Cap. 11

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Genesi 11
Dai Settanta
1 Ed era tutta la terra un labbro solo e una voce sola per tutti.
2 E avvenne, nel loro muoversi da Oriente, che trovarono una pianura nella terra di Sennaar e presero dimora là.
3 E disse ciascuno al vicino: “Su, fabbrichiamo dei mattoni e cuociamoli al fuoco”; e divenne per loro, il mattone pietra, e bitume era per loro il cemento.
“E dissero: “Su, edifichiamo per noi stessi una città e una torre, la cui cima sarà fino al cielo e facciamo a noi stessi un nome prima di essere disseminati sulla faccia di tutta la terra”.
5 E discese il Signore a vedere la città e la torre, che avevano edificato i figli degli uomini.
6 E disse il Signore: “Ecco una razza sola ed un labbro solo di tutti, e questo hanno cominciato a fare, e ora non verrà meno da loro quanto si propongono di fare. 7 Venite e scendiamo a confondere là la loro lingua, perché non intendano ciascuno la voce del prossimo”. 8 E li disseminò il Signore di là sulla faccia di tutta la terra, e cessarono di edificare la città e la torre. 9 Per questo essa fu chiamata col nome di Confusione, perché là aveva confuso il Signore le labbra di tutta la terra e di là li aveva disseminati il Signore Dio sulla faccia di tutta la terra. 10 E queste le generazioni di Sem: Sem, figlio di cento anni, quando generò Arphaxad, nel secondo anno dopo il diluvio. 11 E visse Sem dopo che egli ebbe generato Arphaxad, cinquecento anni e generò figli e figlie e morì. 12 E visse Arphaxad centotrentacinque anni e generò Kainan. 13 E visse Arphaxad dopo che egli ebbe generato Kainan, anni quattrocentotrenta, e generò figli e figlie, e morì. E visse Kainan centotrenta anni e generò Sala. E visse Kainan dopo che egli ebbe generato Sala, anni trecentotrenta, e generò figli e figlie, e morì, 14 E visse Sala centotrenta anni e generò Eber. 15 E visse Sala dopo che egli ebbe generato Eber, trecentotrenta anni, e generò figli e figlie, e morì. 16 E visse Eber centotrentaquattro anni e generò Phalek. 17 E visse Eber dopo che egli ebbe generato Phalek, anni trecentosettanta, e generò figli e figlie, e morì.
18 E visse Phalek centotrenta anni e generò Ragav. 19 E visse Phalek dopo che egli ebbe generato Ragav, duecentonove anni, e generò figli e figlie e morì. 20 E visse Ragav centotrentadue anni e generò Seruch. 21 E visse Ragav dopo che egli ebbe generato Seruch, duecento sette anni, e generò figli e figlie, e morì. 22 E visse Seruch centotrenta anni e generò Nachor. 23 E visse Seruch  dopo che egli ebbe generato Nachor, anni duecento, e generò figli e figlie e morì.
24 E visse Nachor anni settantanove e generò Thara. 25 E visse Nachor dopo che egli ebbe generato Thara, anni centoventinove, e generò figli e figlie, e morì. 24 E visse Nachor anni settantanove e generò Thara. 25 E visse Nachor dopo che egli ebbe generato Thara, anni centoventinove, e generò figli e figlie, e morì. 26 E visse Thara settant’anni e generò Abram e Nachor e Arran.
27 Queste le generazioni di Thara: Thara generò Abramo e Nachor e Arran, e Arran generò Lot. 28 E morì Arran davanti a Thara padre suo nella terra in cui era stato generato, nel paese dei caldei. 29 E presero Abramo e Nachor per sé delle spose: nome della sposa di Abramo, Sara; e nome della sposa di Nachor, Melcha, figlia di Arran, padre di Melcha e padre di Iescha. 30 Ed era Sara sterile e non partoriva figli. 31 E prese, Thara, Abramo suo figlio e Lot figlio di Arran, figlio di suo figlio e Sara sua nuora, sposa di Abramo suo figlio, e li trasse fuori dal paese dei Caldei per andare nella terra di Chanaan e giunse fino a Charran e dimorarono là. 32 E furono i giorni di Thara in Charran di duecentocinque anni, e morì Thara in Charran.

Vulgata
Erat autem terra labii unius et sermonum eorumdem
2 cumque proficiscerentur de oriente invenerunt campum in terra Sennaar et habitaverunt in eo
3 dixitque alter ad proximum suum venite faciamus lateres et coquamus eos igni habuerunt lateres pro saxis et bitumen pro cemento
4 et dixerunt venite faciamus nobis civitatem et turrem cuius culmen pertingat ad caelum et celebremus nomen nostrum antequam dividamur in universas terras
5 descendit autem Dominus ut videret civitatem et turrem quam aedificabant filii Adam
6 et dixit ecce unus est populous et unum labium omnibus coeperuntque hoc facere nec desistent a cogitationibus suis donec donec eas opera conpleant
7 venite igitur descendamus et confundamus ibi linguam eorum ut non audiat unusquisque vocem proximi sui
8 atque ita divisit eos Dominus  ex illo loco in universas terras et cessaverunt aedificare civitatem
9 et idcirco vocatum est nomen eius Babel quia ibi confusum est labium universae terrae et inde dispersit eos Dominus super faciem cunctarum regionum
10 hae generationes Sem Sem centum erat annorum quando genuit Arfaxad biennio post diluvium
11 vixitque sem postquam genuit Arfaxad quingentos annos et genuit filios et filias
12 porro Arfaxad vixit triginta quinque annos et genuit Sale trecentis tribus annis et genuit filios et filias
14 Sale quoque vixit triginta annis et genuit Eber
15 vixitque Sale postquam genuit Eber quadringentis tribus annis et genuit filios et filias
16 vixit autem Eber triginta quattuor annis et genuit Faleg
17 et vixit Eber postquam genuit Faleg quadrigintis triginta annis et genuit filios et filias
18 vixit quoque Faleg triginta annis et genuit Reu
19 vixitque Reu posquam genuit Sarug ducentis septem annis et genuit filios et filias
22 vixit vero Sarug triginta annis et genuit Nahor ducentos annos et genuit filios et filias
24 vixit autem Nahor viginti novem annis et genuit Thare
25 vixitque Nahor postquam genuit Thare centum decem et novem annos et genuit filios et filias
26 vixitque Thare septuaginta annis et genuit Abram et Nahor et Aran
27 hae sunt autem generations Thare Thare genuit Abram et Nahor et Aran porro Aran genuit Loth
28 mortuusque est Aran ante Thare patrem suum in terra nativitatis suae in Ur Chaldeorum
29 duxerunt autem Abram et Nahor uxores nomen uxoris Abram Sarai et nomen uxoris Nahor Melcha filia Aran patris Melchae et patris Ieschae
30 erat autem Sarai sterilis nec habebat liberos
31 tulit itaque Thare Abram filium suum et Loth filium Aran filium filii sui et Sarai nurum suam uxorem Abram filii sui et eduxit eos de Ur Chaldeorum ut irent in terram Chanaan veneruntque usque Haran et habitaverunt ibi
32 et facti sunt dies Thare ducentorum quinque annorum et mortuus est in Haran.

Traduzione dalla Vulgata

1 Ed era la terra di un solo labbro e di un solo  discorso.
2 E partendo dall’oriente gli uomini trovarono campo nella terra di Sennaar e abitarono in esso.
3 E disse l’altro al suo prossimo: venite, facciamo mattoni, e cuociamoli al fuoco. Ed ebbero mattoni al posto dei sassi e bitume invece di cemento.
4 E dissero: “Venite, facciamo una città per noi, e una torre la cui cima attinga al cielo. Ed esaltiamo il nome nostro, prima di essere divisi in tutta quanta la terra”.
5 Ma il Signore discese per vedere la città e la torre che edificavano i figli di Adamo.
6 E disse: Ecco, uno solo è il popolo, e un solo labbro a tutti; e hanno cominciato  a fare questo e non desisteranno dai loro disegni finchè non li completeranno con l’ opera.
7 Pertanto venite, discendiamo, e confondiamo qui la loro lingua, cosicchè non intenda ognuno la voce del suo prossimo.
8 E così li divise il Signore da quel luogo in tutte le terre, e cessarono di costruire la città.
9 E per questo fu detto il suo nome Babele, poiché qui fu confuso il labbro di tutta la terra e da qui li disperse il Signore sopra la faccia di tutte le regioni.
10 Queste  le generazioni di Sem: Sem aveva cento anni quando generò Arphaxad, due anno dopo il diluvio.
11 E visse Sem, dopo che generò Arphaxad, cinquecento anni, e generò figli e figlie.
12 Poi Arphaxad visse trentacinque anni e generò Sale.
13 E visse Arphaxad , dopo che generò Sale trecentotre anni e generò figli e figlie.
14 Anche Sale visse trent’anni e generò Heber.
15 e visse Sale, dopo che generò Heber quattrocentotre anni  e generò figli e figlie.
16 E visse Heber trentaquattro anni e generò Fhaleg.
17 E visse Heber , dopo che generò Fhaleg, quattrocentotrenta anni e generò figli e figlie.
18 Anche Fhaleg visse trenta anni e generò Reu.
19 E visse Fhaleg, dopo che generò Reu, duecentonove anni e generò figli e figlie.
20 E visse Reu trentadue anni e generò Sarug.
21 e visse Reu, dopo che generò Sarug, duecentosette anni: e generò figli e figlie.
22 E visse Sarug trenta anni e generò Nachor.
23 E visse Sarug, dopo che generò Nachor, duecento anni, e generò figli e figlie.
24 E visse Nachor ventinove anni, e generò Thare.
25 E visse Nachor, dopo che generò Thare, centodiciannove anni e generò figli e figlie.
26 E visse Tare settanta anni e generò Abramo e Nachor ed Aran.
27 Queste sono le generazioni di Tare: Thare generò Abramo, Nachor ed Aran. Poi Aran generò Lot.
28 E morì Aran prima di Tare suo padre nella terra della sua nascita, in Ur dei Caldei.
29 Abramo e Nachor si ammogliarono: e nome della moglie  di Abramo  Sara, e nome della moglie di Nachor, Melcha , figlia di Aran , padre di Melca, e padre di Jesca.
30 Ed era Sara  sterile e non aveva figli.
31 Pertanto prese Thare Abramo figlio suo e Lot figlio di Aran, figlio di suo figlio, e Sara sua nuora, moglie di Abramo figlio suo e li condusse fuori da Ur dei Caldei per andare nella terra di Chanaan. E vennero fino a Aran e abitarono qui.
32 E furono i giorni di Tare di duecentocinque anni e morì in Haran.


“1 Ed era la terra di un solo labbro e di un solo  discorso”.

Dopo il castigo, tutti bravi dunque e tutti buoni. Un solo modo di parlare e lo stesso discorso sulla bocca di tutti. Per lodare tutti insieme il Signore? Non è detto!
E’ tuttavia trovato il senso di una fraternità e di una parola che rende un cuor solo ed un’anima sola. E’ giunto il tempo di costruire un mondo nuovo ed un migliore rapporto con il Creatore. Nella consapevolezza di essere stati oggetto della misericordia divina per il proprio peccato? Niente affatto!
Nella presunzione di essere una generazione di giusti, nati da un giusto ed in quanto tali all’altezza di una nuova realtà, destinata a creare un mondo nuovo in rottura con il passato.
Tentazione terribile e disastrosa… perché prima di incamminarsi verso una vita nuova bisogna ben rifletter sulla vita vecchia e su quello che il Signore ha fatto per noi.

“2 E partendo dall’oriente gli uomini trovarono campo nella terra di Sennaar e abitarono in esso”.

Si abbandona il luogo di salvezza che ha visto sorgere il sole di una nuova vita e si va in cerca di un nuovo luogo dove porre stabile dimora. Una volta fatti salvi dall’ira divina, non si rimane nell’amore del Signore, ma ci si illude di una giustizia in proprio che può mettere radici ovunque piaccia.
Le conversioni frettolose e superficiali, che seguono la scia degli eventi strepitosi e miracolosi, si arenano ben presto. Non conoscono la meditazione e la riflessione e neppure il rendimento di grazie. Sull’onda dell’entusiasmo fanno grossi balzi in avanti, per un mondo migliore e per un’esistenza diversa, ma non c’è conoscenza di Dio, né attenzione alla Sua volontà e neppure consapevolezza del proprio peccato e della propria impotenza. Si muovono subito “dall’oriente” della propria vita, anche quando dovrebbero in esso dimorare, per ricevere più luce e calore. Il cuore e la mente sono pieni di progetti grandi e sacrosanti e si affannano a gettare molte fondamenta, senza attingere all’unico fondamento. La vita in Dio può apparire facile e piana, e trova facilmente un campo in cui abitare , in cui tutto è possibile costruire in modo diverso, più impegnativo certamente, ma anche più soddisfacente e sicuro. E’ solo questione di una buona volontà, che passa di bocca in bocca, per testimoniare ed annunciare non la grandezza del Signore nelle opere sue, ma la grandezza dell’uomo nelle opere di Dio. Così le facili ed illusorie conversioni che si danno alle grandi opere di bene e queste annunciano e uomini di tale fede mettono insieme intorno a sé. “ Quello che conta è l’amore… e ancor peggio oggi si dice. “Quello che crea è l’amore”. Ma quale amore è poi trovato in tali persone? Quale fede in Dio, se pur accorrono in massa ad ogni annuncio di vita, ma non amano e non ascoltano e non meditano la Parola di Dio e neppure si preoccupano di conoscerla? Tutto infinitamente più semplice, più efficace, più illuminato rispetto alla fatica della preghiera silenziosa, della assidua e ininterrotta meditazione della Parola del Signore, di una vita insignificante agli occhi degli uomini. Ma il tempo manifesta quel che vale l’opera di ognuno, e già molto presto, se non da subito, balzano evidenti ambiguità e contraddizioni di ogni genere… Quando non si arriva al peccato nelle sue forme più gravi, quali la fornicazione e il plagio occulti, il furto ai danni dei fratelli più semplici e creduloni, la disobbedienza aperta e conclamata alla Chiesa in nome di un’altra Chiesa ad essa superiore, che attinge direttamente al divino hic et nunc, scavalcando e superando le vie della Rivelazione e della Tradizione! Il primo inganno dell’umanità che vuole essere nuova, e tutta ce la mette e suscita subitaneo entusiasmo di massa, è anche l’inganno dell’oggi e sarà quello del domani, fino alla consumazione dei tempi.
Una vera chiamata da parte di Dio, non sempre trova una vera risposta da parte dell’uomo. Si va in una direzione sbagliata, ci si rivolge alla creatura e non al Creatore, ad un prossimo che non è innanzitutto Colui che primariamente ci è prossimo, ad un salvatore o a una salvatrice che non sono l’unico Salvatore, Gesù Cristo. E si può anche tentare seducenti ed ingannevoli elaborazioni teologiche, partendo dalla Parola di Dio, ma andando oltre e fuori ciò che sta scritto.

3 E disse l’altro al suo prossimo: venite, facciamo mattoni, e cuociamoli al fuoco. Ed ebbero mattoni al posto dei sassi e bitume invece di cemento.

È superata ogni sentimento di alterità e di chiusura dell’uomo nei confronti dell’altro uomo; e si comincia a parlare al vicino, per comunicare e condividere una buona volontà, ritrovata all’improvviso. Per costruire un mondo migliore fondato unicamente sull’amore, mettendo da parte ogni specifico contenuto di fede, livellando ed azzerando ogni religione che non sia in definitiva quella utile all’uomo. Rinnegando qualsiasi verità che non sia approvata,  confermata da un universale sentimento di accettazione e di benevolenza.
È la grande ammucchiata degli uomini e delle genti…per costruire non  con i soliti fragili mattoni crudi, ma con mattoni cotti, cioè solidi e ben lavorati, sicuramente saldabili l’uno all’altro, impregnati di tanta fatica e calore. Vengono scartati i sassi diversamente formati che non possono stare in unità standardizzata, per loro natura, e così pure si rigetta il vecchio cemento fatto di fango, per usare il bitume: il cemento dell’ultima ora, quanto di meglio possa servire allo scopo.
Non c’è altro valore, se non il progresso per una vita migliore. Non contro il Signore s’intende e non senza la sua benedizione, ma proprio per essa ed in virtù di essa. Al centro della città ci sarà sempre il tempio di Dio, edificio costruito dalle mani dell’uomo, non come gli altri edifici, ma più alto, più bello e più grande di essi: a garanzia di un’opera che rimarrà nei tempi.

“4 E dissero: “Venite, facciamo una città per noi, e una torre la cui cima attinga al cielo. Ed esaltiamo il nome nostro, prima di essere divisi in tutta quanta la terra”.

E’ così che l’uomo cattura l’approvazione divina, quando è tutto preso dalla propria buona volontà e dalla smania e dall’entusiasmo della vita e tutto opera per renderla più bella e più vera, non da solo ma insieme con tutti quelli che hanno il medesimo sentire. Ma non vuole Dio al posto di se stesso, ma se stesso al posto di Dio. Non santifica il nome del Signore, ma vuole fare santo il proprio nome… quello beninteso che lui stesso si è dato e non quello che gli è stato dato. Non accetta di essere individuo ed una responsabilità che è innanzitutto a livello del singolo, ma si rifugia nella coscienza collettiva, qual è prodotta dal tempo e dalla cultura dei popoli. Così ci sentiamo più sicuri, ma non contro il Satana, bensì contro Dio stesso. La nostra vita rema contro il progetto di Dio e lo mette da parte e non lo prende in considerazione. Se la nostra vocazione è quella di essere il buon seme di Dio, nessun seme darà buon frutto se non in una diversità qual è fondata e creata da Dio stesso all’origine della vita. E’ inutile nascondersi sotto le sottane dei preti e farsi belli e sicuri di una tradizione creata dall’uomo. Metterai radici nel terreno, crescerai e darai frutti soltanto come singolo, anche se parte di una grande messe. Il sentimento di solitudine che attanaglia tutti i cuori dopo il peccato di Adamo, non conosce le facili e superficiali soluzioni… quelle delle feste parrocchiali, delle iniziative benefiche, del trovarsi e del mettersi insieme per fare insieme.
Meglio pregare Dio da soli, se non ci è dato di lodare con altri il suo nome. E pensiamo che il Signore stia semplicemente a guardare con occhio superficiale, ad approvare ogni iniziativa nostra,  facendosi grasso per la buona volontà dei suoi figli?
Il Signore non starà sempre e solo a guardare.

“5 Ma il Signore discese per vedere la città e la torre che edificavano i figli di Adamo”.

E’ ben strano che discenda dall’alto Colui che dall’alto vede bene ogni cosa. Ma prima di intervenire il Signore vuol vederci più chiaro, a garanzia di un amore che ha i piedi per terra e nulla opera se non ciò che è opportuno operare… dopo che ha ben visto come stanno realmente le cose:  com’ è la città, intesa come civitas, insieme dei cittadini, e com’ è la loro torre, l’edificio spirituale da essi costruito verso il cielo. Ma prima ancora  per chi si costruisce.
Non possono stare insieme una civitas per l’uomo ed una torre fatta da mani terrene, solo per Dio.
Nessuna apparente grandezza e nessun successo agli occhi del mondo intero, riusciranno ad ingannare il Signore. Egli conosce e scruta anche i reni dell’uomo. Coloro che hanno la pretesa di essere una nuova generazione, solo perchè discendenti secondo la carne da Noè, unico giusto, benedetti non nel proprio nome ma in quello dell’eterno Figlio di Dio, davanti agli occhi del Creatore sono ancora figli di Adamo. Come tali egli li conosce e come tali li prende in considerazione. La seconda umanità, quella dopo Noè, non può reputarsi diversa dalla prima che è quella di Adamo: è la stessa, anche se diversamente visitata e benedetta dal Signore.

“6 E disse: Ecco, uno solo è il popolo, e un solo labbro a tutti; e hanno cominciato  a fare questo e non desisteranno dai loro disegni finchè non li completeranno con l’ opera”.

Ciò che è risultato ed approdo della vita: diventare un cuore ed un’anima sola, non può essere il suo presupposto e non si deve dare per scontato ciò che per Dio non è poi così scontato. Quando gli uomini, figli di Adamo, si credono giusti non conoscono più freno alcuno alla loro volontà. Vivono senza Dio anche se dicono di fare tutto per Dio. L’antitesi con l’esperienza di Caino è più apparente che sostanziale. Questi ha toccato il fondo nella conoscenza del male, fino all’omicidio ed alla dispersione sulla terra come ineluttabile destino. Caino appare un rassegnato: non merita il perdono di Dio e neppure quello dell’uomo. “E disse Caino al Signore: “Troppo grande è la mia colpa, perché io ne sia assolto. Se tu mi scacci dalla faccia della terra, lontano dal tuo volto mi nasconderò e sarò gemente e tremante sulla terra; e avverrà: chiunque mi troverà mi ucciderà”.
Questa nuova  umanità al contrario vive nell’esaltazione della propria giustizia. Non vuol ripetere l’esperienza di Caino e seguire il suo cammino, ma intraprende una strada diversa: quella della conoscenza del bene. Anche questa generazione va fino in fondo e tocca il fondo. Ma con quale esito? E’ forse più gradita a Dio? Come può il Signore approvare l’uomo che non vive per Lui e non ascolta la Sua volontà e si illude e rincorre una conoscenza del bene, non aperta alla grazia divina? L’uomo può ben apparire giusto ai propri occhi, ma il Signore  vede più lontano e scruta in profondità e non si accontenta delle apparenze.
Non illuderti e non attaccarti alla tua giustizia. L’indurimento di cuore non è esclusivo dell’uomo che pecca coscientemente, ma anche ,e a volte ancor di più, dell’uomo che crede nel proprio bene.
Duro è il cuore in cui non circola la linfa vitale che è lo Spirito di Dio. Se nelle tue vene non scorre il sangue dell’obbedienza al Figlio, sei nemico anche del Padre, perché in Lui e soltanto in Lui Dio ha conciliato a sé tutte le cose. Ti preoccupi e ti occupi della tua giustizia? Non pensi che innanzitutto devi riconciliarti con Dio? La storia si ripete sempre al medesimo modo, per chi è nella chiesa e per chi è fuori della chiesa, per chi si pone contro di essa e per chi entra in essa. C’è chi non crede in un mondo migliore e vive rassegnato al peccato, c’è chi vuol costruire una società diversa, fiducioso nella buona volontà dell’uomo. L’esito può essere il medesimo: un’esistenza che non conosce obbedienza e sottomissione alla volontà di Dio. Ed è certamente una grazia ed un bene che le cose vadano male. Così il Signore converte il male in bene, quando interrompe la folle e disobbediente corsa dell’uomo e pone intralcio al suo desiderio di un mondo buono, senza Dio.
Come non vi è un male che non sia visitato dal Cristo, così non vi è un bene che non sia rivisitato dallo stesso. Sul male dell’uomo è impresso il segno del perdono, sul bene il segno dell’inevitabile fallimento. Se il nostro peccato è fatto per il perdono, la nostra giustizia è fatta per essere demolita dall’unica giustizia, che è quella del Salvatore mandato dal cielo.
“7 Pertanto venite, discendiamo, e confondiamo qui la loro lingua, cosicchè non intenda ognuno la voce del suo prossimo”.

È la triste fine della quasi totalità dei gruppi cristiani: spuntano improvvisamente come funghi profumati, altrettanto rapidamente si deteriorano e finiscono in una puzza insopportabile.
Nessuna meraviglia, se non per gli sprovveduti che non conoscono il Signore Dio d’Israele e Dio nostro.
L’amore del  Signore demolisce le nostre opere, per porre un freno ed un intralcio ad una volontà senza guida e senza meta. Non ogni proposito di bene è gradito al Signore ma soltanto quello che nasce dall’ascolto della Sua parola, in essa si alimenta ed in essa si accresce.
Attenti ai bei propositi: l’inizio di una vita nuova è l’inizio di una nuova obbedienza e di un nuovo ascolto. C’è chi vuol cambiare vita, ma non ha rinnovato la propria volontà di ascolto. Non ogni tenacia è benedetta, non ogni ostinazione porta frutto, ma soltanto ciò che nasce dall’ascolto della Parola di Dio. Se Dio distrugge tutto ciò che fai, rallegrati e non essere triste. Ti sembra di aver perso tutto? Non c’è guadagno se non quando l’uomo si fa obbediente alla volontà di Dio. Il resto è inganno. Meglio non vedere in questa vita i frutti della  fede che rimanere abbagliati ed affascinati dalle opere dell’uomo, se pure hanno la parvenza della grandezza e della bellezza. Meglio apparire come dei vinti e dei perdenti, che risultare vincitori e creature ben costruite. Quando non c’è obbedienza a Dio non si sa mai come andrà a finire, nonostante i bei propositi e l’entusiasmo iniziale.
Prima ancora di scendere dal cielo per costruire in noi una nuova vita, Dio discende per demolire la vecchia. Ti senti smarrito e confuso su questa terra? Meglio così che diversamente. Il Signore ha cominciato la Sua opera. Quando sei solo in mezzo ai molti è l’alba di una nuova esistenza in cui il Signore stesso ti allunga la sua mano per sostenerti e per insegnarti a camminare.
Non si può intraprendere il cammino della salvezza se non come individui. Quando gli uomini si intendono troppo è un brutto segno. Han già trovato il loro appoggio ed il loro sostegno, senza scomodare Dio. Peggio ancora quando hanno trovato la loro anima gemella ed è così bello parlare e comunicare e volersi bene. Quando il sogno finisce e si rompe l’incanto, il risveglio è doloroso, ma salutare. D’ora in poi dovrai volgere gli occhi al cielo ed ascoltare Colui che parla dall’alto.

“8 E così li divise il Signore da quel luogo in tutte le terre, e cessarono di costruire la città.”

Proprio a partire da quel luogo, che essi stessi si erano scelti, come luogo di santa unità.
In apparenza il più completo fallimento, in realtà un grande guadagno. E’ tolta l’illusione di un rapporto con Dio che passi attraverso l’unità del genere:  il cammino di risalita comincia dalla solitudine del nostro io. Prima ancora di essere un cuore solo ed un’anima sola bisogna trovare Colui che ci fa tali. Non si può ricomporre ciò che è stato rotto senza il naturale cemento. Tutto ciò che viene dalla terra ha avuto il suo completo fallimento, non soltanto nelle parvenze del male, ma anche nelle parvenze del bene. Meglio la notte più profonda, di una luce destinata a perire che alimenta l’illusione e l’inganno. L’uomo è ora nella più completa confusione: distrutta la fiducia nel male, è distrutta anche la fiducia nel bene. E non è detto che tutto debba risolversi presto ed alla svelta.

“9 E per questo fu detto il suo nome Babele, poiché qui fu confuso il labbro di tutta la terra e da qui li disperse il Signore sopra la faccia di tutte le regioni.

C’è la confusione che è fatta dall’uomo c’è la confusione che è fatta da Dio. L’una è maledetta in Adamo, l’altra è benedetta in Cristo. L’una dura per una sola generazione e porta alla morte, l’altra dura per più generazioni e porta alla vita.
Come interpretare il succedersi delle generazioni senza alcuna novità se non come il perdurare e l’affermarsi dell’unica novità? Quando siamo noi a far confusione, non si sa dove andremo a parare. Quando è Dio che crea confusione nella nostra testa, si può ben sperare che voglia trarne un qualche guadagno per il nostro bene. Meglio l’intervento demolitore di Dio che la Sua lontananza. Meglio avvertire la pesantezza della Sua mano che essere abbandonati a se stessi. Soltanto quando la coscienza di peccato ha messo profonde radici, per Cristo ed in vista di Cristo, si può avere  un nuovo spiraglio dello Spirito di Dio.
Soltanto da un’umanità profondamente confusa dal Signore può emergere l’uomo nuovo e diverso che cammina non da opere in opere ma da fede in fede.
Abramo non è un prodotto casuale ed improvvisato della storia, ma è un prodotto ben meditato e costruito dalle mani di Dio. E’ l’uomo diverso, che tale non sarebbe se non in virtù di Cristo che convince i cuori di peccato. In apparenza niente di nuovo nel succedersi delle generazioni: in realtà tutto di nuovo nella creazione di una coscienza che non è più  conoscenza in  proprio del bene e del  male , ma conoscenza del bene e del male  in Cristo e per Cristo.
L’ elenco delle generazioni che seguono è arido soltanto per la lettura. In realtà è terreno fertile in cui il Padre getta il buon seme del Cristo. Se l’uomo vive e continua a vivere e a generare alla vita è soltanto per l’amore del Padre che benedice  l’opera del Figlio.

“10 Queste  le generazioni di Sem: Sem aveva cento anni quando generò Arphaxad, due anno dopo il diluvio.”

E’ tempo di riprendere il discorso della salvezza fatto da Dio, là dove era stato interrotto dal non ascolto dell’uomo: da Sem e da una divina benedizione.
Ti sei perso per strada rincorrendo gli uomini di buona volontà? Fa’ ritorno alla Parola di Dio e mettiti nel solco e sulla scia delle benedizione divina, che non è innanzitutto data a qualsiasi uomo, di qualsiasi popolo e di qualsiasi tempo,  ma ad un uomo, ad un popolo, ad un tempo.
“Maledetto Canaan, sarà servo dei servi dei suoi fratelli. E disse: benedetto il Signore Dio di Sem. Sia Canaan suo servo, dilati Dio Iaphet e abiti nei tabernacoli di Sem, e sia Canaan, suo servo.” ( Genesi 9,26-27 )
La benedizione che viene dal cielo non è indifferenziata: non procede da un qualsiasi Dio e non è fatta per un qualsiasi uomo. È data dal Dio che si è manifestato in Israele, ( Lui solo è benedetto e in quanto tale Lui solo può benedire ):  non è data ad un qualsiasi uomo, ma a Sem e ad una sua discendenza: quella di Abramo, come si vedrà in seguito.
Se ti metti al riparo sotto una tenda diversa, sarai schiavo di uomini schiavi, destinati alla perdizione. Se abiti come Iafet nella tenda di Cam, sarai bensì schiavo, ma conoscerai una tua crescita e dilatazione nell’unico vero Dio.

“11 E visse Sem, dopo che generò Arphaxad, cinquecento anni, e generò figli e figlie.
12 Poi Arphaxad visse trentacinque anni e generò Sale.
13 E visse Arphaxad , dopo che generò Sale trecentotre anni e generò figli e figlie.
14 Anche Sale visse trent’anni e generò Heber.
15 e visse Sale, dopo che generò Heber quattrocentotre anni  e generò figli e figlie.
16 E visse Heber trentaquattro anni e generò Fhaleg.
17 E visse Heber , dopo che generò Fhaleg, quattrocentotrenta anni e generò figli e figlie.
18 Anche Fhaleg visse trenta anni e generò Reu.
19 E visse Fhaleg, dopo che generò Reu, duecentonove anni e generò figli e figlie.
20 E visse Reu trentadue anni e generò Sarug.
21 e visse Reu, dopo che generò Sarug, duecentosette anni: e generò figli e figlie.
22 E visse Sarug trenta anni e generò Nachor.
23 E visse Sarug, dopo che generò Nachor, duecento anni, e generò figli e figlie.
24 E visse Nachor ventinove anni, e generò Thare.
25 E visse Nachor, dopo che generò Thare, centodiciannove anni e generò figli e figlie.
26 E visse Tare settanta anni e generò Abramo e Nachor ed Aran.
27 Queste sono le generazioni di Tare: Thare generò Abramo, Nachor ed Aran. Poi Aran generò Lot.
28 E morì Aran davanti ai Tare suo padre nella terra della sua nascita, in Ur dei Caldei”.

Dopo la fuga dalla tenda di Cam, l’unica benedetta da Dio, ecco il ritorno di chi vuol essere figlio di Dio, ma si ritrova lontano dal luogo benedetto dal Signore Dio e deve mettersi in cammino, per un ritorno che è abbandono della terra in cui si è stati dispersi.
Finalmente riprende la narrazione e si incomincia a dire qualcosa: Nulla di nuovo in verità, ma è già il preludio a qualche grande novità. Aran muore  “davanti a Thara suo padre”, sotto gli occhi del padre terreno, non ancora sotto gli occhi del Padre celeste, nella terra in cui era stato generato, non ancora in quella terra in cui tutti dovremo essere generati.

“29 Abramo e Nachor si ammogliarono: e nome della moglie  di Abramo  Sara, e nome della moglie di Nachor, Melcha , figlia di Aran , padre di Melca, e padre di Jesca”.

Non c’è altro modo per l’uomo di sconfiggere la morte se non generando altre vite. Ma non si recupera con ciò la propria vita, bensì l’illusione di una sopravvivenza della propria vita. Triste consolazione… quando ci si attacca ai figli ed al pensiero dei figli. Non rimane proprio altro… E anche qui c’è chi sembra più fortunato.

“30 Ed era Sara  sterile e non aveva figli”.

Quando non c’è discendenza, sembra proprio che tutto finisca in una tomba. Chi è eletto da Dio  può apparire ben misero e sfortunato. Colui che è destinato a generare per la vita eterna porta agli occhi degli uomini il segno di una morte eterna. Vive accanto al fratello, ma come un minore di fronte al maggiore, anche se è nato prima… ed è chiamato zio.

“31 Pertanto prese Thare Abramo figlio suo e Lot figlio di Aran, figlio di suo figlio, e Sara sua nuora, moglie di Abramo figlio suo e li condusse fuori da Ur dei Caldei per andare nella terra di Chanaan. E vennero fino a Aran e abitarono qui”.

In una famiglia, che si possa dire tale, certe iniziative spettano solo al padre  e non è detto che i figli debbano seguirlo. Nachor si perde lungo la strada. Non si lascia prendere dai progetti e dai disegni del padre e cerca una propria strada ed una propria identità. Niente di male in tutto questo se i propositi di un padre sono malvagi, un limite e una depauperazione se la famiglia d’origine è sana ed ancor più la sua testa. Prima di rigettare la cultura e le scelte dei padri bisogna ben vagliarle e prenderle in quello che c’è di buono.
Abramo è figlio di un uomo che ha cercato la Verità e si è messo in cammino verso la Verità. In questo è degno di essere seguito ed imitato… ma anche vagliato.
“E abitarono qui” Thara, Abramo e Lot, accomunati da un unico desiderio di verità. Quando è l’uomo che cerca la Verità c’è un limite oltre il quale non è possibile andare. E’ già molto se si dimora e si rimane in quello che è stato conquistato.

“32 E furono i giorni di Tare di duecentocinque anni e morì in Haran”.

Muore Tare in Haran, accompagnato dall’affetto e dalla stima del figlio e del nipote. Nessun uomo di Dio dirà mai male di suo padre e di ciò che ha da esso imparato, ma un figlio può anche sentirsi proiettato oltre ed andare più in là. Abramo vede morire il proprio genitore e con ciò  anche il limite di ogni andare, che sia ricerca di Dio. Tare ha cercato il Signore di propria iniziativa, è uscito dalla vita vecchia e si è messo in cammino, senza sapere dove ed ha percorso con ciò soltanto metà della strada, non è arrivato alla meta, perché qualcosa gli è mancato. Non certo la buona volontà, ma quella buona volontà che passa attraverso le vie dell’ascolto della parola di Dio. Se è importante sapere come andare a Dio è altrettanto importante sapere come Dio viene a noi. Se noi cerchiamo Lui è altrettanto vero che Lui cerca noi. Bisogna trovare il punto d’incontro, pena una ricerca che rimane a metà ed una vita che rimane monca. Nessuna parola Dio rivolse a Tare, perché nessuna volontà di ascolto fu trovato in lui. Molti sono gli uomini che cercano la verità e perseverano nella ricerca e vivono diversamente dagli altri, ma sono tutti presi da se stessi e dai propri buoni propositi e non hanno orecchi di ascolto. Non così Abramo. Non è uno dei tanti che cercano semplicemente Dio, è uno dei pochi che ascoltano la parola di Dio. Con ciò non è più semplicemente sulle orme del padre carnale, ma è proiettato oltre di esse e può ben uscire dalle secche di una vita senza parola di Dio.