cap. 2 , 1-14


Cap. 2
Dal testo ebraico traduzione letterale
E futuro completati i cieli e la terra e ogni loro schiera.2 E portò a termine Dio nel settimo giorno il lavoro che lui fece, e cessò nel giorno settimo da ogni suo  lavoro. 3 E benedisse Dio il giorno settimo e santificò esso, perché in esso cessò da ogni suo lavoro  che creò Dio per fare. 4 Queste le origini dei cieli e la terra nel loro essere creati. Il giorno in cui fece Javè Dio terra e cieli, 5 nessun cespuglio di campo  era ancora sulla terra e nessuna erba del campo  ancora germogliava, perché  non fece piovere Javè  Dio sulla terra e uomo non c'era per lavorare il suolo 6 e umido saliva dalla terra e irrigò tutta la faccia del suolo. 7  Formò Javè Dio l’uomo con polvere dal suolo e  soffiò nelle sue narici un soffio di vita, e divenne l’uomo anima viva. 8 E piantò Javè Dio un giardino in Eden, a oriente, e pose là l'uomo che formò .9 E fece germogliare Javè Dio dal suolo ogni albero desiderabile per la vista e buono per cibo, e l’albero del la vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza di bene e male. 10 Un fiume era uscente da Eden per irrigare il giardino e da là si divideva e diventava quattro corsi. 11 Il nome di uno era Pison : esso è quello che circonda tutta la terra di Avila, dove c'è l'oro, 12 e l’oro di quella terra  è buono. Là c'è il bidelio e la pietra di onice. 13 Il nome del secondo fiume  è Ghicon: esso è quello che circonda tutta la terra di Etiopia. 14 Il nome del terzo fiume  è Tigri:  esso è quello che va a oriente di Assur . E il quarto fiume  è l’Eufrate . 15 E prese Javè Dio l'uomo e lo pose  nel giardino di Eden , perché lo lavorasse e lo custodisse. 16 E ordinò Javè Dio all'uomo dicendo: "Da ogni albero del giardino mangerai, 17 ma dall’ albero della conoscenza di bene e male non mangerai da esso, perché nel giorno in cui mangerai da esso, morirai. 18 E disse Javè Dio: “ Non è bene che l'uomo sia solo: farò per lui un aiuto che sia come di fronte a lui”. 19 E formò  Javè Dio dal suolo ogni vivente del campo e ogni volatile dei cieli e li fece andar all'uomo per vedere cosa chiamasse ognuno e in ogni modo che l'uomo chiamasse   anima viva, quello era il suo nome. 20 E diede l'uomo nomi a ogni bestia e a volatile dei cieli e a ogni vivente del campo. E l’uomo non trovò aiuto come di fronte a lui. 21 E fece cadere Javè Dio torpore sull’uomo e si addormentò, e prese una delle sue costole  e chiuse la carne al posto di essa. 22 E  costruì Javè Dio la costola che prese dall'uomo come donna, e fece andare lei all’uomo. 23 E disse l'uomo: "Questa stavolta è osso da mie ossa   e carne da mia carne. Questa sarà chiamata donna, perché da uomo fu presa”. 24 Perciò lascerà uomo suo padre  e sua madre  e si unirà alla sua  donna, e saranno come carne unica. 25 E furono loro due nudi, l'uomo e sua moglie e non si vergognavano.



Versione dei Settanta
E furono compiuti il cielo e la terra e tutto il loro ornamento. 2 E compì  Dio nel giorno sesto le sue opere , che aveva fatto, e si riposò nel giorno settimo da tutte le sue opere , che aveva fatto. 3 E benedisse Dio il giorno settimo e lo santificò, poiché in esso si era riposato da tutte le sue opere, a cui Dio aveva dato principio. 4 Questo il libro della genesi del cielo e della terra da quando furono, nel giorno in cui fece Dio il cielo e la terra 5 e tutto il verde del campo prima che ce ne fosse sulla terra e tutta l’erba del campo prima che spuntasse; poiché non aveva ancora fatto piovere Dio sulla terra e non c’era l’uomo a lavorare la terra, 6 ma una sorgente saliva dalla terra e irrigava tutta la faccia della terra. 7 E plasmò Dio l’uomo, polvere dalla terra, e insufflò sul suo volto un soffio di vita, e divenne l’uomo anima vivente. 8 E piantò il Signore Dio un giardino in Eden  a oriente e pose colà l’uomo che aveva plasmato. 9 E fece anche sorgere Dio dalla terra ogni albero bello per la vista e buono per il nutrimento e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero per apprendere ciò che è conoscibile del bene e del male. 10 Un fiume poi procede dall’ Eden per irrigare il giardino: di là si spartisce in quattro capi. 11 nome del primo ; Phison: è questo che circonda tutta la terra di Evilat, là dov’è l’oro, 12 e l’oro di quella terra, bello. E là c’è il carbonchio e la pietra verde. 13 E il nome del secondo fiume, Gheon: è questo che circonda tutta la terra di Etiopia. 14 e il terzo fiume, Tigri: è questo che scorre davanti agli Assiri. Il quarto fiume poi, questo è l’Eufrate. 15 E prese il Signore Dio l’uomo che aveva plasmato e lo pose nel giardino a lavorarlo e custodirlo. 16 E comandò il Signore Dio ad Adamo dicendo: “Da ogni albero che è nel giardino tu potrai di certo mangiare, 17 ma dell’albero del conoscere bene e male, non ne mangerete; altrimenti, nel giorno in cui ne mangiaste, di certo morirete”. 18 E disse il Signore Dio: “Non è bello che sia l’uomo da solo; facciamogli un aiuto adatto a lui”. 19 E plasmò Dio ancora dalla terra tutte le fiere del campo e tutti i volatili del cielo e li condusse da Adamo per vedere come li avrebbe chiamati. E ogni nome con cui Adamo avrebbe chiamato ogni animale vivente, questo il suo nome. 20 E diede nome Adamo a tutto il bestiame e tutti i volatili del cielo e tutte le fiere del campo, ma per Adamo non fu trovato un aiuto simile a lui. 21 E gettò Dio un’estasi su Adamo, e si addormentò. E prese una delle sue costole e ripristinò la carne al posto di essa. 22 E costruì il Signore Dio, la costola che aveva preso da Adamo facendone una donna, e la condusse da Adamo. 23 E disse Adamo : “Questo sì, osso delle mia ossa e carne della mia carne: essa sarà chiamata donna, perché dal suo uomo è stata tratta, lei”. 24 Per questo abbandonerà l’uomo suo padre e sua madre e aderirà alla sua sposa  e saranno i due una carne sola. 25 Ed erano i due nudi, sia Adamo che la sua sposa, e non se ne vergognavano.


Dalla Vulgata
Igitur perfecti sunt caeli et terra et omnis ornatus eorum
Pertanto furono portati a compimento i cieli e la terra e ogni loro ornamento
2 conplevitque Deus die septimo opus suum quod fecerat
e portò al culmine Dio nel settimo giorno la sua opera che aveva fatto
et requievit die septimo ab universo opere quod patrarat
e riposò il settimo giorno da tutta l'opera che aveva compiuto
3 et benedixit diei septimo et sanctificavit illum
e benedisse il settimo giorno e santificò quello,
quia in ipso cessaverat ab omni opere suo quod creavit Deus ut faceret
poiché nello stesso aveva cessato da ogni opera sua che creò Dio per fare.
4 istae generationes caeli et terrae quando creatae sunt
Queste le generazioni del cielo e della terra allorché furono create,
in die quo fecit Dominus Deus caelum et terram 5 et  omne virgultum agri
il giorno in cui fece il Signore Dio il cielo e la terra e ogni cespuglio del campo
antequam oreretur in terra omnemque herbam regionis priusquam germinaret
prima che nascesse sulla terra e prima che facesse germinare ogni erba della regione
non enim pluerat Dominus Seus super terram et homo non erat
Infatti non aveva fatto piovere il Signore Dio sopra la terra e uomo non c'era
qui operaretur terram 6 sed fons ascendebat e terra
che lavorasse la terra, ma una fonte saliva dalla terra
inrigans universam superficiem terrae
irrigando tutta la superficie della terra.
7 formavit igitur Dominus Deus hominem de limo terrae et inspiravit in faciem eius
Formò pertanto il Signore Dio l'uomo dal limo della terra e inspirò sul suo volto
spiraculum vitae et factus est homo in animam viventem
uno spiraglio di vita e fu fatto l'uomo in un'anima vivente.
8 plantaverat autem Dominus Deus paradisum voluptatis a principio
Ma aveva piantato il Signore Dio un giardino di piacere dal principio;
in quo posuit hominem quem formaverat
in esso pose l'uomo che aveva formato.
9 produxitque Dominus Deus de humo omne lignum pulchrum visu
E produsse il Signore Dio dal terreno ogni legno bello d'aspetto
et ad vescendum suave
e soave a mangiarsi.
lignum etiam vitae in medio paradisi 
Anche il legno della vita nel mezzo del giardino
lignumque scientiae boni et mali
e il legno della conoscenza del bene e del male.
10 et fluvius egrediebatur de loco voluptatis ad inrigandum paradisum
E un fiume usciva dal luogo del piacere per irrigare il giardino.
qui inde dividitur in quattuor capita  nomen uni Phison
Quello da qui si divide in quattro capi. 11 Il primo ha nome Pison:
ipse est qui circuit omnem terram Evilat ubi nascitur aurum
è proprio quello che scorre intorno a tutta la terra di Evilat, dove nasce l'oro
12 et aurum terrae illius optimum est ibique invenitur bdelium et lapis onychinus
e l'oro di quella terra è il migliore e qui si trova il bidelio e la pietra d'onice.
13 et nomen fluvio secundo Geon ipse est qui circuit omnem
Il secondo fiume ha nome Geon: è proprio quello che scorre intorno a tutta
terram Aethiopiae 14 nomen vero fluminis tertii Tigris
la terra d'Etiopia. Invero il nome del terzo fiume è Tigri:
ipse vadit contra Assyrios
è quello che scorre di fronte agli Assiri.
fluvius autem quartus ipse est Eufrates
E il quarto fiume è l'Eufrate stesso.
15 tulit ergo Dominus Deus hominem et posuit eum in paradiso voluptatis
Portò dunque il Signore Dio l'uomo e lo pose nel giardino del piacere,
ut operaretur et custodiret illum 16 praecepitque ei dicens
perché operasse e custodisse quello e gli comandò dicendo:
ex omni ligno paradisi comede
Da ogni legno del giardino mangia,
17 de ligno autem scientiae boni et mali ne comedas
ma dal legno della conoscenza del bene e del male non mangiare.
in quocumque enim die comederis ex eo morte morieris
Infatti in qualunque giorno mangerai, da quello morirai di morte.
dixit quoque Dominus Deus
18 Disse anche il Signore Dio:
non est bonum esse hominem solum faciamus ei adiutorium similem sui
Non è bene che sia l'uomo solo, facciamogli un aiuto simile a lui
19 formatis igitur Dominus Deus de humo cunctis animantibus terrae et universis
Formati pertanto il Signore Dio dal terreno tutti gli animali della terra e tutti
volatilibus caeli adduxit ad Adam ut videret quid vocaret ea
i volatili del cielo, li condusse ad Adamo per vedere che cosa chiamasse quelli:
omne enim quod vocavit Adam animae viventis ipsum est nomen eius
ogni cosa infatti che chiamò Adamo di anima vivente, quello è il suo nome.
20 appellavitque Adam nominibus suis cuncta animantia et universa volatilia caeli
E chiamò Adamo con nomi suoi tutti gli animali e tutti i volatili del cielo
et omnes bestias terrae
e tutte le bestie della terra.
Adam vero non inveniebatur adiutor similis eius
In verità non veniva trovato da Adamo un aiuto simile a lui.
21 inmisit ergo Dominus Deus soporem in Adam cumque obdormivisset
Immise dunque il Signore Dio un sonno in Adamo ed essendosi addormentato 
tulit unam de costis eius et replevit carnem pro ea
portò una sola delle sue costole e riempì la carne al posto di essa
22 et aedificavit Dominus Deus costam quam tulerat de Adam in mulierem
ed edificò il Signore Dio la costola che aveva portato da Adamo in donna
et adduxit eam ad Adam 23 dixitque Adam
e la condusse ad Adamo. E disse Adamo:
hoc nunc os ex ossibus meis et caro de carne mea
Questo ora osso dalle mie ossa e carne dalla mia carne.
haec vocabitur virago quoniam de viro sumpta est
Questa sarà chiamata uoma, perché dall'uomo è stata tratta.
24 quam ob rem relinquet homo patrem suum et matrem et adherebit uxori suae
Per questa ragione lascerà l'uomo il padre suo e la madre e si unirà alla sua donna
et erunt duo in carne una
e saranno due in una sola carne.
25 erant autem uterque nudi Adam scilicet et uxor eius et non erubescebant
Ma erano entrambi nudi, s'intende Adamo e sua moglie e non arrossivano.

Cap. 2,1-14

"Pertanto furono portati a compimento i cieli e la terra e ogni loro ornamento 2 e portò al culmine Dio nel settimo giorno la sua opera che aveva fatto e riposò il settimo giorno da tutta l'opera che aveva compiuto 3 e benedisse il settimo giorno e santificò quello, poiché nello stesso aveva cessato da ogni opera sua che creò Dio per fare".

Il settimo giorno vede la fine della creazione: esso è giorno di riposo, perché Dio riposò il settimo giorno. Cosa significa che Dio riposò, se non che ebbe fine l'attività creatrice della sua Parola, ovvero del suo Figlio? Vi è una parola manifesta che, esprimendosi, crea ciò che è nuovo, ma vi è anche una Parola che è semplice riflesso del Pensiero. Chiusa nell'interiorità di Dio, Essa non opera nel Pensiero divino, ma contempla nel Padre la fonte del proprio Essere attraverso lo Spirito generante. Vi è una dimensione attiva della Parola e una dimensione passiva, una dimensione creativa e una contemplativa. La dimensione creativa è l'essere che esce fuori da se stesso, la dimensione contemplativa è la perfezione dell'Essere in sé e per sé. Come il Padre contempla se stesso nel Figlio, attraverso lo Spirito Santo, così il Figlio vede la propria gloria nel Padre, attraverso lo stesso Spirito.
La Parola di Dio dapprima contempla se stessa nel Padre e, soltanto in questa contemplazione, opera sulla materia prima e crea tutte le cose. Non esiste creazione da parte del Logos che non sia nel Padre e per il Padre, conforma alla volontà del Padre. L'immagine del Verbo che dapprima crea le cose per giungere, alla fine, alla dimensione contemplativa del Padre, vuol stabilire una analogia e una qualche somiglianza con l'esperienza dell'uomo creato dal nulla, il quale non passa dalla conoscenza di Dio a quella del creato, ma dalla conoscenza del creato a quella di Dio. Si tratta invero di una somiglianza "creata", per dare un fondamento divino al riposo del settimo giorno. L'uomo, prima di giungere alla contemplazione, è essere operativo e creativo.
Abbiamo messo in evidenza come la creatività sia legata, condizionata, resa possibile dalla Parola, sia in Dio, sia nell'uomo, in quanto essere a Sua immagine e somiglianza. Abbiamo detto che solo il Padre crea dal nulla, nell'eternità, ma pone tutta la materia pura o acqua nelle mani del Figlio, perché imprima in essa una forma. Quest'opera del Figlio non è data una volta per sempre, ma si rinnova continuamente nel divenire del mondo e nel suo continuo sussistere. Perché mai allora la Scrittura ci dice che Dio cessò di operare?
Dobbiamo precisare che la creazione è un fatto già compiuto dal punto di vista del progetto, ma, d'altro lato, è sempre in atto, per l'eterna presenza di Dio. Non è che Dio crei il mondo e poi l'abbandoni a se stesso, ma è sempre ad esso presente, come suo fondamento e suo fine. Senza questa perenne attività creatrice di Dio, il mondo non potrebbe sussistere.
Il divenire del creato altro non è che l'eterna presenza in esso del suo Creatore, ovvero del Verbo, che non può rinnegare l'idea originaria, ma che, nello stesso tempo, fa continuamente nuove tutte le cose. Il Padre sostiene, ovvero dà fondamento all'opera del Figlio sull'universo. Senza questa perenne attività fondante del Padre e rinnovante del Figlio, il mondo non potrebbe sussistere.
In questo senso il Padre e il Figlio non hanno mai cessato di operare.
La Sacra Scrittura ci offre l'immagine della Parola che cessa di operare, per dare particolare risalto alla dimensione contemplativa. Si tratta, ovviamente, di un paradosso, il quale ben sottolinea la natura e il  valore essenziali della contemplazione non come un ritrovato od  espediente umano, ma  come una realtà strutturale di una creatura rapportata ad un Creatore, secondo la Sua immagine e somiglianza.
Noi non possiamo attingere all'eternità di Dio, se non attraverso le vie della contemplazione. Mentre i primi sei giorni hanno un inizio e una fine , il settimo giorno è l'eterno giorno di Dio, ovvero l'eterno rapporto d'amore che lega il Padre al Figlio e il Figlio al Padre.
Mentre creare significa per il Figlio operare secondo la volontà del Padre, contemplare significa amare e volere il proprio Essere come generato dalla volontà del Padre. Il Figlio ama la propria vita e vuole la propria vita, perché ama e vuole la volontà del Padre. La vita va, innanzitutto, compresa ed amata nel suo fondamento e nel suo fine. Se il Figlio stesso, coeterno al Padre e della Sua stessa natura, trova la sua gioia e la sua felicità nel contemplare perennemente la propria fonte generante, quanto più l'uomo dovrà continuamente attingere alla fonte della propria vita!
Ma come può l'uomo attingere a Dio, se non attraverso la Parola, ovvero ciò che unicamente ed esclusivamente ci fa simili a Lui? E' nella Parola, con la Parola e per la Parola il senso della contemplazione. Essa è, innanzitutto, rendimento di lode per l'essere che ci è stato dato ed ascolto della volontà di Dio: è la passività filiale del nostro essere davanti al Padre, è riconoscimento ed accettazione di un potere che Dio vuole avere su di noi e per noi.
La domenica è il giorno del Signore per eccellenza, poiché in esso, soprattutto, noi apriamo il nostro cuore a Dio, dopo aver liberato la mente da tutta quella distrazione che è legata all'operare.
Ma qual è il giusto rapporto lavoro-preghiera? L'opinione comunemente diffusa tra i cristiani, secondo la quale il lavoro è già preghiera, trova in Genesi una radicale smentita e condanna. Pregare non è lavorare: è, innanzitutto, cessare di lavorare. Il Figlio stesso non può ritornare all'eterna contemplazione del Padre, se non rompendo, per paradosso, ogni rapporto con la sua attività creatrice. In realtà Egli è sempre compresente al creato e compresente al Padre.
Quanto detto ha senso solo per noi, per la nostra edificazione, perché ritroviamo il senso vero della preghiera, che, innanzitutto è cessare da ogni opera.
Adamo non può essere compresente a Dio e al creato, dal momento che non possiede ancora una vista spirituale, che renda possibile vedere il creato nella visione di Dio. Il suo pensiero oscilla tra un rapporto conoscitivo e creativo con la natura ed un rapporto contemplativo con la Parola che gli dà la vita. Poiché Adamo non vede ancora Dio, gli è impossibile una conoscenza dell'universo con gli occhi di Dio. Egli non conosce il creato in Dio e per Dio, ma conosce, dapprima, Dio nel creato e per il creato. La conoscenza di Dio in sé e per sé esige ogni rottura con qualsiasi altra conoscenza ed esperienza. Soltanto nella restaurazione finale di tutte le cose saremo perennemente compresenti a Dio e al creato: presenti a Dio nell'eterna visione di Dio, presenti al creato in virtù di un'anima razionale che, rivestita dello Spirito Santo, vede non Dio nelle cose, ma le cose con gli occhi di Dio, nell'eterna visione di Dio. Come sia possibile una conoscenza del creato contemporaneamente ad una conoscenza di Dio è, per noi, incomprensibile, per la semplice ragione che la nostra anima si rapporta o al creato o al Creatore, e non, sia al creato sia al Creatore. Per noi è di vitale importanza comprendere che, già originariamente, siamo posti di fronte ad una scelta di valore: se dare più tempo a Dio o alle cose. Si dà più tempo a ciò che si ritiene più importante e, in questo, è tutta la responsabilità della nostra vita. Vi è una Parola di Dio che, dapprima, avvertiamo e conosciamo in maniera vaga e confusa, ma che viene via via imprimendosi nella nostra mente, fino ad apparire il fondamento stesso della nostra vita. La nostra esistenza è un susseguirsi di rotture e di riprese del suo filo conduttore. Certamente Dio ci lascia liberi, ma più abbandoniamo questo filo conduttore, più corriamo il rischio di non saperlo poi ritrovare, più lo teniamo stretto in continuità, più siamo sicuri di essere nell'amore del Padre, perché esso conduce solo al Padre. O si vive in rapporto al creato, o si vive in rapporto a Dio, o si cresce in rapporto alle cose o si cresce in rapporto al Creatore. Tale era la condizione di Adamo, tale è la nostra condizione. O si lavora e ci si disperde in rapporto al mondo e alla sua molteplicità di aspetti, o si prega e si vive col pensiero all'unico Dio.
Tipica del rapporto con il creato è la distrazione, tipica del rapporto col Signore è la contemplazione. Non è forse la distrazione che ci impedisce la preghiera? A che cosa è dovuta l'inerzia e la fatica che avvertiamo nel passare col pensiero dal creato al Creatore? Non è forse il tempo eccessivo che viene concesso alla distrazione? Eliminare l'antitesi preghiera-lavoro, significa proiettare l'uomo in una perfezione che è propria della restaurazione finale di tutte le cose.
Chi non vive questa tensione, non ha compreso il significato e l'importanza della preghiera. Il Signore non ci ha dato nessuna legge, nessuna regola, la quale ci dica quanto tempo dobbiamo dedicare alla preghiera, quanto alle cose. Nessuno può mai dire di avere pregato abbastanza: c'è un cammino da percorrere, non una regola da rispettare. Ci è detto che dobbiamo amare il Signore con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le forze.
Ma la sintesi, ovvero l'espressione ultima e più grande di questa nostra totalità in rapporto a Dio non è forse la preghiera? Nella preghiera è tutto il nostro cuore, tutto il nostro essere, tutta la nostra potenza. Diventare uomini perfetti in Cristo significa percorrere lo stesso cammino di obbedienza del Logos creatore, per approdare, al settimo giorno, all'eterno riposo del Padre, nell'eterna contemplazione del suo volto.
E' nota "l'eterna" polemica fra sostenitori della vita attiva e sostenitori della vita contemplativa. Qualcuno ha tentato una mediazione... Il problema è mal posto. Le nostre azioni sono buone e conformi alla volontà di Dio, soltanto nella misura in cui ci portano alla preghiera e facilitano il nostro andare con la mente al Signore. Non si tratta di farne una regola per tutti. Ognuno ha una sua storia e un cammino da percorrere. Certamente chi ha un'esperienza di fede deve continuamente mettere in discussione il tempo trascorso a...
E' il Signore che fa capire. Marta non stava facendo un'opera cattiva, ma Gesù, in quel momento, le chiedeva di maturare nel Suo amore, di fare un passo avanti nella fede. "Maria ha scelto la parte buona", afferma Gesù, non la migliore come si traduce erroneamente.
Il Signore non vuole fare un confronto di valore tra un più e un meno, ma far risaltare ciò che è risposta appropriata ed adeguata al Suo amore e ciò che non lo è. L'operare è buono nella misura in cui ci porta all'ascolto. Ma che dire di esso quando ci distoglie dall'ascolto?
E' qui il vaglio di tutto ciò che facciamo. Non si tratta dell'importanza, della validità, di ciò che facciamo. L'operare non si giustifica se non in virtù dell'ascolto e per l'ascolto. Bisogna rompere anche con le opere più buone e più sante, quando ci distolgono da Dio. Che cosa c'era di più buono e di più santo per Marta che onorare, con il suo servizio, la presenza del Signore? Eppure il Signore disapprova. "Una sola cosa è necessaria". E' questo "unum necessarium" che tutto giustifica e tutto condanna. Quante persone consacrate al Signore si sono smarrite nel loro rapporto col Padre, perché troppo occupate in attività così giuste, così sante! Con tutti i problemi della vita, con tante persone povere, ammalate, bisognose di tutto...! Dove trovare il tempo per la preghiera?
In talune circostanze la preghiera appare, addirittura, una colpa, un lusso, una forma di pigrizia. Povero uomo! Satana ti darà mille pretesti e tutti buoni per non pregare. Certamente le opere di misericordia avvicinano il cuore a Dio, perché comportano il rinnegamento di ciò che piace alla carne e al sangue, ci rendono compartecipi della sofferenza altrui, ma non per questo sono immuni dall'inganno del Satana, il quale si riveste di angelo di luce per distogliere l'uomo dall'ascolto del Signore. Ma se le stesse opere buone ci possono allontanare dalla preghiera, che cosa dire delle occupazioni ordinarie della vita?
"Siate sobri, per attendere alla preghiera", scrive Pietro ai fratelli. In verità la tentazione è sempre quella di essere sobri nella preghiera, per sovrabbondare nel lavoro. Dobbiamo lavorare soltanto per soddisfare le necessità vitali, per procurarci il minimo indispensabile per vivere. Il discorso non si ferma al tempo che dedichiamo alle occupazioni, ma anche a quello che dedichiamo alle persone. Neppure il rapporto con la moglie e con la famiglia può sottrarsi a questa necessaria sobrietà.      Quanto tempo speso invano in viaggi, incontri, pranzi, villeggiature! Quale vuoto di Dio lasciano nel nostro cuore tutte queste cose!
I cristiani dei primi secoli, la vigilia della domenica, si sottraevano a qualsiasi rapporto con la moglie, per essere interamente dediti alla preghiera ed alla lode del Signore.   E' un'esagerazione? No, è intelligenza piena e consapevole di ciò che è essenziale per la vita, perché, alla fine, tutto ci sarà tolto e noi tutti vivremo il settimo giorno della creazione o nell'eterna lode del Padre o nell'eterno pianto e stridore di denti.
L'amore che portiamo a una persona cresce in relazione al tempo che le dedichiamo. Chi di noi, di fronte alla persona che ama, si accontenterebbe di poche parole, dette male e in fretta, per lo più col cuore appesantito da altre faccende? Perché mai dovrebbe essere diversamente con Dio?
Se tutti i giorni della creazione sono benedetti dal Padre, soltanto del settimo è detto che Dio "lo benedisse e lo santificò". La domenica è santa e santificante nello stesso tempo. Entriamo con viva gioia nell'eterno giorno del Signore, nell'eterna lode del Suo amore.

4 "Queste le generazioni del cielo e della terra, allorché furono create, il giorno in cui fece il Signore Dio il cielo e la terra 5 e ogni cespuglio del campo prima che nascesse sulla terra e prima che facesse germinare ogni erba del campo. Infatti non aveva fatto piovere il Signore Dio sopra la terra e uomo non c'era che lavorasse la terra, 6 ma una fonte saliva dalla terra, irrigando tutta la superficie della terra".

Balzano subito evidenti le differenze fra questo secondo racconto ed il primo. Mentre nel primo la creazione è rigorosamente divisa in giorni, secondo una logica di crescente complessità dell'essere creato, che dalla materia inorganica tende all'uomo, come al suo naturale completamento, ovvero all'uomo come  vertice e fine della creazione, qui l'interesse è subito accentrato sull'uomo come destinatario esclusivo della creazione, ovvero come colui per il quale unicamente fu creato l'universo. Nella creazione vi è una priorità cronologica degli esseri viventi inferiori rispetto all'uomo, in quanto il semplice è fatto per il complesso, ma vi è anche una priorità dell'uomo rispetto a questi esseri, che si colloca sul piano del valore. Il primo racconto dà particolare risalto ad una creazione fatta per l'uomo, il secondo racconto vede, innanzitutto, l'uomo in rapporto al suo Creatore. E' scritto che nessuna erba o cespuglio era ancora spuntato dalla terra, perché Dio non aveva ancora fatto piovere; d'altra parte non vi era ancora alcun uomo che lavorasse la terra.
Perché mai si dice che Dio non aveva ancora fatto piovere e che non esisteva ancora l'opera dell'uomo, se non per farci comprendere che l'origine della vita non è legata ad agenti naturali come la pioggia, né tantomeno viene dalla mano dell'uomo? La pioggia favorisce lo sviluppo della vita, ma non ne è la causa prima; parimenti l'uomo coltiva la terra, ovvero custodisce, asseconda, aiuta lo sviluppo delle piante, ma non è loro creatore.

"ma una fonte saliva dalla terra, irrigando tutta la superficie della terra".

Chi è mai questa fonte le cui scaturigini sono per noi inaccessibili, se non il Figlio, fonte perenne d'acqua viva, che dà la vita a tutto il creato? Prima ancora della presenza dell'uomo, la terra vede la presenza del Figlio come acqua, ovvero come principio, realtà che rende plasmabile la terra. Non si può dare forma alla terra, senza l'acqua. E' solo in virtù dell'acqua che si può dar forma e vita ad ogni essere. Il Padre non può e non vuole creare e dare la vita , se non con il Figlio, in virtù del Figlio. L'opera prima di quest'acqua, che sale dalla terra, è quella di irrigare la terra medesima, in modo da trasformarla da "arida" ( terra asciutta, informe, senza vita ) in limo, ovvero terra bagnata pronta per la creazione della vita.
Ed è proprio da questo limo e con questo limo che il Signore Dio forma l'uomo. Che cos'è propriamente il limo? Unità di terra ed acqua, o meglio terra informe creata dal Padre, resa malleabile, plasmabile dalla presenza pervadente del Figlio.
Il Padre crea l'uomo come materia informe, il Figlio gli dà una forma, lo Spirito Santo l'immette nella vita; tutto questo è opera dell'Unico Dio. E' Dio che crea, è Dio che forma, è lo stesso unico Dio che soffia sul volto dell'uomo uno spiraglio di vita. L'opera del Dio Trino è l'opera dell'unico Dio.

7 "Formò pertanto il Signore Dio l'uomo dal limo della terra e inspirò sul suo volto uno spiraglio di vita e fu fatto l'uomo in un'anima vivente":

Nel primo racconto l'atto creativo si identifica, tout court, con l'atto della Parola, anche per quel che riguarda l'uomo. Qui, invece, lo stesso è scandito con una successione di verbi: formavit, inspiravit, factus est ( formò, inspirò, fu fatto ).      
Nel primo testo, Dio crea un uomo a Sua immagine e somiglianza ed è proprio in virtù di questa somiglianza che può vivere in Dio, davanti a Dio, conforme alla volontà di Dio. Ora, invece, non si pone affatto l'accento sull'uomo creato ad immagine di Dio, ma, quasi per liberarci dalla tentazione di rendergli il contraccambio, si insiste sulla natura fondata dell'uomo.
L'uomo è, all'origine, semplice terra arida o polvere e riceve una forma in virtù del Figlio e la vita in virtù dello Spirito Santo. D'altra parte viene pure sottolineata la differenza qualitativa tra una qualsiasi vita e la vita dell'uomo. Mentre tutti gli esseri viventi sono semplicemente creati dal limo, solo dell'uomo è detto che fu plasmato da Dio e che Dio inspirò sul suo volto uno spiraglio di vita.
Diverso è il modo in cui l'uomo fu creato, perché diversa è la sua vita. Come meglio rappresentare  il dono non di una semplice vita, ma della propria vita, se non ricorrendo all'immagine del soffiare sopra? Può Dio soffiare sul volto dell'uomo altro dal proprio Spirito?  No, certamente! Il verbo "inspiravit" ci dice che lo Spirito esce dal profondo dell'Essere divino. Nello stesso tempo, però, questo Spirito non viene soffiato dentro all'uomo, ma sopra il suo volto, perché da Esso abbia il respiro di vita. Sicuramente fondato in Dio, non è ancora saldamente radicato nell'uomo, ma gli sopraggiunge dal di fuori, perché lo faccia proprio, fino al momento in cui scaturirà dal profondo del suo stesso essere. All'inizio la vita non è donata nella sua forma più piena e definitiva: soltanto nel regno dei cieli avremo la pienezza dello Spirito Santo e con ciò sarà tolta ogni possibilità di caduta. In verità non troviamo scritto, in Genesi, "uno spirito di vita", ma "uno spiraglio di vita".
Ma cos'è propriamente uno spiraglio o un soffio di vita? Uno spiraglio è un'apertura che non permette, hic et nunc ( qui ed ora ) un passaggio pieno e totale della vita di Dio, ma è semplicemente un alito della Sua vita, la caparra dello Spirito Santo, quel tanto che è necessario per intraprendere  un cammino di crescita. Dio ha offerto ad Adamo non semplicemente la vita, ma una porta aperta alla Sua vita.

"E fu fatto l'uomo in un'anima vivente",

ovvero in un'anima che vive senza possedere la Vita, pur essendo destinata alla pienezza della Vita. L'uomo non è fatto nel Vivente, bensì in un'anima che, seppur ha  la vita fondata in Dio,  non è necessariamente relazionata a Dio, ma si relaziona a Dio, in modo libero, in virtù di questo "spiraculum vitae", che  indica il viatico da percorrere per giungere alla fonte della Vita. Ma a questo punto i due racconti della creazione si ricongiungono l'uno all'altro in unità di significato. Qual è mai il risultato di questo alito di vita, se non il dono della Parola stessa di Dio?
Mentre nel Nuovo Testamento è il Figlio che è Parola che alita lo Spirito Santo, qui è lo Spirito Santo che alita nell'uomo la Parola che è il Figlio e gli offre con ciò la possibilità di accedere al fondamento e al fine della vita. Noi siamo, innanzitutto, relazionati a Dio tramite una parola che è dono dello Spirito Santo. Ma il possedere la parola non comporta necessariamente il vedere la Parola. La parola che ci viene data è semplicemente una forma della Parola, che ci può guidare dal Suo ascolto alla Sua visione. Come già per gli angeli l'origine della coscienza è in un io fondato nella Parola e liberamente relazionato alla Parola.
E' importante sottolineare che quest'io, all'origine, è un io semplice, ovvero non ancora pienamente strutturato e in grado di vedere Dio. E' il libero rapporto con la Parola che permetterà all'io primordiale di intraprendere un cammino di crescita e di maturazione, che segnerà il passaggio dall'ascolto della Parola alla visione della Parola. E' questo il momento critico per l'uomo, il momento in cui è possibile il peccato e la colpa. Il vedere Dio rappresenta la dimensione eterna, definitiva del nostro essere, dove non esiste più la possibilità della caduta, perché saremo pienamente simili a Lui, nella visione di Lui. Ma prima c'è un cammino da percorrere, un cammino di obbedienza a quella Parola  che ci ha chiamato in vita , per portarci alla Vita. Nella dimensione esistenziale siamo rapportati alla Parola a livello individuale. La responsabilità è nel singolo e il Giudizio per il singolo. Ma l'essere come individuo appartiene all'esistenza ( dopo il peccato ), non all'essenza ( prima del peccato ). L'individualità non è nella semplice somma o accostamento di tanti io diversi l'uno dall'altro, ma bensì nella somma di tanti io divisi l'uno dall'altro, proprio perché divisi da Dio, ovvero dal fondamento e dal fine del loro essere. Noi siamo individui non perché diversi l'uno dall'altro, ma perché divisi l'uno dall'altro e diversamente rapportati a Dio, per le  conseguenze di una nostra scelta.
In Adamo, prima del peccato, eravamo tanti io individuali, consapevoli della nostra identità, non in quanto diversi, ma in quanto uguali, ovvero ugualmente fondati in Dio, nel legame di un'unica anima, nell'obbedienza a una sola Parola.
Ci sembra che sia questo il senso delle parole di Genesi: "E fu fatto l'uomo in un'anima vivente": non fondato in se stesso, ma fondato e relazionato a Dio in virtù di quest'anima, creata dalla Parola e con la Parola e vivificata dallo Spirito Santo.
Dovevamo salire alla visione di Dio legati l'uno all'altro in un'unica grande cordata, in una perfetta sintonia di intenti, che escludeva qualsiasi responsabilità e decisione a livello individuale. La caduta fu la caduta di tutti, né poteva essere altrimenti.
Quest'anima vivente, che tiene legati tutti i singoli io, non è una sorta di coscienza superindividuale, né, tantomeno, una sostanza, ma è, semplicemente, un modo d'essere davanti al Creatore, che non ammette possibilità di divisione alcuna di cuori e di intenti. Ed era la presenza dello Spirito Santo, il soffio santificante della Sua Parola, che ci teneva indissolubilmente legati in un cammino di perfezione, fino al godimento del frutto del legno della vita. All'origine la crescita del singolo non avviene tramite uno sviluppo autonomo delle facoltà e degli attributi dei singoli io.
Seppur siamo diversi, in quanto alla consapevolezza della nostra identità, siamo rivestiti di doni quantitativamente e qualitativamente uguali, in modo che sia possibile un cammino di concrescita omogenea, dove nessuno scavalca l'altro o è scavalcato da un altro. E' il peccato d'origine che crea tante anime diverse, quante sono le coscienze individuali. All'origine eravamo uniti in un'unica anima, in virtù dell'unico Spirito. Ci sembra che in quest'ottica vadano interpretate le parole di S. Paolo: "Il primo uomo Adamo fu fatto in un'anima vivente, l'ultimo Adamo nello Spirito vivificante" ( 1 Cor. 15,45 ).
In Eden siamo stati immessi nella vita, tramite il possesso di un'anima, che era bensì vivificata dal  soffio dello Spirito Santo, ma che non possedeva ancora in sé e per sé la pienezza dello Spirito  Santo. L'obbedienza alla Parola ci avrebbe portato da una vita in un'anima vivente, alla vita nello Spirito vivificante, nell'eterna visione di Dio. Per  poter comprendere il senso di ciò che andiamo scrivendo è necessario spiegare che cosa si deve intendere per "anima". Secondo la mentalità comune, l'anima è quella parte della persona unita al corpo, ma distinta da esso, che sopravvive alla morte corporea. Si tratta di una concezione assai semplicistica, che ha lontane radici nel tempo. Invero l'esperienza quotidiana ci dimostra che non può esistere un'anima senza corpo: l'uno e l'altra sono legati in modo indissolubile, cosicché il corpo non può vivere se non in virtù dell'anima e l'anima non può esistere, se non unita ad un corpo. Si tratta di due aspetti inseparabili della persona: l'uomo è unità di anima e  corpo.
Cosa intendiamo significare allorché diciamo che l'anima sopravvive al corpo? Qual è il fondamento biblico di tale concezione? Va, innanzitutto, precisato che non esiste nella Bibbia l'idea della sopravvivenza dell'anima intesa semplicemente come quella parte dell'uomo che è distinta dal corpo. Il concetto di anima, innanzitutto, viene identificato con quello di animo o spirito dell'uomo, e lo spirito dell'uomo è insanabilmente malvagio e, in quanto tale, destinato a perire.
Non dobbiamo salvare la nostra anima, ma perderla, per riaverla in modo nuovo e diverso. Sono pochi i passi in cui si parla della nostra sopravvivenza alla morte corporale. Viceversa, già nell'Antico Testamento, vi è l'idea della risurrezione della carne; e ciò la dice lunga riguardo alla difficoltà che avevano gli Ebrei a figurarsi una vita senza carne, un'anima senza corpo.
Quando si accenna alla vita dopo la morte il primo referente e il primo punto di riferimento è l'io personale. "Oggi sarai con me in Paradiso". Tu, semplicemente, e non la tua anima. Solo l'io e' destinato a sopravvivere dopo la morte.    Ma cos'è propriamente quest'io?
E' coscienza di sè, in rapporto al fondamento ed al fine della vita. E' quell'io semplice che è all'origine dell'esistenza, consapevole di se stesso solo in relazione al Creatore. Quest'io prende vita allorché siamo concepiti nel grembo materno, dopo essere stati concepiti in Dio: in Eden diventa vita nel momento in cui e' immesso "in animam viventem", dopo essere stato investito dal soffio dello Spirito Santo. Noi siamo consapevoli di noi stessi, innanzitutto perché fondati in Dio e a Lui relazionati. L'io originale è del tutto informe, seppur destinato ad assumere una forma. E' in quest'io e per quest'io il senso primo ed ultimo della nostra vita. Si tratta di una realtà difficilmente esprimibile e non comprensibile, in quanto si pone all'origine dell'esistenza. C'è esperienza dell'io, non conoscenza. Su di esso e in virtù di esso è dispiegato e si dispiega il nostro pensiero. Non l'io è frutto del pensiero, ma il pensiero è frutto dell'io. All'origine l'io è semplice coscienza di sé del tutto informe. Su questa primitiva informità si inseriscono le varie facoltà dell'uomo, in un processo di continuo divenire, che accompagna tutta l'esistenza. La coscienza individuale non va confusa con gli attributi dell’anima che è associata alla coscienza: questi e solo questi si vanno via, via formando ed accrescendo. Di tale io originario non abbiamo ricordo, in quanto la memoria è legata allo sviluppo e alla crescita delle nostre facoltà mentali. Diabolica è la convinzione che non possa esistere un io senza gli attributi dell'io. L'io semplice non è solo all'origine della vita; esso ci accompagna per tutta l'esistenza ed è, a sua volta, accompagnato dalla consapevolezza della sua assoluta identità ed immutabilità. E’ il nostro essere creato non dal nulla, come il corpo e l’anima, ma con lo Spirito e dallo Spirito di Dio. Cos’altro può soffiare Dio nell’uomo, se non un alito del suo stesso Spirito? L'io originale non va confuso con l'anima, che è il risultato di un processo continuo di crescita.
L'io è immutabile, l'anima è mutevole. L'io è un concetto semplice, l'anima è un concetto complesso, ovvero ciò che l'io diviene in rapporto al grembo materno, al Creatore, al creato. Si potrebbe obbiettare che non si può separare, se non astrattamente, l'io originale dall'io inteso come anima, in quanto non esiste, se non all'origine, una coscienza di sè, non legata a un processo di crescita. Noi siamo coscienti di noi stessi in modo sempre diverso, in un continuo divenire. La coscienza del bambino, che non possiede ancora la pienezza della parola, non può essere quella dell'adulto cresciuto nella parola.
Il problema è posto in modo superficiale: vi è un io che permane identico dall'inizio alla fine della vita: è semplice coscienza di sé in quanto fondato in Dio e a Lui relazionato. Vi è un io mutevole ed un io immutabile. Immutabile è l'io creato da Dio, mutevole è il modo in cui l'io si rapporta al Creatore ed alla creazione tutta. Soltanto Dio può scindere l'io da Lui creato, dall'io che si va creando nel tempo.
Nonostante i continui cambiamenti del nostro essere, noi tutti siamo consapevoli dell'assoluta identità del nostro io, e dell'impossibilità di diventare un altro io. A volte si rimane impressionati dai profondi cambiamenti prodotti nella persona dalla vecchiaia, dalla malattia, da traumi cranici: eppure è sempre il medesimo identico io. L'io primordiale o semplice coscienza di sé non solo non va confuso con i suoi attributi, ma neppure con i modi diversi in cui è presente a se stesso. Altra è la coscienza del nostro io da svegli, altra da addormentati. Esistono situazioni limite di una coscienza quasi incosciente, come nello stato di coma: in ogni caso si tratta sempre dell'unica e medesima coscienza. La diversità è sempre formale, non sostanziale. L'io è sostanza ( ciò che sta sotto ) dell'anima, non viceversa: l'anima può cambiare, l'io rimane immutabile, perché fondato nell'immutabilità di Dio.
Se vogliamo adeguarci al linguaggio comune, mutuato dalla mentalità greca e fatto proprio dalla cultura cristiana, secondo cui è l'anima che sopravvive al corpo, dobbiamo però precisare che quest'anima sarà completamente trasformata. Verrà distrutta ogni macchia di peccato e l'anima sarà rivestita di doni spirituali: la sua forma sarà diversa e avremo coscienza della nostra identità solo in relazione all'io originario, che è assolutamente informe.
Le anime dei giusti di cui in Apocalisse, si devono intendere come una realtà nuova, rivestita in modo diverso rispetto a quell'anima che essi avevano sulla terra. Nell'eternità entra soltanto l'io originario o anima primordiale, ovvero quella forma sostanziale, assolutamente semplice, cosciente di essere solo in Dio e per Dio.
Che poi la felicità dell’io semplice sia una felicità bambina, destinata ad accrescersi perché rivestita di un’anima sempre più ricca  di doni divini... Questo è un altro discorso. Ogni tempo ha la sua felicità: più grande è la felicità di chi è cresciuto: non per questo più vera e più appagante. Come l’adulto è pago della felicità adulta, il bambino è pago di una felicità bambina, data e fatta per lui e solo per lui. Non si può logicamente escludere che nel regno dei cieli la nostra felicità sia dapprima assolutamente semplice, perché fondata nel semplice possesso di Dio e che questa felicità si vada via via accrescendo con l’accrescersi dei doni divini, fino alla restaurazione finale di tutte le cose. Ci sembra improbabile che possiamo raggiungere la statura dell’uomo perfetto hic et nunc alla morte, con una trasformazione improvvisa agita da Dio, che ci permetta di scavalcare quel cammino a cui eravamo destinati in Eden. E che cosa pensare di coloro che sono morti nel grembo materno, prima ancora di venire alla luce? Si troveranno cresciuti in Dio, senza neppure essere nati alla vita di questo mondo? Il cammino riprenderà la dove è stato interrotto, ma nel grembo dello Spirito Santo, in un modo a noi sconosciuto, con la sola importante garanzia, che è quella dell’amore di Dio, che ha fatto bene tutte le cose e nulla ha lasciato incompiuto. La chiesa cattolica ipotizza una sorta di purificazione per coloro che non hanno raggiunto la perfezione della santità.  Ed ecco il Purgatorio, come condizione momentanea di pena per i peccati che  devono essere scontati. Ma a parte la considerazione che tutti i peccati sono stati perdonati dal Cristo,  si può collocare una linea di demarcazione fra gli assolutamente perfetti, coloro che sono degni della vita eterna e coloro che non ne sono pienamente degni?  Meglio pensare al Purgatorio come a un secondo Paradiso, non estraneo ad una sorta di rieducazione pacifica e serena del cuore dell’uomo: rieducazione diversa per ogni individuo, come diverso è stato il rapporto che ogni santo ha avuto con Dio. Non si vede perché chi è stato già riscattato dal sangue del Figlio in qualche modo debba essere punito, semmai va rieducato e ricreato, in una sorta di battesimo celeste che è sigillo di eterna appartenenza a Dio.

8 "Ma aveva piantato il Signore Dio un giardino di piacere, dal principio, e in esso pose l'uomo che aveva formato".

Parallelamente alla creazione dell'uomo, Dio crea il suo mondo, ovvero lo spazio vitale in cui egli possa crescere e moltiplicarsi. Dopo essere stato fatto in un'anima vivente, l'uomo viene posto in un giardino di piacere. Sono così definite le modalità di crescita e di sviluppo del suo essere: non da solo ,ma in comunione con tutti gli altri simili; non in uno spazio infinito, ma chiuso in uno spazio limitato. Già all'origine la vita dell'uomo è segnata dal limite; ma si tratta di una situazione transitoria, onde permettere un cammino di crescita, fino al possesso pieno e totale, sia del Creatore, sia del creato. Abbiamo già spiegato come Dio non poteva imporre il Suo essere come vita, ma semplicemente proporre il dono della Sua vita. Dalla bontà delle cose create, Adamo doveva risalire alla bontà del Creatore, fino a gustare liberamente dal frutto del legno della vita.
All'origine Adamo è bambino, non in senso psicofisico, ma in senso spirituale e in quanto tale ha bisogno di essere guidato e illuminato nella sua crescita. Per questo Dio lo chiude in un'anima vivente e in un giardino di piacere, in uno spazio spirituale e in uno spazio materiale. Uno spazio chiuso è, innanzitutto, uno spazio limitato: non c'è espansione del proprio essere, se non fino ad un certo punto; oltre non è possibile andare, se non in virtù di un libero dono e di una libera scelta.
Uno spazio chiuso è anche uno spazio protetto, creato appositamente per favorire un cammino di crescita senza incidenti e senza pericoli. Come conciliare la possibilità di una crescita e di una moltiplicazione all'infinito in uno spazio limitato? Evidentemente il secondo racconto si pone in un'ottica diversa, seppur complementare rispetto al primo. Esso vuol sottolineare come la crescita di Adamo sia costantemente guidata, gestita da Dio, perché l'uomo non diventi adulto in modo sbagliato, non conforme alla volontà del Creatore.
Esaurita la conoscenza del creato, Adamo è costretto ad andare oltre, per ricercare il fondamento ed il fine della vita. C'è un'espansione dell'io verso la propria esteriorità, c'è un'espansione dell'io verso la propria interiorità. Il primo cammino è semplicemente di esplorazione e di conoscenza: è un moto spontaneo, non comporta lo sforzo e la tensione della ricerca. Si esplora ciò che ci è già dato nella sua integrità, si ricerca ciò o Colui che ancora non si possiede e non si conosce pienamente. Crescere in rapporto al creato è certamente più facile che crescere in rapporto al Creatore, ma si tratta pur sempre di una crescita che non può procedere in modo autonomo rispetto alla conoscenza del Creatore. Per questo la crescita di Adamo, sin dall'inizio è tutelata e guidata in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue dimensioni: il fine della vita è uno solo, anche quando essa si espande e si accresce in rapporto alla creazione. Così ogni conoscenza rimanda ad un rapporto di causa ed effetto, inteso non in senso meccanicistico, ma nel senso di una vita che procede da un Datore di vita.

9 "E produsse il Signore Dio dal terreno ogni legno bello d'aspetto e soave a mangiarsi".

Adamo vede germogliare piante belle a vedersi e dolci ad essere mangiate, non in virtù di un moto spontaneo o, tantomeno, di un suo intervento, ma in virtù di quell'acqua, che bagna e permea di sé la terra di Eden. Il giardino di Eden è, innanzitutto, un mondo di esseri che hanno la vita perché ricevono la vita: si ignora, volutamente, ciò che non ha vita.  E' significativo, al riguardo, che in questo secondo racconto gli animali vengano creati dopo l'uomo: non solo perché essi sono fatti per l'uomo e non viceversa, ma anche perché la nascita di un animale appare strettamente collegata ad un individuo della stessa specie:  non appare collegabile all'intervento creativo di Dio in maniera  immediata.
Per questo Adamo riceve gli animali direttamente dalle mani di Dio.  Da chi altro potevano essere stati creati se non da Lui, dal momento che prima non c'erano? In Eden tutta la vita è strettamente collegata ad una fonte di vita e ad un datore di vita. La vita appare così non come un dato , ma come un fatto: è frutto di un'operazione che non dipende dall'uomo. Non può esistere un processo di autofondazione nella vita, bensì si viene continuamente fondati nella vita. E tutto ciò è ben visibile, sperimentabile da noi tutti, sia nella dimensione essenziale ( prima del peccato ), sia in quella esistenziale (dopo il peccato ).

"Anche il legno della vita nel mezzo del giardino e il legno della conoscenza del bene                                                                                                                       e del male.  10 E un fiume usciva dal luogo del piacere per irrigare il giardino".

L'affermazione di un punto centrale rispetto al dono della vita è accentuato da  una ricchezza di immagini e di significati che si sovrappongono le une agli altri e si identificano le une con gli altri.
La centralità del legno della vita fa tutt'uno con la centralità della fonte della vita. Dove collocare questo legno di vita, se non vicino alla fonte della vita, in mezzo al giardino? La simbologia è ripresa da Apocalisse 22,1-5
"Mi mostrò poi un fiume d'acqua viva , limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall'altra del fiume, si trova un legno di vita, che dà dodici raccolti e produce frutti in ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni. E non vi sarà più maledizione. Il trono di Dio e dell'Agnello sarà in mezzo a lei e i suoi servi l'adoreranno; vedranno la sua faccia  e porteranno il suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce e di lampada, né di luce di sole, perché il Signore li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli".
Il Figlio è fonte che dà la vita e legno che dà il frutto per la vita. Nella sorgente sono prefigurate le acque del battesimo, nel frutto del legno della vita, è prefigurato il pane eucaristico.
Ma accanto all'albero della vita vi è anche l'albero della conoscenza del bene e del male: è la sua antitesi, la sua negazione, l'altra possibilità. E' interessante notare come soltanto dell'albero della vita si dica che era nel mezzo del giardino. L'accostamento al legno della conoscenza del bene e del male non significa affatto ribadire un'altra centralità, paritetica ed antitetica. Nel legno della vita è la reale presenza del Figlio, porta d'ingresso per la vita eterna. L'albero della conoscenza del bene e del male indica soltanto l'ipotetica possibilità di una vita che procede in senso inverso rispetto all'obbedienza alla Parola. Non è realtà creata da Dio, ma possibile creazione dell'uomo: non è in un punto centrale rispetto al creato, ma semplicemente, al nostro essere creato: è solo in noi e per noi. Dio non crea ciò che è male e neppure ci espone alla possibilità del male, se non dopo che abbiamo sperimentato e conosciuto il bene. La presenza del legno della vita e del legno della conoscenza del bene e del male vanno entrambe staccate dal "produsse". Il legno della vita è ben più di un semplice prodotto della creazione: è il Figlio stesso generato nell'eternità. Né si può pensare che Dio crei ciò che è male per l'uomo, prima ancora  che l'uomo abbia creato il proprio male. E' soltanto nel cuore dell'uomo la possibilità di una vita diversa da quella che ci dona il Figlio.
Tale possibilità in Eden è appena accennata, mentre l'esaltazione della Parola che dà vita al tutto è in termini di ridondante bellezza: scaturisce dal luogo del piacere, ha la forza prorompente di un fiume, irriga tutto il giardino, travasa oltre il giardino per irrigare tutta la terra, scorre nella terra dell'oro, tra il profumo della resina e la purezza della pietra d'onice. 
Perché mai la primitiva fonte che saliva dalla terra, irrigando tutta la superficie della terra, alla fine diventa un fiume?
Perché si ricorre ad un'immagine diversa? Una fonte che permea di acqua il terreno non può essere individuata all'origine. Si vede la sua opera, non donde essa scaturisca. Al contrario un fiume è ben individuabile anche rispetto alla fonte: basta intraprendere un cammino, ed ecco le sue scaturigini. Ma con ciò è già adombrata per l'uomo la possibilità di una conoscenza diversa, rivolta, non semplicemente all'esplorazione del creato, ma solo alla ricerca del Creatore. E il cammino è già segnato dal solco del fiume: basta seguire il suo corso per risalire all'autore della vita. Cos'è mai questo fiume d'acqua viva, se non la Parola di Dio, che dà vita al tutto e mantiene in vita il tutto? E' soltanto nell'obbedienza alla Parola che potremo accedere alla fonte della vita e conoscere la Parola così com'è, nell'eterna visione di Dio, in quel "loco voluptatis" ( luogo del piacere ), dove la Parola non è semplicemente donata, ma fondata nel Padre, ad immagine del Padre. Eden era già, per definizione, un giardino di piacere, ma questo piacere non era immanente alla creazione stessa, aveva un suo locum, ovvero un punto di scaturigine, un centro di trasfusione, un suo fondamento. Altro è conoscere una gioia creata, altro è conoscere l'autore della gioia: vi è un salto che non è solo quantitativo, ma qualitativo: avrebbe proiettato Adamo in una dimensione diversa, da una vita in "anima vivente", ad una vita "in spirito vivificante".

"E quello, da qui, si divide in quattro capi: 11 il primo ha nome Pison: è proprio quello che scorre intorno a tutta la terra di Evilat; dove nasce l'oro 12 e l'oro di quella terra è ottimo e qui si trova il bidelio e la pietra d'onice. 13 Il secondo fiume ha nome Geon: è proprio quello che scorre intorno a tutta la terra d'Etiopia. 14 Invero il nome del terzo fiume è Tigri: è quello che scorre di fronte agli Assiri. E il quarto fiume è l'Eufrate stesso".

I padri della chiesa vedono nei quattro fiumi i quattro Vangeli, che portano la Parola di Dio fino agli estremi confini del mondo. Mentre l'uomo esce da Eden corrotto e diviso in se stesso e dalla propria fonte, la Parola di Dio non conosce limitazione ed alterazione di sorta. Divisa quanto alla sua forma, rimane sostanzialmente una quanto alla sua fonte e alla sua scaturigine.
Essa scorre fuori di Eden con la stessa forza, limpidezza, purezza con cui scorreva nella primitiva vita di Adamo. L'uomo e il suo mondo vengono meno alla Parola di Dio, ma la Parola di Dio non viene mai meno all'uomo e al suo mondo.

 

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