cap11

                                      Cap. 11
Diventate di me imitatori come anch’io lo sono di Cristo. 2 Vi lodo perché ricordate tutte le cose di me e, come le trasmisi a voi, conservate le tradizioni. 3 Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, capo poi della donna l’uomo, capo poi di Cristo Dio. 4 Ogni uomo pregante o profetizzante sul capo avendo il mantello disonora il suo capo. 5 Invece ogni donna pregante o profetizzante con il capo non velato disonora il suo capo; una cosa sola infatti è e la stessa di quella rasata. 6 Se infatti non si vela una donna, anche si tosi; ma se è vergognoso per una donna il tosarsi o radersi, si veli. 7 Un uomo infatti non deve coprirsi il capo essendo immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. 8 Non è infatti l’uomo dalla donna ma la donna dall’uomo; 9 E infatti non fu creato l’uomo a causa della donna ma la donna a causa dell’uomo. 10 Per questa cosa deve la donna avere una potestà sul capo a motivo degli angeli. 11 Tuttavia né la donna senza l’uomo né l’uomo senza la donna nel Signore; 12 come infatti la donna viene dall’uomo, così anche l’uomo mediante la donna: tutte le cose poi da Dio. 13 In voi stessi giudicate: è conveniente per una donna non velata pregare Dio? 14 Non insegna la natura stessa a voi che l’uomo qualora faccia crescere i capelli è vergogna per lui, 15 la donna invece qualora faccia crescere i capelli gloria è per lei? Poiché la chioma in luogo di velo a lei è data. 16 Se però qualcuno vuole essere litigioso, noi tale abitudine non abbiamo né le assemblee di Dio. 17 Questa cosa poi ammonendo non vi lodo perché non per il meglio vi radunate ma per il peggio. 18 Anzitutto infatti radunandovi voi in assemblea sento che divisioni tra voi ci sono e in parte una certa lo credo.19 Bisogna infatti anche che fazioni  tra voi ci siano, affinchè anche i provati manifesti diventino tra voi. 20 Radunandovi dunque voi nello stesso luogo non è mangiare la cena del Signore; 21 ciascuno infatti la propria cena prende prima nel mangiare e l’uno ha fame l’altro invece è ubriaco. 22 Forse infatti case non avete per mangiare e bere? O l’assemblea di Dio disprezzate, e fate vergognare i non abbienti? Cosa dico a voi? Loderò voi? In questa cosa non vi lodo. 23 Io infatti ricevetti dal Signore ciò che anche trasmisi a voi, che il Signore Gesù nella notte in cui era consegnato prese del pane 24 e reso grazie lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo quello per voi; questo fate in memoria di me. 25 Allo stesso modo prese anche il calice dopo l’aver cenato dicendo: Questo fate, ogni volta beviate, in mia memoria. 26 Ogni volta infatti mangiate questo pane e il calice beviate, la morte del Signore annunciate fino a che venga. 27 Perciò chiunque mangi il pane o beva il calice del Signore indegnamente, reo sarà del corpo e del sangue del Signore. 28 Esamini invece un uomo se stesso e così dal pane mangi e dal calice beva; 29 infatti il  mangiante e il bevente mangia e beve per sé non distinguendo il corpo. 30 Per questo tra voi molti sono infermi e malati e parecchi muoiono. 31 Se invece noi stessi esaminassimo, non saremmo giudicati; 32 ma giudicati dal Signore siamo educati, affinchè non siamo condannati con il mondo. 33 Dunque fratelli miei, radunandovi per mangiare gli uni gli altri aspettatevi. 34 Se qualcuno ha fame, a casa mangi, affinchè non a condanna, vi raduniate. Le poi restanti cose quando verrò disporrò.

 

“Diventate di me imitatori come anch’io lo sono di Cristo.”
Cos’è la vita cristiana? Imitazione della vita di Cristo. È lui il modello della santità, il modello perfetto che dobbiamo seguire. Non è accetto al Padre chi non è fatto simile al Figlio. E ogni altro modello? Ha importanza e valore semplicemente in quanto replica in sé il modello di vita che è Gesù,  in tempi e luoghi diversi.
Potremmo semplicemente concludere che se vi è un solo giusto e un solo santo possiamo fare piazza pulita di ogni altro modello. Non così l’intende Paolo che invita ad essere di lui imitatori, come lui lo è di Cristo. Cristo come modello di santità non è semplicemente dato e trovato in un tempo e in un luogo, ma si moltiplica e si ripropone in ogni tempo e in ogni luogo, attraverso la testimonianza di coloro che in tutto vogliono essere come lui. Nessun modello secondario può pretendere di essere come l’originale, ma tutti quelli che vengono dal primo a lui riportano e lui esaltano. La testimonianza dei santi è un aiuto in quanto ci riporta in maniera viva ed attuale a Cristo.
Non è giustificata una fede in questo e quel santo, che prenda il posto dell’unica vera fede, che è quella nel Figlio Salvatore, ma neppure si deve ignorare tutti coloro che  ci hanno indirizzato dietro a Lui, in virtù di ciò che hanno operato, detto, scritto.
Non si conosce Gesù se non per l’annuncio del Vangelo e tale annuncio passa di detto in detto, di scritto in scritto in virtù di coloro che la Chiesa accredita come autentici testimoni del Cristo.
Potremmo restringere l’ autenticità della tradizione ai soli apostoli; in realtà questa non finisce con la loro morte, ma continua nel tempo attraverso  coloro che prendono il loro posto. Non per millantato credito, ma soltanto per quella benedizione e quella presenza dello Spirito Santo che Cristo assicura all’unica vera Chiesa, che è quella fondata su Pietro. Finche ci sarà Chiesa sarà in essa trovata la santità. Quando nessuna santità sarà trovata in essa, di fatto sarà la fine. Basta anche la testimonianza di un solo santo per poter dire che la Chiesa non è morta, ma vive. Quello che fa la massa non ha importanza. A noi è chiesto di guardare e di considerare quelli che si fanno imitatori di Cristo.
I santi e solo i santi sono la garanzia dell’autenticità della Chiesa e della reale presenza del Salvatore. Tante ambiguità, peccati e contraddizioni, hanno percorso la storia della Chiesa. Eppure viva è rimasta la sua Tradizione ed è soltanto grazie alla Chiesa che ancor oggi si può leggere ed intendere la Parola di Dio. L’infedeltà dei molti non ha reso vana ed inefficace la fedeltà dei pochi.  In un tempo in cui i cristiani si dilaniano in inutili e vane diatribe e divisioni all’interno dello stesso corpo, non potremo sperare in un ritorno dei molti alla fede semplicemente in virtù di  nuovi concili, dibattiti, approfondimenti degli studi storico critici. Sono i santi la linfa vitale della Chiesa. Basta un po’ di lievito per fare fermentare la massa. Anche in passato in certi tempi la Chiesa sembrava morta ma  in virtù dei santi imitatori di Cristo sì è avuta una rinascita. L’esempio di san Francesco insegna. È bastata la testimonianza di un solo perché la Chiesa abbia ripreso forza, luce, vocazione missionaria.
Vogliamo aiutare la Chiesa in un tempo così difficile? Imitiamo in tutto il Cristo. Se la Chiesa muore per noi tutti, per noi tutti rinasce in virtù del solo Gesù. Tanta preoccupazione per il fare e per il dire. E chi di noi in tutto e per tutto cerca di vivere come Cristo?
“2 Vi lodo perché ricordate tutte le cose di me e, come le trasmisi a voi, conservate le tradizioni.”
Paolo può apparire un egocentrico ed un presuntuoso, uno che vuol richiamare su di sé un interesse esclusivo per dare importanza unica al proprio annuncio. Non così si deve intendere. Paolo parla come Apostolo, cioè come uno dei dodici unicamente accreditati da Gesù per l’annuncio del Vangelo. L’accento del discorso trascorre da Paolo apostolo alla Tradizione, che viene unicamente dai Dodici.
Non un elogio per sé chiede l’Apostolo, ma intelligenza della Chiesa e della Tradizione a lei affidata. Passa di necessità attraverso i primi apostoli. Solo la Chiesa fondata sulla testimonianza di Pietro e degli altri apostoli è garanzia di verità e di autenticità. Ma alla sola condizione che tutte le cose ricordi senza nulla tralasciare di quello che concerne la vita in Cristo. Così come sono state trasmesse devono pure essere ricordate dalla comunità dei credenti.
“3 Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, capo poi della donna l’uomo, capo poi di Cristo Dio.”
Vi è un rapporto di sottomissione vicendevole che non può essere inteso ad arbitrio: riguarda ogni aspetto della vita comunitaria. Interessa la singola famiglia nel rapporto tra l’uomo e la donna, l’insieme delle  famiglie riunite in rapporto a Cristo; conclude col solo Cristo nel  rapporto col solo Padre.
Il discorso di Paolo è molto importante perché ci dice che la grazia di Dio percorre canali ben definiti, legati e connessi l’uno all’altro dapprima in modo discensivo dal cielo, ma poi ascensivo allo stesso cielo in virtù di una catena che lega la donna all’uomo, l’uomo alla Chiesa, la Chiesa a Cristo e Cristo al Padre.
Il discorso può essere malamente inteso. Non si fa questione di valori, di ruoli più o meno importanti, che conferiscono maggiore o minore dignità alle persone inserite nella scala.
Sappiamo che nell’antichità alcuni esegeti interpretando questi passi vi hanno visto un Cristo che non può essere in tutto e per tutto messo sullo stesso piano del Padre, in quanto a Lui obbediente, per sua esplicita dichiarazione.
L’interesse di Paolo non è certo quello di disegnare un cerchio d’amore salvifico che include tutte le creature ed il Creatore, a vicendevole detrimento o innalzamento. Sarete tutti dei e Figli dell’Altissimo. Questo l’esito della Salvezza portata dal Cristo. Il Creatore si abbassa alla creatura, non per definire un rapporto  di separazione o di limitazione, ma al contrario perché colui che è al gradino più basso sia innalzato a quello più alto in una perfetta comunione di cuori in cui la creatura si identifica nel Creatore e il Creatore fa completamente propria la creatura inserendola nel proprio corpo. Ma tutto questo avviene in un cammino ben definito e delineato dalla volontà di Dio, che vuole la donna carne dell’uomo, l’uomo membro della Chiesa, la Chiesa corpo di Cristo, Cristo Figlio del Padre. In altre parole: la donna sottomessa all’uomo, l’uomo alla Chiesa, la Chiesa a Cristo, Cristo a Dio Padre.
Il discorso è di perenne attualità e anche oggi deve essere preso in seria considerazione. Una esaltazione sbagliata dell’individuo pone al centro di ogni valore una libertà che non dà frutti spirituali e che non è benedetta dal Signore. Oggi più che mai si rivendica al singolo una libertà del dire e del fare rispetto al tessuto  della società in cui vive che non può essere trasferito nella comunità di fede. Se il mondo la pensa così, si vedono i risultati. La Chiesa deve cercare ed esaltare quella libertà che è dono della grazia del Signore, in virtù della quale non si  opera ad arbitrio tutto quello che si vuole, ma soltanto la volontà di Dio. Il Signore ci fa creature nuove e diverse: la potenza del suo amore ci dona un cuore capace di amare non in modo indifferenziato ed inconsapevole del proprio fondamento e del proprio fine, ma in maniera ordinata, il cui fine è la comunione di ogni vita in Cristo ed in Cristo con lo stesso Dio Padre. I figli oggi più che mai sono disobbedienti ai genitori e i genitori sfuggono al loro dovere di porsi e di imporsi come  guida.
I rapporti tra marito e moglie, tra l’uomo e la donna uniti nel vincolo del santo matrimonio, ignorano il precetto divino che vuole l’uomo a capo della donna. Da un lato l’uomo che abdica volentieri al suo ruolo assai difficile di capo della donna a lui posta vicino, che ben presto  tanto vicina non appare; dall’altro la donna che morde il freno della sottomissione per fare tutto quello che è di testa sua, cioè secondo il suo modo di vedere e di intendere. Per poter sopravvivere ognuno dei coniugi rivendica per sé un proprio spazio di autonomia, il più grande possibile, in nome di una crescita e di una realizzazione del proprio io, rispetto al quale l’altro o l’altra è vissuto come una insopportabile ed ingiustificabile limitazione. Il risultato di tale filosofia della coppia non è incoraggiante ed il matrimonio oggi più che mai è in crisi. Se l’uomo e la donna si uniscono per trovare una propria realizzazione non  assolutizzando il rapporto con l’altro, ma relativizzandolo il più possibile, cercando la massima vicinanza soltanto in relazione alle mutevoli passioni della carne, fanno bene i giovani a non sposarsi. Il fallimento è già in partenza, perché si parte col piede sbagliato.
“Ogni uomo pregante o profetizzante sul capo avendo il mantello disonora il suo capo.”
Paolo non ha alcun interesse per il legame tra uomo e donna come può essere inteso e vissuto da chi non crede in Gesù Salvatore. Se la nostra vita è in Cristo, tutto deve essere visto e vissuto in Cristo, a cominciare dal rapporto tra marito e moglie. Se segno distintivo del cristiano è la priorità data al dialogo con Dio, in virtù della preghiera che è  parlare a Dio e la profezia che è ascolto della Parola di Dio, tale dialogo non si intende e non si realizza se non all’interno del corpo di Cristo che è la Chiesa. Ogni membro del corpo svolge un ruolo ben definito dal Signore stesso, per il bene di tutti e di ognuno. Tale ruolo è espresso dal singolo anche nell’abbigliamento. L’uomo deve apparire vestito diversamente dalla donna e viceversa, come diversi devono essere gli abbigliamenti di chi svolge un ruolo sacerdotale. Oggi purtroppo anche molti preti disprezzano e non tengono in considerazione l’abito che è loro dato con la consacrazione. Non solo il mondo  entra nello spirito della Chiesa, ma sono gli uomini di Chiesa che sempre più  entrano nello spirito del mondo, in una sorta di comunione indifferenziata rispetto al proprio ruolo e alla propria vocazione.
Le consuetudini e le regole della Chiesa sono altro dalla moda dettata e seguita dal mondo. L’una agisce in conformità a valori perenni, l’altro seguendo valori a proprio uso e consumo.
“5 Invece ogni donna pregante o profetizzante con il capo non velato disonora il suo capo; una cosa sola infatti è e la stessa di quella rasata. 6 Se infatti non si vela una donna, anche si tosi; ma se è vergognoso per una donna il tosarsi o radersi, si veli.”
Nella chiesa del Signore la donna deve portare un segno distintivo rispetto all’uomo e precisamente in rapporto al suo capo. Molte donne oggi non portano più il velo e se non si radono è solo per motivi estetici. Paolo fa un discorso che vuole essere importante dal punto di vista spirituale: i cristiani di oggi ne fanno semplicemente una questione di moda e oggi il velo non è di moda.
“7 Un uomo infatti non deve coprirsi il capo essendo immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. 8 Non è infatti l’uomo dalla donna ma la donna dall’uomo; 9 E infatti non fu creato l’uomo a causa della donna ma la donna a causa dell’uomo. 10 Per questa cosa deve la donna avere una potestà sul capo a motivo degli angeli.”
Il discorso di Paolo, non è di facile comprensione. Se in un primo momento l’Apostolo sembra mettere la donna in un piano subalterno rispetto all’uomo, questo non deve essere inteso dal punto di vista del valore, ma della semplice relazione. L’uomo si realizza come unità di maschio e femmina soltanto ponendosi a “capo” della donna, e la donna viceversa come “sottomessa” al capo dell’uomo in quanto  derivata dall’uomo e creata per esso.
Non si può intendere una relazione semplicemente in sé e per sé, ma innanzitutto in relazione al fine che si propone che è quello dell’uomo che  realizza se stesso nella donna e della donna che realizza se stessa nell’uomo. Non si raggiunge e non si adempie piena uguaglianza della donna rispetto all’uomo, mettendo semplicemente la donna alla stessa altezza del capo dell’uomo, ma in una posizione più bassa: la donna raggiunge l’altezza  dell’uomo salendo dal basso. Viceversa l’uomo si ritrova all’altezza  della donna, soltanto abbassando il proprio capo. In questo senso il suo comandare all’altra è innanzitutto un servire all’altra, seguendo come modello Gesù, che  ha  innalzato  la creatura  a sé, abbassando se stesso alla  creatura.
Il discorso è ricco di implicazioni teologiche, soprattutto quando si affronta il dogma della Trinità. Di per sé indiscutibile, è stato variamente spiegato ed interpretato, a nostro parere, non ancora in modo del tutto pieno ed adeguato.
E la prima grossa questione riguarda proprio ciò che è scritto in Genesi: Iddio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza: maschio e femmina lo creò.
Nella Tradizione della Chiesa è prevalsa l’interpretazione di Origene che sottolinea, in maniera discutibile e certamente problematica per ulteriori sviluppi, che la donna è stata creata dall’uomo e per l’uomo. Uomo e donna, e in ultima considerazione il terzo che ne viene, non possono in alcun modo essere immagine della Trinità, in quanto nella famiglia divina tutte le persone si trovano allo stesso “livello”, in quella creata sono poste a livello diverso. Noi potremmo obiettare che ciò che è immediatamente dato di per sé non esclude una chiamata ed una vocazione verso ciò che sarà finalmente dato.
Ammesso che all’inizio l’uomo e la donna non siano immagine compiuta della Trinità, nulla esclude che a questo siano chiamati attraverso un cammino di fede che è in partenza obbedienza dell’una all’altro, dell’altro a Cristo, ma solo per essere trovati alla fine entrambi obbedienti all’eterno Figlio, come il Figlio è obbediente al Padre. Il discorso è piuttosto lungo e complesso e non si può sviluppare in questo momento. Lo vedremo allorchè commenteremo Genesi.
Accontentiamoci ora di note e rilievi generici e sommari, che devono essere ben chiariti ed approfonditi.
“11 Tuttavia né la donna senza l’uomo né l’uomo senza la donna nel Signore; 12 come infatti la donna viene dall’uomo, così anche l’uomo mediante la donna: tutte le cose poi da Dio.”
Questi versetti attenuano il tono di quelli immediatamente precedenti. Se la donna viene dall’uomo, è anche vero che l’uomo viene dalla donna, ed entrambi poi, come tutte le cose. vengono da Dio. Diversità da un lato, ma anche uguaglianza: priorità dell’uomo rispetto alla donna, ma anche una trovata priorità della donna rispetto all’uomo. Se nella dimensione essenziale la vita di Eva passa attraverso  Adamo, in quella esistenziale passa dalla donna all’uomo: non la donna viene dall’uomo, ma l’uomo dalla donna.
L’argomento è senz’altro suggestivo ma c’è bisogno di una trattazione a parte ed un’attenta lettura critica di ciò che hanno scritto i Padri della Chiesa.
“13 In voi stessi giudicate: è conveniente per una donna non velata pregare Dio? 14 Non insegna la natura stessa a voi che l’uomo qualora faccia crescere i capelli è vergogna per lui, 15 la donna invece qualora faccia crescere i capelli gloria è per lei? Poiché la chioma in luogo di velo a lei è data. 16 Se però qualcuno vuole essere litigioso, noi tale abitudine non abbiamo né le assemblee di Dio.”
Certe consuetudini e sentimenti immediati dell’uomo hanno una loro radice di verità. I maschi hanno sempre privilegiato i capelli corti, le femmine quelli lunghi. È una cosa che viene da stessa, per ragioni di semplice decoro, almeno per chi ha un minimo di buon senso. Se poi qualcuno vuol litigare per questo, la Chiesa del Signore rifugge da tali dispute.
Ci sono cose più serie nella comunità di Corinto che preoccupano l’Apostolo Paolo, che interessano l’intera chiesa.
“17 Questa cosa poi ammonendo non vi lodo perché non per il meglio vi radunate ma per il peggio.”
Nella comunione dei cuori in Cristo vi è un momento culminante ed un evento centrale che è la celebrazione del sacrificio eucaristico.
Se è vero che i cristiani di Corinto partecipano alle assemblee liturgiche, le notizie che arrivano a Paolo circa i frutti di queste assemblee non sono confortanti: non si radunano per il meglio, ma per il peggio, non portano con sé un acquisto ma una continua perdita.
“18 Anzitutto infatti radunandovi voi in assemblea sento che divisioni tra voi ci sono e in parte una certa lo credo.”
Innanzitutto l’assemblea è percorsa e pervasa da uno spirito di divisione. La comunità non appare come un blocco unico, ma come l’insieme di tante fazioni diverse che si contrappongono l’una all’altra.
“19 Bisogna infatti anche che fazioni  tra voi ci siano, affinchè anche i provati manifesti diventino tra voi.”
Che nella Chiesa del Signore saltino fuori gli eretici è del tutto normale, è nella logica di una purificazione dei cuori e di una manifesta e condivisa autenticità della fede. L’errore e l’inganno s’insinuano dappertutto e prima o poi saltano fuori.
L’annuncio del Vangelo può essere malamente inteso e diversamente interpretato. Al primo reclutamento di massa segue poi il tempo dell’istruzione e della verifica della fede dei singoli.
Il reclutamento viene fatto tra quelli che sono fuori, la verifica, la selezione e fra quelli che sono entrati nella Chiesa.
“20 Radunandovi dunque voi nello stesso luogo non è mangiare la cena del Signore;”
Prima grande questione è data proprio dalla celebrazione della cena del Signore: invece di unire i cuori è occasione e ragione di dissensi e di divisioni.
Una cosa bisogna innanzitutto mettere in chiaro: la cena del Signore non è data per soddisfare il bisogno di cibo materiale.
“21 ciascuno infatti la propria cena prende prima nel mangiare e l’uno ha fame l’altro invece è ubriaco.”
La cena che sazia il ventre è quella che voi fate a casa vostra, prima di incontrarvi. C’è chi non riesce a soddisfare la propria fame, perché povero e  chi addirittura al contrario arriva alla gozzoviglia e si ubriaca. L’assemblea che vede tutti riuniti non può essere l’occasione ed il pretesto per fare il pieno di cibo. C’è addirittura chi precorre i tempi e arriva prima degli altri, sperando in questo modo di trovare qualcosa per raggiungere la sazietà.
Nessuna discussione riguardo al cibo si deve fare in questa assemblea.
“2 Forse infatti case non avete per mangiare e bere? O l’assemblea di Dio disprezzate, e fate vergognare i non abbienti? Cosa dico a voi? Loderò voi? In questa cosa non vi lodo.”
Si mangia e si beve a casa propria. Nella cena del Signore si consuma un cibo spirituale e non deve essere una occasione ed un evento in cui il povero si trova umiliato nella sua necessità di chiedere al ricco. Problemi di tal fatta si risolvono prima e fuori dall’assemblea. Per quale ragione dunque si riunisce l’assemblea?
È presto detto dall’Apostolo.
Nulla di arbitrario, lasciato alla libera iniziativa dell’uomo. C’è un ben determinato atto ed  un preciso comando di Gesù al riguardo. Paolo ne è il depositario ed il messaggero. Ha conosciuto tutto questo per divina rivelazione, pur non essendo testimone diretto.
“23 Io infatti ricevetti dal Signore ciò che anche trasmisi a voi, che il Signore Gesù nella notte in cui era consegnato prese del pane 24 e reso grazie lo spezzò e disse: Questo è il mio corpo quello per voi; questo fate in memoria di me. 25 Allo stesso modo prese anche il calice dopo l’aver cenato dicendo: Questo fate, ogni volta beviate, in mia memoria. 26 Ogni volta infatti mangiate questo pane e il calice beviate, la morte del Signore annunciate fino a che venga.”
La celebrazione eucaristica è un vero e proprio atto liturgico voluto da Gesù. Diversamente inteso da cattolici e riformatori, nessuno mette in discussione l’origine. Quale valore e significato dobbiamo attribuire a quel rito detto celebrazione eucaristica o cena del Signore, voluto dallo Stesso Cristo Salvatore nostro? Per una corretta interpretazione in senso cattolico si veda il Catechismo. “27 Perciò chiunque mangi il pane o beva il calice del Signore indegnamente, reo sarà del corpo e del sangue del Signore.”
Non si tratta di un normale pasto.
Bisogna intendere rettamente e mangiare e bere degnamente. Diversamente un atto per la salvezza donato dal cielo, diventa un atto per la perdizione.
“Esamini invece un uomo se stesso e così dal pane mangi e dal calice beva;”
Non basta mangiare il pane ed il vino offerti dal Cristo come il suo corpo e il suo sangue’ in risposta al comando: “fate questo in memoria di me” Dobbiamo esaminare con quale fede e con quale cuore noi partecipiamo ad un sacrificio incruento che ha la forma del banchetto.
La stringatezza del discorso e la povertà di parole usate da Gesù per l’istituzione dell’eucarestia, contrastano con le migliaia di pagine scritte al riguardo. Gesù più di tanto non dice e più di tanto non ci è dato capire.
Dobbiamo soltanto fare nostra la Tradizione della Chiesa ed il suo insegnamento al riguardo. Tutto il resto che vuol andare oltre l’intelligenza che è stata data alla Chiesa di Pietro nella totalità dei suoi tempi e dei suoi fedeli, ci porta oltre e fuori. Ciò che è chiamato mistero, mistero è e mistero rimane. Impossibile tutto capire e neppure ci è chiesto. Ci è chiesto di obbedire al comando di Gesù nelle forme volute dalla Chiesa. Nella piena consapevolezza però che non si tratta di un cibo materiale ma spirituale, se pur è dato  nelle forme del vino e del pane.
“29 infatti il  mangiante e il bevente mangia e beve per sé non distinguendo il corpo.”
Chi mangia e beve semplicemente in senso materiale lo fa soltanto per un bisogno naturale, l’atto è fine a se stesso, non crea alcuna comunione spirituale né col Creatore e la sua opera salvifica e neppure con chi mangia e beve con lui e come lui.
Se il cibo dato per la vita sortisce un effetto di morte, la colpa non è del cibo , ma da come spiritualmente mangiamo tale cibo.
“30 Per questo tra voi molti sono infermi e malati e parecchi muoiono.”
Intende Paolo in senso fisico o semplicemente spirituale? Può essere l’uno e l’altro.
“31 Se invece noi stessi esaminassimo, non saremmo giudicati;”
Chi beve e mangia senza discernere ciò che è materiale e ciò che è spirituale rende attuale su di sé un giudizio di condanna. Già se ne vedono segni premonitori. La cena del Signore non sempre crea salute e vita nuova, alle volte è accompagnata da segni di morte.
“32 ma giudicati dal Signore siamo educati, affinchè non siamo condannati con il mondo.”
Giudicati dal Signore per una nostra fede sbagliata,  in virtù di esemplari punizioni siamo riportati sulla retta via dell’intendere e dell’operare, per non essere condannati col mondo, cioè con tutti coloro che non credono in Cristo Salvatore.
“33 Dunque fratelli miei, radunandovi per mangiare gli uni gli altri aspettatevi. 34 Se qualcuno ha fame, a casa mangi, affinchè non a condanna, vi raduniate. Le poi restanti cose quando verrò disporrò.”
Non si ripeta più quando già accaduto, cioè che alcuni arrivino prima alla cena semplicemente per saziare la fame. Si mangi a casa propria e non nella cena del Signore. Distinguete due realtà diverse. Evitate la condanna del Signore e aspettate il mio arrivo per il resto.

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