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- Categoria: Atti dei Martiri
- Pubblicato Mercoledì, 06 Marzo 2013 16:15
- Scritto da Cristoforo
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Atti dei martiri
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera. (Sunto di Cristoforo)
Gli atti dei martiri (latino: Acta Martyrum ) sono, in senso stretto, i resoconti ufficiali dei processi dei primi martiri cristiani redatti dai notai della corte.
In senso più ampio, l’espressione si usa per tutti i racconti dei processi e delle morti dei martiri. Una classificazione più attenta degli Atti dei martiri li riunisce in tre categorie:
1 ) Rapporti ufficiali degli interrogatori (in latino acta, gesta). Quelli più importanti sono pochi di numero e ci sono giunti soltanto in edizioni preparate allo scopo di edificare i fedeli.
“La passione di Cipriano” e gli “Atti dei martiri Scillitani” sono tipici esempi di questa classe. Dei due, il primo è un lavoro composito costituito da tre documenti con un minimo di aggiunte editoriali, consistente in alcune frasi di connessione. Il primo documento tratta del processo di Cipriano del 257, il secondo del suo arresto e processo del 258, il terzo del suo martirio.
2 ) Resoconti non ufficiali redatti da testimoni oculari o per lo meno da contemporanei, che pongono per iscritto testimonianze di testimoni oculari. Tale è il “martirio di San Policarpo”, in gran parte dovuto all’immaginazione dei testimoni oculari. Gli “Atti di Perpetua e Felicita” sono forse i più belli e famosi di tutti gli Acta che si sono conservati, perché includono le note autografe di Perpetua e di Saturo e una relazione del martirio risalente a un testimone oculare. A questi poi bisogna aggiungere la “Lettera della Chiesa di Vienne e Lione” che racconta la storia dei martiri di Lione, e anche altri acta non ugualmente famosi.
3 ) Documenti più tardivi rispetto alla data del martirio, redatti in base agli acta del primo o secondo tipo e perciò soggetti a revisioni di vario genere. Quello che distingue questi acta dalle classi precedenti sono gli aspetti letterari: il redattore non stava scrivendo qualcosa che doveva essere fedele alla tradizione orale o spiegare un avvenimento. Stava piuttosto redigendo un documento letterario a suo proprio gusto e secondo i suoi scopi. La terza categoria è quella in cui rientrano il maggior numero di acta.
Anche gli scritti dei Padri della Chiesa contengono molti riferimenti ai martiri: vedi ad esempio le omelie di Basilio, Giovanni Crisostomo, Agostino, Pietro Crisologo e Giovanni Damasceno.
Infine bisogna considerare le raccolte di vite che sono state scritte per essere lette pubblicamente o in privato. La più importante è la Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea (265 – 340).
Gli “Atti dei primi martiri scritti in maniera sincera e selezionati” del benedettino Theodore Ruinart (Parigi 1689) sono considerati una pietra miliare e furono frequentemente ristampati. Lo studio critico degli Atti dei martiri è stato portato avanti vigorosamente a partire dall’inizio del ventesimo secolo, ed il punto di vista dei critici cambiò notevolmente rispetto a quello che aveva Ruinart quando fece la sua raccolta. Molti acta, che Ruinart considerava veridici, non sono più considerati tali. D’altro canto, la scoperta di testi antichi e le ricerche archeologiche del De Rossi e di altri hanno confermato varie storie di martirio. Il problema principale, quindi, per gli storici moderni, è scoprire la storia letteraria degli acta che sono pervenuti sino a noi. Non si può negare che furono fatti tentativi di mantenere intatta la storia dei martiri della Chiesa. Di fatto la lettura pubblica degli acta nelle chiese sarebbe una garanzia della loro autenticità.
Durante la persecuzione di Diocleziano ci deve essere stata una grossa distruzione di documenti, col risultato che la Chiesa avrebbe perso i criteri della storia dei suoi martiri. Ciò sembra essere specialmente vero nel caso di Roma, che nonostante il numero e la fama dei suoi martiri possiede così pochi acta autentici. Apparentemente già nella seconda metà del quarto secolo i cristiani di Roma avevano perso il filo di queste tradizioni. La Roma cristiana aveva i suoi martiri sotto i piedi, celebrava la loro memoria con devozione intensa, e tuttavia conosceva ben poco della loro storia.
Introduzione di Cristoforo
Volendo noi proporre la lettura degli Atti dei martiri, ci siamo indirizzati in un primo momento alla raccolta del Ruinart.
La vastità dell’opera e le riserve riguardo all’autenticità di alcuni atti, portate avanti dagli studiosi odierni, hanno poi rivolto altrove il nostro interesse.
È così che alla fine abbiamo privilegiato la raccolta di acta fatta da Sant’Alfonso di Liguori.
Come si potrà leggere nella sua prefazione, Sant’Alfonso ha cercato di fare una selezione fra i numerosi scritti a noi pervenuti, scegliendo quelli che, a suo parere, sembrano più autentici e in ogni caso edificanti.
Quale migliore giudizio e spirito critico potevamo noi trovare di colui che la Chiesa annovera tra i suoi Dottori?
Detto questo, alcune nostre considerazioni.
È indubbio che gli atti dei martiri sono giunti a noi in forma in parte riveduta. È evidente in alcuni casi una sorta di esagerazione per quel che riguarda la crudezza delle torture a cui venivano sottoposti. E questo per far meglio risaltare il coraggio e la forza di sopportazione della sofferenza, che veniva loro data dalla fede in Cristo. Se si può mettere in discussione la descrizione dettagliata dei tormenti, la loro durata, la capacità di sopravvivenza agli stessi, resta il fatto che il coraggio con cui i martiri affrontavano la morte si può dare per storicamente certo. Se così non fosse, si sarebbe perso il ricordo di una loro diversità rispetto ai comuni mortali, non solo per la santità dimostrata in vita, ma ancora di più nel momento del loro supplizio.
Quello che è per noi di maggior interesse, perché storicamente più fondato, è l’interrogatorio a cui venivano sottoposti dai giudici e le risposte che davano loro.
Troviamo qui la schiettezza della fede, così come esce dall’immediatezza del cuore, che mette il timore di Dio al di sopra di ogni altro timore.
L’incalzare delle domande e un giudizio di condanna già scontato in partenza, rendono conto in alcuni casi della secchezza delle risposte, che non ammettono ulteriori, inutili, insistenze nella richiesta di un sacrificio agli dei, che per un cristiano è aperto e conclamato rinnegamento della fede in Cristo.
Se possiamo distinguere in alcuni atti la sostanza del discorso da quello che può essere un suo corollario aggiunto dallo scrittore, dobbiamo dire che nei testi ritenuti più autentici non si indugia poi più di tanto sui particolari ad effetto e non si prolunga il discorso oltre lo strettamente necessario.
Cosa dobbiamo ritenere più edificante e più importante per la fede del moderno lettore?
Innanzitutto abbiamo un quadro veritiero della Chiesa dei primi anni, che vive un’autenticità di fede non più riscontrabile nei secoli successivi.
È fuori discussione che il rapporto di fede con il Signore può solo avere un valore assoluto, conforme al primo e più grande dei comandamenti: “ Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l’anima con tutte le tue forze”. Si vive per Dio e solo per Dio, a Lui offrendo la totalità della propria vita, senza riserva alcuna, fino al martirio cruento, qualora sia richiesto da una testimonianza che vuole essere secondo verità. Non esistono cristiani di serie A e di serie B: ci possono essere condizioni di esistenza diverse, ma tutti siamo ugualmente chiamati a donare la nostra vita. Il martirio unisce in un unico abbraccio persone vergini e persone sposate, giovani e vecchi, ricchi e poveri. Per Cristo si lascia tutto, per riavere tutto in un modo infinitamente più grande e più vero, in quella comunione di cuori e di volontà che è data soltanto dal Figlio di Dio, fondamento e fine della vita, nostro Salvatore e Redentore, che non ha operato soltanto in un tempo e per un tempo, ma che è e sarà con noi fino alla fine dei tempi. Se grande è il timore per la sofferenza che è data dal martirio, ancora più grande è la gioia che viene dal Signore quando la nostra vita è interamente abbandonata nelle Sue mani, perché si faccia di noi la Sua volontà; come anche Cristo ha fatto la volontà del Padre e siede perciò alla Sua destra , nell’attesa che si compia il numero degli eletti. Se noi siamo deboli, Lui è forte, se noi siamo dei perdenti, Lui è il trionfatore, che sempre ed ovunque in virtù della Sua grazia ci dona la vittoria sulle potenze del Maligno. I persecutori non sono dei nemici, ma uomini schiavi del Satana, strumenti docili del suo volere, degni del nostro amore: sia il nostro sacrificio un’offerta a Dio gradita per la conversione di tutti gli uomini. Nessun rancore, nessuna ostilità o volontà di ritorsione per coloro che ci perseguitano, ma un desiderio, da Dio benedetto, che il Signore converta i loro cuori e li faccia entrare nella comunità degli eletti che ha nome di Chiesa.
Non c’è salvezza fuori dal Cristo e dalla sua Chiesa. E questo deve essere testimoniato con l’esempio di una vita ubbidiente ai Suoi comandamenti e con l’annuncio di una Parola, che non ammette altri salvatori e salvezze diverse. O si è con Cristo o si è contro di Cristo. Non si scende a patti, se pur ragionevoli, con il nemico, che è il mondo, ovvero con quella mentalità dominante nelle masse, creata e agita dal Satana. Con quale intento? Con l’unico intento di sradicare dai cuori ogni coscienza di Dio e far tacere ogni lingua che proclami Gesù Cristo, Salvatore di tutti gli uomini. Non c’è salvezza se non in Lui e per Lui. Va proclamato il suo Nome in maniera aperta e conclamata, senza timore di quello che potrà soffrire la nostra carne. Gli Atti dei martiri sono di perenne attualità. Un richiamo forte, senza discussioni, ad una fede che non conosce le incertezze , i dubbi, le scappatoie sottili offerte dal Satana alla ragione umana, per amore del quieto vivere, per una felice concordia tra spiriti che non si possono ridurre ad unità. La pervicace ed ostinata proclamazione della fede in Cristo, come unica salvezza, fatta non solo nell’assemblea dei credenti, ma anche davanti ai magistrati dello stato, infastidiscono gli spiriti meno illuminati. La secchezza e la nettezza delle domande e delle risposte, un dialogo impossibile tra sordi , possono anche fare nascere il sospetto di quel fanatismo, che è sempre attuale in alcuni gruppi o movimenti religiosi di ogni tempo. Siamo molto lontani e, all’antipodo, di quello spirito ecumenico tanto esaltato oggi, che vuole mettere tutti insieme, ad ogni costo, in nome dei principi e dei criteri dettati dal buon senso e dalle superiori ragioni di una pacifica convivenza. Non c’è pace, ma guerra continua tra i figli delle tenebre e i figli della luce. Qualsiasi accomodamento, qualsiasi concessione fatta alla non fede del mondo è un tradimento del Cristo e una vanificazione della salvezza che Egli ci ha ottenuto in virtù del suo sacrificio. Non esiste fede in Gesù né testimonianza alcuna di fronte al mondo che non sia a caro prezzo, perché a caro prezzo il Figlio di Dio ci ha riscattato dal potere del Maligno. Il martirio è assimilazione piena all’amore del Cristo, che dopo aver donato tutto se stesso al Padre, nelle sue mani rimette la sua stessa vita, fino all’accettazione della morte e della morte in croce. Non esiste nella Chiesa dei primi secoli aspirazione o tensione ad una vita migliore che non sia desiderio vivo, attesa continua e perseverante di un regno che non è di questo mondo.
Nella primitiva comunità di fede troviamo ben viva ed operante quella dimensione escatologica dell’esistere che fa di noi uomini pellegrini e viandanti su questa terra. Non in senso ideale, ma reale, calato nella concretezza della esistenza quotidiana, a tutti manifesto allorchè si rinuncia a questa mondo per entrare in un altro. La morte del martire è proclamazione ed affermazione indiscutibile ed incontestabile dell’unica vita che ha valore: quella che ci riunisce per sempre nell’Uno che è il Cristo, nell’eterno Amore, nella gloria dell’eterno Padre.
Chi si accosta alla testimonianza di fede dei martiri vedendo in essi l’eccezione e non la norma della fede, si sbaglia ed è fuori strada. C’è un martirio di sangue, che è proprio di certi tempi e spazi della storia, e c’è un martirio che è sempre vivo e sempre opera e dà frutti nella Chiesa. È quello dei cristiani che testimoniano in ogni tempo che non si vive se non per Cristo, annunciando il Suo Vangelo, proclamando ad alta voce, a pochi e a tutti, che vi è un unico Salvatore e Redentore .
Se non siamo fermamente convinti che non vi è altra salvezza all’infuori di Cristo, vano è il sangue da Lui versato; ancora più vano quello versato dai suoi santi in ogni tempo.
Possiamo avere anche dubbi riguardo alla correttezza storica del racconto: può anche essere che il martirio di questi santi sia stato in tono più semplice e dimesso, come semplice e dimessa, non senza terrore e pianto, fu la morte in croce di Cristo, in tutto fatto simile a noi. Ma che i martiri siano dei vittoriosi, dei vincenti per la vita eterna, ben è testimoniato dallo Spirito Santo in tutti i cuori di coloro che vivono per il Signore. Nei momenti della prova, dello sconforto, della supplica a Dio Padre, essi sono accanto a noi, insieme con il Cristo e gli angeli, per dare coraggio e forza alla nostra fede. Non c’è solitudine per chi ha fede in Cristo: c’è solitudine soltanto nei cuori che hanno rifiutato la salvezza donata dal cielo. Miriadi di angeli e di santi vivono accanto a noi, pregano il Signore per la nostra salvezza, si tengono pronti per portare aiuto e soccorso ovunque si innalzi al cielo una preghiera di supplica a Dio.
Non ci può essere amore a Dio che non sia al contempo amore per tutte le creature, angeli e santi, che vedono faccia a faccia la Sua gloria. Dallo splendore di questa gloria celeste essi attingono grazia e benedizione per tutti noi, che viviamo nell’attesa della venuta del Signore: pellegrini e viandanti su questa terra, ma già cittadini della Gerusalemme celeste.
Breve prefazione all’opera da parte del suo autore, San Maria Alfonso de Liguori ( adattamento del testo alla lingua corrente di Cristoforo )
Si parla di alcuni martiri in particolare, poiché non intendiamo in questo libro fare una storia di tutti i martiri che sono stati nella Chiesa, ma solamente narrare alla rinfusa, senza ordine di tempo, o di persone, le vittorie di alcuni santi che dimostrarono maggior coraggio nei loro combattimenti e soffrirono i più acerbi tormenti che poté inventare la crudeltà dei tiranni. In alcuni racconti che qui esporremo, sembra incredibile come i persecutori della fede abbiano potuto infierire in tal modo contro dei santi martiri, che erano innocenti e non facevano male ad alcuno. Ma ecco donde nasceva questa crudeltà dei tiranni: nasceva innanzitutto dall’odio che generalmente portavano ai cristiani, i quali con le loro azioni virtuose erano un forte rimprovero per la loro vita infame: nasceva anche dalle istigazioni dei demoni, che odiavano con maggior furore quei santi che con il loro esempio promuovevano maggiormente la fede ed incitavano gli altri ad imitarli. Ma particolarmente nasceva dalla stizza che questi tiranni concepivano verso i martiri, nel vedersi vinti da fanciulli, da giovani ragazze e anche da uomini semplici ed ignoranti, che rinfacciavano ad essi la loro pazzia nel voler seguire una falsa religione, che ammetteva tutti i vizi e faceva adorare dèi falsi e malvagi, che nella loro vita (secondo quanto gli stessi Gentili insegnavano) non avevano dato altri esempi se non di turpitudini e scelleratezze tali che erano detestate da tutti gli uomini. Aumentava poi la loro rabbia il vedere i molti miracoli che avvenivano per mezzo di quei santi. Vedevano le fiere accucciarsi ai loro piedi, vedevano i carboni ardenti, i piombi liquefatti, che non bruciavano più e cose simili. Essi si mettevano a gridare: magie, magie prodigi, incantesimi! Ma i popoli a quei prodigi si convertivano ed abbracciavano la fede a migliaia. E così i giudici fremevano di maggiore rabbia. Credevano essi di portare spavento inventando nuovi tormenti e di spegnere la fede uccidendo i cristiani; ma quanto più moltiplicavano i tormenti e quanti più ne uccidevano, invece di diminuire cresceva il numero dei fedeli che si offrivano al martirio. Narra Tertulliano che essendo governatore in Asia un certo Arrio, un giorno gli si presentò una moltitudine così grande di cristiani, che confessavano Gesù Cristo, che egli ebbe rincrescimento di far morire tanta gente. Perciò ne fece uccidere solo alcuni e a tutti gli altri disse: “In quanto a voi, se avete voglia di morire, non vi mancano precipizi in cui gettarvi; andate via!”. E così li licenziò. Dunque come si è detto sopra non si intende qui fare una storia generale dei martiri ma solo di alcuni di loro più illustri. Né qualcuno si meravigli, se io parlando di qualche martire non riferirò tutte quelle circostanze che si trovano scritte in altri libri; dal momento che io ho cercato di esporre solo quei fatti che sono più accertati e ricavati da autori approvati, tralasciando alcune cose che non asserisco essere false, ma che ho trovato essere dubbiose, essendo dedotte da atti non sicuri e sospetti di falsità. Scrive il cardinale Baronio nei suoi annali che nello scrivere le vite dei santi “è meglio preferire poche cose e certe che molte ed incerte; perché le poche fedeli alla verità sono accolte con soddisfazione dal lettore che può trarne profitto. Al contrario, quando sono proposte cose non sicure, mescolate con le vere, allora accade che si sospetti anche di quelle vere”. E perciò conviene tralasciare quei fatti sospetti di falsità, purché (aggiungo) il sospetto non sia campato in aria, ma fondato su qualche ragionevole indizio. Poiché del resto quando l’autore che li riporta non è reputato comunemente di mala fede, che faccia di ogni erba fascio, ma antico, oppure probo, dotto e diligente e non vi è argomentazione positiva che gli atti del martire siano falsi, non è giusto rigettare le cose che asserisce, soprattutto quando vi è di quei fatti una indiscussa ed antica tradizione. Dico ciò, perché alcuni autori sembra che si facciano un merito col dubitare di ogni cosa. La critica e il discernimento nella scelta dei fatti e degli autori sono ben necessari per onore della verità; ma quando la critica è eccessiva, anche essa nuoce alla verità. Come è segno di debolezza voler credere tutte le cose che si scrivono senza fondamento, così all’incontrario è temerarietà voler mettere in dubbio ogni cosa; e specialmente voler togliere credito ai fatti più prodigiosi dei santi, solo perché sono molto prodigiosi. Dobbiamo persuaderci che Dio può molto più di quello che noi possiamo comprendere con i lumi infermi della nostra mente. Io nel descrivere i seguenti trionfi dei martiri ho usato tutta la diligenza che mi è stata possibile, ricavandoli da più autori dotti ed accurati. Ho tolto tutte le parole in eccesso, ed anche certe cose che non facevano al caso ed ho procurato di scrivere in breve la sola sostanza, e con chiarezza, scegliendo fra i trionfi dei martiri quelli che sono più pieni di fatti eroici, di insegnamenti utili: quelli insomma che sono per noi di maggiore edificazione. Orsù cominciamo a descrivere le loro vittorie.