Vita di San Paolo eremita

  • Stampa

Vita di san Paolo eremita gerolamo
Spesse volte è nato tra molti il dubbio quale fosse il primo dei monaci che cominciasse ad abitare nell’eremo. Taluni, molto da lontano facendosi, dal beato Elia e da San Giovanni ne presero l’inizio. Dei quali mi sembra che Elia   fosse più profeta che monaco e che Giovanni cominciasse a profetare prima della sua nascita. Altri (la quale opinione tra il volgo è comune) affermano che Antonio fu l’iniziatore  di questa professione: ciò in parte è vero. Poiché   non fu tanto  il primo di tutti, quanto piuttosto da lui  furono gli altri incitati  a seguire   tale istituzione. Amata poi e Macario discepoli di Antonio, il primo dei quali seppellì il corpo del suo maestro, affermano ancora oggi che un certo Paolo di Tebe fu l’autore di questo genere di vita. La qual cosa io pure approvo, non tanto mosso dal nome, quanto dalla comune opinione. Alcuni vanno dicendo queste e altre cose, secondo che loro viene in mente, cioè che Paolo fu un uomo ricoperto dei propri capelli fino alle calcagna, abitatore di una sotterranea spelonca,  aggiungendo simili baie del tutto incredibili,  raccontare le quali sarebbe un perditempo. Questo opinare, per essere stato una sfacciata bugia, neppure merita di essere confutato. Poichè dunque di Antonio è stato scritto diligentemente in lingua sia greca sia latina ho deciso di scrivere alcune cose sulle prime e sulle ultime vicende della vita di Paolo, più perché tale materia non è stata trattata che perché io stimi di poter trattare lodevolmente tale argomento. Ma come vivesse   egli durante la sua mezza età e quali diaboliche insidie tollerasse non v’è uomo che lo sappia. Sotto l’impero di Decio e di Valeriano, i persecutori della fede cristiana, tempo in cui  Cornelio in Roma e Cipriano in Cartagine felicemente sostennero il martirio, nell’Egitto e nella Tebaide molte congregazioni di fedeli furono sconvolte da quella crudele tempesta. In quel tempo era desiderio dei cristiani essere barbaramente uccisi per il nome di Cristo. Ma l’accorto nemico, cercando supplizi che tardi conducessero a morte, non i corpi ma le anime desiderava uccidere. E come dice lo stesso Cipriano, che da quello fu martirizzato, a quelli che volevano morire non era permesso di essere ammazzati. Affinché si renda più palese la crudeltà di tale nemico,  due esempi per memoria  ho riportato. Perseverando dunque nella fede un martire e fra i tormenti degli aculei e delle piastre infuocate essendo vittorioso, il tiranno comandò che  fosse cosparso di miele e, legategli le mani di dietro, fosse collocato all’ardentissimo sole col ventre in su; per questo appunto, perché cedesse alle punture delle mosche colui che prima aveva vinto le infuocate padelle. Volle che un altro, sul fiore dell’età giovanile, fosse condotto in un amenissimo giardino e qui fra candidi gigli e vermiglie rose, serpeggiandovi vicino un ruscello con dolce mormorio e leggermente scuotendo il vento le foglie degli alberi, comandò che fosse posto sopra un letto di molli  piume  col ventre in su. E perché da qui non potesse levarsi, lo fece legare con lacci di seta. Ritiratisi tutti, essendo venuta una bella meretrice, cominciò con delicati abbracci a stringergli il collo e (la qual cosa è una scelleratezza il dire) con le mani prese a toccargli le parti virili, affinché eccitato a libidine il corpo, la impudica vincitrice vi si gettasse sopra. Non sapeva che cosa  dovesse fare  il soldato di Cristo e dove voltarsi. Era vinto dal piacere colui che i tormenti non avevano superato. Finalmente ispirato dal cielo, tagliatosi con i denti la lingua, la sputò nella faccia di colei che lo baciava e in questo modo il sopravvenuto grandissimo dolore vinse gli incendi della libidine. Nel tempo dunque di quella persecuzione, nella Tebaide inferiore, dopo la morte di ambedue i genitori, Paolo rimase con una sorella già maritata, padrone di una cospicua eredità, all’età di anni quindici circa, bene istruito nelle lettere sia greche sia egizie, di animo mite e molto amante di Dio; e rendendosi sempre più crudele la tempesta della persecuzione si ritirò in una villa molto lontana e nascosta. Ma a cosa non spinge i cuori umani la esecrabile ingordigia dell’oro? Il marito della sorella cominciò a voler rendere noto ciò che egli doveva tenere nascosto. Non le lacrime della moglie, non la comunione del sangue, non Dio, che dal cielo tutto vede, lo ritrassero dalla scelleratezza.

Si aggiungeva la crudeltà, la quale sembrava che avesse aspetto di religione. Della qual cosa appena il prudentissimo giovinetto si accorse, fuggendo ai monti deserti e aspettando la fine della persecuzione, tramutò la necessità in una scelta volontaria e a poco a poco avanzandosi e di nuovo fermando il passo, e questo spesse volte facendo, trovò finalmente un monte roccioso, ai piedi del quale, non molto lontano, era una grande grotta, chiusa da una pietra. Quella rimossa, come porta il desiderio umano a conoscere le cose nascoste, con bramosia ricercando, vide una grande ingresso,  a cielo scoperto, ombreggiato da una vecchia palma con  larghi rami qua e la sparsi, che mostrava una limpidissima fonte, il cui corso appena scaturito dalla terra da una piccola apertura della stessa si vedeva riassorbito.
Erano inoltre in quel monte scavate non poche abitazioni, in cui si trovavano scalpelli, incudini e martelli con i quali già furono coniate monete. Riferiscono dei testi egiziani che questo luogo fu il laboratorio dove furono coniate monete false nel tempo che Marco Antonio si unì in matrimonio a Cleopatra. Affezionatosi dunque a quel luogo, come se da Dio gli fosse apparecchiato, trascorse qui in preghiera e in solitudine tutta la sua vita. La palma gli forniva il cibo e il vestito. E perché tal cosa ad alcuno non sembri impossibile, io chiamo a testimoni Gesù e i suoi santi angeli che in quel territorio, che si trova al confine tra la Siria e la regione dei saraceni, ho visto due monaci, dei quali uno richiuso per trent’anni visse di pane di orzo e di acqua fangosa. L’altro in una vecchia cisterna (che dai siri nel loro linguaggio è chiamata Gubba) si nutriva con cinque fichi secchi al giorno. Queste cose dunque sembreranno impossibili a coloro che non credono che ogni cosa è possibile a chi crede. Ma per fare ritorno là da dove sono partito, conducendo ormai Paolo all’età di centotredici anni una vita celeste in terra e standosene Antonio di 90 anni novanta in un altro luogo deserto, come egli stesso soleva dire, gli venne in mente questo pensiero, che a parte lui nessun altro perfetto monaco si era fermato nello eremo. Ma mentre dormiva una notte gli fu rivelato che più addentro nel deserto vi era un altro molto migliore di lui, che egli doveva andare a visitare. Fattosi giorno, subito, il venerabile vecchio, sostenendo il bastone le sue deboli membra, cominciò a volgere il passo senza sapere dove. E già era giunto il mezzogiorno per il soprastante sole ardentissimo, eppure per questo non desisteva dal viaggio intrapreso  dicendo: io credo nel mio Dio che  mi mostrerà il suo servo, come a me promesso. Né disse altro che questo: ed ecco vide uno che era mezzo uomo e mezzo cavallo, come quello chiamato dai poeti ippocentauro. Veduto questo si armò la fronte col segno di salvezza della croce e a lui rivolto,  disse:  Dove abita il servo di Dio? Ma quello mandando fuori un non so che di barbaro, troncando piuttosto che pronunciando le parole,  si studiò di parlare con maniera piacevole e stendendo la mano destra mostrò al buon vecchio il desiderato cammino. Poi con passo veloce correndo per quella ampia pianura si dileguò dagli occhi di Antonio che non cessava di stupire  per tale cosa. Ma se questa fosse un’illusione diabolica per spaventarlo, ovvero come succede, producendo il deserto animali mostruosi, anche questa bestia produca, non so per certo affermare. Meravigliatosi dunque Antonio e ripensando a quello che aveva visto procede nel cammino. Ed ecco che, giunto ad una sassosa valle, vede un omiciattolo col naso adunco, con la fronte irta di due corna, la cui estrema parte del corpo terminava col piede di capra. Per nulla spaventato neppure da questo spettacolo Antonio come valoroso soldato prese lo scudo della fede e la corazza della speranza. Nondimeno il predetto animale come in segno di pace offrì a quello, perché se ne cibasse alcuni frutti di palma. Visto questo arrestò il passo e chiedendogli chi egli fosse da quello riceve questa risposta: 455
Io sono un essere mortale e uno degli abitanti del deserto  che i pagani , ingannati da diversi errori, adorano chiamandoci satiri, fauni e incubi. Qua sono mandato dal gruppo dei miei compagni. Noi insieme vi preghiamo che per noi supplichiate il comune  Dio, di cui per tutta la terra si è sparso il suono.
Dicendo il satiro tali cose, il vecchio viandante copiosamente bagnava la faccia di lacrime, le quali contrassegno del suo cuore ne esprimevano la grande gioia perché egli godeva della gloria di Cristo e della rovina di Satana;  e meravigliandosi di poter intendere il suo parlare e percuotendo col bastone la terra diceva: Guai a te o Alessandria, che invece di Dio adori i mostri: guai a te o città menzognera in cui tutti i demoni del mondo sono adunati. Che cosa potrai  tu ora dire? Le fiere stesse confessano Cristo e tu invece di Dio veneri i mostri. Non aveva ancora terminato tali parole che l’agile  animale quasi a volo se ne andò. Affinché però qualcuno non stia in dubbio di questo fatto, si prova, regnando Costantino, con la testimonianza di tutto il mondo. Poiché essendo stato condotto vivo un tal uomo in Alessandria, servì di curioso spettacolo a tutto il popolo; e morto che egli fu il suo cadavere, affinché non fosse corrotto dal calore dell’estate, asperso di sale fu trasportato in Antiochia perché lo vedesse l’imperatore. Ma per ritornare al mio tema principale, Antonio scorgendo solamente orme di fiere e di bufali e un deserto grandissimo, non sapeva cosa fare né dove volgere il passo. Era già passato il secondo giorno né altro lo consolava se non la certezza che non sarebbe stato abbandonato da Cristo. Vegliando tutta la notte, passò in preghiera l’ultima parte di quella e al primo incerto chiarore del giorno vide da lontano una lupa, ansante per l’arsura della sete che si incamminava verso i piedi  di un monte. Esso seguendola con lo sguardo e andando quella verso una spelonca, avvicinandosi cominciò a rimirare l’interno, nulla giovandogli la ricerca a ragione dell’oscurità che gli impediva la vista. Ma come dice la Scrittura la perfetta carità caccia il timore; con piede leggero e appena fiatando entrò e l’accorto esploratore, a poco a poco avanzando e spesse volte arrestando il passo, fece rumore. Avendolo udito, il beato Paolo, chiudendo la porta, che era aperta, con un legno, la rese più sicura. Gettatosi allora Antonio a terra davanti alla porta,  fino all’ora sesta e più ancora qui stette a pregare che egli fosse aperto, dicendo: Tu sai molto bene chi sono io, donde e perché sono venuto. Riconosco che non merito di vedere la tua faccia, tuttavia se non la vedrò non vorrò andarmene. Voi che date ospitalità alle bestie perché cacciate un uomo? Ho cercato e ho trovato, busso perché mi sia aperto. La qual cosa se io non otterrò morirò qui davanti alla tua porta. Certamente almeno seppellirai il mio cadavere. Ripetendo tali cose se ne stava egli immobile; a lui in brevi parole così rispose il santo vecchio. Non c’è nessuno che preghi in modo da minacciare: nessuno con le lacrime agli occhi fa ingiuria o oltraggio. E temi che  io non ti accolga, essendo tu qui venuto per morire? In questo modo ridendo Paolo aprì la porta. Aperta la quale,  l’un l’altro abbracciandosi, si salutarono chiamandosi per nome e insieme resero grazie al Signore. Dopo il bacio santo, postosi Paolo con Antonio a sedere, così prese a parlare: Eccoti colui che con fatica così grande hai  cercato. Osservalo nelle membra imputridite per la vecchiaia, ricoperto di ispide canizie. Tu vedi uno uomo che presto diventerà polvere. Tuttavia poiché la carità sopporta ogni cosa raccontami ti prego come stanno oggi nel mondo gli uomini: se nelle antiche città si innalzano nuove costruzioni, sotto quale impero si governa il mondo, se vi sono ancora alcuni  ingannati dal demonio. Tra questi discorsi vedono un corvo che si posa sopra il ramo di un albero.
Di là, poco a poco calando, depose un pane intero davanti ai due che erano stupiti. Partito che egli fu, ecco, disse Paolo, il Signore veramente pietoso, veramente misericordioso ci ha mandato il pranzo. Sono ormai sessanta anni che io continuamente ricevo la metà di un pane, ma per la tua venuta Cristo ha raddoppiato la razione ai suoi soldati. Ringraziato dunque il Signore, l’uno e l’altro si posero a sedere sul margine della limpida fonte. Ma essendo qui nata la disputa chi di loro dovesse spezzare il pane, il giorno giunse quasi a sera. Paolo diceva che ciò toccava ad Antonio come a forestiero: Antonio rifiutava, adducendo per ragione l’età più avanzata di Paolo.
Decisero finalmente che ciascuno di loro, preso il pane dalla propria parte, lo tirasse a sè tanto che ad ognuno rimanesse in mano la sua porzione. Poi chinata la testa nella fonte bevvero di quell’acqua e offrendo a Dio il sacrificio di lode passarono quella notte vegliando. Ed essendo già spuntato il nuovo giorno, il beato Paolo così disse ad Antonio: Io sapevo da gran tempo, o fratello, che tu abitavi da queste parti. È pure gran tempo che Dio mi aveva promesso te per compagno ma poiché ormai è giunto il tempo della mia morte e perché sempre io ho desiderato sciogliermi dai lacci di questo corpo e starmene con Cristo, compiuto il corso della vita presente, non mi rimane che  ricevere la corona della giustizia. Per questo sei stato mandato dal Signore, per ricoprire di terra questo corpo, anzi per rendere la terra alla terra. Udite queste cose Antonio piangendo e sospirando lo pregava che non lo abbandonasse e che lo prendesse con sé come compagno di tale viaggio. A lui Paolo disse: Non devi cercare ciò che a te è utile ma ciò che è giovevole ad altri. A te torna bene, certo, deposto il peso della carne, seguire l’agnello. Ma agli altri fratelli è tuttavia utile essere ammaestrati dal tuo esempio. Perciò, se non ti riesce grave, parti, te ne prego,  e porta qua, per avvolgervi il mio corpo, il mantello che il vescovo Attanasio già ti diede. Di questo il beato Paolo lo richiese, non perché egli tenesse grande conto che il suo corpo marcisce coperto o nudo, poiché esso per così lungo  tempo si era vestito di foglie intrecciate di palme, ma affinché da lui partendosi Antonio, l’afflizione per la sua morte gli fosse resa più leggera. Meravigliatosi dunque che Paolo avesse notizia di Atanasio e del suo mantello, come vedendo in lui Cristo e adorando nel suo petto  Dio, non osò replicare una sola parola. Ma in silenzio piangendo, a lui baciati gli occhi e le mani, fece ritorno al suo monastero che in seguito fu occupato dai saraceni. Ma più grande del passo era il cuore e sebbene il corpo estenuato dai digiuni per la lunga età fosse fiacco, tuttavia con lo spirito vinceva la vecchiaia. Finalmente stanco e ansante, compiuto il cammino, giunse alla propria abitazione. Fattisi a lui incontro due discepoli, i quali da gran tempo erano soliti servirlo, dissero: Dove, o padre, sei stato per così lungo tempo? Così egli rispose: Guai a me peccatore che porto falsamente il nome di monaco. Ho visto Elia, ho visto Giovanni nel deserto e da dove ero ho visto Paolo in paradiso. E così chiudendo la bocca e battendosi il petto con le mani tirò fuori il mantello dalla cella. E pregandolo i discepoli che egli volesse più appieno esporre di che cosa si trattasse, disse:  C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare. E, subito, partito senza neppure prendere un po’ di cibo, per la strada onde era venuto fece ritorno, ardentemente bramoso di vedere Paolo, avendolo sempre davanti agli occhi e nella mente. Temeva infatti ciò che  accadde, cioè che trovandosi esso assente,  Paolo rendesse a Cristo il dovuto spirito. Ed essendo già spuntato il nuovo giorno e avendo camminato per tre ore vide Paolo, fra le schiere degli angeli, fra i cori dei profeti e degli apostoli, salire al cielo, uguale per candore alla neve. E subito cadendo con la faccia in terra si gettava la sabbia sul capo e piangendo e gridando diceva: Perché o Paolo mi lasci? Perché te ne vai senza un saluto? Così tardi conosciuto così presto parti? Riferiva poi il beato Antonio che egli corse il resto della strada con una velocità così grande che volò come un uccello.
E a ragione, poiché entrato nella spelonca vide con le ginocchia piegate , e con la testa innalzata e con le mani stese al cielo il corpo morto di Paolo e in un primo momento pensando che egli vivesse si pose egli pure a fare orazione. Ma dopo che non sentì, come era solito, i sospiri di quello nella preghiera, gettatosi con le lacrime agli occhi a baciarlo si avvide che il cadavere stesso del Santo col dovuto portamento ancora pregava Dio davanti al quale vive ogni cosa. Avvolto dunque e portato fuori il corpo, cantando inni e salmi secondo il rito cristiano si doleva di non avere una zappa con cui scavare il terreno e, stando sospeso, varie e molte cose aggirandosi per la sua mente, diceva: “Se io voglio ritornare al monastero c’è un viaggio di tre giorni, se io rimango qui non farò alcun profitto. Morirò dunque come è giusto e cadendo vicino al tuo soldato o Cristo esalerò l’ultimo spirito. Volgendo esso nell’animo tali cose, ecco venire di corsa due leoni dalla parte più interna del deserto, con i velli intorno al collo svolazzanti. Al loro arrivo, Antonio, in un primo tempo si spaventò, poi alzata la mente a Dio come se vedesse delle colombe si fermò intrepido ad aspettarli. E quelli diretta la corsa al corpo del santo vecchio, qui si fermarono e facendo carezze con la coda si stesero ai piedi di quello con grande fremito ruggendo di modo che si poteva capire che quelli piangevano nel modo che potevano. Poi non molto lontano cominciarono con le zampe a scavare il terreno e a gara gettando fuori la sabbia fecero una fossa capace di un uomo e subito, come se per la loro fatica chiedessero un compenso, muovendo le orecchie e abbassando la testa se ne vennero ad Antonio leccando le sue mani e i piedi . Per la qual cosa, accortosi esso che quelli gli chiedevano la benedizione, subito cominciando a lodare Cristo perché gli animali sebbene muti lo conoscevano come Dio, disse: Signore, senza il cui cenno non cade foglia dall’albero né uccellino a terra, date a queste bestie la vostra benedizione come sapete che conviene loro. E fatto cenno con la mano ad essi, ordinò che partissero. Partiti che furono prese sulle proprie spalle quel santo corpo e depostolo nella fossa, coprendolo di terra, lo seppellì secondo la consuetudine. Venuto poi il giorno seguente il pio erede al fine di avere qualcosa dei beni di colui che era morto senza fare testamento, si prese la sua tonaca, che a guisa di sporta con foglie di palma egli aveva per sé tessuto. E così tornato al monastero narrò ai suoi discepoli per ordine ogni cosa e nei giorni solenni di Pasqua e di Pentecoste vestì sempre la tonaca di Paolo. Mi piace, alla fine di questa breve storia, interrogare coloro che per la abbondanza non sanno quanto possiedono, che incrostano di marmi i loro palazzi, che acquistano molti beni materiali:  Cosa mancò mai a questo povero vecchio? Vuoi uomini ricchi bevete in coppe ornate di gemme, quello soddisfece al bisogno naturale con il cavo della mano. Voi nelle vesti  portate tessuto l’oro, quello non ebbe mai abito così buono come ha il più disprezzato dei vostri schiavi. Ma, per contro,  a quello così povero è aperto il paradiso, voi coperti d’oro scenderete nella pena eterna. Quello, sebbene nudo, conservò la vester di Cristo. Voi, rivestiti di seta, avete perso l’abito di Cristo. Paolo riposa ricoperto di vile polvere per risorgere glorioso. Voi giacete nei sepolcri formati con sassi scolpiti ad arte, per dover ardere con le vostre ricchezze. Abbiate pietà, ve ne prego, di voi stessi. Risparmiate almeno le ricchezze a voi così care. Perché avvolgete i vostri morti in vesti dorate? Perché fra il lutto e le lacrime non si depone l’ambizione? I cadaveri dei ricchi non sanno forse imputridire se non nella seta? Io prego chiunque leggerà queste cose di ricordarsi del peccatore Gerolamo, il quale, se il Signore gli concedesse il potere di scegliere, preferirebbe la tonaca di Paolo con i suoi meriti piuttosto che la porpora dei monarchi con le loro pene.