1 Introduzione salmi tradotti dalla Vulgata
- Dettagli
- Categoria: Salmi
- Pubblicato Mercoledì, 26 Giugno 2024 05:23
- Scritto da Cristoforo
- Visite: 268
Introduzione salmi tradotti dalla Vulgata
Una domanda è d’obbligo: perché una traduzione dei salmi dalla Vulgata? Forse non tutti sanno che la versione in italiano attualmente letta nella Chiesa altro non è che un tentativo di rimetter in vita l’antico testo ebraico, lingua originale dei salmi. Questa evidentemente è stata l’intenzione della Cei che ha rivendicato a sé non si sa quale illuminazione dal cielo non considerando che la primitiva versione ebraica si è smarrita nel tempo. Dei salmi in ebraico non ci rimane che la versione masoretica dell’anno mille, redatta dai giudei con evidente intenzione anticristiana così come già molto tempo prima rilevava San Giustino nel dialogo con l’ebreo Trifone ( +!80 d C). “ Voi avete cancellato ed alterato tutti i passi che possono essere attribuiti al Cristo” Se questo si può dire di Tutto l’Antico Testamento, innanzitutto si deve dire dei salmi, che sono la preghiera di Cristo per eccellenza. Per recuperare l’antico testo ebraico sarebbe stato più ragionevole rifarsi alla traduzione dall’ebraico che ci è pervenuta da San Girolamo, accanito sostenitore della hebraica veritas. Tale versione che faceva parte delle Esapla di Origene, con testo ebraico antico è andata perduta assieme al resto nell’incendio della biblioteca di Alessandria. Ma c’è di più. San Gerolamo autore della celebre traduzione in latino dell’Antico Testamento, opera a cui giunse in virtù di un confronto critico fra tutte le versione della Esapla, riguardo ai salmi dall’ebraico ebbe un fondato ed illuminato ripensamento. Come ignorare e non considerare i salmi della versione greca dei Settanta, da molto tempo in uso tra il popolo di Dio, già dal 300 A. C, dove ormai è chiaramente delineata una lettura in Cristo e per Cristo? In una forma certamente profetica, che nel tempo ha conosciuto una sua evoluzione ed un accrescimento, la cui divina ispirazione ai tempi di Gesù era ormai indiscussa e sicuramente acquisita? Ne è la prova il fatto che i Vangeli citano spesso i salmi dei Settanta con esplicito riferimento al Cristo, alle sue parole e alle vicende della sua vita. Nessun cristiano della prima era avrebbe mai messo in discussione che Davide è figura del Cristo. Il tentativo di tornare in qualche modo indietro ad una fantomatica origine dei salmi, intesi in senso strettamente ebraico e , diciamo pure anticristiano, significa ignorare e non comprendere quel cammino di illuminazione che ha attraversato tutta la parola di Dio, fino a Cristo, suo fondamento e sua fine. La Rivelazione ha avuto un suo cammino, un inizio ed un compimento. La parola di Dio testimonia questo cammino, innanzitutto non collegandosi ad un sicuro e determinato inizio che non sia nella notte dei tempi, poi attraverso una tradizione orale con cambiamenti, aggiustamenti, ampliamenti che testimoniano il suo allargamento a ed il coinvolgimento di un intero popolo che voleva essere dell’unico Dio. Soltanto in epoca tardiva, dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia, gli esuli e i rimasti pensarono bene di redigere un testo scritto con valore normativo, uguale per tutti. È questa la Bibbia che ci è rimasta: un testo rielaborato, rivisto, frutto della preghiera e dell’ispirazione dei molti. I nomi che sono stati dati ai singoli libri sono per lo più convenzionali, così pure quelli dei loro autori. Si parla di Mosè, di Davide di profeti , personaggi storicamente noti e documentati. Nulla sappiamo di preciso. La Bibbia fu scritta dal dito stesso di Dio, in quanto nata, creata per volontà ed ispirazione divina. Una lettura che sia puramente frutto della ricerca e dell’analisi storico - scientifica è del tutto inutile e fuorviante. Non ci dice nulla di autenticamente rivelato e, soprattutto, non ci immette in quel flusso spirituale che partendo da tempi remoti , ci porta al Cristo. Non possiamo entrare in questo flusso se non in virtù di una comunione con i santi attraverso i quali la Bibbia è passata da secolo in secolo, da preghiera a preghiera, da riflessione a riflessione, da aggiustamento ad aggiustamento. Da una debole flebile luce iniziale si è così arrivati a quella pienezza di luce che splende nel Cristo. La rivelazione è stata fatta ad un popolo e non chiama in causa i singoli se non in quanto parte dei molti. E non è sopravvissuta e non è stata portata avanti se non con il consenso e la volontà di un popolo.
Se poi c’è chi vede nella Bibbia una pura invenzione, frutto della fantasia umana o peggio ancora una serie di leggende e racconti antichi che qualcuno ha voluto mettere insieme come tante pezze per farne un bel vestito: questa certamente non è la fede cristiana! La Bibbia va letta con lo stesso spirito con cui è stata scritta: perché si affermi e si edifichi in noi il regno di Dio, su questa terra, nell’attesa di quello eterno in cielo. Certamente c’è un limite ed una fine per tutto quello che viene aggiunto. La Rivelazione non ha un inizio ben definito ma ben definita è la fine. Finisce ciò con la morte dell’ultimo apostolo. Perché questo? Perché gli Apostoli furono gli unici testimoni accreditati da Cristo per l’annuncio del suo Vangelo, Ciò che è fuori e oltre non fa parte della Rivelazione. Non va accolto né seguito, peggio ancora annunciato. Vero è che soltanto ciò che è stato fondato su quella pietra che fu l’apostolo Pietro e con lui i dodici eletti da Gesù, può chiamarsi di diritto patrimonio indelebile e perenne della Chiesa. Non c’ è un cammino e un processo indefinito, come vorrebbero i vari visionari che si sono susseguiti nel tempo, per condurre i molti alla rovina. Niente nella Bibbia è frutto di semplice fantasia e creazione dell’uomo: tutto è divinamente ispirato e suggerito in un tempo da Dio, anche se nella forma dell’immagine che va oltre, ma non fuori dalla realtà storica. Questo fu ben compreso dagli antichi commentatori della Scrittura, quelli che furono chiamati Padri, dottori della Chiesa o semplicemente scrittori ecclesiastici. Bisogna riconoscere ciò che è in immagine ed arrivare ad una lettura che attraverso essa parla all’attualità della vita, non di un tempo, ma di tutti i tempi. Perché “i cieli e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno”. Nulla si deve togliere e nulla si deve aggiungere alla Parola rivelata così come è stata annunciata ed interpretata dai Apostoli. Con la morte di Giovanni, l’ultimo degli dodici, finisce la rivelazione. E guai a che aggiunge o toglie qualcosa al libro della vita.
Riprenderemo altrove questo discorso che è origine e fondamento della Chiesa. Ritorniamo ora alla nostra traduzione dei salmi, con un tassello in più. Con una maggiore intelligenza delle modifiche e delle aggiunte che i salmi hanno conosciuto nel tempo. Innanzitutto nella versione dei Settanta, cioè nel tempo immediatamente precedente la venuta del Cristo: tempo in cui si va adempiendo quella pienezza che ha reso possibile l’incarnazione del Figlio di Dio. Impossibile una lettura dei Salmi, mettendo da parte e scavalcando la versione dei Settanta. Per secoli gli ebrei in attesa del Salvatore hanno letto i salmi nel testo greco dei Settanta. In quanto all’ebraico, era lingua dei dotti, da tempo non più parlata e conosciuta.
Per quale ragione si sarebbe dovuto ricercare la versione ebraica, ignorando la ventata di novità che precede i tempi del Messia ed il coinvolgimento ormai in atto del popolo dei Gentili, che numerosi convivevano con gli Ebrei in Alessandria? Non si può del resto ignorare che i Vangeli stessi furono scritti e divulgati all’inizio nella lingua greca, la lingua per così dire universalmente nota in tutto il mondo allora conosciuto. Ma come si arriva alla Vulgata di Gerolamo? Passata l’epoca dell’egemonia della lingua greca nel bacino del Mediterraneo, a poco a poco l’espansione della potenza romana portò alla diffusione le latino in tutto l’impero. Con Gerolamo ed Agostino siamo già nel quinto secolo dopo Cristo. Ormai, almeno in tutto l’impero occidentale, si parlava in latino. Va da sé che alcuni dotti potevano conoscere sia il latino sia il greco: non così le persone del popolo. C’era bisogno di una traduzione della Scrittura nella lingua parlata del tempo, quel latino che è chiamato ecclesiastico perché fu utilizzato dalla Chiesa, non certamente creato da essa. Agostino afferma che ai suoi tempi vi erano numerose traduzioni in latino della Sacra Scrittura, da lui stesso conosciute e consultate. Ma era evidente che si doveva arrivare a un testo per così dire normativo, uguale per tutti e da tutti approvato. È a questo punto che si fa a poco a poco strada la traduzione di Gerolamo. Non si parlò di testo rivelato come quello ebraico e greco, ma di una traduzione illuminata , opera di un grande santo, di una intelligenza e di una scienza biblica incomparabile. Gerolamo visse e morì da solitario, più avversato che stimato ai suoi tempi. Dopo la sua morte la fortuna della Vulgata fu inarrestabile. Divenne il testo più autorevole di riferimento per tutta la Chiesa. Tale fu e rimase per più di millecinquecento anni. Per quel che riguarda l’Antico Testamento Gerolamo fu accanito sostenitore dell’ebraica veritas. Non riconobbe ispirati i libri scritti in greco. Degli stessi salmi fece una versione in latino da un testo ebraico, certamente più antico di quello masoretico. Ma allorchè si arriva ai salmi, come ignorare che essi furono tramandati, letti, cantati fin dal terzo secolo avanti Cristo, in greco? Come ignorare una lettura che è sempre più in Cristo e per Cristo, come largamente attestata dalle citazioni del Nuovo Testamento? È giustificato un ritorno indietro e la chiusura verso quella novità che ha nome di
Gesù Salvatore? Sbaglia la Chiesa tutta che canta le lodi del Salvatore, nel linguaggio dei salmi? E cosa dire dei Padri che ovunque nei salmi hanno visto Davide come figura del Cristo? Certamente c’è stato in alcuni, come in Origene e in Agostino, un eccesso di lettura in immagine. Ma come non riconoscere quel flusso spirituale nato in Israele che portava al Cristo? E come non deplorare le attuali traduzioni dei salmi dal tardivo testo masoretico, dichiaratamente contro il Cristo? Si potrebbe tutt’al più capire l’utilizzo della traduzione di Gerolamo dal testo ebraico da lui consultato. Ma ormai non c’è considerazione che tenga. Il dilagante storicismo biblico, sta distruggendo tutto, senza nulla costruire. Il risultato ben lo vediamo nella arbitrarietà delle traduzioni, nel nulla spirituale in cui si sta precipitando.
Ci son fin troppe ragioni per dire: Torniamo alla Vulgata di Gerolamo, soprattutto nel canto dei salmi, con una sola voce, con un solo intento, con un solo spirito, come si addice alla vera Chiesa cattolica, universale perché sempre e dappertutto innalza al Signore un’unica lode.
Proclamando in lectio continua un salmo al giorno, meditando i commenti dei Padri della Chiesa possiamo far vivere in noi quella comunione di tutti i santi che sono sulla terra con quei viventi in cielo, che attendono il compimento del numero degli eletti e intercedono per noi tutti.
La Traduzione: criteri, difficoltà e problemi
Per quel che riguarda la nostra traduzione, i criteri sono gli stessi da noi seguiti per i Vangeli, conforme a quanto scriveva ai suoi tempi Gerolamo. Bisogna rendere la Parola di Dio, in senso letterale, rispettando la disposizione stessa delle parole, senza nulla aggiungere e senza nulla togliere. Se il Signore si è espresso in un certo modo, non si vede perchè si debba introdurre cambiamenti e aggiustamenti, graditi all’udito, ma fuorvianti per quanto riguarda il loro significato. Se ciò è vero per i Vangeli, lo è anche per i salmi in cui le ragioni del canto sono sembrate ai nostri tempi prioritarie rispetto al testo letterale. Bisogna procedere in un senso decisamente contrario: non la Parola di Dio va adattata al canto, ma il canto va adattato alla Parola di Dio. Importa comprendere quel che il Signore vuol dire a tutti e ad ognuno, non far dire al Signore quel che può essere gradito all’uno e ai molti. Vanno evitate e rigettate le traduzioni in forma di parafrasi con aggiunte e spiegazioni del tutto ingiustificate e fuori luogo. Non è detto che il traduttore tutto debba comprendere, certamente deve tradurre ciò che è scritto . Quello che non è compreso dall’uno può essere compreso da un altro lettore. L’intelligenza piena della Scrittura appartiene all’intero corpo della Chiesa. Una qualsiasi traduzione non può rifiutare il confronto con ciò che altri hanno tradotto. Certamente ognuno alla fine ci mette del suo , ma sempre in un’ottica di complementarietà e continuità di ciò che è appreso. Per quel che ci riguarda abbiamo consultato Agostino, Sacy , e la traduzione abbinata al commento del Sales ( 1934) .
Difficoltà son trovate nella lettura dei codici antichi, trascritti dagli amanuensi. Allorchè si arriva allo stampato il problema non è certamente risolto. Si procede sempre con la stesura e con l’applicazione di lettere singole. Facile l’errore per le ragioni più svariate che non staremo qui a spiegare in maniera dettagliata. Non esiste testo antico scevro da errori. Chi ha copiato, molte volte ha fatto correzioni, in compenso ha aggiunto altri errori e così via fino alla stampa attuale tipo fotocopia. Non dobbiamo però pensare che queste varianti possano invalidare il testo. Gli errori sono facilmente individuabili e correggibili. Sono pur sempre di numero limitato, anche se ripetuti di codice in codice. Alla fine messi assieme son tanti, ma sono poi sempre gli stessi ricopiati e ripetuti. Per quel che riguarda la nostra traduzione ci siamo attenuti alla edizione “stoccardiana” del 1969 che riporta la Vulgata detta Clementina del 1593. Non è ovviamente un testo privo di errori, ma è il più accreditato.
L’ intelligenza dei salmi
Importante è la lettura di tutta la Bibbia, ma in modo particolare del Nuovo Testamento e dei salmi.
Ai tempi dell’Antico Testamento e della vita di Gesù non si deve pensare che il popolo, ovvero la maggior parte degli Ebrei, ne sapesse poi tanto di Sacra Scrittura. I testi erano rari e costosi. Difficile il loro possesso e la loro lettura era riservata ai pochi che sapevano leggere e potevano avere ad essi accesso. Vi era in Israele una minoranza di dotti, che conoscevano l’Antico Testamento. Nel novero di questi maestri della Sacra Scrittura, troviamo lo stesso Gesù, così come scritto nei Vangeli. Gerusalemme, la città più popolosa, sede del tempio, era certamente il centro dell’insegnamento della Parola di Dio. Nelle campagne e nei piccoli borghi non si poteva saperne più di tanto e non tutti ovviamente cercavano una migliore istruzione. I Dodici apostoli anche se non si potevano dire maestri, avevano tuttavia una certa conoscenza della Scrittura che li distingueva nel gruppo dei discepoli di Cristo. Se l’Antico Testamento era conosciuto da pochi, tutti però conoscevano i salmi che venivano cantati nelle assemblee delle sinagoghe. L’apprendimento mnemonico era di particolare importanza. Rendeva possibile la preghiera comunitaria con un cuore solo ed un’anima sola. Nei salmi era per così dire riassunta tutta la Sacra Scrittura non solo in riferimento al già compiuto ma anche in riferimento a ciò che doveva compiersi. Quando i Vangeli citano l’Antico Testamento, in senso profetico, lo fanno nella forma dei salmi. Davide è indiscussa figura del Cristo. Così intendevano i primi cristiani prima ancora della composizione dei Vangeli, così intenderanno i Padri . La Chiesa tutta per secoli avrà in onore la lettura dei loro scritti e commentari: una produzione letteraria cospicua che non si può ignorare ma che si deve conoscere se pure in forma abbreviata.
Questo l’intendimento del nostro lavoro. Altri sapranno e potranno fare meglio.
Come abbiamo proceduto nel nostro lavoro? Proponendo innanzitutto il commento di un grande esegeta di Port Royal, il de Sacy, amico e confidente di Pascal. La sua conoscenza della Sacra Scrittura è veramente impressionante, sempre accompagnata da una costante lettura dei Padri. Ci siamo rifatti ad una edizione italiana dell’opera del 1722. Per rendere la lettura più agile e scorrevole abbiamo ridotto il testo all’essenziale, togliendo ripetizioni e periodi lunghi e complessi di difficile interpretazione. Lo stesso si dica per il commento ai salmi di Sant’Agostino. Sebbene gli scritti siano stati decurtati, il pensiero rimane intatto e anche lo stile non ne soffre più di tanto. Da ultimo abbiamo riportato parti dell’opera “I padri commentano il salterio della Tradizione” opera di Dom Jean- Claude e della Comunità di Monteveglio ed. Gribaudi.