Lettera a Paolino

Lettera a Paolino
Della istruzione del monaco
L’uomo dabbene dal buon tesoro del suo cuore mette fuori cose che sono buone e dai frutti l’albero si conosce. Tu misuri la mia persona con il metro delle tue virtù ed, essendo tu grande, esalti i piccoli e occupi la parte ultima della mensa, per essere fatto passare avanti dal giudizio del padre di famiglia. Poiché che cosa  trovi mai in me, ovvero quanto grande è essa nella mia persona, per cui io sia meritevole delle lodi della tua dotta voce e, vile e di poca stima, sia lodato da quella bocca con la quale è difeso un imperatore religiosissimo? Non  volere dunque, o carissimo fratello, fare stima di me per il numero degli anni, e non credere che l’avere i capelli canuti renda l’uomo saggio, ma l’essere saggio fa l’uomo canuto, lo attesta Salomone. “I capelli canuti dell’uomo non lo fanno vecchio, ma la sua prudenza”. Perciò anche a Mosé è comandato che elegga settanta anziani che siano però giudicati tali non dall’età ma dalla prudenza. E Daniele, ancora giovane, giudica uomini di età avanzata e i vecchi impudichi sono condannati dalla loro lasciva età. Non volere, ti dico, misurare la fede dal numero degli anni e non voler stimarmi migliore perché ho cominciato prima di te a militare nell’esercito di Cristo. L’apostolo Paolo, cambiato da persecutore in vaso di elezione, in ordine di tempo è l’ultimo, primo in quanto ai meriti; proprio perché, sebbene ultimo, più di tutti ha faticato. Giuda che si era sentito dire: “Ma tu, o uomo, che con me prendevi  dolci cibi, mia guida e familiare nella casa del Signore, insieme abbiamo camminato”. Divenuto traditore del suo amico e maestro è condannato dalla voce del Salvatore, e “con un  laccio al collo, infame muore appeso ad un albero”. Al contrario il ladrone cambia la croce in Paradiso e la pena per aver commesso omicidi per lui diventa martirio. Quanti sono oggi che vivendo a lungo portano la propria morte e come sepolcri imbiancati sono pieni di ossa di morti? Un improvviso calore vince una lunga tiepidezza. Finalmente  anche tu hai ascoltato le parole del Salvatore: “Se vuoi essere perfetto, va e vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, vieni e seguimi. Cambiate le parole in fatti e nudo seguendo la nuda croce, più spedito e leggero sali la scala di Giacobbe. Con l’animo hai cambiato il vestito né con la borsa piena brami le  sozzure che danno gloria, ma con  mani pulite e con cuore puro ti glori di essere povero sia di spirito sia di opere. Poiché non è gran cosa con una faccia mesta e oscura  simulare o far sfoggio di digiuni, abbondare di rendite, di possessi e portare sulle spalle un vile mantello. Crate, quell’uomo famoso di Tebe, già ricchissimo, recandosi ad Atene per diventare filosofo, gettò via un gran peso d’oro e stimò di non potere nello stesso tempo possedere le virtù e le ricchezze. Noi, carichi d’oro, seguiamo Cristo povero e con il  pretesto del fare elemosina, giacendo sulle prime ricchezze, come possiamo dispensare fedelmente le cose altrui mentre con timore conserviamo le nostre? A pancia piena è facile discutere sopra i digiuni. Si deve lodare non l’essere stato in Gerusalemme, ma l’essere vissuto bene in Gerusalemme. Non si deve bramare quella città che uccise i profeti e sparse il sangue di Cristo ma quella che dall’empito del fiume è rallegrata, che, situata sul monte, non può star nascosta e dall’Apostolo spesse volte è chiamata madre dei santi, in cui egli si rallegra di avere parte con i giusti. Nè, poiché io dico questo, accuso me stesso di incostanza, né condanno quello che faccio, così che sembri che io sull’esempio di Abramo abbia lasciato invano i miei e la patria. Ma non oso rinchiudere la divina onnipotenza in uno stretto confine e restringere in un piccolo luogo della terra Colui che dal cielo stesso non è contenuto. Ciascuno dei credenti è stimato non secondo la diversità dei luoghi, ma secondo il merito della fede. E i veri adoratori né in Gerusalemme né sul monte Garizim adorano il Padre, perché Dio è spirito e i suoi adoratori devono adorarlo in spirito e verità. Ma lo Spirito soffia dove  vuole e del Signore è la terra e  ciò che essa contiene. Dopo che si fu asciugato il vello della Giudea, tutto il mondo è stato asperso di celeste rugiada e molti venendo dall’oriente e dell’Occidente si sono riposati nel seno di Abramo. Ha lasciato Dio di essere solamente nella Giudea e che grande sia il suo nome soltanto in Israele, ma per tutta la terra si è fatto intendere la voce degli apostoli e ai confini del mondo sono giunte le loro parole. Il Salvatore parlando nel tempio ai suoi discepoli disse loro: “Andiamocene via da qui”. E ai Giudei soggiunse: “La vostra casa vi sarà lasciata in abbandono”. Se il cielo e la terra passeranno, certamente passeranno tutte le cose terrene. Dunque i luoghi sia della croce sia della risurrezione giovano a coloro che portano la loro croce e con Cristo ogni giorno risorgono e si rendono degni di così grande abitazione. Del resto quelli che dicono: “Tempio del Signore, Tempio del Signore, stiano a sentire l’Apostolo: “Voi siete il tempio del Signore e lo Spirito Santo abita in voi”. E sta ugualmente aperta la porta celeste agli abitanti di Gerusalemme e a quelli della Britannia, poiché il regno di Dio è dentro di noi. Antonio e tutti gli sciami di monaci dell’Egitto, della Mesopotamia, del Ponto, della Cappadocia e dell’Armenia non hanno visto Gerusalemme e anche per loro è aperta la porta del Paradiso senza questa città.
Il beato Ilarione essendo palestinese e vivendo nella Palestina un giorno solo vide Gerusalemme, per non sembrare che egli disprezzasse i luoghi santi, avendoli tanto vicini, e dall’altro canto che restringesse il Signore in un determinato luogo. Dai tempi di  Adriano sino all’impero di Costantino, lo spazio di circa centottanta anni, nel luogo della risurrezione si adorava un simulacro di Giove e sul monte della Croce era venerata una statua marmorea di Venere, posta dai gentili, persuadendosi gli autori della persecuzione di levarci la fede della risurrezione e della croce se con gli idoli avessero contaminato i luoghi santi. Betlemme, ora nostra, luogo il più augusto del mondo di cui  canta il salmista: “Dalla terra è nata la verità”, era stata messa in ombra da un bosco sacro ad Adone, e nella grotta dove una volta vagì Cristo bambino si piangeva l’innamorato di Venere. A qual fine, o Girolamo,  mi dirai, cominciando così da lontano hai raccontato queste cose? Per questo appunto, perché tu non creda che manchi qualche cosa alla tua fede non avendo tu visto Gerusalemme e non pensi che io sia migliore di te perché abito in questo luogo. Sia qui che altrove riceverai ugual mercede per le tue opere. Infatti per confessarti sinceramente quanto c’è nella  mia mente, considerando io la tua professione  e l’ardore con il quale hai rinunciato al mondo, penso che vi sia differenza tra i luoghi se, avendo abbandonato le città e la loro moltitudine, abiti in campagna e cerchi Cristo nella solitudine e, solo con Gesù, preghi sul monte,  godi dei santi luoghi solamente la vicinanza, cioè se stai lontano dalla città e non perdi la professione di monaco. Quello che io dico non lo dico per i vescovi, non per i preti, non per i chierici, dei quali è diverso l’ufficio, ma per il monaco e un monaco nobile già nel mondo; il quale per questo ai piedi degli apostoli ha messo il prezzo dei suoi possessi,  insegnando che si deve calpestare il denaro, cosicché vivendo umile e solitario sempre disprezzi quello che ha disprezzato una volta. Se i luoghi della croce e della risurrezione non fossero in una città famosissima nella quale si trova un pretorio, una caserma militare, meretrici, mimi,  parassiti e tutto ciò che suole essere nelle altre città, ovvero se essa fosse frequentata solamente da turbe di monaci, tale abitazione invero dovrebbe desiderarsi da tutti i monaci. Ma ora è somma pazzia rinunciare al mondo, abbandonare la patria, lasciare la città, fare professione di monaco e vivere in mezzo a popoli più numerosi con maggior pericolo di quanto avresti vissuto nella tua patria. Qua concorre gente da tutte le parti del mondo. La città è piena di ogni genere di persone e così grande è la calca dell’uno e dell’altro sesso che sei costretto a tollerare qui tutto quello che in parte altrove fuggisti. Poiché dunque tu mi chiedi, come fratello, per quale strada devi camminare, con te chiaramente parlo. Se vuoi esercitare l’ufficio del prete, se per caso ti attira la fatica o l’onore dell’episcopato, vivi nelle città e nei villaggi e fa’ che la salvezza altrui sia guadagno dell’anima tua; ma se desideri essere monaco , come sei chiamato, cioè solo, che fai tu nelle città le quali non sono affatto abitazione dei soli ma dei molti? Ogni professione ha i suoi modelli. I condottieri romani imitano i Camilli, i Fabrizi, i Regoli, gli Scipioni. I filosofi si specchino in Pitagora, Socrate, Platone, Aristotele. I poeti imitino Omero, Virgilio, Menandro, Terenzio; Gli storici Tucidide, Sallustio, Erodoto, Livio; gli oratori Lisia, i Gracchi, Demostene, Tullio. E, per venire alle cose nostre, i vescovi e i preti abbiano per loro esempio gli apostoli e gli uomini apostolici. Partecipano del loro onore? Si sforzino di averne anche il merito. Ma noi come modelli della nostra professione abbiamo  Paolo,  Antonio, Giuliano, Ilarione,  Macario. E per tornare all’autorità delle Scritture nostri “principi” sono Elia ed Eliseo; le nostre guide sono i figli dei profeti, che abitavano  nelle campagne e nei luoghi deserti, e si fabbricavano alloggi lungo la corrente del Giordano. Nel numero di questi sono anche i figli di Recab, i quali non bevevano vino né birra, abitavano sotto le tende e per bocca di Geremia sono lodati dalla voce di Dio ed è stato loro promesso che non mancherà mai della loro stirpe qualche uomo che sia alla presenza del Signore. Penso anche che il titolo del salmo settanta significhi proprio questo: “ Dei figli di Jonabad e di quelli che furono i primi ad essere condotti in schiavitù”. Questo Jonabad è figlio di Recab, del quale nel libro dei Re è scritto che salì sul carro con Jehu; e i suoi figli, sempre abitanti sotto le tende, costretti in ultimo ad entrare in Gerusalemme, si dice che furono i primi a sostenere tale prigionia; perché dopo la libertà del deserto furono racchiusi nella città come in un carcere. Pertanto io vivamente ti prego che poiché sei legato dal vincolo della tua santa sorella e cammini con passo non  affatto spedito,  qui o altrove fuggi come  catene voluttuose la moltitudine delle persone, gli atti di convenienza, le visite e i conviti. Il tuo cibo sia vile e preso sulla sera, cioè erbaggi e legumi; prendendo qualche volta  alcuni pesciolini stimali come somma delizia. Chi desidera Cristo e si pasce del suo pane non cerca molto di quanto preziosi cibi egli faccia i suoi escrementi. Tutto quello che dalla gola in giù non si sente, consideralo come pane e legumi.

Tu hai i libri contro Gioviniano che disputano appieno del disprezzo del ventre e della gola. Devi sempre avere nelle mani le sacre Lettere, pregare spesso, e col corpo piegato alzare la mente a Dio. Fai veglie con frequenza, e il più delle volte dormi a ventre vuoto. Fuggi come nemici le lodi, gli onori, e gli adulatori lusinghieri. Ai poveri e ai fratelli, di tua mano distribuisci il ristoro del vitto. Raramente ci si può fidare degli uomini. Non credi tu che sia vero quello che io dico? Pensa alla borsa di Giuda. Non cercare con animo superbo la viltà degli abiti. Evita la conversazione degli uomini di mondo e soprattutto dei potenti. Che importa che tu veda spesso quelle cose per  disprezzo delle quali cominciasti ad essere monaco. Anche la tua sorella fugga la frequentazione delle matrone. Nè in mezzo alle vesti di seta e tra i gioielli delle donne sedute intorno si dolga di essere sordida o ammiri quelle che sono tali. Perché l’una cosa è pentirsi del proponimento  fatto, l’altra è semenzaio di millanteria. Guardati come già fedele e celebre amministratore  dei tuoi beni di non prendere a distribuire quelli degli altri. Tu intendi ciò che dico perché il Signore ti ha dato intelligenza di ogni cosa. Abbi la semplicità della colomba per non tessere inganni ad alcuno e l’accortezza del serpente per non restare ingannato dalle insidie degli altri. Per quel che riguarda il difetto, non è molto differente che il cristiano possa ingannare o essere ingannato. Colui  che udirai sempre o spesse volte parlare di denari, esclusa la elemosina, stimalo piuttosto mercante che monaco. Fuorché il vestito e il vitto e le manifeste cose necessarie, non dare niente ad alcuno; perchè il pane dei figlioli non sia mangiato dai cani. Il vero tempio di Cristo è l’anima di chi crede. Adorna quella, vestila, offrile doni, in lei ricevi Cristo. Cosa giova che le pareti risplendano di gioielli e che Cristo nella persona del povero muoia di fame?  Già le cose che possiedi non sono tue ma a te ne è affidata la distribuzione. Ricòrdati di Anania e di Saffira. Quelli con timore serbarono le loro cose, tu procura di non gettar via i beni che sono di Cristo, cioè  non dare a quelli che non sono poveri la roba dei poveri, con poca prudenza; e secondo il detto di un uomo assennato fai sì che  la liberalità, a causa della liberalità, non resti distrutta. Non dare importanza alle vane decorazioni e ai titoli dei Catoni. Io, canta il poeta, dentro e fuori ti conosco. È cosa grande non sembrare ma essere cristiano. E non so come piacciano di più al mondo coloro che dispiacciono a Cristo. Io, come dice il proverbio, “il porco insegna a Minerva”, io dico,  non ti parlo in questo modo, ma come amico ho avvisato un amico che entra in mare, preferendo  che tu abbia a desiderare ciò che è nella mia volontà più che nella mia possibilità ; affinché dove io sono caduto tu vada con passo sicuro.
Ho  letto volentieri il tuo libro in difesa dell’imperatore  Teodosio, composto con buona prudenza ed eleganza, da te inviatomi. Mi è piaciuto soprattutto lo schema. Superando tu gli altri nella prima parte, nell’ultima superi te stesso. Lo stile è conciso e chiaro e risplendendo della purezza di Tullio abbonda di concetti. Poiché, come dice un tale, è terra terra quel discorso dove si lodano le sole parole. Vi è una grande concatenazione di pensieri, così che l’uno dipende dall’altro. Qualunque cosa hai preso a dire o è conclusione delle cose antecedenti o punto di partenza per quelle che seguono. Fortunato Teodosio , che da un tale oratore di Cristo è difeso. Tu hai dato lustro alle sue insegne e hai consacrato per i secoli futuri l’ utilità delle sue leggi.
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Cresci anche nella virtù. Tu che hai tali inizi, dopo che sarai esercitato soldato, qual uomo sarai? Oh, se mi fosse concesso di guidare un ingegno di tale perfezione non per i monti della Aonia, né per le cime dell’ Elicona, come cantano i poeti, ma a Sion, sul Tabor, sul Sinai! Se mi si offrisse la possibilità di potergli insegnare le cose imparate da me e condurlo quasi a mano per i misteri delle Scritture, qualcosa nascerebbe che non avrebbe la dotta Grecia. Ascolta, dunque amico collega, amico fratello,  considera un po’ per quale strada per le Scritture Sante ti convenga camminare. Tutto ciò che leggiamo nei libri divini, brilla in verità e risplende anche nella corteccia, ma nella midolla è più dolce. Chi vuole mangiare il gheriglio rompa la noce. Togli, o Signore, dice Davide, il velo dai miei occhi e considererò le meraviglie della tua legge. Se un profeta così grande confessa le tenebre della sua ignoranza, di quale notte di ignoranza pensi tu che siamo circondati noi che siamo piccoli fanciulli e quasi poppanti? E questo velo fu posto non solamente sopra la faccia di Mosé, ma degli Evangelisti, e degli Apostoli. Il Salvatore alle folle parlava con similitudini e attestando che era un mistero ciò che si diceva aggiungeva: “Chi ha orecchie da udire, oda”. Se tutte le verità che sono scritte non saranno dischiuse da colui che ha la chiave di Davide, il quale apre e nessuno chiude, chiude e nessuno apre, non saranno esposte da nessun altro che apra. Se tu avessi questo fondamento, anzi se alla tua opera  si desse come l’ultima mano, non avremmo cosa alcuna più bella, nessuna più dolce, nessuna più latina dei tuoi libri. Tertulliano è denso di concetti, ma duro nel parlare. Il beato Cipriano se ne va con dolcezza come una fonte purissima e placidamente; ed  essendo tutto attento all’esercizio delle virtù e preso dalle angustie delle persecuzioni non ha affatto disputato sopra le divine Scritture. Vittorino, coronato di glorioso martirio, non riesce ad esprimere ciò che egli intende. Fosse piaciuto a Dio che Lattanzio come un sicuro fiume di eloquenza tulliana, avesse potuto confermare le nostre cose con quella facilità con la quale ha distrutto quelle degli altri. Arnobio  è ineguale, ed è lungo, e poiché la sua opera è senza divisione, risulta confuso. Santo Ilario si alza con magnificenza gallica e ornato dei fiori della Grecia talvolta nei suoi lunghi periodi è involuto e molto lontano dal poter essere letto dai fratelli semplici. Passo sotto silenzio gli altri, siano morti o ancora viventi, sopra i quali altri poi o contro o in favore giudicheranno. Verrò ora a te stesso mio collega nel sacerdozio, mio compagno e amico; mio amico, dissi, prima di averti conosciuto. E ti pregherò di non credere che vi sia adulazione alcuna nella mia amicizia. Anzi, pensa o che io mi sia sbagliato o che io sia trascinato dall’ affetto, piuttosto che, adulando, io voglia ingannare un amico. Tu hai un grande ingegno, e un’abbondanza infinita di parole, e parli con facilità e purezza e la stessa facilità e purezza sono unite alla prudenza. Poiché essendo sano il capo, tutti i sentimenti sono forti. Se si aggiungesse a questa prudenza e facondia, lo studio e la intelligenza delle Scritture,  in breve io ti vedrei ottenere il primato fra i nostri, salire con Giacobbe i tetti di Sion e cantare sulle case quello che segretamente avresti imparato. Tieniti pronto a questo, te ne prego, tieniti pronto. La vita non ha dato cosa alcuna agli uomini senza grande fatica. La Chiesa abbia te nobile, come prima ti ebbe il Senato. Accumula quelle ricchezze che ogni giorno tu possa dispensare senza che mai vengano meno; mentre la tua età è nel vigore, mentre il capo è senza capelli bianchi, prima che sopravvengano malattie e la vecchiaia piena di afflizioni, e ti tolga dal mondo l’eccessiva fatica e la inclemenza della morte. Non mi contento che in te si trovi cosa alcuna mediocre. Desidero che tutto sia sommo, sia perfetto. 309

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