Cap. 15

Cap. 15
Dai Settanta
Dopo, dunque, questi fatti, fu rivolta la parola del Signore ad Abramo, in visione, dicendo: “non temere, Abramo; io sono scudo per te; la tua ricompensa sarà oltre modo grande”. 2 E dice Abramo: “Sovrano, che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli; il figlio di Masek, invece, della mia schiava di casa, questi è Damaskos Eliezer”. 3 E disse Abramo: “Dal momento che a me non hai dato seme, ecco, il mio schiavo nato in casa mia, sarà mio erede”. 4 E subito la voce del Signore giunse a lui dicendo: “Non sarà tuo erede questi, ma colui che uscirà da te, questi sarà tuo erede”. 5 Lo condusse quindi fuori e gli disse: “Leva lo sguardo al cielo e conta le stelle, se riuscirai a enumerarle”. E disse: “Così sarà il tuo seme”. 6 E credette Abramo a Dio e gli fu calcolato a giustizia. 7 Gli disse poi “Io sono il Dio che ti ha condotto fuori dalla terra dei Caldei per darti questa terra da ereditare”. 8 E disse: “Sovrano, Signore, in che modo potrò conoscere che la erediterò?”. 9 Gli disse: “Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre anni, un ariete di tre anni, una tortora e una colomba. 10 Prese dunque per lui tutti questi animali e li divise a metà e pose queste metà l’una di fronte all’altra, ma gli uccelli non li divise. 11 Discesero invece gli uccelli sui corpi, sulle loro metà e sedette accanto ad essi Abramo. 12 E verso il tramonto del sole una estasi cadde su Abramo ed ecco una paura tenebrosa, grande cadde su di lui. 13 E fu detto ad Abramo: “Certamente conoscerai che pellegrino sarà il tuo nome in una terra non sua e li renderanno schiavi e li  maltratteranno e li umilieranno per quattrocento anni. 14 Ma la nazione, di cui saranno schiavi, la giudicherò io; e dopo queste cose usciranno fuori per tornare qui, con grandi masserizie. 15 Tu, poi, te ne andrai ai tuoi padri in pace, sepolto in una vecchiaia bella. 16 Ma, alla quarta generazione, ritorneranno qui: non sono infatti ancora colmati i peccati degli amorrei fino ad ora”. 17 E quando giunse il sole al tramonto, una fiamma venne ed ecco un forno fumante e torce di fuoco, che passarono in mezzo a queste metà. 18 In quel giorno stabilì il Signore con Abramo un’alleanza dicendo: “Al tuo seme darò questa terra dal fiume d’Egitto fino al fiume grande, il fiume Eufrate, 19 i kainei e i kenezei e i  kedmonei 20 e i chettei e i pherezei e i raphain 21 e gli amorrei e i cananei e gli evei e i gergesei e i gebusei.
Vulgata
His itaque transactis  factus est servo Domini ad Abram per visionem dicens noli timere Abram ego protector tuus sum et merces tua magna nimis
2 dixitque Abram Domine Deus  quid dabis mihi ego vadam absque liberis et filius procuratoris domus meae iste Damascus Eliezer
3 addiditque Abram mihi autem non dedisti semen et ecce vernaculus meus heres meus erit
4 statimque sermo Domini factus est ad eum dicens non erit hic heres tuus sed qui egredietur de utero tuo ipsum habebis heredem
5 eduxitque eum foras et ait illi suspice caelum et numera stellas si potes et dixit ei sicut erit semen tuum
6 credidit Domino et reputatum est ei ad iustitiam
7 dixitque ad eum ego Dominus qui eduxi te de Ur Chaldeorum ut darem tibi terram istam et possideres eam
8 At ille ait Domine Deus unde scire possum quod possessurus sim eam
9 respondens Dominus sume inquit mihi vaccam triennem et capram trimam et arietem annorum trium turturem quoque et columbam
10 qui tollens universa haec divisit per medium et utrasque partes contra se altrinsecus posuit aves autem non divisit
11 descenderuntque volucres super cadavera et abigebat eas Abram
12 cumque sol occumberet sopor intruit super Abram et horror magnus et tenebrosus invasit eum
13 dictumque est ad eum scito praenoscens quod peregrinum futurum sit semen tuum in terra non sua et subicient eos servituti et adfligent quadringentis annis
14 verumtamen gentem cui servituri sunt ego iudicabo et post haec egredientur cum magna substantia
15 tu autem ibis ad patres tuos in pace sepultus in senectute bona
16 generatione autem quarta revertentur huc necdedum enim conpletae sunt iniquitates Amorreorum usque ad presens tempus
17 cum ergo occubuisset sol facta est caligo tenebrosa et apparuit clibanus fumans et lampas ignis transiens inter divisiones illas
18 in die illo pepigit Dominus cum Abram foedus dicens
semini tuo dabo terram hanc a fluvio Aegypti usque ad fluvium magnum flumen Eufratem
19 Cineos et Cenezeos et Cedmoneos
20 et Hetteos et Ferezeos Rafaim quoque
20 et Amorreos et Chananeos et Gergeseos et Iebuseos

Traduzione dalla Vulgata
Passate queste cose, fu rivolta la parola del Signore ad Abramo in visione, dicendo: Non temere, Abramo, io sono il tuo protettore,  la tua ricompensa  grande oltremisura.
2 E disse Abramo: Signore Dio, cosa darai a me? Io me ne andrò senza figli e  figlio del sovraintendente di casa mia,  è questo   Eliezer di Damasco.
3 E aggiunse Abramo: ma a me non hai dato discendenza ed ecco un mio schiavo sarà mio erede.
4 E subito fu rivolta a lui la parola del Signore, dicendo: Non sarà questi tuo erede ma chi uscirà dai tuoi lombi, lui avrai come erede.
5 E lo condusse fuori e disse a lui: Guarda il cielo e conta le stelle, se puoi. E disse a lui: “Così sarà il tuo seme”.
6 Credette Abramo a Dio e fu imputato a lui a giustizia.
7 E disse a lui: Io sono il Signore che ti ho tratto fuori da Ur dei Caldei per dare a te questa terra e perché tu la possieda.
8 Ma quegli disse: Signore Dio, donde posso sapere che io la possederò?
9 E rispondendo il Signore: Prendi, disse, per me una vacca di tre anni, e una capra di tre anni e un ariete di tre anni, una tortora pure e una colomba.
10 Questi prendendo tutte questi animali, li divise a metà ed entrambe le parti pose l’una di fronte all’altra: ma non divise i volatili.
11 E discesero gli uccelli sopra le bestie morte e Abramo li cacciava via.
12 e tramontando il sole, un sopore irruppe sopra Abramo ed un terrore grande e tenebroso lo invase.
13 E gli fu detto: sappi preconoscendo che il tuo seme sarà pellegrino in una terra non sua e li metteranno sotto in schiavitù e li affliggeranno per quattrocento anni.
14 ma io giudicherò la nazione a cui serviranno e dopo queste cose usciranno con grande sostanza.
15 Ma tu andrai ai tuoi padri in pace sepolto  in una buona vecchiaia.
16 Ma alla quarta generazione ritorneranno qui, infatti non sono ancora colmate le iniquità degli Amorrei fino al presente tempo.
17 Essendo poi tramontato il sole si fece una caligine tenebrosa ed apparve una fornace fumante e una torcia di fuoco passante tra quelle divisioni.
18 In quel giorno il Signore strinse un’alleanza con Abramo dicendo: al tuo seme io darò questa terra dal fiume d’Egitto sino al fiume grande l’Eufrate,
19 i Kainei e i Kenezei e i  Kedmonei
20 e i Chettei e i Pherezei e i Raphain
21 e gli Amorrei e i Cananei e gli Evei e i Gergesei e i Gebusei.


“ 1 Passate queste cose, fu rivolta la parola del Signore ad Abramo in visione, dicendo: Non temere, Abramo, io sono il tuo protettore,  la tua ricompensa  grande oltremisura”.
Dopo vicende molto travagliate in cui non c’è stata pace per Abramo, era necessario una consolazione dal cielo.
Non sempre Dio parla ad Abramo e non è detto come. Questa volte  parla in visione. Prima della promessa al futuro il Signore ribadisce una protezione che non ha uguali sulla terra. Se il nemico assale, Dio protegge. Prima di una vita  in espansione verso il mondo, Abramo ha bisogno di  essere custodito da e nel suo Creatore. 
Non è ricompensato l’uomo che confida nelle proprie risorse, ma l’uomo che si mette al riparo sotto le ali dell’Altissimo.
Non è abbandonato a se stesso se non colui che esce dal luogo di rifugio che è il Signore.
E non è una protezione chiusa in se stessa, espressione di un amore relegato a due, ma di un amore finale che darà frutto a suo tempo.
L’amore comunicante la vita è anche generante una nuova vita, ma ciò che cade sotto gli occhi di Abramo va in senso contrario.
Se l’amore di Dio è qualcosa di più e di diverso dall’amore dell’uomo, non si può risolvere in una semplice consolazione che dall’alto scende sulla terra, per compensare la mancanza di uno sbocco finale verso l’eternità stessa del Creatore.
Quale futuro per un amore senza figli? È destinato a venir meno nel tempo e col tempo. Nella discendenza futura è la sola possibilità di una sopravvivenza dell’uomo. Diversamente perirà anche il suo nome, e l’amore che viene dal cielo finirà come quello che viene dalla terra.

“2 E disse Abramo: Signore Dio, cosa darai a me? Io me ne andrò senza figli e  figlio del sovraintendente di casa mia,  è questo   Eliezer di Damasco.
3 E aggiunse Abramo: ma a me non hai dato discendenza ed ecco un mio schiavo sarà mio erede”.

Una promessa che viene dal cielo, per essere accolta,  deve avere un sua probabile effettualità, confermata da ciò che è già dato e trovato. Ma quando la storia smentisce e i fatti dicono qualcosa di diverso? Abramo è senza figli. Quale ricompensa potrà dirsi sua, cioè data a lui medesimo?

“4 E subito fu rivolta a lui la parola del Signore, dicendo: Non sarà questi tuo erede ma chi uscirà dai tuoi lombi, lui avrai come erede”.

Se i fatti sembrano smentire la Parola, la Parola ribadisce la sua priorità rispetto a ciò che è storicamente trovato dall’uomo. Abramo avrà una discendenza. È già stabilito in cielo quello che ancora non è visto sulla terra.

“5 E lo condusse fuori e disse a lui: Guarda il cielo e conta le stelle, se puoi. E disse a lui: “Così sarà il tuo seme”.

Dio conduce Abramo fuori dal modo di vedere umano. Gli occhi terreni non vedono più di tanto. Ma allorchè si innalzano per contemplare l’eterno e l’infinito, ecco che la promessa di Dio assume una portata ed un valore incommensurabili. Perché la promessa che viene dall’eterno è al di sopra di ogni intelligenza umana: non è comprensibile la sua grandezza se non per la bocca da cui è uscita. Abramo non avrà una semplice discendenza, ma una discendenza che abbraccia e porta in sé tutta la creazione. Altro e oltre non è detto ad Abramo. Sono già poste le fondamenta di una salvezza che interessa l’uomo ed  è infinitamente al di sopra della sua realtà creata.

“6 Credette Abramo a Dio e fu imputato a lui a giustizia”.

In che cosa credette dunque Abramo? Non in una discendenza terrena, limitata e finita nel tempo, ma in una discendenza eterna. E con ciò la promessa di una discendenza diventa per se stessa promessa di una salvezza. Salvezza dalla corruzione di questa esistenza in virtù di un discendente dall’uomo.
Col tempo si delineerà e si manifesterà sempre più chiaramente la figura di questo misterioso Salvatore, ma già ad Abramo è detto che altra salvezza non ci sarà fuori di Lui: da un uomo nato dal suo seme, per intervento diretto di Dio, in virtù di una diversa generazione, per una eterna figliolanza, numerosa come le stelle del cielo.  
L’atto, in virtù del quale, Abramo credette è per Paolo l’emblema e il modello dell’unica fede accetta a Dio: a partire da una promessa fatta da Colui che appartiene al cielo a colui che viene dalla terra.
D’ora in poi non ci sarà esistenza di Abramo se non all’interno di questa promessa, solo esclusivamente per essa, al di là e al di sopra di ogni umana apparenza.
E quello che viene prima, l’uscita dal vecchio mondo in obbedienza al comando divino?
È ancora una fede a metà: non basta uscire da un mondo di perdizione per ritrovarsi subito hic et nunc in un mondo di salvezza. C’è un tempo di paziente attesa, di amorosa obbedienza, di costante perseveranza, senza il quale il cammino si ferma a metà.


“7 E disse a lui: Io sono il Signore che ti ho tratto fuori da Ur dei Caldei per dare a te questa terra e perché tu la possieda”.

Il primo passo della fede, che è quello dell’uscire, sembra imputabile esclusivamente all’opera di Dio, che butta l’individuo fuori dalla vita del mondo quasi con un atto di forza, in cui la volontà dell’uomo c’entra ben poco.
Più che uscito da Ur, Abramo è stato tratto fuori da Ur. Non gli è imputato a giustizia l’essere uscito dalla vita vecchia, ma l’essere entrato in quella nuova, che è fede nell’adempimento della promessa di Dio , fede nella futura venuta di un Salvatore dal suo seme.
Non è benedetto un qualsiasi uscire dal mondo in obbedienza a Dio, ma quello che dimora sotto le tende nell’attesa dell’evento futuro, in esso crede, in esso spera, per esso dona la totalità della propria esistenza.
La fede in Cristo ha connotati diversi, può essere variamente intesa e fatta propria, ma si deve pure fare chiarezza, per non cadere nella sua falsificazione e parodia.
Qualcuno potrebbe dire: io credo nell’esistenza di Dio, dunque ho fede in Dio. Credere che Dio esiste non comporta di necessità una vita conforme alla fede. La semplice convinzione dell’esistenza di Dio non fa entrare nella sua vita. La fede vera è qualcosa di più di un semplice assenso mentale all’esistenza di Dio, porta con sé un radicale cambiamento del mio pormi davanti a Lui. Non al Dio frutto del mio pensiero, ma al Dio quale storicamente si è manifestato; non ad ogni uomo, in ogni tempo, in ogni spazio, ma ad un uomo, in un tempo, in uno spazio ben definiti. La fede che porta a salvezza ha connotati propri, diversi da quelli di ogni altra fede, non riducibile ad essi.
È innanzitutto fede nell’Unico Vero Dio, creatore del cielo e della terra, che ad Israele si è manifestato ed in esso e per esso ha operato per la salvezza di tutto il genere umano.
Non basta! Non è sufficiente credere in un Dio Creatore, dobbiamo credere in un Dio che è anche Salvatore.
E qui il discorso della fede diventa sempre più univoco ed uniforme, non ammette pluralità di fedi, ma l’unica fede nell’unico vero Dio che unicamente si è rivelato ad Israele.
La fede, dunque, se da un lato presuppone l’evento storico della morte e resurrezione del Cristo, Salvatore del mondo, comporta di necessità l’annuncio di tale evento, quello che chiamiamo col nome di Vangelo. Non può esserci adesione alla fede in Cristo senza l’annuncio, il Vangelo, di ciò che è unicamente rilevante per la salvezza. Se è di necessità assoluta la fede, è altrettanto necessario che l’annuncio proceda di bocca in bocca.
Il problema rilevante non è dunque comprendere e giustificare una salvezza senza annuncio, ma comprendere e fare propria l’importanza di questo annuncio.
Non può esserci ecumenismo alcuno se non mettendo in alto davanti a tutti la necessità di una universale conoscenza del Vangelo. Si dialoga annunciando e si annuncia dialogando. Dialogo non è la ricerca di una soluzione e di un compromesso che accontenti tutti, ma far passare l’eterna Parola di Dio, che unicamente salva, attraverso le forme in cui l’uomo può farla propria, Giudeo con i Giudei, Greco con i Greci. L’ecumenismo interessa soltanto la forma dell’annuncio, non può e non deve alterarne la sostanza. Perché non c’è altra fede di salvezza se non quella in Cristo Gesù.
C’è chi difende le ragioni del cuore, chi quelle della mente. La fede va oltre, le porta con sé, ma nello stesso tempo le scavalca, nel momento in cui  dà il proprio assenso al Dio che si è rivelato in Israele, attraverso un atto, che è obbedienza alla sua Parola.
La fede è condizione universale sine qua non per la salvezza. Vi è un’unica porta che conduce al Paradiso ed è quella aperta da Cristo e custodita da Pietro. Altro è riflettere come il Vangelo si possa a tutti annunciare, altro è dissertare su di una salvezza che coglie indistintamente tutti al di fuori e al di sopra di Cristo. “Padre di tutti noi, padre di molte genti “ Sono appellativi dati da Dio ad Abramo”. Perché la fede non si comprende se non in Abramo e a partire da Abramo. Qualsiasi eccezione non fa altro che confermare la regola. La salvezza di Cristo opera anche in tutti coloro che non hanno ricevuto l’annuncio, ma hanno volontà di ascolto “la fede viene dall’ascolto e l’ascolto dalla Parola di Dio”. È Parola di Dio innanzitutto quella rivelata, ma in chi ha volontà di ascolto è parola di Dio anche quella che parla nel profondo del cuore e rende docili ed obbedienti alla volontà del Creatore. Se è giustificato l’uomo che obbedisce alla Parola senza aver conoscenza della sua incarnazione, è assolutamente riprovato l’uomo che dopo aver conosciuto il Vangelo si rifugia nelle forme ambigue, contradditorie, della non fede, esaltando l’obbedienza alle ragioni del proprio cuore e della propria coscienza, che altro non sono se non l’altra faccia del nostro io: non quello illuminato dal Cristo, ma dal Satana, che contrappone alla luce della Verità quella falsa ed ingannevole della Menzogna.
Un confronto di fede non può assolutamente essere portato avanti sulle ragioni della mente, ma neppure su quelle del cuore. Si può fare soltanto  partendo dalla Parola rivelata e concludendo nella stessa Parola rivelata che è il Cristo Figlio di Dio. Si può obiettare alla non fede le ragioni del proprio cuore e della propria mente, non si può obiettare alla fede una propria ragione e un proprio cuore.
Si dialoga con chi non crede per annunciare, non si discute per venir meno all’annuncio.
Perché in Abramo troviamo il modello della vera fede? Perché l’ascolto della Parola di Dio in lui supera e scavalca le forme ambigue e contradditorie di un ascolto che segue le vie della ragione e del cuore. E non solamente della ragione universale e di ogni cuore fatto di carne, ma prima ancora quello della propria ragione e del proprio cuore. Nulla di ragionevole viene comandato da Dio ad Abramo e nulla che si possa conciliare con il sentimento del cuore. Abramo dopo aver scavalcato la mente e il cuore dell’umanità tutta, deve scavalcare anche la propria individualità e singolarità. Non può contrapporre alla Parola di Dio né il comune buon senso né quello proprio, non può appellarsi alla sincerità ed autenticità di ogni cuore paterno, ma neppure a quello che gli appartiene in proprio come unico ed esclusivo.
Non esiste la buona fede di chi non crede; esiste, ed è un dato di fatto, la malafede di chi è ingannato dal Satana, e  per opera sua, si lascia trascinare dalla propria mente e dal proprio cuore. Troppe persone credono nella propria sincerità,  bontà, giustificata non fede.
“Credette Abramo a Dio e fu imputato a lui a giustizia”.
Abramo credette alle ragioni di Dio, all’amore di un cuore  che è Padre in eterno. A lui, non ad altri fu imputato a giustizia.
Tu che cerchi il Signore, gira alla larga e diffida di chi disputa di una fede, che è altra e diversa da quella di Abramo.
Va messa da parte e ridotta al silenzio ogni a mente che non parla non spiega, non disserta se non della fede di Abramo. 
Tanta fatica, impegno, dedizione totale alla causa da parte dell’Apostolo per far comprendere l’assoluta necessità della fede in Cristo per la salvezza e tu osi far polemica per giustificare una qualsiasi altra fede?
Detto questo, non è ancora detto tutto.
Sta scritto: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore con tutta la tua mente con tutte le tue forze”.
Come la fede adempia la prima parte del precetto, con tutto il cuore, con tutta la mente”, abbiamo spiegato. Non con il cuore e la mente che sono semplicemente dati e trovati dall’uomo naturale, ma con il cuore e la mente rinati in Cristo e per Cristo, da Lui agiti e a Lui sottomessi. Fin qui possiamo dire che il nostro accordo e consenso con i fratelli della Chiesa Riformata è e deve essere completo. Ma il discorso non è concluso: rimane “con tutte le tue forze”.
Forze rinnovate rinvigorite dal Cristo, forze più efficienti e potenti; certamente non vanificate dalla fede. La fede non si muove semplicemente nell’ambito della mente e del cuore; non ignora la dimensione etica, ovvero lo sforzo continuo ed incessante di spendere per Dio ogni propria risorsa non solo spirituale, ma anche materiale. Non ha senso sottolineare che Abramo non fu salvato dalle opere, ma soltanto dalla fede, vanificando con ciò ogni opera e giustificando ogni abbandono ed allentamento dello sforzo al ben fare e al ben usare. Abbiamo detto che la fede di Abramo esaltata da Paolo, come quella che unicamente  ed esclusivamente porta alla salvezza, ha una sua centralità non al momento della sua uscita dal mondo per cercare la terra promessa, ma semplicemente a partire da una sua adesione al progetto divino manifestamente a lui dichiarato dalla Parola di Dio. Prima vi è la Parola di Dio, poi l’ascolto. Nessun ascolto ha valore di per sé, se non giustificato, sorretto, convalidato dalla Parola di Dio. Si può anche uscire dal mondo e mettersi alla ricerca della verità, non per questo si è costituiti in verità. Finchè Dio non parla non c’è ascolto, e non è vero ascolto se non quello che fa propria la Parola di Dio. Esaltare la centralità della fede in Cristo come unica via di salvezza non vuol dire però ignorare e non considerare ciò che ne è premessa e ciò che ne è conseguenza. Premessa della fede è la volontà di uscire dalla vita vecchia per entrare in quella nuova. Non entra chi non è uscito, e non è uscito se non colui che ha consapevolezza di peccato e di una incolmabile lontananza da Dio . L’essere entrati nella fede di per sé non garantisce il rimanere nella fede.
Si può anche venire meno e non essere perseveranti fino alla fine. La perseveranza non concerne e non interessa, ancora una volta, soltanto il cuore e la mente, ma la totalità delle forze. Non solo  parole e pensieri, ma anche opere.  Non le opere che vengono dalla semplice osservanza della Legge, ma da una osservanza della Legge resa possibile dalla fede in Cristo. La fede verifica le opere, le opere verificano la fede.
La fede viene dall’ascolto e l’ascolto dalla Parola di Dio. L’ascolto non è dato semplicemente dall’assenso totale del proprio cuore e della propria mente, ma da un assenso che coinvolge e chiama in causa la totalità delle nostre forze. In questo modo non è vanificata ed annullata la Legge Antica, ma portata al suo pieno, definitivo, vero adempimento, in Cristo e per Cristo. In un nostro scritto abbiamo cercato di mettere in evidenza come l’eresia di Pelagio sia il grande male di ogni chiesa, in ogni tempo. Si camuffa sotto forme dottrinali diverse, ma la conclusione è sempre quella: la giustificazione del lassismo e della fiacca al ben fare e al ben operare. Nella Chiesa cattolica ha nome di un’ osservanza della Legge che non conosce lo spessore e la potenza di rinnovamento portati dal Cristo in virtù della sua morte e resurrezione. “Se la vostra giustizia non sarà superiore a quella degli scribi e dei farisei… non entrerete nel Regno dei cieli”.
Basta la messa della domenica, confessarsi una volta all’anno, qualche buona opera, non uccidere, non rubare… ed è tutto fatto. Manca assolutamente l’idea che essere cristiani vuol dire vivere per Cristo e non per se stessi. Qualsiasi novità e diversità di vita portate da Gesù muoiono in uno stanco e vuoto fideismo, che è ignoranza della Parola di Dio e della Tradizione della Chiesa, fuga verso forme devianti della fede, ascolto di una parola che non è l’unica eterna Parola.
Per quel che riguarda la chiesa Riformata, l’affermazione di una salvezza che procede ed è data unicamente e esclusivamente dalla fede in Cristo, si risolve nella facile giustificazione del peccato, in una fede di tipo psicologico, come convinzione rafforzata e conservata che la salvezza è già opera compiuta da parte di Gesù e che da parte nostra è chiesto il puro assenso del cuore e della mente. E se pur pecchiamo possiamo stare tranquilli, perché la vita eterna è già data e definita dall’elezione divina, che mette in alto gli uni e getta agli Inferi gli altri: non si sa per quale ragione. Se la salvezza è già data ed assicurata, ma solo agli eletti, si può anche mettere da parte ed ignorare gli strumenti e i doni di grazia donati dal Cristo attraverso la sua Chiesa e la sua Tradizione, uniche garanzie dal cielo di un retto intendimento e di un vero rapporto con la Rivelazione.
Basta in ogni caso appellarsi alla propria coscienza, come fanno del resto anche i cattolici, attraverso un cammino di auto verifica e di auto confermazione e di auto approvazione. Tutto da soli, in proprio, senza fatica, senza disturbare ed essere disturbati nelle proprie convinzioni, in una esaltazione massima di quell’individualismo che sempre di più si va affermando nel mondo come segno del dominio incontrastato del demonio.
Per quel che riguarda la Chiesa ortodossa non è che le cose vadano meglio. Anzi, campo di battaglia degli ortodossi, loro vanto e loro tratto distintivo sembra proprio essere una diversa interpretazione del peccato d’origine, rispetto a cattolici e protestanti. Una vera e propria riesumazione o meglio conservazione dell’eresia di Pelagio, la quale vuole i bambini esenti dal peccato originale e una non ereditarietà dello stesso. Sarebbe troppo lungo approfondire in questo momento: lo faremo in uno scritto a parte. Basti per ora quanto detto, per non andare troppo oltre e fuori da quanto pertiene ai testi che stiamo commentando.

“8 Ma quegli disse: Signore Dio, donde posso sapere che io la possederò?”.

Abramo non dubita della promessa del Signore, ma chiede una garanzia ancora più grande della promessa. Se la Parola di Dio è già di per sé garanzia, si può chiedere a Dio che con un atto di per sè irrevocabile garantisca la sua stessa Parola. E tutto questo è scritto per noi , che siamo figli di Abramo, perché la nostra fede non sia soltanto speranza, ma certezza di vita eterna: certezza data ed assicurata da ciò che unicamente ed esclusivamente può essere fatto da Dio. Perché all’uomo è proibito il giuramento? Perché il giuramento è prerogativa unica ed esclusiva di Dio. Certamente il Signore non ha bisogno di giurare, ma giurando, dall’altezza del Creatore scende alla bassezza della creatura, si mette alla pari di lei, fa con essa un patto, un’alleanza, per suggellare un’amicizia che non può e non deve in alcun modo essere incrinata o messa in dubbio. Vuol darci una certezza non in una forma esclusivamente Sua, ma in una forma che sia anche nostra, che ci veda compartecipi, consenzienti, attraverso gesti per noi significativi e rassicuranti riguardo alla volontà dell’Altro.

“29 E rispondendo il Signore: Prendi, disse, per me una vacca di tre anni, e una capra di tre anni e un ariete di tre anni, una tortora pure e una colomba”.

Non si può ottenere da Dio alcun giuramento sopra una Sua promessa, se non accogliendo la forma da lui comandata e fatta nostra in virtù della obbedienza.
Può essere concordata la forma di un giuramento tra uomo ed uomo, non tra Dio e l’ uomo. Perché Dio può garantire riguardo a se stesso, l’uomo non può di sé dare garanzia alcuna. “Il Signore ha giurato e non si pentira… “.
L’uomo può giurare e poi pentirsi. Meglio non giurare: facciamo noi bugiardi e disobbedienti al comando di Dio. Per quel che riguarda i tre anni, il numero tre è numero perfetto per eccellenza, è proprio di Dio e della sua divina Trinità.

10 Questi prendendo tutte questi animali, li divise a metà ed entrambe le parti pose l’una di fronte all’altra: ma non divise i volatili.
Da una parte Dio, dall’altra l’uomo: entrambi sacrificano se stessi perché si attui il disegno della salvezza eterna. Perché i volatili non vengono divisi. Perché il cielo è di Dio e a lui solo appartiene. Noi non abbiamo parte alcuna al sacrificio di Dio. La croce della salvezza che è portata dal solo Cristo non può essere divisa a metà tra Dio e l’uomo: noi possiamo, per grazia divina, condividere la croce di Gesù, non possiamo aiutarlo a portare la croce, caso mai è Lui che aiuta noi.

“11 E discesero gli uccelli sopra le bestie morte e Abramo li cacciava via”.

Se l’uomo non può spartire con Cristo la sua croce, qualcosa può e deve pur fare perché la promessa di Dio abbia la sua attualizzazione in ognuno di noi: difenderla in virtù della fede dagli attacchi delle potenze diaboliche, che cercano di vanificare ogni alleanza tra cielo e terra.
La promessa, data una volta per sempre, ogni giorno, ogni momento va custodita nel cuore in una lotta incessante contro gli attacchi del Satana, che vuol divorare e vanificare.

“12 e tramontando il sole, un sopore irruppe sopra Abramo ed un terrore grande e tenebroso lo invase”.

Dopo la luce del sole, ecco le tenebre della notte. Se può essere facile uno scontro col diavolo sorretti, guidati da una luce divina, allorchè questa viene a mancare tutto si fa più difficile. È il momento dell’angoscia e dello scoramento, in cui l’uomo assapora fino in fondo la propria impotenza ed incolmabile solitudine. Ma il Signore non tollera più di tanto, ed ecco la sua Parola che ci viene in soccorso, per confermare, incoraggiare, ridare fiato e forze nuove per perseverare.

“13 E gli fu detto: sappi preconoscendo che il tuo seme sarà pellegrino in una terra non sua e li metteranno sotto in schiavitù e li affliggeranno per quattrocento anni”.

Il seme eletto da Dio non deve lasciarsi prendere dallo smarrimento. È pienamente previsto e profetizzato il travaglio della fede nell’adempimento della promessa. Travaglio che non dura una sola generazione, ma più generazioni. Travaglio che ci vede schiavi del mondo e delle potenze che dominano in esse. Non resta che la sola libertà del cuore, nella fedeltà all’antica promessa. Il mondo potrà perseguitarci, non potrà rendere vano il patto che Dio ha fatto con il nostro Padre Abramo: c’è di mezzo un giuramento del cielo.
“14 ma io giudicherò la nazione a cui serviranno e dopo queste cose usciranno con grande sostanza”.

La promessa fatta al popolo eletto, porta con sé anche un giudizio di condanna, per chi non si mette dalla sua parte, ma da quella opposta. Il confronto con le potenze del Maligno avrà un suo tempo e finirà col tempo in una sentenza inappellabile di dannazione eterna

“15 ma tu andrai ai tuoi padri in pace sepolto  in una buona vecchiaia”.

Quel che detto ad Abramo è detto a tutti coloro che sono figli suoi e in quanto figli anche padri di altri figli. Bisogna restare fermi e saldi nella speranza dell’Antica promessa, non deviare né a destra né a sinistra verso promesse che vengono dal Maligno. Custodendo la fede nel Salvatore custodiremo anche la pace che ne viene. Una pace nuova e diversa, che il mondo non conosce, una pace che ci consentirà di non gustare morte in eterno, una pace che ci porterà in perpetua comunione con tutti quelli che sono uniti ad  Abramo dal vincolo della fede in Cristo Salvatore.

“16 ma alla quarta generazione ritorneranno qui, infatti non sono ancora colmate le iniquità degli Amorrei fino al presente tempo”.
Passo di non facile ed immediata comprensione.
Qual è questa quarta generazione se non quella dei rinati in Cristo, che dopo tante infedeltà e vicende travagliate tornano alla fede di Abramo? Prima generazione è quella di Adamo, seconda generazione quella dei patriarchi, terza quella dei discendenti di Noè, quarta quella di coloro che sono entrati nella vita portata dal Cristo, sulle orme della fede di Abramo, a lui riportati e a lui congiunti dall’adempimento finale dell’Antica promessa.
Se ogni generazione ha un suo tempo, quella che viene da Abramo non ha tempo ed abbraccia ogni tempo. Perché è eternamente stabilito in cielo che non vi sia salvezza se non in Cristo ed in virtù di Cristo. Abramo ha avuto figli, ma ha avuto anche dei padri, a cominciare da Abele, fino ad Enoc, a Noè. Non di tutti conosciamo il nome: è certo che ci uniremo ad essi dopo il giorno del giudizio.

“17 essendo poi tramontato il sole si fece una caligine tenebrosa ed apparve una fornace fumante e una torcia di fuoco passante tra quelle divisioni”.

Nelle tenebre di questa vita Dio non  ci soccorre soltanto con la sua Parola, ma anche con segni  potenti, che sono luce per il nostro cuore e per i nostri passi. Non ovunque troverai questa luce, avvolta in una caligine tenebrosa, ma soltanto in Israele e a partire dal patto che Dio ha fatto con Abramo. Non tutti vedono la luce portata dalla torcia. C’è anche chi vede la soltanto la caligine tenebrosa creata da una qualsiasi fornace accesa. C’è un fumo che rende ciechi e c’è un fumo che annuncia un fuoco che brucia, che chiede di essere conosciuto, accolto, fatto proprio, come luce che splende nelle tenebre per chi vuol vedere e conoscere la Verità, se pur attraverso la notte di questa vita.

“18 in quel giorno il Signore strinse un’alleanza con Abramo dicendo: al tuo seme io darò questa terra dal fiume d’Egitto sino al fiume grande l’Eufrate
19 i Kainei e i Kenezei e i  Kedmonei
20 e i Chettei e i Pherezei e i Raphain
21 e gli Amorrei e i Cananei e gli Evei e i Gergesei e i Gebusei”.

Nessun patto nessuna alleanza ha un valore ed una portata universale per ogni luogo, per ogni tempo, per ogni popolo se non quello storicamente stretto da Dio con Abramo.
Se la storia ha una sua centralità nella venuta del Salvatore, conosce pure una centralità ad essa parallela, che è fede nel Cristo che deve venire. L’una è verificata dalla morte e resurrezione del Cristo, l’altra dal patto che Dio, con giuramento, ha fatto con Abramo.

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