nessuno capello infatti di voi si perderà dalla testa. 35 Ora avendo detto queste cose e avendo preso del pane rese grazie a Dio davanti a tutti e avendolo spezzato cominciò a mangiare.
C’è un cibo materiale che finisce a male e non porta con sé salvezza eterna e c’è un cibo spirituale di cui non possiamo e non dobbiamo privarci.
È notte profonda e da quattordici giorni quelli che sono sulla nave non prendono cibo: una astensione dal cibo imposta da una situazione contingente di tristezza o un digiuno religioso? Non importa sapere. Viene il tempo in cui nessun digiuno è gradito davanti a Dio, ma tutti siamo chiamati a nutrirci del corpo di Cristo. Paolo è messaggero di una salvezza donata dal cielo in virtù del sacrificio eucaristico. Come ministro dell’Altissimo prende il pane, rende grazie a Dio, lo spezza e ne mangia davanti a tutti. È una proposta ed un invito perché tutti facciano altrettanto.
36 Allora divenuti di buon animo anch’essi presero cibo.
Non si prende il cibo del cielo se non c’è stato un cambiamento d’animo: bisogna credere nell’efficacia di questo pane consacrato  e lasciare entrare nel cuore una speranza nuova.
37 Ora eravamo tutte le persone sulla nave duecentosettantasei.
Se prima non aveva importanza quante persone si trovavano sulla nave, ora importa sapere quante si sono nutrite del cibo che dona la salvezza.
38 Saziati poi del cibo alleggerivano la nave gettando il grano in mare.
Saziati dal cibo eucaristico ci si può anche alleggerire del cibo materiale. Non ha più l’importanza di un tempo: importanza prioritaria va data alla salvezza.
39 Quando poi fu giorno, non riconoscevano la terra, ma scorgevano un certo golfo avente una spiaggia a cui volevano, se avessero potuto, spingere la nave.
All’aurora del nuovo giorno la nave è ancora in mezzo al mare, la terra della salvezza  non è riconoscibile. Si intravede però un possibile approdo in un golfo con una spiaggia antistante.
40 E le ancore avendo staccato tutt’intorno le lasciarono in mare, e insieme avendo allentato i legami dei timoni e avendo alzato la vela di prua al soffiante vento si dirigevano verso la spiaggia.
È tempo di decidersi in maniera definitiva e di fare una scelta di salvezza. La nave viene liberata da ogni ancoraggio. I timoni vengono sciolti, le vele issate al vento. Ormai si procede in direzione della spiaggia di approdo. Tutto finito ormai e salvezza sicura? Non ancora. Il Diavolo non vuole mollare e tenta l’affondo finale.
41 Essendosi poi imbattuti in un luogo fra due mari arenarono la nave e la prua essendosi incagliata rimaneva immobile, la poppa invece veniva sfasciata dalla violenza delle onde.
La nave viene arenata , la prua  incagliata è fatta immobile, la poppa viene  distrutta dalle onde. Quale speranza per i passeggeri, se non quella di salvarsi   abbandonando la nave? Quando la chiesa appare fatta a pezzi dal Diavolo la tentazione di scappare e di salvarsi con le proprie sole forze può essere grande. C’è un’unica via di salvezza e nessuno può fare di testa propria. Ci si salva rimanendo nella Chiesa e con la Chiesa.
42 Allora ci fu la decisione dei soldati di uccidere i prigionieri, affinchè qualcuno essendosi gettato a nuoto non fuggisse.
Chi fa il soldato in una milizia terrena, può anche pensare che vale unicamente salvare la propria pelle. I soldati decidono di uccidere i prigionieri, per impedire la loro fuga a nuoto. È la soluzione più sicura per evitare di cadere sotto il giudizio dell’uomo.
Per grazia di Dio un’autorità a loro superiore impedisce il proposito omicida.
43 Allora il centurione volendo salvare Paolo impedì loro il proposito, e ordinò a quelli che potevano nuotare, essendosi gettati per primi di andare a terra 44 e i rimanenti alcuni su delle tavole, altri su alcune di quelle dalla nave.
Per amore dei suoi eletti il Signore fa grazia a tutti coloro che si sono trovati sulla nave ed hanno sofferto le stesse pene dell’Apostolo.
E così avvenne che tutti furono salvi a terra.
Abbandonata la povertà materiale di questa Chiesa devastata dal Satana, finalmente la terra della salvezza a tutti offerta.

 

Atti degli Apostoli cap25

                                         Cap. 25
Festo dunque essendo entrato nella provincia, dopo tre giorni salì a Gerusalemme da Cesarea, 2 si presentarono davanti a lui i sommi sacerdoti e i primi dei Giudei contro Paolo e lo pregavano chiedendo il favore, contro di lui, così da far venire lui a Gerusalemme, insidia facendo per ucciderlo per la via. 4 Allora Festo rispose che era custodito Paolo a Cesarea, egli stesso poi stava per partire presto. 5 Quelli dunque tra voi, dice, che possono essendo scesi insieme se c’è qualcosa nell’uomo di cattivo lo accusino. 6 Essendosi trattenuto fra loro non più di otto o dieci giorni, essendo sceso a Cesarea, l’indomani essendo seduto nel tribunale ordinò che Paolo fosse condotto. 7 Essendo poi lui giunto si posero intorno a lui quei Giudei che erano discesi da Gerusalemme e portando gravi accuse che non potevano provare, 8 Paolo parlando in difesa disse: Non contro la Legge dei Giudei, né contro il tempio né contro Cesare in qualcosa ho peccato. 9 Festo allora, volendo aggiungere cosa gradita ai Giudei, rispondendo a Paolo disse: Vuoi essendo salito a Gerusalemme, là essere giudicato da me di queste cose? 10 Disse poi Paolo: Sono stante  nel tribunale di Cesare, dove bisogna che io sia giudicato. Ai Giudei in nessun modo ho fatto torto come anche tu benissimo sai. 11 Se dunque ho operato ingiustamente e degno di morte ho fatto qualcosa, non ricuso di morire. Ma se niente c’è di cui questi mi accusano, nessuno mi può consegnare a loro. Mi appello a Cesare. 12 Allora Festo avendo conferito con il consiglio rispose: A Cesare ti sei appellato, da Cesare andrai. 13 Trascorsi poi alcuni giorni il re Agrippa e Berenice arrivarono a Cesarea per salutare Festo. 14 Ma poiché più giorni trascorrevano là, Festo espose al re le cose riguardo Paolo dicendo: Un certo uomo è stato lasciato da Felice prigioniero, 15 per il quale essendo stato io in Gerusalemme si presentarono per accusare i sommi sacerdoti e gli anziani dei Giudei chiedendo contro di lui la condanna. 16 A loro risposi che non è uso dei Romani consegnare un uomo prima che l’essente accusato abbia di fronte gli accusatori, e un’opportunità di difesa prenda in merito all’accusa. 17 Essendo dunque convenuti loro qui, io  nessun indugio avendo fatto, il giorno seguente sedendo in tribunale ordinai che fosse consegnato l’uomo; 18 sul quale stanti gli accusatori nessuna accusa portavano delle quali io supponessi di cose malvagie, 19 avevano invece contro di lui alcune questioni circa la propria religione e su un certo Gesù morto che affermava Paolo essere vivo. 20 Essendo allora io perplesso sulla controversia circa questa cose dicevo se volesse andare a Gerusalemme e là essere giudicato circa queste cose. 21 Ma Paolo essendosi appellato per essere lui custodito per la decisione giudiziale di Augusto, ordinai di custodirlo fino a che abbia inviato lui da Cesare. 22 Agrippa poi a Festo: Vorrei anch’io stesso ascoltare l’uomo. Domani, dice, ascolterai lui.
23 L’indomani dunque essendo venuto Agrippa e Berenice con grande pompa ed essendo entrati nella sala delle udienze coi tribuni e gli uomini di riguardo della città, e avendo ordinato Festo, fu condotto Paolo. 24 E dice Festo: Re Agrippa e tutti i presenti con noi uomini, vedete costui circa il quale tutta la moltitudine dei Giudei si è rivolta a me in Gerusalemme e qui gridando che non bisogna che egli viva  più. 25 Ma io accertai che lui nessuna colpa degna di morte ha fatto, ma questo stesso essendosi appellato ad Augusto ritenni di mandare. 26 Riguardo a lui non ho qualcosa sicuro da scrivere al mio signore, perciò ho condotto lui di fronte a voi, e soprattutto a te, re Agrippa, così che, avvenuto l’esame giudiziario abbia qualcosa da scrivere. 27 Infatti mi sembra assurdo inviando il prigioniero non indicare anche le accuse contro di lui.

 


Festo dunque essendo entrato nella provincia, dopo tre giorni salì a Gerusalemme da Cesarea, 2 si presentarono davanti a lui i sommi sacerdoti e i primi dei Giudei contro Paolo e lo pregavano chiedendo il favore, contro di lui, così da far venire lui a Gerusalemme, insidia facendo per ucciderlo per la via.
Per un  governatore appena insediato l’incontro con i rappresentanti dei Giudei, sommi sacerdoti e principi, non è dei più incoraggianti.
C’è aria di violenza in giro e Festo subito si sente coinvolto in un complotto assai poco chiaro e poco onorevole per un rappresentante del potere di Roma. La forza di un intero popolo coalizzata contro un solo uomo e per di più povero ed indifeso. E come se questo non bastasse si cerca la complicità del potere legittimamente costituito.
Un rappresentante dell’impero di Roma forse si aspetterebbe qualcosa di più e di diverso.
4 Allora Festo rispose che era custodito Paolo a Cesarea, egli stesso poi stava per partire presto.
Festo non si dimostra certo disponibile a perdere la faccia per una storia così losca, ma deve pur dare una risposta e mostrarsi disposto all’ascolto, ma a tempo   opportuno, a casa sua, tanto per intendersi, e quando sarà disponibile. Per il momento ha cose più importanti da fare ed è pressato dalla fretta. Non Festo deve inseguire la fretta di questi Giudei, caso mai sono loro che devono andare dietro la sua fretta e raggiungerlo a Cesarea.
5 Quelli dunque tra voi, dice, che possono essendo scesi insieme, se c’è qualcosa nell’uomo di cattivo lo accusino. 6 Essendosi trattenuto fra loro non più di otto o dieci giorni, essendo sceso a Cesarea, l’indomani essendo seduto nel tribunale ordinò che Paolo fosse condotto.
L’intrattenersi a lungo è segno di un’amicizia e di una confidenza che non è mai opportuno concedere a chi è sottomesso.
Meglio piuttosto essere puntuali e precisi nell’adempimento della parola data e farsi trovare in tempo all’appuntamento.
7 Essendo poi lui giunto si posero intorno a lui quei Giudei che erano discesi da Gerusalemme e portando gravi accuse che non potevano provare,
Porsi intorno tutti insieme per assediare e minacciare è forse l’unico modo con cui si può colmare la lacuna di prove. Grande l’ira , gravi le accuse, ma non si riesce a dimostrare nulla. E in questa situazione di crisi degli avversari Paolo può comprendere che è il momento opportuno per parlare in propria difesa.
8 Paolo parlando in difesa disse: Non contro la Legge dei Giudei, né contro il tempio né contro Cesare in qualcosa ho peccato.
L’intervento di Paolo è quanto di più sobrio ed essenziale si possa immaginare. In definitiva la migliore difesa è venuta proprio dagli accusatori che nulla sono riusciti a dimostrare.
9 Festo allora, volendo aggiungere cosa gradita ai Giudei, rispondendo a Paolo disse: Vuoi essendo salito a Gerusalemme, là essere giudicato da me di queste cose?
Il procuratore ben avverte la delusione degli accusatori e vuole dare loro il contentino e la rivincita, ma c’è bisogno del consenso di Paolo per spostare la sede  del giudizio da Cesarea a Gerusalemme. La prima fase del processo vede l’Apostolo vincente e a lui spetta decidere come e dove continuare.
10 Disse poi Paolo: Sono stante  nel tribunale di Cesare, dove bisogna che io sia giudicato. Ai Giudei in nessun modo ho fatto torto come anche tu benissimo sai. 11 Se dunque ho operato ingiustamente e degno di morte ho fatto qualcosa, non ricuso di morire. Ma se niente c’è di cui questi mi accusano, nessuno mi può consegnare a loro. Mi appello a Cesare.
La risposta di Paolo stronca ogni pensiero e progetto a suo danno. Di colpo toglie ai presenti ogni potere di giudizio. Se i Giudei non possono scavalcare Festo, Festo non può certo scavalcare l’imperatore.
12 Allora Festo avendo conferito con il consiglio rispose: A Cesare ti sei appellato, da Cesare andrai.
Festo vuol essere in tutto e per tutto trovato conforme al diritto romano. La decisione è presa in accordo col consiglio: Paolo andrà a Roma.
13 Trascorsi poi alcuni giorni il re Agrippa e Berenice arrivarono a Cesarea per salutare Festo. 14 Ma poiché più giorni trascorrevano là, Festo espose al re le cose riguardo Paolo dicendo: Un certo uomo è stato lasciato da Felice prigioniero, 15 per il quale essendo stato io in Gerusalemme si presentarono per accusare i sommi sacerdoti e gli anziani dei Giudei chiedendo contro di lui la condanna. 16 A loro risposi che non è uso dei Romani consegnare un uomo prima che l’essente accusato abbia di fronte gli accusatori, e un’opportunità di difesa prenda in merito all’accusa. 17 Essendo dunque convenuti loro qui, io nessun indugio avendo fatto il giorno seguente sedendo in tribunale ordinai che fosse consegnato l’uomo; 18 sul quale stanti gli accusatori nessuna accusa portavano delle quali io supponessi di cose malvagie,
L’arrivo a Cesarea del re Agrippa e della moglie Berenice non può ormai avere peso alcuno per il destino di Paolo.
Il testo ci dice tuttavia che il caso Paolo è ormai destinato a fare parlare di sé in tutti gli ambienti e contesti dell’impero.
Per alcuni può essere una semplice curiosità, ma è chiaro che sta diventando come la notizia del giorno e tutti vogliono sapere in maniera chiara ed approfondita. Certamente può essere anche motivo di futile orgoglio saperne più degli altri. Festo illustra e spiega in lungo e in largo. In definitiva niente di particolarmente interessante fino ad un certo punto.
19 avevano invece contro di lui alcune questioni circa la propria religione e su un certo Gesù morto che affermava Paolo essere vivo.
Il discorso prende una piega inaspettata. Una controversia riguardo ad un morto che è dichiarato da qualcuno vivo non è di tutti i giorni.
Potrebbe essere una sparata e una buttata di qualche mente malsana, ma quando c’è uno sfondo ed un contesto di religiosità non solo popolare, allora la curiosità può diventare grande.
20 Essendo allora io perplesso sulla controversia circa questa cose dicevo se volesse andare a Gerusalemme e là essere giudicato circa queste cose.
La perplessità in questi casi è dovuta. Tanto più per chi deve dare un giudizio di tipo penale. Festo vuol apparire persona intelligente e di buon senso. Questioni di tal genere, se pur assurde, devono avere un giudizio che accontenti le masse. Niente di meglio che spostare il processo a Gerusalemme.
21 Ma Paolo essendosi appellato per essere lui custodito per la decisione giudiziale di Augusto, ordinai di custodirlo fino a che abbia inviato lui da Cesare.
Tutto si è risolto da solo nel migliore dei modi per Festo: Paolo con diritto inoppugnabile si è appellato a Cesare e a  Cesare è stato inviato.
22 Agrippa poi a Festo: Vorrei anch’io stesso ascoltare l’uomo.
L’interesse per Paolo da un piano giuridico scivola ora su di un piano per i due molto più terra a terra, che è quello religioso.
Agrippa evidentemente è un uomo superstizioso, desideroso di sapere e conoscere in fatto di religione ebraica.
In un contesto di conveniente amicizia e di reciproca benevolenza si può anche chiedere fra potenti di conoscere personalmente l’individuo in questione per ascoltare e porre domande.
Domani, dice, ascolterai lui.
Chiesto e subito concesso, ma per il giorno dopo. In simili casi la fretta del qui ed ora offenderebbe la dignità di un pretore e di un re.
23 L’indomani dunque essendo venuto Agrippa e Berenice con grande pompa ed essendo entrati nella sala delle udienze coi tribuni e gli uomini di riguardo della città, e avendo ordinato Festo fu condotto Paolo.
Stupisce la grande pompa messa su per l’occasione e la convocazione dei tribuni e degli uomini più ragguardevoli della città.
È forse così importante il caso Paolo per i potenti di questo mondo? Se non lo è sta per diventarlo. L’annuncio del Vangelo è uscito dai confini della Giudea; entra di forza nell’impero romano. Il giudizio sull’insegnamento dell’Apostolo è ormai passato ai Gentili.
Non interessa più sapere cosa ne pensano i Giudei.
24 E dice Festo: Re Agrippa e tutti i presenti con noi uomini, vedete costui circa il quale tutta la moltitudine dei Giudei si è rivolta a me in Gerusalemme e qui gridando che non bisogna che egli viva  più. 25 Ma io accertai che lui nessuna colpa degna di morte ha fatto, ma questo stesso essendosi appellato ad Augusto ritenni di mandare. 26 Riguardo a lui non ho qualcosa sicuro da scrivere al mio signore, perciò ho condotto lui di fronte a voi, e soprattutto a te, re Agrippa, così che, avvenuto l’esame giudiziario abbia qualcosa da scrivere. 27 Infatti mi sembra assurdo inviando il prigioniero non indicare anche le accuse contro di lui.
Agli occhi dell’autorità romana Paolo non è stato trovato colpevole di nulla. Vi è un’abissale diversità di vedute rispetto alla richiesta dei Giudei che vogliono una condanna a morte.
Difficile comprendere il senso delle accuse che sono portate contro di lui. In conformità allo spirito della democrazia oligarchica di Roma, Festo ha pensato bene di consultarsi con i rappresentanti del potere per una definizione concorde del caso.
Bisogna mandare a Roma una lettera accompagnatoria per l’imperatore… Per non fare brutta figura, perché siano indicate le ragioni di una scelta in maniera chiara e precisa, perché la responsabilità cada su tutti i rappresentanti dell’autorità imperiale e sia tutelata in questo modo la responsabilità di tutti e di ognuno.

 

Atti degli Apostoli cap26

                                            Cap. 26
Agrippa allora diceva a Paolo: è permesso a te di parlare di te stesso. Allora Paolo avendo steso la mano parlava in sua difesa: 2 Per tutte le cose di cui sono accusato dai Giudei, re Agrippa, considero me stesso fortunato di stare davanti a te per oggi parlare in mia difesa, 3 soprattutto essente conoscitore tu di tutte le usanze dei Giudei come pure delle controversie, perciò ti prego pazientemente di ascoltarmi. 4 La mia condotta dalla giovinezza dal principio avvenuta nel mio popolo in Gerusalemme la sanno tutti i Giudei 5 conoscendo da prima me dall’inizio, se vogliono rendere testimonianza, che secondo la più stretta setta della nostra religione vissi come fariseo. 6 E adesso per la speranza della promessa fatta da Dio ai nostri padri mi trovo giudicato; 7 alla quale speranza le nostre dodici tribù con perseveranza notte e giorno servendo Dio sperano di giungere, della quale speranza sono accusato dai Giudei o re. 8 Perché viene giudicato da voi incredibile se Dio i morti risuscita? 9 Io infatti ritenni per me contro il nome di Gesù il Nazoreo fosse necessario fare molte cose avverse, 10 cosa che anche feci in Gerusalemme, e molti dei santi io in prigioni chiusi avendo ricevuto autorizzazione dai sommi sacerdoti, trattandosi di uccidere  loro, portai contro la pietruzza del voto. 11 E per tutte le sinagoghe molto spesso punendo li costringevo a bestemmiare, oltremodo poi infuriato contro di loro li perseguitavo fino anche nelle città di fuori. 12 Nelle quali cose occupato andando verso Damasco con l’autorizzazione e il permesso dei sommi sacerdoti 13 a mezzogiorno lungo la via vidi, o re, dal cielo sopra lo splendore del sole avendo sfolgorato una luce intorno a me e coloro che viaggiavano con me. 14 Tutti noi essendo caduti per terra, udii una voce dicente a me in ebraica lingua: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te recalcitrare agli sproni. 15 Io allora dissi: Chi sei, Signore? Poi il Signore disse: Io sono Gesù che tu perseguiti. 16 Ma alzati e stai sui tuoi piedi ! Per questo infatti sono apparso a te: per designare te servo e testimone delle cose che hai veduto di me e di quelle che farò vedere a te, 17 liberando te dal popolo e dai gentili ai quali io mando te 18 per aprire i loro occhi, affinché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, affinché ricevano essi la remissione dei peccati e abbiano parte fra i santificati per la fede  in me. 19 Perciò, re Agrippa, non sono stato disobbediente alla celeste visione, 20 ma a quelli in Damasco anzitutto e in Gerusalemme per tutto il territorio della Giudea e ai gentili annunciavo di convertirsi e di ritornare a Dio, facendo opera di conversione. 21 A causa di queste cose i Giudei avendomi preso che ero nel tempio tentavano di uccidermi. 22 Aiuto dunque avendo incontrato da Dio fino a questo giorno io sto qui rendendo testimonianza al piccolo come al grande, nient’altro dicendo al’infuori delle cose che i profeti e Mosè hanno detto che stavano per accadere: 23 soggetto alla sofferenza il Cristo, per primo da resurrezione dei morti luce sta per annunciare al popolo e ai gentili. 24 Ora queste cose lui dicendo in sua difesa Festo con grande voce dice: Farnetichi, Paolo! Il tuo molto sapere ti travolge a follia. 25 Allora Paolo dice: Non farnetico, eccellentissimo Festo, ma pronuncio parole di verità e di senno. 26 Il re sa infatti di queste cose al quale anche dicendo con franchezza parlo, non credo alcuna di queste cose possa restare a lui nascosta; infatti questo non è avvenuto in un angolo. 27 Credi, re Agrippa ai profeti? So che ci credi. 28 Poi Agrippa a Paolo. In poco  mi persuadi a fare il cristiano. 29 Allora Paolo: Io pregherei Dio sia in poco che in molto tempo che non soltanto tu ma anche tutti gli ascoltanti me oggi diventino tali come anch’io sono eccetto queste catene. 30 Si alzò il re e il governatore e Berenice e i sedenti con loro, 31 ed essendosi appartati parlavano gli uni con gli altri dicendo: nessuna cosa fa questo uomo degna di morte o di catena. 32 Agrippa poi a Festo disse: Questo uomo poteva essere liberato se non si fosse appellato a Cesare.

Agrippa allora diceva a Paolo: è permesso a te di parlare di te stesso. Allora Paolo avendo steso la mano parlava in sua difesa: 2 Per tutte le cose di cui sono accusato dai Giudei, re Agrippa, considero me stesso fortunato di stare davanti a te per oggi parlare in mia difesa 3 soprattutto essente tu conoscitore di tutte le usanze dei Giudei come pure delle controversie, perciò ti prego pazientemente di ascoltarmi. 4 La mia condotta dalla giovinezza dal principio avvenuta nel mio popolo in Gerusalemme la sanno tutti i Giudei 5 conoscendo da prima me dall’inizio, se vogliono rendere testimonianza, che secondo la più stretta setta della nostra religione vissi come fariseo. 6 e adesso per la speranza della promessa fatta da Dio ai nostri padri mi trovo giudicato;
Non c’è nulla di nascosto nella vita di Paolo che non sia conosciuto da un popolo intero. Il giudizio va fatto, non ignorando la realtà, ma tutto interpretando in maniera giusta, conforme ad un unico spirito che è quello del Signore.
Fin dalla prima giovinezza Paolo è vissuto all’ombra della Legge di Dio, nella più stretta osservanza, che è quella dei farisei. Non c’è stata alcuna volontà di rottura rispetto alla tradizione del proprio popolo e neppure è stata inseguita una diversa speranza che non sia quella dell’intero Israele.
L’esistenza di un uomo va giudicata innanzitutto in rapporto alla bontà ed alla serietà di un fine da esso perseguito in maniera assidua e costante.
Nessun cammino, che si possa dire finale, può ignorare le novità intervenute in un percorso. Non basta considerare ciò che noi facciamo per Dio, bisogna anche considerare ciò che Dio fa o ha fatto per noi.
Allorchè una qualche novità interviene dal cielo è doveroso un serio esame di coscienza riguardo al proprio operare. In buona fede si possono anche fare grossi errori. L’agire che è giustificato in un tempo è giudicato e superato in un altro tempo, alla luce di ciò che è dato dal cielo.
Nessuna meraviglia che nella vita di un uomo dalla condotta irreprensibile davanti a Dio  possano intervenire vistosi cambiamenti riguardo al proprio pensare ed operare. Non in relazione ad un qualsiasi evento, ma in rapporto all’unico evento che ha valore salvifico: la venuta sulla terra di Cristo, Figlio di Dio.
Prima ancora di giudicare l’uomo che passa dalla fede in una salvezza, che è data in virtù dell’osservanza della Legge, ad una fede in Colui che è l’autore della Legge ed il suo finale compimento ed adempimento, bisogna considerare la novità che è intervenuta nella storia del popolo eletto.
Il giudizio che si vuol fare su Paolo è innanzitutto il giudizio sul Salvatore mandato dal cielo. Se è una novità questa venuta, la sua attesa è da sempre, dagli inizi di Israele. Israele non esiste se non in rapporto alla promessa e alla speranza di un futuro liberatore dalla schiavitù del Maligno.
7 alla quale speranza le nostre dodici tribù con perseveranza notte e giorno servendo Dio sperano di giungere, della quale speranza sono accusato dai Giudei o re.
Nulla di più assurdo e di più paradossale delle accuse che vengono rivolte a Paolo dai Giudei. Perché la loro speranza è innanzitutto quella di Paolo ed è proprio per l’unica e medesima speranza che si vuol condannare.
8 Perché viene giudicato da voi incredibile se Dio i morti risuscita?
Il giudizio che si fa sull’apostolo è il giudizio che si fa su Dio e sulla sua potenza di resurrezione da morte. Colui che ha  potere su ogni vita perché non dovrebbe avere anche potere su ogni morte? A cominciare da quella del proprio Figlio, mandato dal cielo per la nostra salvezza?
Se Dio non risuscita i morti, quale il senso della fede di Israele? Quale la diversità fra l’unico e vero Dio e gli dei delle genti? Se è credibile e giustificabile solo ciò che è storicamente verificato, perché non si vuole credere alla morte e risurrezione di Gesù? Non è una fede infondata, ma è fede accertata e testimoniata dai molti che hanno incontrato Cristo risorto. Fra i molti vi è anche l’Apostolo Paolo, che oggi è portato in giudizio dal proprio popolo.
9 Io infatti ritenni per me contro il nome di Gesù il Nazoreo fosse necessario fare molte cose avverse, 10 cosa che anche feci in Gerusalemme, e molti dei santi io in prigioni chiusi, avendo ricevuto autorizzazione dai sommi sacerdoti, trattandosi di uccidere  loro, portai contro la pietruzza del voto. 11 E per tutte le sinagoghe molto spesso punendo li costringevo a bestemmiare oltremodo, poi infuriato contro di loro li perseguitavo fino anche nelle città di fuori.
L’annuncio di Paolo è tanto più credibile in quanto frutto di una conversione della mente agita dallo stesso Dio. Nulla che sia riconducibile alle sole categorie della ragione umana, ma tutto è giustificato e compreso alla luce dell’intervento di Dio.
In Paolo dobbiamo considerare e valutare due facce diverse: quella data dall’uomo che vuol essere fedele alla Legge, l’altra creata dallo stesso Dio in virtù della risurrezione da morte dell’eterno Figlio suo. In tutto fattosi uguale ad Israele, Paolo è stato fatto diverso da Dio. Zelante persecutore della fede in Cristo,  dallo stesso Cristo è stato raggiunto e condotto a novità di vita.
Non l’operare di Paolo è messo sotto accusa, ma l’operare del Dio d’Israele, quello stesso Dio nel nome del quale si vuol condannare.
12 Nelle quali cose occupato andando verso Damasco con l’autorizzazione e il permesso dei sommi sacerdoti 13 a mezzogiorno lungo la via vidi, o re, dal cielo sopra lo splendore del sole avendo sfolgorato una luce intorno a me e coloro che viaggiavano con me.
L’intervento di Dio nella vita di Paolo non cade in un punto morto della sua esistenza, ma nel tempo del massimo impegno nell’osservanza della Legge. Quando il suo zelo nell’andare contro i nemici di Dio è massimo. Non da solo, in maniera inconsulta e senza approvazione alcuna, ma con il consenso ed il mandato dei sommi sacerdoti. E non in un’ora qualsiasi della giornata, ma in quel mezzogiorno in cui la luce terrena massimamente splende ed illumina gli occhi della carne. Non soltanto di Paolo, ma di tutti coloro che fanno con lui lo stesso cammino, nello stesso intento di perseguire una fedeltà a Dio, nella persecuzione del Figlio suo Gesù Cristo.
Se grande è la luce materiale, ancora più grande è la luce spirituale che investe Paolo e chi con lui.
14 tutti noi essendo caduti per terra, udii una voce dicente a me in ebraica lingua:
Coloro che presumevano di innalzarsi al cielo cadono per terra. Tutti vedono la luce, ma solo Paolo ode una voce.
Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te recalcitrare agli sproni.
È Cristo che chiede a Paolo ragione di tanto odio nei confronti della sua Chiesa. Chi perseguita la Chiesa perseguita chi l’ha fondata, nelle sue membra vuol colpire il suo capo.
Gli sproni di Dio sono ormai conficcati nei fianchi di Saulo. Più recalcitra e si ribella e più il dolore si fa grande.  
15 Io allora dissi: Chi sei, Signore?
La domanda è d’obbligo, perché non vi sia dubbio alcuno riguardo a Colui che parla dal cielo, ma Paolo ha certamente già inteso e capito di chi si tratta. Chi può mettere il dito su una piaga nascosta, se non chi conosce questa piaga?
Poi il Signore disse: Io sono Gesù che tu perseguiti.
Paolo non può più rifugiarsi nel dubbio e scansare il confronto.
Il rapporto persecutore - perseguitato si inverte: ora è Gesù che perseguita e persegue Paolo, ma con un cuore diverso. Non vuole la morte del nemico, ma la sua vita.
16 Ma alzati e stai sui tuoi piedi!
Se è consuetudine e norma che il vinto giaccia prostrato nella polvere sotto i piedi del vincitore, qui tutto va alla rovescia.
All’l’uomo sconfitto dalla mano potente di Dio è comandato di alzarsi a vita nuova e di stare ritto sui suoi piedi, come colui che ha ritrovato la sua salute e la sua integrità fisica.
Il Signore non vuole che coloro che si è acquistati siano uomini a metà, delle mezze cartucce, tanto per intenderci, ma uomini nel senso pieno della parola, così come è gradito ed accetto a Dio.
Per questo infatti sono apparso a te: per designare te servo e testimone delle cose che ha veduto di me e di quelle che farò vedere a te, 17 liberando te dal popolo e dai gentili ai quali io mando te
Niente di più paradossale di una simile chiamata. L’elezione divina non considera come  è trovato l’uomo che è schiavo del Satana.
Al contrario vuol affermare la propria potenza proprio in colui ed in coloro in cui massimamente si è manifestata l’opera del Maligno.
Ma è necessaria la conversione del cuore: d’ora in poi non sarà Paolo ad agire in nome di Dio, ma sarà Dio stesso ad agire in Paolo, nel nome del Figlio suo, morto e risuscitato per la salvezza di tutti gli uomini. Non è servo di Dio a pieno titolo chi tutto opera per il suo Signore, ma chi opera soltanto nell’obbedienza alla Sua volontà. Ed è volontà di Dio che l’Apostolo sia innanzitutto testimone non delle opere che l’uomo fa per Dio, ma di ciò che Dio ha fatto e fa per l’uomo. Sarà questa la potenza che renderà Paolo libero nell’annuncio del Vangelo nei confronti sia dei Giudei sia dei Gentili. Niente e nessuno potrà impedire, falsificare, deviare un annuncio che è voluto e comandato dal cielo, nella persona dell’Apostolo Paolo.
18 per aprire i loro occhi, affinché si convertano dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, affinché ricevano essi la remissione dei peccati e abbiano parte fra i santificati per la fede  in me.
Su di un piano spirituale non c’è una via di mezzo tra il vedere e la cecità, tra la luce e tra le tenebre, tra il potere di Satana e quello di Dio. La conversione è un salto da una parte ad un’altra diametralmente opposta. Chi non è con Cristo è contro di Cristo, chi non semina con lui disperde, chi non accoglie il Salvatore rimane in uno stato di dannazione. L’annuncio del Vangelo è annuncio di novità. E la novità viene dal cielo. In virtù della potenza della Parola che ha nome di Vangelo, gli occhi sono aperti, i cuori si convertono dalle tenebre alla luce, il regno di Satana è soppiantato da quello di Dio, i peccati sono rimessi. Una nuova generazione entra nel consesso dei santi. Tutto questo in virtù della fede in Cristo. La storia della salvezza ha già avuto il suo finale compimento. “Tutto è compiuto” da parte di Dio in virtù della morte e resurrezione dell’eterno Figlio suo. Non c’è giustificazione alcuna per chi non entra nella novità di vita.
19 Perciò, re Agrippa, non sono stato disobbediente alla celeste visione
Chi non accoglie il Salvatore è un disobbediente alla volontà di Dio. Si diventa e si è fatti integralisti non in obbedienza al nostro uomo carnale, ma in obbedienza ad una visione celeste, ad una intelligenza fatta nuova dall’intervento del Figlio di Dio.
E non si rimane a coltivare il proprio orticello quando si è resa a noi manifesta  l’infinita misericordia di Dio.
La verità è data per essere comunicata, la gioia per essere condivisa. Il Signore vuole che tutti gli uomini giungano a salvezza.
20 ma a quelli in Damasco anzitutto e in Gerusalemme per tutto il territorio della Giudea e ai gentili annunciavo di convertirsi e di ritornare a Dio, facendo opera di conversione.
Un annuncio che vuole essere integrale per quel che riguarda il suo significato primo ed ultimo non può limitarsi ai  vicini. Parte da chi è più prossimo per arrivare a chi è più lontano.
Nessuno è dimenticato e trascurato da Paolo. Da Damasco a Gerusalemme, attraverso tutto il territorio dei Giudei e dei Gentili, l’Apostolo va annunciando la necessità di una conversione e di un ritorno a Dio, non a parole, ma coi fatti, in virtù della fede nel Salvatore mandato dal cielo.
21 A causa di queste cose i Giudei avendomi preso che ero nel tempio tentavano di uccidermi.
Assurdità delle assurdità: chi fa un annuncio di vita è considerato degno di morte. Chi è trovato nel tempio di Dio, da esso è strappato, chi deve essere preso come un inviato del Signore è preso come un inviato del Diavolo.
Il male voluto dal Satana non può prevalere sul bene voluto da Dio e Paolo può ben dire…
22 Aiuto dunque avendo incontrato da Dio fino a questo giorno io sto qui rendendo testimonianza al piccolo come al grande
Se Paolo ancora sta qui rendendo testimonianza del Cristo risorto è semplicemente per grazia divina e per volontà del cielo.
Nessuna assurdità e niente di proprio nell’annuncio dell’Apostolo.
In quanto alla novità riguarda l’adempimento e non la promessa.
nient’altro dicendo all’infuori delle cose che i profeti e Mosè hanno detto che stavano per accadere: soggetto alla sofferenza il Cristo, per primo da resurrezione dei morti luce sta per annunciare al popolo e ai gentili.
Ciò che è stato profetizzato in antico per bocca dei profeti e di Mosè, si è ora realizzato: nulla che sia una invenzione dell’apostolo Paolo.
Il figlio di Dio, fattosi carne, facendo propria con ciò la sofferenza dell’uomo, per primo è risuscitato da morte, per annunciare a tutte le genti la luce che è donata dal cielo.
24 Ora queste cose lui dicendo in sua difesa Festo con grande voce dice: Farnetichi, Paolo! Il tuo molto sapere ti travolge a follia.
Non fa meraviglia la reazione di Festo. Chi non comprende è perché non vuole comprendere;  reagisce in maniera violenta ed aggressiva, non rispondendo con una parola che sia all’altezza, ma facendo grande il tono della propria voce, come si parla ad un folle che non sa quello che dice e con il quale non c’è possibilità di intesa.
25 Allora Paolo: Non farnetico, eccellentissimo Festo, ma pronuncio parole di verità e di senno.
Non si può procedere con un discorso quando non c’è volontà di ascolto: si può soltanto ribadire la serietà del proprio intento e la veridicità di quanto asserito. Ciò che è detto per l’uno è detto per qualsiasi altro e Paolo può anche rivolgere la propria attenzione al re Agrippa.
26 Il re sa infatti di queste cose al quale anche dicendo con franchezza parlo, non credo alcuna di queste cose possa restare a lui nascosta; infatti questo non è avvenuto in un angolo.
Se Festo non può comprendere perché è nuovo del paese, il re Agrippa conosce la promessa fatta da Dio ad Israele; per questo Paolo osa parlare con schiettezza. Quanto è accaduto è da tutti risaputo ed è avvenuto alla luce del sole e non in  qualche angolo nascosto di Israele.
27 Credi, re Agrippa ai profeti? So che ci credi.
Paolo parla in un certo modo  perché  sa bene che Agrippa condivide la fede di Israele nei profeti. Non può ignorare quanto è accaduto.
28 Poi Agrippa a Paolo. In poco  mi persuadi a fare il cristiano.
La risposta del re è immediata. Il discorso dell’Apostolo ha una forza di convinzione che è innegabile. Se tutto si potesse risolvere a parole basterebbe poco ancora per convincere Agrippa a farsi cristiano. Così accade spesso ai molti: si sentono come travolti dall’annuncio del Vangelo e non nascondono una interiore persuasione, ma poi non fanno il passo della fede.  Simpatizzano per Cristo, ma non gli vanno dietro. La sequela di Gesù ha un prezzo molto alto e non si vuole pagare.
29 Allora Paolo: Io pregherei Dio sia in poco che in molto tempo che non soltanto tu ma anche tutti gli ascoltanti me oggi diventino tali come anch’io sono eccetto queste catene.
A parte le catene imposte dall’uomo che non crede, nulla di più grande, di più bello, di più auspicabile e desiderabile per tutti gli uomini della fede in Cristo. È una beatitudine non soltanto arrivare subito, ma anche arrivare tardi, purchè nei limiti del tempo opportuno. Rifletta chi non sa fare il passo e coltivi nel proprio cuore la speranza in una volontà più determinata nel futuro.
Chi non entra subito nella fede, ma lascia aperta la porta, non è ancora perduto.
30 Si alzò il re e il governatore e Berenice e i sedenti con loro,
Non c’è volontà di ascolto riguardo ad una proposta di fede. Paolo viene interrotto e deve rientrare al suo posto, che è quello di un uomo sotto giudizio. In quanto al collegio giudicante non c’è motivo di discussione.
31 ed essendosi appartati parlavano gli uni con gli altri dicendo: questo uomo nessuna cosa fa degna di morte o di catene.
È convinzione comune che Paolo nulla abbia fatto che sia contro la legge di Roma. Non merita alcuna condanna.
32 Agrippa poi a Festo disse: Questo uomo poteva essere liberato se non si fosse appellato a Cesare.
Spetta al re Agrippa dire l’ultima parola. Se Paolo non si fosse appellato al giudizio di Cesare poteva essere liberato con piena assoluzione dalle accuse dei Giudei.

 

Atti degli Apostoli cap24

                                                  Cap. 24
Poi dopo cinque giorni scese il sommo sacerdote Anania con alcuni anziani e un avvocato un certo Tertullo, che si costituirono accusatori al governatore contro Paolo. 2 Avendo chiamato lui Tertullo cominciò ad accusare dicendo: Avendo conseguito molta pace per mezzo tuo e delle riforme avvenute  per questo popolo a motivo della tua preveggenza, 3 in tutto e per tutto lo riconosciamo, eccellentissimo Felice, con ogni rendimento di grazie. 4 Ma per non importunarti più a lungo, ti prego di ascoltare noi brevemente con la tua indulgenza. 5 Infatti avendo trovato quest’uomo una peste e muovente dissensi fra tutti i Giudei che sono per il mondo capofila della setta dei Nazorei, 6 egli che anche il tempio tentò di profanare e che anche abbiamo preso,  [7 ] 8 da cui potrai tu stesso avendo indagato su tutte queste cose accertare le cose di cui noi accusiamo lui. 9 Si associarono poi anche i Giudei dichiarando di ritenere così queste cose. 10 Rispose Paolo, avendo fatto cenno a lui il governatore di parlare: sapendo che da molti anni  tu sei giudice per questo popolo con fiducia delle cose su di me parlo in difesa, 11 potendo tu accertare che non sono più di dodici giorni da cui salii per adorare a Gerusalemme. 12 E né nel tempio mi trovarono con qualcuno disputante o facente una sommossa di folla né nelle sinagoghe, né per la città, 13 né possono provare a te circa le cose di cui adesso mi accusano. 14 Riconosco però questo a te che secondo la Via che dicono setta, così servo al Dio dei padri, credendo a tutte le cose secondo la legge e a quelle scritte nei profeti, 15 avendo speranza in Dio la quale anche essi stessi aspettano, che ci sarà risurrezione dei giusti e degli ingiusti. 16 Perciò anch’io stesso mi esercito ad avere una coscienza irreprensibile davanti a Dio e agli uomini sempre. 17 Ora dopo molti anni sono venuto per fare elemosine per il mio popolo e offerte, 18 nelle quali cose occupato mi trovarono purificato nel tempio né con la folla, né con tumulto 19 alcuni Giudei dall’Asia, i quali bisognava che davanti a te comparissero e accusassero se avessero qualcosa contro di me. 20 O essi stessi dicano quale delitto trovarono essendo stato io davanti al sinedrio: 21 o per una questa parola che gridai stando fra loro: A motivo della risurrezione dei morti io sono giudicato oggi davanti a te. 22 Ma Felice rinviò loro, avendo conosciuto molto accuratamente le cose riguardo la Via dicendo: Qualora il tribuno Lisia scenda, deciderò le cose su voi. 23 Ordinò al centurione di custodire lui, di avere indulgenza e a nessuno dei suoi di impedire di servirlo. 24 Dopo alcuni giorni essendo venuto Felice con Drusilla la propria moglie essente giudea fece venire Paolo e ascoltò lui circa la fede in Cristo Gesù. 25 Parlando poi lui di giustizia e continenza e del giudizio futuro, Felice divenuto pieno di paura rispose: Ciò adesso avendo, va’! Ma avendo occasione ti manderò a chiamare, 26 sperando anche a un tempo che denaro sarebbe stato dato a lui da Paolo. Perciò anche spesso facendolo venire parlava con lui. 27 Ma essendosi compiuti due anni ricevette Felice un successore: Porcio Festo. Volendo aggiungere cosa gradita ai Giudei, Felice lasciò Paolo prigioniero.

 

Poi dopo cinque giorni scese il sommo sacerdote Anania con alcuni anziani e un avvocato un certo Tertullo, che si costituirono accusatori al governatore contro Paolo.
I nemici di Paolo non perdono certamente tempo e dopo pochi giorni eccoli di nuovo sul campo e ancor più agguerriti avendo preso con sé un avvocato, una persona del mestiere in quanto alla capacità di accusa.
Dopo l’insuccesso della violenza di massa è ancora aperta la possibilità della violenza e prepotenza dialettica ed è certo meglio essere aiutati da una persona capace.
2 Avendo chiamato lui Tertullo cominciò ad accusare dicendo: Avendo conseguito molta pace per mezzo tuo e delle riforme avvenute per questo popolo per questo popolo a motivo della tua preveggenza, 3 in tutto e per tutto lo riconosciamo, eccellentissimo Felice, con ogni rendimento di grazie.
Tertullo comincia subito la sua accusa e lo fa secondo la più accreditata strategia che è quella della sfacciata lode ai meriti di chi è preposto al giudizio. Felice viene subito portato alle stelle per la pace e le riforme da lui perseguite per il bene di Israele: cosa notoriamente non vera, ma per catturare la sua benevolenza tutto è lecito dire e fare.
In tutto e per tutto lo riconosciamo: è il massimo della falsità quando nessun neo è trovato in chi si vuol elogiare, ma lo si descrive ricolmo di ogni bontà, intelligenza, previdenza. eccellentissimo Felice,
Felice, cioè fortunato: lo dice già il nome. Di fatto ogni eccellenza è trovata al massimo grado. con ogni rendimento di grazie
Non ci sono parole con cui esprimere la lode e il  ringraziamento dovuto: manca poco che non lo si invochi come un dio.
4 Ma per non importunarti più a lungo,
Quale uomo si sentirebbe mai importunato da adulazioni così lusinghiere, fatte al plurale, dai rappresentanti di un intero popolo?
ti prego di ascoltare noi brevemente con la tua indulgenza.
L’ascolto da parte di un rappresentante dell’autorità romana è cosa dovuta, non c’è bisogno di preghiera. Ed è fuori luogo ogni brevità ed indulgenza per chi tiene in conto la giustizia.
Quando si vuol blandire e catturare  a tutti i costi, non c’è lode sperticata che non concluda in affermazioni del tutto sconvenienti alle orecchie di chi ha intelligenza e buon senso.
 5 Infatti avendo trovato quest’uomo una peste e muovente dissensi fra tutti i Giudei che sono per il mondo, capofila della setta dei Nazorei,
Tertullo è senz’altro scaltro, ma di una scaltrezza che è tipica del mestierante e che non può certo ingannare chi ha testa e senno.
Dà per scontato ciò che si deve dimostrare, e dà il giudizio come certo: quello suo e di chi l’accompagna, non quello di Felice.
Paolo è una peste, un movente dissensi fra tutti… che sono nel mondo, capofila di una setta: quanto di peggio si possa immaginare.
6 egli che anche il tempio tentò di profanare
Non solo ciò che fa Paolo è riprovevole, ma ancor  più quello che ha tentato di fare. Nessun rispetto è in lui per gli uomini e neppure per Dio. Per fortuna che in mancanza delle forze dell’ordine qualcuno ha provveduto a fermarlo.
e che anche abbiamo preso,
Non c’è accusa per l’altrui operare che non vada di pari passo con l’esaltazione del proprio.
In quanto alle prove sarà tutto da verificare.
8 da cui potrai tu stesso avendo indagato su tutte queste cose accertare le cose di cui noi accusiamo lui.
Spetta a Felice accertare le accuse dopo aver indagato.
Bel modo di facilitare le indagini altrui quando si pensa solo ad accusare e non si porta alcuna prova e dimostrazione concreta! Tanto è dovuto alla bravura e alla serietà professionale di Felice: saprà certamente accertare che le cose stanno realmente così.
9 Si associarono poi anche i Giudei dichiarando queste cose così di ritenere.
Non ci può essere accusa che non sia anche testimonianza. Si associano anche i Giudei che sono  con Tertullo, ma non si porta alcuna prova e non c’è alcuno che può testimoniare.  dichiarando queste cose così di ritenere.
10 Rispose Paolo, avendo fatto cenno a lui il governatore di parlare: Da molti anni essente te giudice per questo popolo sapendo con fiducia delle cose su di me parlo in difesa,
Molto sobria la risposta di Paolo. Nessun falso elogio per l’uomo, ma un parlare franco nella piena consapevolezza dell’onestà del proprio operare.
Prima ancora della retta coscienza di chi deve giudicare, per Paolo va affermata la retta coscienza di chi è portato in giudizio.
11 potendo tu accertare che non sono più di dodici giorni da cui salii per adorare a Gerusalemme.
L’accusa non ha saputo portare episodi concreti, Paolo è in grado di difendere se stesso in maniera chiara e circostanziata, facendo riferimento a fatti e tempi, facilmente accertabili.
12 E né nel tempio mi trovarono con qualcuno disputante o facente una sommossa di folla né nelle sinagoghe, né per la città, 13 né possono provare a te circa le cose di cui adesso mi accusano.
La accuse mosse a Paolo sono del tutto infondate: non è mai stato trovato disputante con alcuno nel tempio e neppure si è fatto promotore di sommosse di folle, né in luoghi chiusi, né per la città. Gli accusatori non possono provare un bel nulla di quanto dicono.
Cosa può dire Paolo di se stesso? Perché tanto rumore?
14 Riconosco però questo a te che secondo la Via che dicono setta, così servo al Dio dei padri, credendo a tutte le cose secondo la legge e a quelle scritte nei profeti,
Più che a propria difesa Paolo vuol parlare nella Verità e per la Verità che ha nome di Cristo Salvatore: a questi va associata il suo operato di Apostolo.
Innanzitutto è vero che esiste una via  che erroneamente viene chiamata setta. La setta è una realtà chiusa che si pone contro, la via è una realtà aperta a tutti per il bene di tutti. E non è affatto una via nuova e sconosciuta: porta il nome di salvezza ed è legata al Dio dei padri di cui Paolo è servo.
Servo non in senso riduttivo, ma a tempo pieno e a pieno titolo, come colui che crede a tutte le cose che sono secondo la Legge e a tutte quelle che uscite dalla bocca dei profeti sono state codificate nelle Sacre Scritture a perenne memoria.
15 avendo speranza in Dio la quale anche essi stessi aspettano, che ci sarà risurrezione dei giusti e degli ingiusti.
La speranza di cui Paolo è portatore non è una speranza qualsiasi, ma chiama direttamente in causa Dio, e non ha nulla di insolito e di personale, ma interessa tutto Israele.
Nessuna speranza può avere portata e significato eterni se non ci sarà una resurrezione dei giusti per la salvezza, degli ingiusti per la dannazione.
16 Perciò anch’io stesso mi esercito ad avere una coscienza irreprensibile davanti a Dio e agli uomini sempre.
Non ci sarà resurrezione senza un giudizio divino, e non potrà contare sulla misericordia divina una qualsiasi coscienza, ma soltanto quella che si sarà  fatta irreprensibile per sempre davanti a Dio e davanti agli uomini.
È in nome e alla luce di questa coscienza che va inteso l’operato di Paolo, che non è venuto a Gerusalemme per operare ciò che è male davanti agli uomini, ma innanzitutto per fare ciò che è bene davanti a tutti e per tutti.
17 Ora dopo molti anni sono venuto per fare elemosine per il mio popolo e offerte,
La venuta di Paolo non ha nulla del viaggio improvvisato dettato da ragioni dell’ultima ora: ha motivazioni lontane e ben radicate nel tempo. L’Apostolo è animato nel suo agire e nel suo andare da un profondo, sincero ed illuminato amore per il suo popolo.
La sua vita altro non è che elemosina ed offerta a Dio per il bene di Israele.
18 nelle quali cose occupato mi trovarono purificato nel tempio né con la folla, né con tumulto
In nessuna opera malvagia e riprovevole è stato trovato Paolo, e neppure in un luogo qualsiasi, ma nel sacro tempio di Dio a Gerusalemme, e ancor più ed ancor meglio con un cuore fatto puro dal Signore.
Nessuna acclamazione di folla intorno a lui, e nessuna volontà di creare tumulto fra il popolo.
19 alcuni Giudei dall’Asia,
Neppure si può dire che sia stato trovato da molte persone del luogo, conosciute ed attendibili nella loro testimonianza, ma da alcuni Giudei dell’Asia.
i quali bisognava che davanti a te comparissero e accusassero se avessero qualcosa contro di me.
Sono proprio queste persone senza volto e senza nome che avrebbero dovuto presentarsi davanti a te, o Felice, se avevano qualcosa  contro di me. E dove sono gli interessati?
20 O essi stessi dicano quale delitto trovarono essendo stato io davanti al sinedrio:
Per quel che riguarda i Giudei presenti dicano quale delitto trovarono in me, quando parlai davanti a loro nel Sinedrio.
21 o per una sola, questa parola che gridai stando fra loro:
O non è forse  per una sola parola che ho gridato in mezzo a loro?
A motivo della risurrezione dei morti io sono giudicato oggi davanti a te.
Per farla breve, io, Paolo, sono oggi giudicato davanti a te, o Felice, soltanto per la mia fede nella resurrezione dei morti. Non c’è nient’altro.
22 Ma Felice rinviò loro, avendo conosciuto molto accuratamente le cose riguardo la Via dicendo:
Nessuna difficoltà per Felice, allorchè ha cercato di conoscere le cose riguardo alla via. Poteva prendere una decisione in breve tempo ma ha preferito rimandare il tutto ad altra data.
Qualora il tribuno Lisia scenda, deciderò le cose su voi.
Una qualche motivazione e giustificazione si doveva pur dare agli interessati. Niente di meglio che tirare in ballo una eventuale venuta di Lisia, il tribuno che li aveva a lui portati.
23 Ordinò al centurione di custodire lui, di avere indulgenza e a nessuno dei suoi di impedire di servirlo.
La soluzione sembra essere del tutto ragionevole. Fuori dai piedi i Giudei, ma nessuna libertà per Paolo.
Felice vuol stare dalla parte sicura, che è sempre quella dell’autorità costituita che non si mostra succube di chi è sottomesso, ma nello stesso tempo vuol evitare noiose e fastidiose rivolte.
E chi ci rimette? Chi è debole, indifeso, e solo: l’apostolo Paolo, che viene dato in custodia al centurione. Con ordine, s’intende, perché così si addice a chi ha potere di comando… di custodirlo, perché non provochi guai e complicazioni, di avere indulgenza, perché non abbia danno l’immagine di una Roma benevola, e a nessuno dei suoi di impedire di servirlo, perché si sappia in giro quanta liberalità è accordata a un qualsiasi cittadino romano.
24 Dopo alcuni giorni essendo venuto Felice con Drusilla la propria moglie essente giudea fece venire Paolo e ascoltò lui circa la fede in Cristo Gesù.
Il luogo migliore e più opportuno per  parlare della “via” non è certo un tribunale e se si vuole approfondire e sapere di più meglio scegliere un dialogo fra pochi, lontano da orecchie indiscrete.
Felice ha sposato una giudea e non è poi così disinteressato riguardo alla fede di Israele. Il rapporto con la moglie lo costringe in qualche modo al confronto con la religione ebraica. Qualcosa bisogna pur sapere e comprendere riguardo alla via di cui tanto si parla.
25 Parlando poi lui di giustizia e continenza e del giudizio futuro, Felice divenuto pieno di paura rispose: Ciò adesso avendo, va’!
L’annuncio di Paolo può suscitare un qualche interesse e stimolare la curiosità finchè si rimane nell’ambito culturale di una religione. Allorchè si entra in una dimensione morale che tira in ballo una superiore giustizia, una vita di sacrificio e di rinuncia alle passioni della carne, nella consapevolezza di un giudizio divino, allora un brivido percorre le ossa e un timore che è paura entra nel cuore.
Felice evidentemente è consapevole del proprio peccato e questa consapevolezza lascia spazio alla voce di Dio. O si va avanti fino ad una autentica conversione a Cristo, oppure bisogna tagliare subito corto per non perdere la tranquillità del proprio vivere. Meno si sa e si capisce, meglio si sta. Altro è avere il timore di Dio, altro è avere paura di Dio. La paura di un giudizio è un sentimento che coglie chi non si sente figlio, chi non ha mai sperimentato e conosciuto l’amore del Padre che è nei cieli.
Meglio rimandare Paolo e non ascoltare oltre.
Ma avendo occasione ti manderò a chiamare,
Felice non vuole rompere drasticamente il dialogo con Paolo. Lo rispedisce in cella, per far pesare il proprio potere, lasciando aperta una eventuale futura possibilità per la ripresa del discorso.
26 sperando anche a un tempo che denaro sarebbe stato dato a lui da Paolo. Perciò anche spesso facendolo venire parlava con lui.
Quando non si vuole comprendere ed essere illuminati a tempo opportuno, ma si rimanda e si fa confusione là dove Dio aveva aperto una spiraglio di luce, è inevitabile una retrocessione e una caduta in basso. Se il nome di Paolo poteva all’inizio essere legato ad un discorso di salvezza e di vita eterna, alla fine Felice ne fa soltanto una questione di denaro.
Fa venire spesso Paolo, non per ascoltarlo, ma per parlargli e per portarlo sulla via del mondo, non per essere convertito, ma per convertire, non per avere vita eterna, ma nella speranza di avere  denaro. La cosa va per le lunghe e non si intravede una giusta soluzione da parte dell’uomo.
27 Ma essendosi compiuti due anni ricevette Felice un successore: Porcio Festo.
La chiamata di Paolo non può aspettare i tempi dell’uomo. Se l’uomo la tira in lungo ed impedisce, Dio interviene di brutto perché sia fatta la sua volontà. Il caso Felice è risolto in modo radicale e definitivo, allorchè deve lasciare il posto ad un suo successore.
La potenza degli uomini di questo mondo tanto potente alla fine non è. Si abbatte e viene meno da sola all’improvviso, a volte senza lacrime e spargimento di sangue. Rapidamente si sale alla ribalta sulla scena di questo mondo, ancor più rapidamente si esce da essa, per lasciare il posto ad altri.
Volendo aggiungere cosa gradita ai Giudei, Felice lasciò Paolo prigioniero.
Nulla sembra cambiare per Paolo, rimane prigioniero, ma la storia del singolo conosce pur sempre una sua novità  perché cambiano le persone e cambiano le ragioni. In questa diversità s’insinua e si afferma la provvidenza divina e l’eterno disegno di Dio su ogni uomo.

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