Cap. 1,26

Cap. 1,26
E vide Dio perché fosse buono 26 e disse: Facciamo l'uomo ad immagine e somiglianza nostra
L’espressione "Dio vide perché fosse buono" è  messa nel bel mezzo, dopo la creazione degli animali, prima della creazione dell'uomo, alla quale è strettamente collegata da "e disse". Perché mai tutto questo? Perché si vuol far comprendere in modo inequivocabile che il vedere di Dio è innanzitutto un atto del Suo amore. Egli vide che tutto fosse buono, per provvedere al bene dell'uomo. Il Signore sa bene che tutto ciò che esce dalle sue mani è buono, ma è detto per noi, per farci comprendere il Suo amore, che si manifesta prima ancora della nostra venuta. Adamo non doveva trovare inciampo alcuno nel cammino verso la vita eterna, se non quello da lui stesso creato. Dio non creò l'uomo, se non dopo aver visto che ogni cosa fatta per lui e in vista di lui era buona: un trattamento di favore e di riguardo che fu riservato solo a noi.
Dapprima "Dio vide" per giudicare la luce e dividere gli angeli fedeli, da quelli ribelli. Ora vede innanzitutto per provvedere al bene dell'uomo. Il vedere come atto della provvidenza divina acquista particolare risalto e significato solo per la creazione dell'uomo. Alla fine del sesto giorno, dopo la benedizione divina e la consegna del creato nelle mani di Adamo, troviamo:" E vide Dio tutte quelle cose che fece". E' il momento della verifica finale, l'ultimo esame, la prova di collaudo, per vedere se tutto fosse a posto e idoneo per, con un giudizio ed una valutazione. "Ed erano molto buone". E' semplice constatazione di un dato di fatto: il risultato fu addirittura superiore all’ intenzione. Tutte le cose create non furono semplicemente buone, ma molto buone... perché non abbiamo a dubitare del Suo amore, che è da sempre, prima ancora che veniamo alla luce di questo mondo.
L'espressione "Facciamo l'uomo ad immagine e somiglianza nostra", porta il pensiero al Dio Uno e Trino che così si esprime in quanto la creazione dell'uomo rappresenta una novità, un qualcosa di diverso rispetto a tutto il resto. Essa non solo coinvolge tutte e tre le persone della Trinità, ma ognuna di esse ha impresso in noi un segno particolare della propria divina identità. Abbiamo visto innanzitutto che in Dio vi è Parola, manifestazione del suo essere o pensiero e, nello stesso tempo, creatrice dal nulla di una realtà nuova. La struttura della parola, ovvero il modo secondo cui essa viene formandosi ed esprimendosi, sottolinea ed evidenzia la stretta somiglianza tra l'uomo e il suo Creatore. La parola altro non è che espressione ed esplicazione di quanto contenuto nella mente: è la parola che rende manifesto il pensiero. Il rapporto tra il pensiero e la parola è mediato dalla lingua, ovvero da quell'organo che uniformando i propri moti alla volontà della mente, rende possibile, ovvero genera la parola. Vi è in Dio un rapporto necessario tra il pensiero ( Padre ), la lingua o volontà ( Spirito Santo ) e la parola ( Figlio ), nel senso che Dio dice quello che pensa e pensa quello che dice. La sua parola, in altri termini, è verità: esprime sempre e solo il suo pensiero, in quanto è generato dallo Spirito Santo, che è semplice riflesso della volontà del Padre. Non è concepibile in Dio una parola inespressa o una parola che non sia secondo verità, in quanto la parola di Dio è manifestazione della Verità e, quindi, è essa stessa Verità.  Nella dimensione esistenziale dell'uomo la parola è mediata da una coscienza, che non è mai pura, in quanto resa impura dal peccato. Di conseguenza la parola che è dono di Dio perde la sua efficacia ed integrità in quanto macchiata da un cuore distratto e distolto dall'ascolto. Soltanto nella rivelazione, intesa come l'insieme delle Scritture, la parola di Dio si manifesta nella sua integrità ed assolutezza, senza contaminazioni di sorta: non è semplicemente l'uomo che parla in nome di Dio, ma è Dio stesso che parla con la bocca dell'uomo. Con la venuta del Figlio, la Parola è data nella sua manifestazione ultima e definitiva. Non è possibile andare oltre la parola del Figlio, in quanto lui stesso è la Parola. Ogni pretesa sapienza che si ponga al di sopra e al di fuori della rivelazione è falsa ed ingannevole: è un ritorno al rapporto ambiguo tra la purezza della verità e una coscienza indurita e traviata dal peccato. L'immagine di una coscienza pura, semplice specchio ed eco della Parola, appartiene solo al giardino di Eden. Se in Eden la coscienza dell'uomo genera, per così dire la parola da se stessa, in quanto inabitata da Dio, dopo il peccato è la parola di Dio che genera la vera coscienza, sopraggiungendo come dal di fuori, in un rapporto che non è di pacifica convivenza, ma di conflittuale confronto. Per la colpa di Adamo la coscienza umana non attinge più alla parola nella sua integrità e purezza. Essa conosce anche un'altra parola, che è potenza di Satana. In questa ambiguità di rapporto con la Parola, la nostra parola esprime l'ambiguità del nostro essere. La stessa possibilità che è in noi di un pensiero inespresso è strettamente collegata alla possibilità dell'inganno e della menzogna. L'uomo può dire quello che non pensa e pensare quello che non dice e, con ciò stesso, ingannare il fratello dopo aver ingannato se stesso. Viceversa in Dio non c'è pensiero inespresso, in quanto Egli pensa quello che dice e dice quello che pensa: in Lui è la verità, in noi la menzogna. La nostra coscienza si definisce nel rapporto tra l'io e la Parola: è buona se "fatta" buona dall'ascolto della Parola, è cattiva allorché rinchiusa nella propria parola.
La nostra coscienza non è semplicemente coscienza del nostro essere, ma coscienza del nostro essere in rapporto alla Parola. In Dio, viceversa, non c'è coscienza, ma autocoscienza, ovvero non coscienza del proprio essere in rapporto alla Parola, ma coscienza del proprio essere come Parola. In Dio il rapporto tra le varie persone non si caratterizza, innanzitutto per quel che dicono, ma per quel che sono.
Il Pensiero genera da se stesso, tramite la Volontà, la propria Parola. Dio è pensiero che vuole ed ama se stesso, ovvero la propria Parola. La Parola esprime la perfezione ultima dell'essere di Dio, non è soggetta a mutamento o progresso di sorta in virtù di procedimento dialettico. Il Figlio è la parola prima ed ultima del Padre. Il pensiero dell'uomo, anche quando è chiuso nella sua interiorità, non è mai rivolto a se stesso come pensiero, ma ad altro da se stesso. Viceversa in Dio, soggetto pensante e oggetto pensato sono rinchiusi nell'unico essere. Dio è felice di se stesso, ovvero del proprio essere. Tale essere è atto in sé e per sé, ovvero eterna generazione della Parola, che procede dal Pensiero, attraverso la Volontà. Il Padre genera da sé la Parola, attraverso il Suo Spirito: la Parola ritorna al Padre attraverso lo stesso Spirito. Per il primo aspetto lo Spirito Santo si caratterizza come la volontà generatrice della Parola, per il secondo aspetto, Egli è la Volontà di ascolto della Parola, ovvero Colui grazie al quale la Parola che procede dal Padre ritorna al Padre stesso, non attraverso l'atto del parlare, ma attraverso l'atto dell'ascoltare.
Non ci può essere rapporto con la Parola, se non in virtù dello Spirito Santo. E' lo Spirito Santo che ci dona la grazia di annunciare la parola di Dio, è in virtù dello Spirito Santo che possiamo pregare il Padre. Cos’è la preghiera, se non la volontà di ascolto della Parola? Benché creati ad immagine di Dio, vi sono diversità fondamentali tra il nostro essere e il Suo essere: altro è l'essere creatore, altro è l'essere creato. La nostra parola non è il riflesso di un io sufficiente a se stesso e in se stesso compiuto, ma il riflesso di un io che è solo in rapporto alla Parola fondante. Noi siamo fondati in Dio e  relazionati a Lui e al Suo creato. Così attraverso la parola noi esprimiamo il nostro essere non in relazione a noi stessi, ma ad altro da noi stessi. La nostra parola non è che l'espressione e il risultato del nostro rapporto con il Creatore e la creazione. Dio dice la Parola, noi diciamo le parole. Dio esprime il proprio essere semplice ed assoluto, noi esprimiamo Colui o ciò che abbiamo fatto nostro. La triplice dimensione dell'io coscienza, come unità di mente, volontà, parola, proprio perché ad immagine di Dio, senza l'essere di Dio, ha carattere formale, astratto: non esprime la perfezione del nostro essere, ma l'imperfezione del nostro essere.
L'uomo è stato creato per essere come Dio, nel possesso di Dio, ovvero le sue facoltà sono fatte per il concretamente reale: la mente per essere fondata nel Padre, la volontà per essere fondata nello Spirito Santo, la parola per essere fondata nella Parola che è il Figlio.
Nel disegno originario di Dio, l'uomo doveva portare nell'interiorità del proprio io, i tre  aspetti diversi ed essenziali della natura divina, non semplicemente in forma astratta, ma nel loro fondamento personale. Un pensiero fondato in Dio, è un pensiero felice non della propria attività, ma del proprio essere in Lui e per Lui. Ciò non significa che il pensiero dell'uomo sia fatto solo per essere rinchiuso in se stesso, nel suo fondamento divino.  Esso conosce anche il momento dell'esteriorità, ovvero della sua apertura al creato e alle creature. Ma altro è conoscere la creazione in Dio e per Dio, altro è conoscerla fuori di Dio. Un pensiero in Dio e per Dio è già di per sé felice, non cerca la felicità fuori di sé, ma la comunica a ciò che è fuori di sé. Una conoscenza fondata in Dio non cerca la verità nelle cose e nelle creature, ma vede in esse l'amore e la potenza creatrice dell'unica  Parola.
E' vero che il pensiero dell'uomo, nella sua capacità di procedere per astrazione, sembra cogliere il divino nel creato. Noi abbiamo la capacità di andare oltre ciò che è esteriormente concreto, per riportare la mutevolezza sensibile, alla nostra interiorità essenziale: in altre parole, riusciamo a cogliere nelle cose un'idea divina che viene prima delle cose ed è altro dalle cose. Ma ciò che è astratto ( l'idea ) non appare immediatamente come il fondamento del concreto, al contrario sembra piuttosto che sia l'essere concreto a fondamento dell'essere astratto. E' nota l'eterna questione filosofica: E' l'idea a creare la realtà sensibile, o è la realtà sensibile a creare l'idea, grazie ad un processo di astrazione fondato unicamente in noi? La risposta non appare affatto scontata e deve passare attraverso un confronto con la Parola rivelata. Tutto ciò denota l'incapacità per l'uomo di cogliere in modo immediato il fondamento divino delle cose, ovvero il Dio creatore, che manifesta se stesso in tutti gli aspetti del creato, riportando incessantemente la sua presenza esteriore nell'interiorità della coscienza umana. Noi intuiamo nelle cose l'essere di Dio, ma non ne abbiamo conoscenza. Da questo punto di vista dobbiamo dire che il rapporto col creato, se pure testimonia la grandezza di Dio, nulla ci fa conoscere di Dio in Sé e per Sé. E' nell'interiorità della mente, ovvero nel nostro rapporto con la Parola, il senso primo del nostro essere in Dio e per Dio.
Qualsiasi filosofia che tenti di recuperare l'uomo unicamente in rapporto alla natura, è falsa ed ingannevole. Bisogna innanzitutto comprendere e recuperare la vita in rapporto al suo fondamento e al suo fine. "In interiore hominis habitat veritas", e l'interiorità dell'uomo è data dal suo rapporto con la Parola. Ma l'uomo che si rinchiude nella propria interiorità non per questo trova in se stesso la certezza della verità. Se è vero che la mente dell'uomo è dono di Dio, è pur vero che essa, dopo il peccato d'origine, non è più la sua fedele immagine. Noi abbiamo cercato di cogliere alcune analogie e somiglianze fra la ragione umana e quella divina, in quanto l'una è creata ad immagine dell'altra.
Certamente è più facile sottolineare le dissomiglianze e diversità, a riprova di una realtà corrotta e contaminata dal peccato. Il senso primo del peccato non è in una rottura del rapporto  con il creato e le creature, ma  nella rottura del rapporto con Dio. Ciò va detto, innanzitutto, per coloro che, non potendo misconoscere una realtà di peccato, ne sottolineano gli aspetti esteriori, illudendosi che possa, pur tuttavia, esistere una ragione pura, non ancora contaminata e corrotta. Basterebbe, ad esempio, considerare quale grave dissociazione il peccato ha prodotto fra le nostre facoltà, che pure sono ad immagine di Dio, soprattutto in relazione a quella che è la facoltà primaria dal punto di vista del valore, ovvero la volontà. Mentre Dio pensa e dice quello che vuole e vuole quello che pensa e dice, l'uomo, molto spesso, pensa e dice quello che non vuole, ovvero non vuole quello che pensa e quello che dice.
In Dio la Parola esprime il suo essere assoluto, oltre il quale non è possibile andare. Essa non è soggetta a pentimento o a mutamento di sorta. Nell'uomo, invece, la parola non esprime il proprio essere assoluto, ma soltanto una possibilità del proprio essere. La nostra parola, o meglio attività di pensiero, sgorga da noi in modo del tutto arbitrario e spontaneo: esprime soltanto una delle molteplici possibilità del nostro essere come parola. Noi non siamo padroni del nostro essere, perché non siamo padroni della nostra parola. Vi è una fondamentale schiavitù riguardo alla generazione della parola, in quanto siamo agiti da forze e potenze che non sono controllate dalla nostra volontà. Vi è, pur tuttavia, una nostra libertà riguardo alla parola: noi possiamo continuamente arricchirla, rielaborarla, progredire o regredire in essa. Il pensiero vuol chiarire la parola, e la parola, nello stesso tempo, vuol rendere chiaro il proprio pensiero. Si tratta di una libertà puramente formale, che non attinge e non tocca mai il fondamento della parola, in quanto chiusa in se stessa. L'inganno della filosofia atea è in un progresso del pensiero che è semplicemente astratto, ovvero tratto fuori dal suo fondamento. E' un circolo vizioso, in cui la parola gira continuamente intorno a se stessa, senza mai attingere al proprio, vero essere. Progredire in rapporto alla parola, significa aprire il proprio pensiero alla potenza dell'unica Parola.
Perduto il legame essenziale con la sua fonte, la nostra parola conosce, pur tuttavia, un progresso continuo, sia a livello individuale, che a livello storico sociale. La parola, nella sua forma, si viene ulteriormente arricchendo di significati, approfondisce e dilata il proprio ambito, sia nella storia dell'umanità, sia nella storia del singolo. Da questo punto di vista è pienamente giustificata una teoria di progresso del pensiero filosofico. Ma tale progresso non significa un rapporto crescente con la Parola rispetto al suo fondamento, ma un regresso continuo, una accentuazione esasperata del suo carattere formale ed astratto. Parimenti la capacità dialettica o intelligenza di un individuo di per sé, non è l'esatto correlato del suo rapporto con Dio. Esiste la possibilità di un pensiero che è fuori di Dio, che si sviluppa sempre più in una dimensione formale, astratta, avente la parvenza della vita, ma privo di Colui che è la vita. Un discorso o un ragionamento può essere logicamente esatto, ma non esprimere affatto la Verità, in quanto non fondato nella Verità. "La bocca di ognuno parla per la sovrabbondanza del cuore", ovvero esprime la nostra ricchezza o povertà spirituale, il nostro essere in Dio o il nostro essere fuori di Dio.
La cosiddetta "ragione pura" è l'ultimo ritrovato di filosofi empi ed accecati nei loro cuori dal principe di questo mondo. Non c'è una ragione astratta che tutto giudica, senza essere giudicata, ma vi è innanzitutto, la ragione universale o Logos, che giudica il nostro essere in Lui o fuori di Lui.   Non esiste il pensiero astratto, esiste soltanto l'uomo che pensa nella concretezza della vita, e vive e pensa a secondo del suo essere o non essere nella verità.
Abbiamo cercato di sottolineare la somiglianza tra il pensiero che è Dio e il pensiero umano, nel reciproco relazionarsi delle rispettive facoltà. Con riferimento più specifico alla dimensione creativa del pensiero, possiamo definire il Padre come l'essere o fondamento del pensiero, la Spirito Santo come la Sua volontà, generatrice del Figlio, ovvero della potenza in virtù della quale appare o si realizza ciò che è nuovo: dunque essere, volere, potere. Anche l'uomo è un essere che vuole e può, ma mentre Dio è secondo la propria volontà e secondo la propria potenza, l'uomo è in virtù del Padre, vuole in virtù dello Spirito Santo, può in virtù del Figlio: il suo essere è fondato nel Padre, la sua volontà nello Spirito Santo, la sua potenza nel Figlio. La potenza è legata alla volontà e la volontà all'essere. L'uomo può nella misura in cui vuole e vuole nella misura in cui è.
Sottolineiamo ancora una volta quale grave dissociazione il peccato d'origine ha prodotto nell'uomo, all'interno delle sue facoltà originarie. Noi non siamo quello che vorremmo essere, ma nello stesso tempo non vogliamo l'essere ( quello vero, non contraffatto dal peccato ). Inoltre non possiamo essere come vorremmo essere, ma nello stesso tempo non vogliamo essere come potremmo essere.
Secondo lo spirito della Legge, queste ambiguità sono superabili dall'uomo stesso. Il concetto di dovere è ancorato alla fiducia che nell'uomo si possano conciliare il suo essere, la sua volontà, la sua potenza. Ma perché l'uomo deve? Perché non vuole e non può più essere. La Legge di per sé non riporta alla vita, ma testimonia di una caduta dalla vita. Soltanto il dono della grazia che è nel Figlio ci riporta alla verità del nostro essere. Innanzitutto è Lui la potenza che tutto può in assoluto. Non è vero che in Dio la potenza è data dalla Parola? Dio ha creato l'uomo con la Sua Parola ed è solo in virtù di questa Parola che l’uomo può ritornare a Dio. Vi è una parola discendente da Dio all'uomo, che esercita un potere su di noi ( la Rivelazione ), vi è una parola ascendente dall'uomo a Dio, che è dono dello Spirito Santo. In virtù di essa, Dio, per amore, perde la propria potenza, per rendere noi stessi potenti su di Lui. Egli può tutto su di noi e in noi con la sua Parola e noi possiamo tutto su di Lui con la parola che è preghiera, purché conforme alla Sua volontà.
Non è la parola il dono più grande e più bello di Dio? La parola è l'espressione massima ed ultima dell'essere e del nostro essere simili a Lui. La parola cambia la nostra volontà e una volontà diversa fa diverso il nostro essere. Nella dimensione divina la vita passa o trascorre dall'essere alla volontà, dalla volontà alla potenza. Nella dimensione umana segue il cammino a ritroso, ovvero passa dalla potenza alla volontà, dalla volontà all'essere. Troppo spesso si accentuano gli aspetti volontaristici nel nostro rapporto con Dio, come se fosse solo questione di volontà. Non è innanzitutto questione di volontà, ma di potenza. Il cuore dell'uomo è insanabilmente malvagio, non è in grado di cambiare se stesso: è solo nella potenza della Parola la possibilità di una rinascita e di un rinnovamento. Non riesci a volere ciò che vuole Dio? Apriti alla potenza della Sua Parola. Ricordati di Pietro: era troppo fiducioso nella propria volontà e nel proprio amore per il Signore. Dov'è finita la sua volontà nell'ora della prova? E' la potenza che è nel Figlio che gli ha dato un cuore nuovo e uno spirito nuovo.
Per completare il discorso ci sembra doveroso un accenno al primo e più grande comandamento, in cui si fa esplicito riferimento alle tre dimensioni fondamentali dell'uomo:
"Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze". Noi intendiamo il cuore come la volontà, l'anima come l'essere, ovvero la totalità del nostro io in tutte le sue dimensioni, le forze come l'insieme delle facoltà legate alla parola, che rappresentano la nostra potenza ( anche i beni materiali possono considerarsi forze, in quanto anch'essi sono prodotti dalla potenza della parola e possono accrescere la potenza stessa della nostra parola ).
Dunque l'uomo sarebbe : volontà, essere, potenza. Perché mai abbiamo noi parlato di una successione : essere, volontà, potenza? Ci sembra che Dio abbia messo al primo posto la volontà perché essa è da noi avvertita come la facoltà primaria, la più immediata e prepotente, di modo che da essa sembra dipendere il nostro essere e la nostra potenza. In effetti la volontà o amore, nel seno stesso della Trinità, ha carattere prioritario dal punto di vista del valore: è la pienezza di Dio. La volontà è punto d'unione tra l'essere e la potenza, come l’amore è punto d'incontro tra il Padre e il Figlio. Lo Spirito Santo può essere considerato in vario modo nel suo rapporto con le altre persone.
Dal punto di vista logico, vale la successione: Padre, Spirito Santo, Figlio. ( approfondiremo e spiegheremo in seguito questo aspetto che sembra contraddire la dottrina tradizionale )
Dal punto di vista cronologico: Padre, Figlio, Spirito Santo.
Dal punto di vista assiologico ( del valore ): Spirito Santo, Padre, Figlio.
Lo Spirito Santo è ultimo dal punto di vista cronologico, perché primo dal punto di vista assiologico, ovvero è la pienezza di Dio in assoluto, Colui che non può essere senza il Padre e senza il Figlio, perché dove c'è lo Spirito Santo ci sono anche il Padre e il Figlio. Per questo nella nostra esperienza di salvezza è l'ultimo, perché è il culmine dell'essere che è Dio. Ciò non toglie però che la salvezza sia innanzitutto legata al Figlio. La via della volontà passa attraverso la via della potenza, nel senso già chiarito.
Abbiamo considerato la Parola nel suo significato essenziale, nel suo procedere interiore in Dio e per Dio. Abbiamo esaminato la parola umana nel suo essere ad immagine del Logos divino e la possibilità di un ritorno alla dimensione essenziale per opera della potenza che è Parola. Per poter comprendere in senso più pieno quanto scritto in Genesi, è necessario sottolineare gli aspetti della Parola, intesa non semplicemente come creatrice di vita, ma anche come “comunicatrice” di vita. La dimensione interiore della parola ha senso, innanzitutto, nel nostro rapporto con Dio, è fatta per conoscere Lui e per comunicare con Lui. Ma oltre alla dimensione interiore, la parola conosce una manifestazione esteriore, perché l'uomo possa comunicare con il proprio simile. Il primo momento è fatto perché possiamo attingere al fondamento della vita, il secondo perché allarghiamo il nostro cerchio di vita. La comunicazione di vita avviene soltanto "inter pares"( tra pari ), cosi', dal momento che non possiamo comunicarla a Dio, ma soltanto riceverla da Lui, Dio ha creato degli altri esseri sui quali riflettere la pienezza di questa vita.
Per poter comunicare la Parola, l'uomo deve dare una forma alla propria parola. Se unico è il fondamento o Essere della parola, molteplice è la forma della parola. Possiamo dire, in astratto, che ogni uomo, naturalmente parlando, ha una sua lingua, in quanto potrebbe creare un modo di comunicare che è sua opera esclusiva. Sicuramente, all'origine, l'uomo aveva una sola lingua, non come una sua creazione, ma come un dono del Logos, che rendeva in questo modo possibile una comunicazione piena, senza limiti alcuni. La perdita dell'unica lingua non è presentata da Genesi come frutto immediato del peccato originale, ma come un progressivo indurimento di cuore nei confronti della Parola di Dio, indurimento che è giunto al culmine con la costruzione della torre di Babele. La Bibbia sottolinea gli aspetti di progressiva e continua degenerazione dell'unica lingua, che non è più una nel comunicare la grandezza di Dio, ma rimane una solamente nel suo essere fuori di Dio e contro Dio. Di qui la necessità dell'intervento divino per confondere la loro lingua, per rompere quel cerchio d'omertà creato e potenziato da una parola non più conforme alla volontà di Dio. E' molto meglio che l'uomo non riesca a comunicare con i propri simili, piuttosto che essere solidali con loro nella costruzione di una vita che non è più in obbedienza alla volontà del Creatore. La confusione delle lingue costringe l'uomo ad approfondire il proprio rapporto con la Parola a livello individuale. La parola e la capacità di comunicare non gli appare più come naturale espressione della vita, ma come una conquista,  un dono, che va  meritato ed acquisito in obbedienza alla Parola. La frattura della parola che si manifesta esteriormente è sintomatica di una frattura che è avvenuta interiormente in rapporto a Dio. Perduta l'universalità formale della lingua, tale universalità permane, tuttavia, dal punto di vista del valore e del suo significato primo ed ultimo. La lingua rimane nella sua capacità di comunicare con Dio e di comunicare la realtà di Dio, anche se non più in modo assoluto e totale.
Nelle lingue dobbiamo distinguere due aspetti: uno più superficiale, come semplice univocità materiale a livello di suono, uno più profondo come realtà essenziale dell'uomo, ad immagine di Dio. Se dal primo punto di vista ci riconosciamo diversi e non possiamo intenderci, dall'altro la lingua o parola è ciò che universalmente ci unisce e ci lega, ci caratterizza come figli dell'unico Dio, aventi l'unica Parola, dono dell'unico Verbo. Tutte le lingue, se pur formalmente diverse, possono esprimere la Verità che è Dio, in quanto la parola è pur sempre il dono di Dio ed è data per accedere alla Sua vita e per comunicare la Sua vita. E' inganno diabolico considerare la lingua come semplice frutto o creazione dell'uomo. Che senso ha affermare che dapprima esiste l'uomo senza parola e che la lingua è da esso creata, in modo del tutto convenzionale ed arbitrario? Dal punto di vista storico non è affatto verificabile che sia l'uomo a creare la parola, viceversa da tutti è sperimentato che noi siamo continuamente creati dalla parola, ovvero il nostro essere è il risultato del nostro rapporto con la parola, che ci viene data dalla madre prima, dalla famiglia e dalla società poi. Noi siamo quel che la parola continuamente ci crea. Vi è una priorità della parola che, seppur legata all'altro uomo, è dono esclusivo di Dio. Così non si può dire che prima sia l'uomo e poi la sua parola, ma che Dio crea l'uomo come parola.
Che tale lingua sia, originariamente, molto semplice dal punto di vista formale, è del tutto comprensibile, in quanto l'uomo ha la possibilità di una crescita nella parola. Il linguaggio individuale col tempo si è mescolato, confuso, uniformato con altri linguaggi individuali, così da produrre le attuali lingue. E' fuori discussione che non è mai esistito nel tempo un uomo senza parola, se non nell'accezione materiale del termine. Se spostiamo il discorso sul piano della nostra  storia individuale, non si può dire che il bambino appena nato non possiede la parola. Egli non possiede la forma adulta della parola, ma ha già in sé la Parola che lo fonda in Dio e lo mette in rapporto con Dio. Il neonato non possiede la ricchezza e la complessità formale della parola adulta, ma già manifesta, al suo primo apparire, gli aspetti più tipicamente essenziali della parola: il pianto e il riso. Col pianto annuncia il suo dolore per l'ingresso nella vita, perché reso cosciente del passaggio dall'essenza all'esistenza, dalla vita in Eden alla vita fuori Eden. Col sorriso manifesta la sua gioia di figlio di Dio. "Ride con gli angeli", recita la sapienza popolare: è qualcosa di più di una semplice battuta di spirito, è autentica intuizione di una coscienza non ancora devastata dal peccato come quella dell'adulto. L'uomo riesce soltanto a dare interpretazioni psicologiche o fisiologiche del pianto e del riso del neonato, ridicolizzando qualsiasi spiegazione di tipo spirituale. Una realtà spirituale può esprimersi in concomitanza con una realtà di tipo psicofisico: in ogni caso la prima rende ragione della seconda e non viceversa.  Se vi è trauma sul piano materiale è perché c'è trauma sul piano spirituale, se c'è soddisfazione materiale ( vedi riso dopo la poppata ) è perché c'è gioia spirituale.
Povero uomo che nella tua vita vedi soltanto un folle gioco di atomi e molecole, incapace di cogliere in esso il senso eterno del tuo essere in Dio e per Dio! Così anche il tuo primo pianto è diventato per te qualcosa di logico, mentre esso è quanto di più illogico, ovvero contrario al Logos che si possa immaginare!
Nell'Inferno sarà pianto e stridore di denti in eterno, ma tu non puoi capire un pianto che non abbia cause materiali, e così vivi da incosciente fino alla tragedia finale! Quale sofferenza più grande che perdere la Parola, mentre dalla Parola e per la Parola siamo stati creati? Se nell'Inferno sarà solo il pianto, nella gloria del Padre il riso beato ci darà di cantare in eterno le lodi di Dio, con la voce dell'unico Verbo. Ogni lingua, seppur formalmente povera, è data per esprimere il nostro rapporto con Dio. La parola può perdere o acquisire qualcosa soltanto nella sua dimensione orizzontale, nel rapporto fra le diverse lingue; in rapporto a Dio il suo significato e il suo valore permangono immutati, in quanto ogni parola è data innanzitutto per esaltare la grandezza del Signore. All'interno di una stessa lingua l'analisi semantica offre una varietà e complessità di significati spirituali, inconsciamente creati dall'uomo, più  propriamente donati da Dio, la cui ricchezza e bellezza non è mai del tutto compresa. La parola è e sarà per sempre il dono di Dio, che ci crea e ci fonda continuamente come uomini.
La ricchezza e la povertà spirituale di una persona sono nel suo rapporto con la Parola. Vero è che l'aspetto formale della parola cela un terribile inganno: la possibilità di un pensiero progredito ed evoluto soltanto nella sua dimensione orizzontale, in rapporto al creato ed alle creature , e non in rapporto al suo fondamento e al suo fine.

 

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