Lettera ai Romani cap8

                                   Cap. 8

 

1 Dunque ora non c’è alcuna condanna per quanti sono in Cristo Gesù. 2 Infatti la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.

3 Infatti ciò che era impossibile per la legge, in cui ( la Legge)era debole a causa della carne, Dio, avendo mandato suo Figlio in similitudine di carne di peccato e a causa del peccato, condannò il peccato nella carne, 4 affinché la prescrizione della legge si adempisse in noi che camminiamo non secondo carne  ma secondo spirito.

5 Coloro infatti che sono secondo  carne, aspirano alle cose della carne, mentre coloro che sono secondo  spirito, alle cose dello spirito.

6 Infatti il desiderio della carne è morte, invece il desiderio dello spirito è vita e pace;

7 poichè il desiderio della carne è avversione contro Dio, infatti non si sottomette alla legge di Dio né lo può.

8 Coloro poi che sono nella carne non possono piacere a Dio.

9 Voi invece non siete nella  carne, ma nello spirito: se lo Spirito di Dio abita in voi.

Se poi qualcuno non ha  lo Spirito di Cristo, questi non  è di lui. 10 Se invece Cristo è in voi, il corpo è  morto a causa del peccato, ma lo spirito è  vita a causa della giustizia. 11 Se poi lo spirito di colui che ha resuscitato Gesù da morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo da morti vivificherà anche i vostri corpi morti a causa del suo spirito inabitante in voi.

12 Perciò dunque fratelli siamo debitori  non alla carne per vivere secondo carne, 13 se infatti vivete secondo carne state per morire; se invece con lo spirito uccidete le opere del corpo, vivrete.

14 Infatti quanti sono condotti dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.

15 Infatti non riceveste di nuovo uno spirito di schiavitù per timore, ma riceveste uno spirito di figliolanza, in cui gridiamo: Abbà, il Padre. 16 Lo stesso Spirito testimonia insieme al nostro spirito che siamo figli di Dio.

17 Se  figli anche eredi; eredi di Dio, coeredi poi di Cristo, se soffriamo insieme per essere anche glorificati insieme.

18 Ritengo infatti che non sono degne le sofferenze del tempo presente in rapporto alla gloria che sta per essere rivelata in noi.

19Infatti l’ attesa impaziente della creazione aspetta ansiosamente la rivelazione dei figli di Dio.

20 Infatti la creazione fu sottomessa alla vanità non volendo, ma a causa di colui che ha  sottomesso, 21 con la speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per la libertà della gloria dei figli di Dio.

22 Sappiamo infatti che tutta la creazione geme insieme e soffre insieme fino ad ora.

23 Non solo però, ma anche noi che abbiamo la primizia dello Spirito,  noi stessi in noi stessi gemiamo insieme, aspettando ansiosamente la figliolanza, la redenzione del nostro corpo. 24 Per la speranza infatti siamo stati salvati; ma una speranza vista non è speranza: infatti  chi spera ciò che vede? 25 Se invece  ciò che non vediamo speriamo, con pazienza aspettiamo ansiosamente.

26 Similmente poi anche lo Spirito sollecita per la nostra debolezza: infatti non sappiamo cosa preghiamo secondo ciò che è necessario, ma lo stesso Spirito intercede con gemiti inesprimibili. 27 Colui che scruta i cuori sa cos’ è il desiderio dello Spirito, poiché secondo Dio intercede per i santi.

28 Sappiamo ora che per gli amanti Dio tutte le cose cooperano al bene, per coloro che sono chiamati secondo la deliberazione.

29 Poiché coloro che ha preconosciuto  ha anche predestinato conformi all’immagine del suo Figlio, per essere egli primogenito tra molti fratelli.

30 Coloro che poi ha predestinato, questi anche ha chiamato; e coloro che ha chiamato, questi anche ha giustificato; coloro che poi ha giustificato, questi anche ha glorificato.

31 Cosa dunque diremo per queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32 Colui che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo consegnò per noi tutti, come non darà in dono a noi con lui le cose tutte?

33 Chi sarà accusatore contro gli eletti di Dio? Dio, colui che giustifica. 34 Chi il condannante? Cristo Gesù, colui che è morto, piuttosto anzi  risuscitato, che anche è nella gloria di Dio, che anche intercede per noi.

35 Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Tribolazione o ristrettezza o persecuzione o fame o nudità o pericolo o spada? 36 Come è scritto: A causa di te siamo mandati a morte per l’intero giorno, siamo considerati come pecore da macello. 37 Ma in tutte queste cose stravinciamo a causa di colui che ha amato noi.

38 Sono convinto infatti che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezze, né profondità, né qualunque altra creatura  ci potrà separare dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù , il nostro Signore.

 

 

 

1Dunque ora non c’è alcuna condanna per quanti sono in Cristo Gesù. 2Infatti la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.

Il nostro corpo carnale nasce da una condanna e porta con sé ogni condanna: condanna al peccato ed alla dannazione eterna. Ma per coloro che sono in Cristo Gesù nessuna condanna. Nessuno che in primo giudizio è risultato colpevole agli occhi di Dio può ben sperare di essere salvo, se non interviene qualche novità. E non c’è novità se prima non facciamo una confessione piena e sincera della nostra colpa davanti allo stesso giudice. Si viene graziati per un atto di clemenza. E  si cambia vita in virtù del Figlio. Chi è vero giudice è vero padre. E’ il Padre che vista la nostra miseria, accoglie la confessione di colpa e la richiesta di aiuto e manda il Figlio in nostro soccorso, perché provveda Lui per la nostra vita futura. Non basta essere perdonati e rimessi in una libertà, falsa ed illusoria. Ci muoveremmo come vogliamo e dove vogliamo, ma sempre da peccatori. Saremmo liberi di fare altri peccati e tutti i peccati che vogliamo, non saremmo liberi dal peccato. Di tanto il giudice che è nei cieli è diverso da ogni giudice che è sulla terra, non solo ci perdona le nostre trasgressioni, ci libera da ogni peccato e dal potere del peccato. 

2Infatti la legge dello Spirito della vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.

Ogni corpo ha le sue leggi e vive ed opera secondo leggi proprie. Come il corpo carnale è soggetto alla legge del peccato e della morte, così il nostro corpo spirituale è soggetto alla legge della vita, in Cristo Gesù. In Adamo facciamo esperienza di peccato, in Cristo di giustizia. In nessun uomo possono convivere due corpi diversi, con leggi diverse. Ogni regno diviso in se stesso è destinato a perire. O siamo nel peccato o siamo nella giustizia: o si è con Cristo o si è contro Cristo. Non vive uno stato di divisione, se non chi ha intrapreso il cammino della salvezza, in fase transitoria e provvisoria, finchè non arriva Cristo. Per chi è rinato in Cristo una sola realtà ed una sola legge. Ma anche per chi dorme nel Satana, non c’è poi molto conflitto e dilacerazione interiore, se non nella misura in cui è provocata dall’intervento di Dio, per misericordia sua. Mi dirai allora: Perché il conflitto continua in noi anche dopo la conversione al Signore? Perché la nostra conversione non è mai piena e totale, non copre tutto il nostro tempo. Il conflitto etico può riaffiorare in ogni momento, ma non per questo smentisce l’uomo nuovo che è in noi, semmai ci spinge con più forza verso di lui, perché sia rinnovata e rinforzata la nostra fede in Cristo. Come l’uomo che vive nel Satana è inseguito tramite la legge dalla misericordia divina, così l’uomo che è passato al Cristo è inseguito dalla malvagità del Diavolo, che si fa sentire di nuovo e non vuole perderci. Ma ha già perso e perderà di nuovo se stiamo attaccati al nostro Salvatore e alla sua giustizia. Altro è vivere in Adamo ed essere pungolati dal Signore, altro è vivere in Cristo ed essere pungolati dal Diavolo. Se stiamo con Gesù possiamo perdere qualche battaglia e forse anche molte, per la pochezza della nostra fede, ma non perderemo la guerra, perché siamo passati dalla parte del più forte. Chi rimane nel Satana può ben vincere qualche battaglia contro il male, ma non vincerà la guerra, perché sta dalla parte sbagliata. La tensione contro lo stimolo al peccato può apparire la stessa, ma il nostro stato è ben diverso. Se in Adamo portiamo una condanna, in Cristo nessuna condanna, ma ogni grazia e ogni speranza. Se prima nostro capo era il Diavolo e Gesù  ci insidiava al calcagno con la sua legge, per trattenerci dal precipizio, ora nostro capo è Cristo ed è Satana che insidia il nostro calcagno con il peccato per allontanarci dal nuovo padrone. Nel Salvatore la roccaforte del nostro cuore è resa inaccessibile ed inespugnabile in virtù del Forte. Il nemico non si arrenderà facilmente, attaccherà di continuo e cercherà di riprendersi la posizione perduta. La battaglia sarà dura con morti e feriti, ma la vittoria è sicura, se però facciamo intervenire il Signore.

3Infatti la cosa impossibile per la legge in cui era debole a causa della carne, Dio avendo mandato suo Figlio in similitudine di carne di peccato e a causa del peccato condannò il peccato nella carne, 4affinché la prescrizione della legge si adempisse in noi, non camminanti secondo carne  ma secondo spirito.

La legge nonostante sia buona e sia data da Colui che è Bene, non è ancora il Bene. E’ un prodotto di Dio, e in quanto tale si manifesta diversa da ciò che è prodotto dal Maligno. Ha caratteristiche contrarie rispetto al peccato, perché ha un’altra fonte ed un’altra scaturigine. Benché entri in collisione col peccato e metta in discussione colui che è Padre di ogni peccato, non è in grado di liberarci dal Satana. E’ una guerra tra Dio ed il diavolo a lunga distanza, dove si possono bensì infliggere delle ferite al nemico, ma dove non si ha la morte del nemico. Si deve necessariamente arrivare allo scontro diretto nel nostro cuore tra Cristo ed il Diavolo. Se è il Signore che lo provoca in noi, noi non dobbiamo allontanarlo, ma sollecitarlo e schierarci dalla sua parte. E’ il Figlio che venuto sulla terra, infligge al Maligno il colpo di grazia da cui ci viene ogni bene. E con ciò condanna a morte il peccato e rende viva e attuale quella giustificazione di cui la legge è messaggera e foriera. E tutto questo in noi che camminiamo non secondo la carne, ma secondo lo spirito. Niente di fatale però, e niente di assolutamente necessario per tutti gli uomini, ma solo per quelli che camminano nello spirito. Dio che tutto opera in noi nulla può operare senza di noi. A chi tocca dunque questa grazia, chi ne è fatto oggetto? Soltanto chi si trova in cammino verso la salvezza e non chi riposa tranquillamente nel sonno della morte. Mi potrai obiettare che è la legge di Dio che ci mette in cammino e sul cammino del Salvatore. Ma essa non muove chi non vuol muoversi, semplicemente addita la strada verso la salvezza. Senza il tuo impegno e senza la tua volontà nulla accade di ciò che è già accaduto. La Parola di Dio, in quanto  Legge  ti fa conoscere il tuo stato, in quanto Profezia ti fa sapere che il Salvatore è alle porte, in quanto Vangelo ti fa conoscere il Cristo. Ma rimane un buco ed un salto che devi colmare con la tua volontà. Spetta a te andare incontro a Cristo e camminare con Lui per essere da Lui rinnovato e vivificato. Senza il tuo impegno e senza la tua volontà nulla accade di nuovo nella tua storia. Certo bisogna operare in senso giusto e c’è chi si dà da fare in modo sbagliato, come gli scribi e i farisei. Ma non illuderti e non addormentarti in una fede inoperosa e dormigliona. Dove è il tuo tesoro, là è pure il tuo cuore. Se hai riposto ogni gioia ed ogni speranza in ciò che viene dalla carne, avrai il pensiero fisso alle cose della carne, se invece hai messo il tuo cuore nello Spirito di Dio, allora avrai il pensiero fisso alle cose dello Spirito. E’ il pensiero che manifesta il nostro essere più intimo e più vero. Come non si cessa di essere così non si cessa di pensare. E’ interrotto durante il sonno l’operare dell’uomo non il suo pensare. Niente manifesta l’andamento della nostra fede, quanto l’andamento del nostro pensiero. Un pensiero altalenante tra le cose di Dio e quelle della carne, svela una fede incerta e non ben determinata. Un pensiero fisso in Dio, non manifesta affatto un fissismo di tipo patologico, ma una condizione stabile e sicura del nostro spirito, nello Spirito di Dio. Con ciò non si vuol negare la realtà di un fissismo di tipo patologico e maniacale, ma è ben altro. Nessun maniaco pensa sempre ed esclusivamente a Dio, ma ad altre cose, le più diverse e le più svariate. Attenzione a disprezzare i maniaci di Dio. Seppure sono presenti aspetti patologici, si tratta di una patologia che è nelle mani del Salvatore. Tu che ti ritieni sano di mente, e non riesci a comprendere questo e ad amare i malati psichici! Concedi almeno che il Signore ci sia anche per loro. Guardati dal disprezzare la loro fede solo perché si accompagna ed è accompagnata dalla malattia. E come potrebbe essere diversamente?  Non ti è chiesto di avere una fede da matto, ma di avere fede come un matto. Se la fede dei malati mentali è degna di stima e può esserci di stimolo, ciò non vuol dire che essa si ponga come guida e norma. Nessuno è oggetto di ammirazione e di disprezzo se non colui che si presenta come diverso: noi intendiamo innanzitutto la diversità psichica e spirituale. Accade però spesso che la diversità psichica sia interpretata come diversità spirituale, e la diversità spirituale come diversità psichica. La chiesa è piena di visionari ed ogni visionario fa notizia. Ma altro è vedere con gli occhi della psiche ed altro vedere con gli occhi dello spirito. Le visioni di cui parla la Scrittura come fatto e realtà abituale della chiesa, vanno intese come visioni di tipo spirituale, riguardano la nostra mente e la nostra intelligenza, su di essa gettano la loro luce. Per quanto riguarda il vedere con gli occhi della carne, manifestazioni di questo tipo, appartengono di più alle malattie psichiche, tipo allucinazioni. Certo si vedono le cose di Dio perché si pensano le cose di Dio, e questo è cosa buona. Ma è la fede quale si esprime normalmente in una certa malattia. Non rappresenta l’eccezionalità della fede, ma l’eccezionalità di uno stato di fede. Di diverso e di straordinario c’è solo la malattia, non la fede. Non vanno disprezzati i visionari, quelli in buona fede ovviamente, ma neppure si deve dare alle loro visioni quel valore e quel significato che non hanno. Non c’è alcuna visione materiale di Dio che vada oltre la condizione del singolo. Sono per chi le ha e solo per lui. Sono una sua luce ed una sua guida: non sono guida e luce per la chiesa. Non possono determinare e coinvolgere la totalità del corpo dei fedeli, se non nel senso che dobbiamo prenderne atto come ciò che è di alcuni e non di tutti. Il simile ama il simile, e chi è matto ha bisogno di un altro matto. C’è anche chi vede in queste “apparizioni” un bene necessario per i semplici e gli umili che non riescono a comprendere il vangelo. Potrebbe anche essere, ma chi frequenta persone di tal tipo esamini prima se gli manca l’intelligenza per comprendere la Parola o se semplicemente gli manca la luce e la volontà di avvicinarsi alla Parola. E’ con la Parola rivelata che Dio si manifesta ai propri figli. Se Dio ha fissato un norma ed una regola perché tu cerchi l’eccezione? Una fede vera è sicuramente un’eccezione, ma nessuna eccezione è sicuramente vera, se non si manifesta come tale. La vere fede si vede dalle opere e dalle parole. Il tempo manifesterà quel che vale l’opera di ognuno. Che non ci accada, come sovente accade, di umiliare e disprezzare i visionari dopo averli innalzati al cielo. Solo perché si è resa palesa la loro infermità mentale. Aggiungeremmo peccato a peccato. Dopo aver peccato contro Dio, non fidandoci esclusivamente della sua parola, pecchiamo anche contro i fratelli più poveri. Meglio essere prudenti, di una prudenza amorosa che nessuno umilia e disprezza, ma cerca innanzitutto ciò che sicuramente viene da Dio. Perché vuoi camminare su di un cammino incerto e malsicuro e rifiuti la strada che ti è additata dalla Parola di Dio?

E non mi dire che tutto quanto è approvato dalla chiesa si pone con ciò sullo stesso piano della rivelazione. La rivelazione è già data e compiuta,nulla si può e nulla si deve aggiungere. Certo c’è sempre questo o quel vescovo o prete che approva e conferma e crea l’illusione della benedizione della chiesa.  Non è neppure questione di gerarchia, si trattasse anche del papa. Meglio vedersela con il Signore e con la sua parola. Se Dio non giustifica, giustificherà l’uomo?

5Coloro infatti che sono secondo  carne, aspirano alle cose della carne, mentre coloro che sono secondo  spirito, alle cose dello spirito.

E’ giusto e santo avere il pensiero fisso alle cose dello spirito. Ma attenzione ad una fede esclusivamente psicologica, sana o malata che sia la nostra psiche. La fede vera viene dallo Spirito e manifesta la vita dello spirito. Ha una sua sapienza che è diversa da quella della carne. Qual è propriamente la sapienza della carne? Sapienza deriva da sapio, ho sapore. E’ tutto ciò che si manifesta alla nostra mente con un suo spessore ed una sua profondità, capace di incidere sulle nostre scelte in maniera determinante. Ma vi è sapienza vera e sapienza falsa. Entrambe ci prospettano  ciò che è bene per la nostra vita, ma contraddicendosi l’una con l’altra.. Arriva il momento della verifica ed allora la sapienza della carne si manifesta come morte, la sapienza che viene dallo spirito come pace e vita. Se la sapienza della carne è un dato di fatto, la sapienza dello spirito è un dono semplicemente possibile ed eventuale.

6Infatti il desiderio della carne è morte, invece il desiderio dello spirito vita e pace .

Ciò non significa che chi è sapiente nella carne abbia consapevolezza di morte. Paolo parla da convertito, e vede con altri occhi l’uomo vecchio. In realtà si può essere morti alla vita di Dio e non rendersi conto del proprio stato. E in questo stato la legge ha una funzione primaria che è proprio quella di mettere in discussione la nostra vita e di insinuare in noi il dubbio della morte. La sapienza della carne è spirito di autoconservazione, vede con sospetto ogni novità. Ha paura di perdere ciò che avverte come proprio. Soltanto grossi scossoni riescono a muovere l’uomo carnale e a spingerlo a tentare l’avventura della fede. Quando la vita carnale non ha più sapore allora è possibile il cambiamento. Finchè l’uomo assapora il gusto del peccato il suo cuore è lontano da Dio. C’è peccatore e peccatore. C’è chi pecca in Adamo provando gusto per la trasgressione a Dio, c’è chi pecca, nonostante sia passato dalla parte di Cristo, semplicemente per debolezza. Non c’è in lui amore per il peccato, ma amaro è il suo frutto e pronto e subitaneo è il pentimento. Il santo appena assapora il peccato, lo sputa fuori dalla sua bocca, perché non ne sopporta l’amarezza. Il malvagio continua a mangiare del suo frutto senza nulla scartare fino alla fine. E non è mai sazio: esaurito il piacere di un peccato, va in cerca di un altro e così cresce di colpa in colpa fino alla condanna eterna. Finchè ha un suo sapore la vita in Adamo ha una sua sapienza. Inutile discutere con chi non crede, vano è l’annuncio del Vangelo per coloro che hanno il cuore sazio, seppure di lordure. Qualsiasi confronto tra la sapienza della carne e quella dello spirito è completamente inutile. 7Poiché il desiderio della carne avversione contro Dio, infatti non si sottomette alla legge di Dio né può. Credi di poter insidiare la mancanza di fede degli altri con le ragioni della tua fede? Sei un ingenuo, per non dire un presuntuoso. Non puoi arrivare là dove arriva soltanto il Signore. E non certo  partendo da qualsiasi ragione, ma soltanto da quelle della sua legge, così come è iscritta per natura nel cuore di ogni uomo. Chi non ascolta la legge di Dio, non può certo ascoltare la parola di Cristo. Chi è nemico del Padre non può essere amico del Figlio. Perché è detto che la sapienza della carne non è sottomessa alla legge di Dio e neppure lo può. La disobbedienza alla legge non ci viene dalla sapienza della carne, ma è la sapienza della carne che viene dalla disobbedienza della Legge. Come vedi il confronto non è mai tra sapienza e sapienza, ma innanzitutto tra obbedienza ed obbedienza. Adamo si liberò di Dio ubbidendo al Maligno: noi ci liberiamo dal Maligno soltanto ubbidendo al Signore: a partire dai dettami della legge. C’è un’ansia di sapere e di capire riguardo a Dio che porta fuori strada. E’ innanzitutto una questione di obbedienza. Sappiamo anche troppo: ma di un sapore che è puzza agli occhi di Dio. Smettila di rincorrere e di cercare quali ragioni. La sapienza della carne emana un odore nauseabondo che Dio non sopporta. Lavati prima confessando la tua colpa e comincia ad obbedire. Se ancora non conosci il Figlio, ubbidisci alla voce del Padre, così come si fa sentire attraverso la legge che ti ha dato. La sapienza dello spirito è vita e pace; perché viene dalla vita di Dio: non c’è vita che non venga da un’altra vita. Non c’è pace se non per coloro che hanno fatto pace con il Signore e con il suo Cristo.

7poichè il desiderio della carne è avversione contro Dio, infatti non si sottomette alla legge di Dio né può.

8Coloro poi che sono nella carne non possono piacere a Dio.

Se coloro che sono nella carne non possono piacere a Dio, quanto più non piacciono a Dio le loro ragioni. Non c’è morte senza fetore. E qual è il fetore di morte che arriva a Dio, se non la sapienza della carne? E’ un fetore che porta in sé infezioni di ogni tipo. Gira alla larga e non fermarti a discutere e a contendere con l’uomo che disprezza la legge di Dio. Il Vangelo non viene annunciato a coloro che si manifestano apertamente come nemici del Signore. Ma per noi tutto è  diverso.

9Voi invece non siete in  carne, ma in spirito: se  Spirito di Dio abita in voi.

Si dà per certo che chi ascolta la Parola di Dio, non sia nella carne, ma nello spirito. Ma non bisogna darlo poi per così scontato. Paolo ama insinuare il dubbio, per fugare in noi ogni presunzione, e per farci più attenti e più solleciti alle cose di Dio.

Se poi qualcuno non ha  Spirito di Cristo, questi non  è di lui.

Affermazione ovvia e banale, se non fosse per il fatto che troppo facilmente si presume di essere di Cristo. E’ lo Spirito Santo che attesta e testimonia in noi la nostra appartenenza a Cristo. Ed è lo Spirito che fa nascere e crescere in noi la nuova vita.

10Se invece Cristo è in voi, il corpo è  morto a causa del peccato, ma lo spirito è  vita a causa della giustizia. 11Se poi lo spirito di colui che ha resuscitato Gesù da morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo da morti vivificherà anche i vostri corpi morti a causa del suo spirito inabitante in voi.

Se da un lato il nostro corpo è morto a causa del peccato, il nostro spirito è vita a causa della giustizia, cioè della giustificazione che ci è stata data in virtù del Figlio. Non c’è altro giusto se non il Figlio e non si è fatti giusti se non in Lui,  da Lui e per Lui. La giustizia divina fa innanzitutto risaltare ai nostri occhi un corpo che è morto.Cosa intende Paolo per corpo? Non certo il corpo materiale sic et sempliciter , a cui non si può addebitare alcuna giustizia o ingiustizia, ma quella struttura del nostro essere che accompagna il nostro spirito o io originale. Se lo spirito dell’uomo è semplice coscienza di un io rapportato ad un Tu, tale coscienza vive associata ad un’anima o psiche e ad un corpo materiale.

Allorché il nostro spirito viene investito e rivestito dallo Spirito di Dio e con ciò rinasce a vita nuova, si evidenzia lo stato di morte del corpo e dell’anima a cui è associato, come conseguenza del peccato d’origine. La conversione a nuova vita non è quindi un evento pacifico, ma provoca in noi un vero terremoto. Noi vorremmo da subito una rinascita della totalità del nostro io in tutte le sue dimensioni e facoltà, ma il nostro cambiamento non è poi così repentino ed improvviso. Esso investe innanzitutto il nostro spirito, ma rimane l’impatto con un corpo ed un’anima segnati dalla morte.

. 11Se poi lo spirito di colui che ha resuscitato Gesù da morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo da morti vivificherà anche i vostri corpi morti a causa del suo spirito inabitante in voi.

Giustamente Paolo dice “vivificherà”, perché la soluzione finale e definitiva è sempre al futuro e non ci è dato di scansare il travaglio e la fatica di una nuova nascita e di un nuovo parto. Sarebbe troppo facile e comodo essere proiettati hic et nunc nella dimensione eterna dove avremo un’altra anima ed infine anche un altro corpo, non segnati e macchiati dal peccato. La nostra esistenza anche dopo la conversione manifesta una dissociazione non solo tra noi e Dio, ma anche tra le varie dimensioni e componenti del nostro io che portano il retaggio e i segni del peccato. La rinascita dello spirito ha indubbiamente un effetto trainante su tutto il corpo e già fin d’ora noi sperimentiamo una “vivificazione” di tutto il nostro essere. Ma fino a dove? E qui il discorso si arena e diventa difficile dare una risposta e meglio sarebbe usare come Paolo il futuro, non per insinuare il dubbio, ma per ribadire una certezza che è soltanto in fede. Perché quando guardiamo al  corpo  le cose non sono poi così semplici. Il nostro spirito gioisce ed esulta allorchè si specchia nello Spirito di Dio, ma allorché guarda al proprio corpo, c’è poco da stare allegri. Rimane una natura profondamente ferita ed una povertà di cui faremmo volentieri a meno. La rinascita del nostro spirito è tanto più grande e più vera quanto più riesce a portare il peso di un corpo rovinato e minato dal peccato. Cosa dire allora a tutti i fratelli di fede che vogliono, cercano e pretendono a tutti i costi la liberazione dalla povertà del loro corpo, in nome di una malintesa rinascita in Cristo? C’è chi addirittura ne fa una questione di colpa e di mancanza di fede se non ottiene la completa guarigione del corpo e della psiche. La guarigione è innanzitutto quella del cuore, vale a dire dello spirito, e non dobbiamo preoccuparci più di tanto del nostro corpo. Con la nuova vita in Cristo tutto il nostro essere ci appare diverso e rinato, ma a partire dallo spirito e soltanto in funzione dello stesso spirito. Ci sono povertà soprattutto della psiche di cui proviamo vergogna e di cui faremmo volentieri a meno.Se  il Signore assieme al suo Spirito ti ha dato un corpo che ti sembra morto, non disperare, fidati di Lui. Godi del dono che ti è dato ora ed attendi con pazienza la restaurazione finale di tutte le cose. Quello che gustiamo oggi è soltanto la caparra della vita eterna. Nonostante la vita nuova rimane un corpo vecchio che mal risponde agli stimoli di uno spirito nuovo. Dobbiamo guardare alla nostra santità con più realismo e fuggire ogni enfasi e non inseguire il mito. Ma allora che ne è delle grandi opere di cui parla Gesù: “ Ne farete di più grandi”. Si vuol smentire il valore e la portata della santità? Nient’affatto… perché nulla è più come prima. Ma non si può pretendere quella perfezione che appartiene soltanto a Dio. “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Se questa è la nostra aspirazione è conforme alla volontà del Figlio, ma non può e non deve diventare la nostra disperazione, perché è ancora tempo di pazienza ed abbiamo ancora bisogno della misericordia divina. Tutto è già fatto e tutto è ancora da fare. Non cullarti nell’idea e nel sogno di una soluzione finale. Cristo ha portato a termine la sua opera, tu hai appena cominciato la tua.

12Perciò dunque fratelli siamo debitori  non alla carne per vivere secondo carne, 13se infatti vivete secondo carne state per morire; se invece con lo spirito uccidete le opere del corpo, vivrete.

Si contrae un debito per qualcosa che un altro ha fatto o fa per noi. Siamo debitori verso Satana perché a lui dobbiamo ogni peccato, siamo debitori verso lo Spirito perché a lui dobbiamo ogni giustizia. La nostra esistenza è un debito, perché nulla possediamo o facciamo in  nostro. Chi è debitore verso la carne, cioè verso l’uomo che è agito e posseduto dal Maligno, vive secondo la carne. Ma qual è il suo frutto  se non la morte? Si muore nel tempo e nell’eternità, perché la vita nella carne altro non è che un continuo morire alla vita dello Spirito. Non si perde il proprio spirito, ma invece di metterlo nelle mani del Signore perché lo ricolmi di ogni bene, lo si mette nelle mani del Satana perché lo ricolmi di ogni male. Bisogna quindi mortificare le azioni della carne, affidare il nostro spirito allo Spirito divino, perché ci faccia vivere. Vedi come Paolo ti toglie dall’illusione di una soluzione facile della tua vita, per i soliti meriti di Cristo. Da un lato dice che  noi viviamo soltanto in virtù della  morte e resurrezione di Cristo, nel contempo dice che vivremo soltanto se avremo mortificato le azioni della carne. Vi è qualcosa che è stato compiuto da Dio per noi, ma vi è anche qualcosa che noi stessi dobbiamo fare per la nostra salvezza. Se il Signore ha già fatto la sua parte, noi dobbiamo fare la nostra. L’opera di Cristo si pone nel passato, la nostra nel futuro. La prima è già data, la seconda attende il nostro assenso al piano della salvezza e la nostra obbedienza. La fede da un lato è conoscenza: bisogna sapere ciò che Dio ha fatto ed operato per noi: non può per questo ignorare le Scritture. E’ poi adesione  piena del nostro  cuore a Dio ed alla sua opera. In questo entrano anche aspetti psicologici ed emotivi. E’ poi obbedienza alla volontà di Dio ed impegno totale del nostro essere per fare ed operare secondo la sua parola. La fede è monca: quando si limita alla sola conoscenza della parola di Dio, quando è presa nei lacci di uno psicologismo che gode della dimensione emotiva nel suo relazionarsi a Dio, ma nel contempo non opera secondo la sua volontà,  quando è presa dall’affanno di un operare non illuminato dalla conoscenza e non confortato dalla presenza di Dio, così come è avvertita attraverso la preghiera. Bisogna amare il Signore con tutto il cuore, con tutta la nostra dimensione affettiva ed emotiva, con tutta la nostra mente, cioè con tutta la nostra razionalità e le sue capacità di conoscenza, con tutte le nostre forze, cioè  con tutto il nostro impegno. Altrove abbiamo spiegato un po’ diversamente il primo e più grande comandamento. Ci sembra che interpretazioni diverse non si smentiscano l’una con l’altra, ma si completino a vicenda. E questo sottolinea ancora una volta l’infinita ricchezza della parola di Dio, che può essere letta in molteplici modi, non antitetici, ma complementari.

14Infatti quanti sono condotti dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.

Dopo aver detto che dobbiamo mortificare, cioè far morire la nostra carne, Paolo chiarisce come: guidati dallo Spirito di Dio. Non semplicemente per nostra iniziativa, ma illuminati e condotti dallo spirito Santo, il che vuol dire che nulla possiamo e dobbiamo fare che non sia secondo la volontà di Dio. E’ soltanto questa obbedienza che testimonia di noi che siamo figli di Dio. Se un qualsiasi figlio per essere gradito al padre deve operare conforme al suo volere, quanto più noi che siamo stati riscattati dal potere della morte. L’amore di Dio per i suoi figli è pieno di ogni gelosia. Ci ha persi una volta, non vuol perderci un’altra volta.

15Infatti non riceveste di nuovo uno spirito di schiavitù per timore, ma riceveste uno spirito di figliolanza, in cui gridiamo: Abbà, il Padre. 16Lo stesso Spirito testimonia insieme al nostro spirito che siamo figli di Dio.

Lo spirito che il Signore ci ha donato non è certo quello di un servo nei confronti di un padrone, ma quello di figli nei confronti di un unico Padre. C’è obbedienza ed obbedienza. Lo schiavo ubbidisce per timore, perchè teme la condanna e la punizione che gli può essere inflitta. Un figlio ubbidisce per amore per gratitudine verso il Padre, perché messo a parte di ogni suo bene. E’ tempo ormai di chiamare il Signore con il suo vero nome. Se un tempo il nome di Dio veniva pronunciato con una certa riluttanza e non senza timore ora non solo chiamiamo Dio padre, ma addirittura gridiamo il suo nome. Osservate i bambini: non alzano il tono della voce quando parlano del loro papà? Gridano addirittura quando lo chiamano. Non c’è vero amore quando tra i due cala il silenzio e la voce perde il suo tono gioioso e si fa flebile e silenziosa.

Infatti lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito che siamo figli di Dio.

Soltanto nell’interiorità del nostro cuore troviamo la certezza che siamo figli di Dio. Nessuno può garantire per se stesso di essere figlio di un determinato padre. Un altro deve testimoniare per noi: qualcuno che ben conosca la nostra storia e sia stato presente non solo quando siamo nati, ma anche quando siamo stati concepiti. Non c’è bisogno di andare lontano e di cercare chissà dove. E’ lo Spirito Santo stesso che testimonia al nostro spirito che siamo figli di Dio. Nello Spirito Santo siamo stati concepiti e nello Spirito Santo siamo nati a nuova vita. Quale testimone più vero e più sicuro? Vuoi sapere di chi sei figlio? Chiedilo alla mamma. Se nel Padre è il mistero di ogni paternità, nello Spirito è il mistero di ogni maternità. Nel Figlio poi è il mistero della nostra adozione a figli.

17Se ora figli anche eredi; eredi di Dio, coeredi poi di Cristo. 

Si è eredi solo se figli; eredi di Dio, insieme col Figlio. Non possiamo godere dell’eredità del Padre se non regnando insieme col Figlio, in Lui e per Lui. Tutto ciò che appartiene al Padre appartiene anche al Figlio e tutto ciò che appartiene al Figlio è da Lui condiviso con i propri fratelli. Colui che è primogenito di tutti i fratelli, non vuole essere re ad esclusione degli altri, ma soltanto condividendo con tutti i suoi fratelli. C’è figlio e figlio, c’è fratello e fratello. Come non amare e non accogliere nel nostro cuore il nostro fratello più grande, che non ha voluto regnare da solo, ma insieme con noi? E per questo si è fatto uomo, e si è messo all’ultimo posto ed è morto in croce, per riscattarci dal potere della morte così che possiamo sedere con Lui e accanto a Lui su troni celesti, per l’eternità. Per salvare il trono i figli di re fanno di tutto per mettere da parte i loro fratelli. Se qualcuno si perde, meglio non andare a cercarlo, uno in meno con cui dividere i beni del Padre. Cristo di tanto è diverso da un qualsiasi fratello, che rinuncia ad ogni prerogativa divina ed a ogni primogenitura, per riportarci nella casa del Padre. E’ bello essere re, ma con accanto un Padre ed una Madre e con tanti fratelli.

se soffriamo insieme affinché anche siamo glorificati insieme.

Ritorna il solito motivo. Non puoi pensare di entrare nell’amore del Padre se non entrando nello spirito del Figlio. Spirito di umiliazione, di sofferenza e di rinnegamento di se stesso. Se Cristo ha sofferto per te, perché tu non vuoi soffrire con Lui? E’ la vita nuova che ti fa imitatore di Cristo. La croce a cui siamo chiamati non è certo quella per il nostro riscatto: questa l’ha già portata Cristo. Ma una volta che siamo redenti da Cristo non possiamo non condividere la sua stessa croce. Siamo fatti come Lui ed entriamo nella logica del suo amore. Certo l’umanità non ha bisogno per la salvezza della nostra croce: basta quella di Gesù. Ma chi è diventato come Cristo è entrato nel suo Spirito e nel suo disegno di salvezza: fa propria la Sua croce e la porta insieme con Lui per la salvezza dei fratelli. In questo senso Paolo scrive che porta a compimento nel suo corpo quel che manca ai patimenti di Cristo. Non si ama Cristo, se non diventando suoi imitatori, e amando del suo stesso amore. Vuoi amare il Salvatore senza condividere la sua esperienza di croce? E’ un amore falso ed ingannevole. Nulla possiamo dare a Gesù per contraccambiarlo di quello che ha fatto per noi, ma possiamo diventare suoi imitatori e amare come Lui ha amato noi. Non c’è amore vero senza sacrificio. Se il Figlio si è sacrificato per te, qualche sacrificio per il Figlio devi pur farlo. Nessuno te lo impone, ma viene da solo in virtù della vita nuova. E’ giustificabile un uomo che riscattato dalla schiavitù da un fratello, a prezzo della sua vita, una volta liberato dalle catene del peccato, a nulla pensa se non a godere della propria libertà? Non sarà forse attratto verso il suo liberatore da un amore nuovo e non cercherà di contraccambiarlo, facendo come Lui e condividendo il suo stesso spirito di sacrificio? Cristo ha sofferto nel tempo una volta per tutte. Se ha avuto termine il tempo del suo sacrificio è ancora vivo e attuale il nostro sacrificio. Gesù certamente non ne ha bisogno, ma noi lo avvertiamo come a Lui dovuto, in segno di gratitudine. Perché come condividiamo la sua gloria così vogliamo condividere anche la sua ignominia. Il sacrificio è quindi necessario non per entrare nella salvezza, ma per rimanere nella salvezza, con il Figlio e con il suo stesso Spirito. Gesù si è fatto come noi perché noi diventiamo come Lui. Attenti dunque! Non addormentiamoci in una salvezza già data per scontata, ma manteniamo vivi in noi i segni della nostra appartenenza a Cristo: non ha il suo spirito, se non chi opera con il suo Spirito e come il suo Spirito. Chi è stato fatto salvo dal maligno non è con ciò già salvo per la vita eterna. Il Maligno ritornerà all’attacco per riprendersi ciò che è stato suo. Ma nulla può contro di noi se rimaniamo attaccati a Gesù, invocando il suo aiuto, confidando nel suo intervento, magnificando il suo amore e facendoci suoi imitatori, condividendo con lui non solo la gloria, ma anche la sofferenza. C’è forse confronto fra le sofferenze di questo tempo e la gloria futura?

18Ritengo infatti che non sono degne le sofferenze del tempo presente in rapporto alla gloria che sta per essere rivelata in noi.

C’è un abisso tra la misura con cui noi diamo a Dio e la misura con cui Dio dona a noi.

19Infatti l’ attesa impaziente della creazione aspetta ansiosamente la rivelazione dei figli di Dio.

Siamo già figli, è vero, ma ancora non è stato rivelato in tutta la sua pienezza e a tutto il creato. Tanto è vero che mentre noi portiamo i segni della vita nuova, questi segni per la creazione non ci sono ancora.

20Infatti alla vanità la creazione fu sottomessa non volendo, ma a causa dell’avente sottomesso

Il creato è stato sottomesso alla vanità non per suo volere, ma per volere di Dio. Il Padre dunque sacrifica per noi non solo il Figlio, ma anche tutto il creato. Se c’è merito per il Figlio, non c’è merito di sacrificio per la creazione, in quanto viene sottomessa alla vanità semplicemente per volere di un altro. Potremmo chiederci se non c’è in questo una qualche ingiustizia da parte di Dio nei confronti del creato, dal momento che questo paga non per colpa propria ma per colpa dell’uomo. Invero il mondo è stato creato per l’uomo e non per Dio. Allorché l’uomo viene meno al suo Dio, la creazione per non venire meno a Dio, deve venire meno all’uomo. Non è più solo ed esclusivamente per l’uomo, ma anche contro l’uomo, per rimanere con Dio. Perché resti viva la speranza di una vita futura che può essere solo con l’uomo e per l’uomo, la creazione necessariamente deve accettare il sacrificio imposto da Dio. Deve seguire l’uomo nella sua storia e nella sua caduta, se vuole seguirlo nella gloria futura. Mentre per l’uomo cieli nuovi e terra nuova sono semplicemente donati, per la creazione sono in un certo senso dovuti, non avendo essa alcuna responsabilità di peccato. Non tutti gli uomini conosceranno la redenzione futura, viceversa tutta la creazione sarà redenta, non essendoci in essa macchia di peccato, ma semplicemente essendo stata macchiata dal peccato dell’uomo.

21con speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per la libertà della gloria dei figli di Dio.

22Sappiamo infatti che tutta la creazione geme insieme e soffre insieme fino ad ora.

Della sofferenza del creato sembra proprio che poco ce ne importi. Eppure è reale e non ipotetica. Siamo talmente presi dal nostro dolore che quasi neppure ci accorgiamo che tutta la creazione geme e soffre insieme con noi. Non di sofferenza propria, ma di sofferenza indotta dall’amore del Padre. E’ come se il Padre stesso soffrisse per noi in tutto il creato. E questo deve portarci a guardare il creato con occhi diversi. A volte ci sembra brutto e a noi ostile, facciamo fatica a vedere in questo dono l’amore del Signore. Ma l’amore di Dio si vede proprio dal fatto che il creato stesso soffre per colpa nostra perché così agito dal Creatore. Noi non riusciamo a concepire una qualche sofferenza in Dio, se non quella che si è manifestata nel Figlio che si è fatto carne e quella che si manifesta nella Sua creazione. Può la creazione gioire dopo la caduta dell’uomo, quando nessuna gioia trova più nell’uomo e quando rimane ferita nel conflitto da esso provocato? Può solo soffrire con lui e per lui, ma di una sofferenza diversa che non è quella della colpa, ma di chi fa propria la colpa, per volere del Creatore, nella speranza di un futuro diverso, di cui si fa garante non l’uomo, ma l’amore di Dio. Potresti obiettare che non si comprende proprio come vi sia sofferenza in tutta la creazione dal momento che il soffrire è proprio ed esclusivo degli esseri razionali. Si può soffrire senza averne coscienza e quale coscienza possiamo noi dare agli animali, alle piante, agli esseri minerali? Per quel che riguarda gli animali, in quanto possiedono un’anima, è innegabile una qualche coscienza di sé. Si tratta ovviamente di una coscienza non razionale, ma per certi aspetti simile a quella dell’uomo: ha una propria intelligenza e memoria, è capace di godere e di avvertire il dolore. Per quel che riguarda le piante, nessuna coscienza riusciamo ad attribuire loro. Sta di fatto che reagiscono agli stimoli esterni, e possiedono certe funzioni degli esseri viventi. Per il regno minerale tutto sembra diverso: non c’è vita in esso e qualsiasi fatto ed accadimento benché lo coinvolga, gli risulta indifferente. Parlando del creato Paolo avrebbe dovuto fare qualche distinzione. In realtà ne parla come di una realtà unica, come se avesse una sola anima razionale. Ci sembra che tutto questo si debba intendere secondo la logica dell’immagine. Certo il creato non ha coscienza del proprio stato, ma cosciente del suo stato è Colui che lo mantiene in vita. Se il mondo non ha consapevolezza di portare i segni della caduta dell’uomo questa consapevolezza è ben presente nel Creatore. Si può portare le conseguenze del male, senza avere consapevolezza del male. Per quanto riguarda gli animali poi se sono estranei al concetto di bene, non sono certo indifferenti al dolore. Lo avvertono e come! Per concludere ci sembra che Paolo veda nel creato una sofferenza ed un’ansia di redenzione che più propriamente appartiene al suo Creatore. Dio è stanco di vedere sacrificato il mondo intero per il peccato dell’uomo. Desidera che abbia fine una volta per sempre quella morte e disgregazione degli esseri che è entrata nella creazione per colpa di Adamo. Certo è difficile definire una qualche sofferenza in Dio ed allora ricorre all’immagine attribuendo alla creazione una coscienza razionale del proprio stato che appartiene solo al Creatore. Vedi come l’unico a lamentarsi della sofferenza sia proprio l’uomo, colui che l’ ha cercata e portata nel mondo? Il Creatore e tutta la  creazione hanno fatto propria una sofferenza alla quale potevano rimanere estranei. Certo non vedono l’ora che sia finita, ma non imprecano contro l’uomo, e sanno pazientare con amore. Se l’uomo porta pazienza solo per la sua vita, Dio porta pazienza per tutte le vite. E noi vorremmo essere liberati subito da ciò che ci fa patire, senza nulla dare in cambio? Ci basti il dono dello Spirito Santo, in quanto alla liberazione definitiva da ogni dolore, possiamo anche aspettare. Non facciamo come certi bambini  disobbedienti che finiscono per cadere in  disgrazia. Si fanno molto male e sarebbero in fin di vita se non venissero salvati. Benché portino i segni e le ferite dell’incidente, sono ormai fuori pericolo. Invece di gioire per la salvezza, sono tristi per la sofferenza presente. Non ringraziano chi li ha salvati ma imprecano per il dolore delle ferite. Se è vero che siamo stati liberati dalla dannazione eterna, è altresì vero che portiamo le conseguenze di una caduta passata. Bisogna portare pazienza, fino a quando saremo completamente ristabiliti, e rivestiti di una vita nuova dove non vi è alcuna possibilità di ricaduta..

23non solo però, ma anche noi aventi la primizia dello Spirito, anche noi stessi in noi stessi gemiamo insieme aspettando ansiosamente figliolanza, la redenzione del nostro corpo. 24Per la speranza infatti siamo stati salvati; ma una speranza vista non è speranza: infatti  chi spera ciò che vede? 25 Se invece  ciò che non vediamo speriamo, con pazienza aspettiamo ansiosamente.

Nessuno può sfuggire ad un destino di sofferenza, neppure noi che abbiamo le primizie dello Spirito Santo e che siamo stati completamente rivestiti dei suoi doni. Se la redenzione e la salvezza sono già attuali e reali per l’intervento di Dio che già ha operato in noi e per noi, non viviamo ancora nell’altro mondo. Siamo già proiettati verso di esso e parzialmente strutturati per esso. Ci separa un tempo di attesa, per passare da un’anima vivente visitata dallo Spirito, ad uno spirito vivificante. Ogni attesa porta con sé una stanchezza ed un desiderio di abbandono. C’è bisogno di pazienza. Il Signore mantenga viva in noi la speranza. Non continuano a pazientare se non coloro che continuano a sperare. Ma anche questo è dono di Dio. Preghiamo il Signore che metta radici in noi la sua divina pazienza che non dura una generazione, ma mille generazioni.

26Similmente poi anche lo Spirito sollecita per la nostra debolezza: infatti cosa preghiamo secondo ciò che è necessario non sappiamo, ma lo stesso Spirito intercede con gemiti inesprimibili. 27Ma colui che scruta i cuori sa cos’ è il desiderio dello Spirito, poiché secondo Dio intercede per santi

Benché passati a vita nuova rimane la nostra debolezza e abbiamo bisogno dell’aiuto dello Spirito. Non solo non riusciamo a fare ciò che conviene, ma neppure sappiamo che cosa conviene chiedere.

Lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili. Dice al Padre ciò che noi non riusciamo e non possiamo dire. Solo lo Spirito parla la lingua del Padre. Non possiamo rivolgerci a Dio Padre senza un interprete, che fa sue le nostre parole, le rende comprensibili e gradite. Certo non va oltre le nostre intenzioni, ma porta in esse quella chiarezza che non hanno. Come una mamma ben conosce il linguaggio imperfetto del suo bambino, così lo Spirito Santo comprende ciò che vogliamo dire e lo rende noto al Padre; non nella stessa forma, ma aggiungendo quella perfezione e precisione che la nostra parola non ha.  Per renderci più accetti e più graditi, dice anche di più, va oltre il nostro pensiero e chiede tutto ciò che ci manca, perché il Padre venga incontro a quei bisogni di cui i figli non hanno consapevolezza. Gli occhi di una madre vedono lontano: la sua parola supplisce e colma quella dei figli. Il Padre che scruta i nostri cuori ben conosce i desideri dello Spirito. Non c’è padre che non sappia cosa la madre voglia per i figli. E non può certo contraddirla e desiderare altro, perché entrambi vogliono lo stesso bene. E quando i figli sbagliano e ne combinano delle grosse, meglio confidarsi con la Madre e mandare avanti lei. Sa trovare le parole giuste per placare ogni ira.

28Sappiamo ora che per gli amanti Dio tutte le cose cooperano a bene.

Coloro che amano il Signore non devono temere per le vicende della vita; perché in ogni caso, qualsiasi cosa accada, tutto la nostra esistenza è riassorbita nel piano della salvezza. Non è poi così necessario che certe cose vadano diversamente. Si possono vivere le stesse vicende con uno Spirito diverso e per un fine diverso. Nessuno troverà il senso della propria salvezza semplicemente in ciò che gli accade. Bisogna guardare oltre a Dio stesso, che ha preso in mano la nostra vita. Quando siamo del Signore siamo nelle sue mani, qualsiasi cosa accada. Noi tutti vorremmo che le cose andassero diversamente. Non deve essere questa la nostra preoccupazione principale: pensa piuttosto di abbandonarti nelle mani del Signore, ed Egli provvederà. Quello che ora ti sembra un male, diventerà occasione e situazione di salvezza. Non c’è bisogno che cambino innanzitutto le nostre condizioni di vita, ma il nostro cuore: affidalo al Signore e vedrai tutto in maniera diversa. Se il Signore per venire in soccorso ai suoi eletti dovesse cambiare tutto il corso della storia, come noi vorremmo, avrebbe un bel da fare. Se poi consideriamo che noi cambiamo facilmente parere e passiamo con la mente da una parte e dall’altra, senza alcuna stabilità e continuità, Dio non può certo assecondarci in tutto. Non potrebbe neppure tenere in piedi il mondo perché ogni sua progettualità verrebbe meno di fronte all’instabilità ed alla mutevolezza del nostro pensiero. La sua provvidenza opera in noi in maniera diversa. Non cambia innanzitutto il corso degli eventi, ma fa sì che qualsiasi evento cooperi per la nostra salvezza. Ciò che noi avvertiamo come un male, come le malattie, la fame, la guerra lo fa diventare il nostro bene: diventa condizione sine qua non per la nostra salvezza. Non c’è bisogno che Dio cambi il mondo, basta che cambi il nostro cuore nel suo rapporto col mondo. In questo modo la prescienza divina si concilia con la nostra volontà di salvezza. La nostra salvezza si inserisce in un piano globale che ha fondamento eterno e il Signore non deve alterarlo di molto. Qualche intervento ed aggiustamento Dio può farlo, e possiamo ben chiedergli che certe cose vadano diversamente. Ma non è detto che debba cambiare ciò che succede fuori di noi: i cambiamenti sono del nostro cuore e nel nostro cuore. Chi attende un mondo migliore e diverso è fuori strada: dobbiamo chiedere e attendere uno spirito diverso. “Manda il tuo spirito Signore e rinnoverai la faccia della terra”. Perché la vedremo con occhi diversi . Perché dunque preoccuparci tanto di questa esistenza, di come vanno le cose e di come andranno in futuro, quando abbiamo già in noi la garanzia della salvezza? Sappiamo, perché ce lo ha rivelato il Figlio, che per gli amanti Dio tutte le cose  cooperano a bene.

Bisogna innanzitutto amare il Signore e porci nel numero dei santi. Non è santo se non chi viene separato. E non si è separati dalle vicende di questo mondo, se non col cuore in un senso puramente spirituale. Separati dal peccato di questo mondo, ne condividiamo le vicende; ma non ne siamo toccati, perché siamo stati toccati da Dio. Soltanto nel tuo cuore, in rapporto allo Spirito Santo ed in rapporto al Padre troverai il senso della salvezza. Dio ha già soppesato tutto per ogni uomo: ognuno di noi deve vedersela prima con Lui, poi con la propria storia. Certo non riusciamo a comprendere una prescienza divina che dispone tutto fin dall’eternità nel suo rapporto con la libertà umana da essa creata. Dobbiamo  innanzitutto precisare che c’è libertà e libertà. C’è una libertà di movimento, di fare ed operare nel tempo e nello spazio, che di per sé non ha alcuna valenza spirituale. La maggior parte delle azioni che noi facciamo non ha un significato spirituale, anche se rientrano e sono riassorbite in una vita spirituale. Sono da Dio previste e preconosciute, in quanto non riguardano propriamente quella libertà spirituale voluta e creata da Dio. Abbiamo già spiegato altrove come Dio ci impone i suoi doni creati, ma non se stesso come dono. Ci lascia liberi in rapporto al suo Essere perché liberamente scegliamo di essere come Lui. Solo così avremo natura e dignità di Figli: non può imporci, ma solo proporci il proprio essere. Si è liberi di scegliere chi fare oggetto del proprio amore, ma non si è veramente riamati se non nella misura in cui si lascia liberi di amare. C’è un amore eterno ed increato che unisce il Padre al Figlio e c’è un amore creato, in tutta libertà, che altro non può creare se non creature libere: non in rapporto al proprio essere creato, ma in  rapporto all’Essere che le ha create. Soltanto in quest’ottica spirituale possiamo intendere la prescienza divina. Dio conosce tutto quel che vuol conoscere, non conosce tutto quel che non vuol conoscere. E questo certo non è un limite,ma garanzia di un Amore vero. Nessun amore è vero se non nella misura in cui si pone dei limiti nei confronti della persona amata: diversamente è una violenza e un continuo sopruso. Dio non ci vuole per sé, se non nella misura in cui noi ci vogliamo per Lui. Da questo punto di vista Dio non può e non vuole sapere il nostro cammino spirituale. Conosce bene il percorso umano attraverso cui si snoda e si viene definendo, anzi, in questo senso tutto ha già predisposto. Non è detto, solo perché è detto dall’uomo, che conosca in eterno il nostro destino eterno. Se Dio tutto preconoscesse in assoluto, qual è il senso della nostra preghiera, perché lo supplichiamo di intervenire nella nostra vita, quando tutto ai suoi occhi è già compiuto? La storia diventa una sorta di teatro o finzione dove una mente occulta ha già definito e previsto tutto. Non solo l’apparato teatrale e la vicenda in sé, ma anche come andrà a finire. E’ questa un’opinione dominante nella chiesa: per alcuni è addirittura un dogma. Ma quali i suoi fondamenti biblici? Il pensiero corre subito a Giuda: Non c’è esempio e dimostrazione più lampante. Già nell’Antico Testamento si parla di Lui, come figlio della perdizione. Più propriamente figlio della perdizione è ogni uomo che è nato dal Satana: è un appellativo che compete a tutti coloro che non accolgono la salvezza che viene dal Salvatore. Prima di tutti figlio della perdizione è il Diavolo stesso, in quanto nato dal peccato di perdizione. Non si fa mai nell’Antico Testamento il nome di Giuda. Con questo non si vuole negare il disegno eterno che vuole Gesù tradito da uno dei suoi. In quanto al fatto che questo traditore diventi Giuda, ciò avviene soltanto per assenso e volontà umana. E’ soltanto nel tempo e col tempo che il traditore si viene determinando nella figura di Giuda, allorché preso il boccone da Gesù, Satana entrò in Lui. E’ Giuda stesso che ha segnato il proprio destino, ma non ha potuto farlo se non all’interno e conforme ad un disegno divino. Prima della sua volontà di tradire il Signore, Giuda è discepolo a pieno titolo. Non c’è pregiudizio alcuno da parte del Signore nei suoi riguardi. Tutto precipita per un libero moto della sua volontà e non per un imperscrutabile disegno divino ed una inevitabile fatalità. Ma come Paolo scrive: tutto concorre al bene degli eletti. Il tradimento di Giuda è riassorbito per noi nell’amore divino, e diventa strumento di salvezza … così come era nel disegno: che Gesù fosse tradito da uno dei suoi. Può anche essere che Gesù veda in coloro che lo seguono un tale amore ed una fede così grande da essere indotto a prevenire il giudizio eterno. Come un maestro di fronte ad un allievo molto bravo dà la promozione come sicura, prima dell’esame finale, così può anche essere che Cristo dica ai suoi apostoli: Voi siederete con me su dodici troni, per giudicare le dodici tribù d’Israele. Se pur di poco si è sbagliato nelle sue previsioni. Ai dodici ne mancherà uno. Se niente sfugge alla prescienza divina qualcuno gli può ben sfuggire. Parimenti possiamo ipotizzare, come vedremo poi in Paolo, che Gesù di fronte all’indurimento di cuore di alcuni uomini, non intraveda niente di buono per il futuro ma li veda già perduti, come se fossero già predestinati alla dannazione. Ma il Vangelo stesso ci fa sapere di uomini che giungono alla salvezza all’ultimo minuto. Di questo Dio è ben contento ed è pure contento di essersi sbagliato nelle sue previsioni. Ma allora come intendere le parole dell’Apostolo?

29Poiché coloro che ha preconosciuto  ha anche predestinato conformi all’immagine del suo Figlio

Vi è un modo di vedere la salvezza con gli occhi dell’uomo e da parte dell’uomo, e vi è un modo di vedere la salvezza da parte di Dio e con gli occhi di Dio. Per il Signore la salvezza non è un fatto che si va ripetendo nel tempo, ma è un fatto già concluso con la morte e resurrezione di Gesù. In questo senso noi tutti siamo già predestinati alla vita eterna. Ma non tutti accolgono la vita eterna se non coloro che fanno propria la salvezza del Cristo e diventano conformi alla sua immagine, in quanto resi tali dalla sua grazia. Se non tutti i predestinati diventano conformi all’immagine del Salvatore, non tutti sono da Dio preconosciuti in quanto tali, cioè come conformi a tale immagine. Paolo non dice che Dio preconosce quali uomini si salveranno. Ma che preconosce come sarà la loro immagine: a guisa del Figlio, perché a questo i santi sono chiamati nel tempo della loro vita.. E’ una conoscenza non per nome e secondo il nome ma secondo l’immagine del nome di Cristo, per dire che se anche Dio non sa in anticipo il nome degli eletti, sa da sempre che saranno conformi al Figlio, perché a questo sono stati predestinati.  La prescienza non è in relazione al nostro nome, ma a quello di Gesù. Perché Dio sa bene che in nessun altro nome vi sarà salvezza. Nessun nome è da Dio conosciuto nell’eternità se non quello del Figlio. Le mie pecore… io le chiamo per nome. Certo, ma soltanto a partire dal tempo e nel tempo della salvezza. Intendi o uomo le parole dell’Apostolo e non andare oltre il loro senso. Perché Paolo dovrebbe sottolineare che Dio già conosce chi saranno gli eletti? Quale bene ne verrebbe a noi? Vuol semplicemente dire che Dio sa da sempre come saranno gli eletti, perché dovranno assumere l’immagine del Figlio, e dal momento che conosce il Figlio dall’eternità, dall’eternità preconosce la loro immagine. Possiamo anche intendere come Origene, che preconoscere abbia il senso biblico di amare intimamente. Il senso sarebbe quindi: Coloro che egli ha amato prima ancora che venissero al mondo, li ha pure predestinati… A noi sembra che L’Apostolo guardando alla salvezza con gli occhi di Dio, voglia sottolineare che da  parte Sua è già compiuta. Il Signore ha già fatto tutto quel che doveva: Tutto è compiuto. Non solo: conosce già anche il cammino che dovremo percorrere, perché è già stato tracciato dal Cristo. La nostra fede non è vana e infondata. Non si basa su ciò che Dio farà, ma su ciò che Dio ha già fatto e su ciò che Dio ha stabilito per noi fin dall’eternità. La prescienza divina nessuno vuole escludere, ma a tutti vuol dare una certezza. Vedi come si può intendere la parola di Dio in modo sbagliato, non illuminati dal suo Spirito? Paolo non parla di prescienza per indurre allo scoraggiamento ed alla sfiducia in Dio, né tanto meno perché ci addormentiamo in una salvezza già data per scontata, ma perché cerchiamo ogni giorno il Signore con la certezza di un amore che provvederà a noi, perché tutto ha già provveduto per noi. E’ nell’inganno chi ha l’ansia e la preoccupazione della salvezza e non si fida di ciò che il Signore farà in noi: l’ha già fatto col Cristo. E’ ancor più nell’inganno chi si assopisce nella presunzione di una salvezza già stabilita nell’eternità in nome di Cristo e data in virtù di una fede di tipo psicologico, come assenso e consenso della mente a qualcosa di già operato. C’è chi dorme nel peccato, ma c’è anche chi dorme nella fede. Perché dunque dobbiamo essere ad immagine del Cristo, se non per il fatto che non vi è altra salvezza se non in Lui, fatti come Lui, in virtù della sua morte e resurrezione?

per essere egli primogenito fra molti fratelli.

Il Figlio è unigenito nell’eternità, ma il Padre ha voluto che fosse anche il primogenito fra molti fratelli e che tutti i fratelli  portassero la sua immagine. Come il Figlio porta l’immagine del Padre, così i figli portano l’immagine del Figlio, perché in virtù di Cristo siamo stati generati alla vita di Dio. In Gesù non troviamo soltanto l’amore del Fratello, ma anche quello del Padre: un amore unico ed esclusivo, comunicante e generante non solo la propria vita, ma anche quella del Padre, in virtù dello stesso Spirito.

30Coloro che poi ha predestinato, questi anche ha chiamato; e coloro che ha chiamato, questi anche ha giustificato; coloro che poi ha giustificato, questi anche ha glorificato.

Paolo continua nel suo pensiero e lo porta alla fine. Quelli che Dio ha amato prima che venissero al mondo, con lo stesso amore che lo lega al Figlio,  predestinati con ciò a diventare conformi all’immagine dell’Unigenito, così che Egli sia il primogenito di molti fratelli…questi stessi che ha predestinato dall’eternità, li ha anche giustificati nel tempo della venuta del Figlio e ha donato loro gloria eterna. Tutto fatto dunque e tutto compiuto.

31Cosa dunque diremo per queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32Colui che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo consegnò per noi tutti, come non darà in dono a noi con lui le cose tutte?

Se il Padre ha già operato tutto nella sua eternità senza nulla tralasciare, perché mai dovremmo preoccuparci del nostro tempo presente. Dio che è presente al suo tempo è presente anche al nostro

e farà in noi ciò che ha già scritto nella sua eternità. Non il nostro tempo destinato a perire è garante della salvezza, ma il tempo eterno del Signore. Alziamo dunque gli occhi in alto e guardiamo alle cose eterne, per non essere rapinati da ciò che è destinato a perire. Se il Padre da sempre si è dichiarato per noi,” preconoscendoci”, chi potrà mettersi contro di noi? Egli che ha dato fondo a tutto il suo amore, non risparmiando neppure il suo proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti gli uomini, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?

Chi oserà intralciare questo amore?

33Chi sarà accusatore contro eletti di Dio? Dio: colui che giustifica. 34Chi il condannante? Cristo Gesù: colui che è morto, piuttosto anzi  risuscitato, che anche è nella gloria di Dio, che anche intercede per noi.

Se il Padre da sempre vuol giustificarci, cioè farci giusti e non condannarci alla morte eterna, se Cristo Gesù è morto e risorto per noi, e in quanto tale siede alla destra del Padre, se oltre a ciò non cessa di intercedere per noi…

35Chi separerà noi dall’amore di Cristo?  Saranno forse le prove di questa breve vita?

Tribolazione o ristrettezza o persecuzione o fame o nudità o pericolo o spada? 36Come è scritto: A causa di te siamo mandati a morte per l’intero giorno, siamo considerati come pecore da macello. 37Ma in tutte queste cose stravinciamo a causa di colui che ha amato noi. In Dio la nostra vittoria è sicura, se però ci mettiamo nelle sue mani. E in quelle del Figlio. Non c’è salvezza senza fede, e non c’è vera fede se non confidiamo nell’intervento del Signore. Abbandoniamoci dunque nelle mani del Signore e facciamo nostri quegli strumenti di  salvezza che egli ha preparato per tutti noi… Invocando incessantemente il suo aiuto, rendendo grazie del suo amore, lasciandoci illuminare dalla meditazione della sua Parola, nutrendoci del suo corpo e del suo sangue, attingendo ai sacramenti di cui la sua chiesa è dispensatrice. La fede non è semplice assenso psicologico a quello che Dio ha fatto, una convinzione rafforzata e richiamata di continuo alla mente. E’ anche questo, perché facilmente si dimentica. Bisogna anche usare le armi che il Signore ci ha dato e menare botte all’avversario. La strada è già stata spianata e aperta dal Figlio, le armi per combattere sono già pronte, devi solo impugnarle, vi è abbondanza di vettovaglie per continuare nella lotta, duri quel che duri. Non puoi startene rinchiuso nel tuo carcere consolandoti al solo pensiero della salvezza ed illudendoti di essere come portato in braccio dal Signore. La battaglia infuria da ogni parte. Non ci sarà salvezza senza il tuo impegno. Se non sei tu l’artefice della salvezza, certo Dio nulla farà per te senza di te. E’ tolta l’illusione di una salvezza che non ci costa niente, ma è tolto anche il timore che il nemico possa prevalere su di noi. Il Signore ha dato già prova della sua potenza, mettendo Satana sotto i suoi piedi; se stai dalla  parte giusta non solo è sicura la vittoria, ma anche la gloria che ne segue. Sarai portato in trionfo e arricchito di vita eterna. E’ questa la fede di Paolo così come da lui stesso confessata.

38Sono convinto infatti che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future, né potenze, né altezze, né profondità, né qualunque altra creatura  ci potrà separare dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù , il nostro Signore.

Non solo Paolo non teme le tribolazioni e le avversità della vita, ma neppure le potenze di questo mondo: animate o inanimate che siano.

Se è difficile strappare un uomo dall’amore della sua donna, chi e che cosa potrà strapparci dall’amore che è in Cristo? Chi ha dato il più darà anche il meno e chi ha fatto il più, farà anche il meno. Colui che ha ricolmato di doni la sua sposa, la difenderà anche da ogni pericolo e da ogni insidia.

Non possiamo trarre come conclusione logica che Paolo sia convinto di salvarsi in ogni caso insieme con tutti gli eletti, indipendentemente da una propria volontà, per una sorta di predestinazione divina, che è fatale necessità. Bisogna tenere sempre ben separate due realtà distinte: quella di Dio nei confronti dell’uomo, quella dell’uomo nei confronti di Dio. Se per la prima siamo già necessariamente salvi, in quanto salvati dal Cristo, per la seconda tale salvezza deve ancora essere fatta nostra in maniera irrevocabile. Se Dio non cambia in rapporto a noi, noi possiamo cambiare in rapporto a Lui. Prima del giudizio eterno è sempre aperta in noi la possibilità di accogliere o respingere la salvezza. La prescienza e la predestinazione di Dio vanno intese in senso proprio, liberandole da tutto ciò che è contro una vera  libertà dell’uomo: libertà creata, certo, ma per Amore e non per un insondabile arbitrio divino. Ora quale libertà si possa accordare ad una creatura per la quale tutto è già preconosciuto e predestinato dall’eternità, caduta e salvezza comprese, ognuno può ben considerare. Notevole è stato lo sforzo dell’esegesi tradizionale per conciliare la libertà dell’uomo con la prescienza e la predestinazione  da parte di Dio. Qualcosa non va e non soddisfa del tutto la nostra ragione. Possiamo anche tirare in ballo una logica di Dio superiore e diversa, ma il contrasto tra la Sua logica e la nostra sarebbe così stridente ed inconciliabile da farci apparire il suo Amore come qualcosa di estraneo alla  realtà creata.. Certo incomprensibile è per l’uomo l’Amore del Signore, semplicemente perché troppo grande per il contenitore che è la nostra mente: dopo che l’ha riempita tutta rimane ancora di Lui. Ma ci lascia pienamente soddisfatti. Se intendiamo invece che l’Amore di Dio è così grande che neppure un po’ può entrare nella testa dell’uomo, nel senso che o c’entra tutto o non c’entra per niente… allora in questo caso  ci lascia con l’amaro in bocca. Noi pensiamo che si possa intendere diversamente la Parola di Dio, senza imputare al Signore  un modo d’essere e d’operare nei nostri confronti così assurdo e così contrario a quella logica d’amore che fin dall’inizio accompagna ogni Suo gesto ed ogni Sua parola nei nostri confronti. E sarebbe certamente un errore addebitare ogni responsabilità al pensiero di Lutero, per quella sorta di fatalismo che pesa su parte della sua esegesi. Le radici sono remote ed affondano nell’ortodossia cattolica: fino ad Agostino e prima ancora ad Origene. Non è nostra intenzione riportare il pensiero di Agostino e di Lutero al riguardo. Sarebbe un lavoro troppo lungo: chi è interessato vada a leggere i testi al riguardo. Riportiamo semplicemente alcuni passi di Origene dove una certa teoria è già ben delineata. In definitiva tutti gli altri ne hanno ripercorso le orme. Con ciò nulla vogliamo togliere all’autorità dei più grandi esegeti della chiesa: immutato rimane il nostro affetto e grande la nostra stima. Se non tutto, molto dobbiamo a loro, ma ci sembra giustificato il tentativo di seguire una via diversa, così come abbiamo già in parte fatto. Riportiamo e commentiamo semplicemente alcuni passi di Origene, dal commento alla lettera ai Romani, per evidenziare come l’errore di esegesi sia già all’inizio di un discorso, e come fin dall’inizio si possa smontarlo mettendone in evidenza incongruenze e contraddizioni. Il Signore ed i fratelli ci perdonino se pecchiamo do presunzione: noi abbiamo semplicemente fatto un tentativo; ognuno trarrà le considerazioni che vuole. Scrive dunque Origene all’inizio del suo commento in relazione alle parole di Paolo. “Segregato per il vangelo di Dio”.

“In Paolo viene designata non la sola chiamata generale all’apostolato, ma subito anche l’elezione che ne è seguita, in base alla prescienza di Dio, per il fatto che è detto “segregato per il vangelo di Dio” così come in un altro passo egli dice di sé: “Quando poi piacque a Dio, che mi segregò fin dall’utero di mia madre, di rivelare in me il Figlio suo”. E tuttavia gli eretici stravolgono questo testo a falsità dicendo che egli è stato segregato fin dall’utero di sua madre per il fatto che era insita in lui una bontà di natura; come, viceversa, di coloro che sono di natura malvagia è detto nei salmi: “I peccatori sono stati segregati fin dall’utero”.

Noi invece affermiamo che né Paolo è stato eletto per caso oppure per una diversità di natura, ma fu egli ad offrire in se stesso i motivi della sua elezione a colui “ che conosce ogni cosa prima che avvenga”; né i peccatori, che vengono separati fin dal ventre, vengono separati per una ingiustizia del giudice. Ora appunto osserva subito in ciò che segue cosa dice di essi la parola divina. Sta scritto infatti: “I peccatori sono stati segregati fin dall’utero, sbagliarono fin dal ventre, pronunciarono falsità”. Se comprendiamo in che modo i peccatori hanno sbagliato o pronunciato parole false nell’atto stesso di uscire dal ventre della madre, ugualmente possiamo capire per quale ragione i giusti siano separati fin dal ventre.

Dunque anche in Paolo, poiché di lui si dice che è stato segregato fin dal ventre di sua madre, colui al quale nessun pensiero rimane occulto ha scorto i motivi e i meriti per i quali ha dovuto essere segregato a tale scopo. Previde infatti che si sarebbe affaticato nella predicazione del vangelo più di tutti gli altri… in condizione di fame e di sete, di freddo e di nudità, tra i pericoli di briganti… . Gesù, prevedendo dunque in lui queste cose e molte altre simili a queste fin dal ventre della madre, lo ha segregato appunto in vista di esse per il vangelo… . Dunque viene prima la prescienza di Dio, mediante la quale vengono conosciuti quelli che avranno in se stessi le fatiche e i meriti, e così poi segue la predestinazione; d’altra parte però la prescienza non sarà ritenuta come causa della predestinazione. Infatti, ciò che presso gli uomini viene considerato merito di ciascuno deducendolo dalle azioni passate, presso Dio viene giudicato sulla base delle azioni future; ed è assai empio chi in questo non crede a Dio: che cioè quello che noi vediamo nel passato egli lo vede nel futuro. (Origene)

Come appare chiaramente da quanto sopra Origene fu un convinto sostenitore della prescienza divina, intesa in senso lato fino alla conoscenza del nome degli eletti. E’ su questa prescienza che si giustifica la predestinazione di ogni uomo. La tradizione della chiesa ha accolto senza riserve alcune tale “verità teologica”, che, a nostro avviso andrebbe meglio approfondita e riportata ad una interpretazione meno frettolosa e superficiale della Parola di Dio, nulla togliendo e nulla aggiungendo. I passi citati da Origene non necessariamente si debbono interpretare nel senso di una preconoscenza individuale, che riguarda la salvezza di Tizio o Caio, ma in un senso teologico più profondo che mette Cristo- Dio al centro della salvezza. E’ Lui l’autore della vita e di ogni vita. Chi si pone in di Cristo destina se stesso alla salvezza, non alla salvezza che verrà, ma alla salvezza che è già venuta.  Non si entra nella vita eterna se non in una novità di vita, il cui cammino non è segnato dall’uomo, ma da Dio fin dall’eternità. Il destino di ogni cristiano è di essere conforme al Figlio e al suo Spirito. Tutti coloro che entrano nella salvezza hanno già un loro destino, un percorso spirituale già tracciato , una vita già definita da Dio, e in questo senso si può dire che Dio preconosce e predestina. Preconosce la vita degli eletti in quanto da Lui preordinata fin dall’eternità nel suo essere in Cristo e conforme alla volontà di Cristo. Predestina alla salvezza perché questa è già avvenuta in Cristo e già definita nel suo essere in noi e per noi, fin dall’eternità Si può preconoscere come sarà un eletto, in quanto agito dalla grazia divina, e guidato dallo Spirito Santo, ma ciò non comporta necessariamente che si conosca chi sarà questo eletto. Lo stesso discorso vale per chi si danna. Dio preconosce lo spirito ribelle, nel senso che sa com’è e dove andrà a finire.

Non consegue di necessità logica che conosca per questo quali uomini si danneranno. E non ha senso dire che se Dio non conosce tutto, gli si addebita un limite che non si addice alla perfezione divina. Dio sa tutto quel che vuol sapere, non sa quello che non vuole sapere. Prima ancora di un sovrano sapere, vi è in Dio una sovrana volontà. Non la volontà è partorita dal sapere, ma il sapere è partorito dalla volontà. La sapienza divina, che è il Cristo, è in tutto conforme a quella Volontà che è lo Spirito Santo in virtù del quale e per opera del quale il Figlio è stato generato dal Padre.

Dio conosce tutto quello che ha voluto assoggettare alla propria sapienza: non vi è aspetto del creato che possa sottrarsi al Suo occhio eterno sia per quel che riguarda l’essere puramente  materiale, sia per quel che riguarda l’essere dotato  di un ‘anima L’anima, vuoi dell’animale, vuoi dell’uomo vive solo in quanto in Lui fondata e da Lui agita. Se vi è un’anima fondata in Dio relazionata necessariamente soltanto al creato, conforme alla volontà del Creatore, esiste anche un’anima fondata in Dio e a lui relazionata, non in modo necessario, ma libero, conforme ad una propria volontà. E tutto questo è possibile soltanto in virtù di un dono per cui Dio ci rende partecipi del suo Spirito, non semplicemente per Sua volontà, ma anche per nostra volontà.

L’amore è vero quando è condiviso, e non può essere condiviso se non liberamente scelto. La volontà di Dio, allorché sceglie e vuole amare alcune creature deve incontrarsi con la loro volontà di essere amate. Ma per fare questo Dio deve porle riguardo a se stesso in una condizione di libertà di scelta. Nel momento in cui Dio ci pone come spiritualmente liberi riguardo al dono del suo amore va da sé che rinuncia ad ogni forma di prescienza che sia contro questa libertà. Se Dio conoscesse in anticipo tutto quanto concerne le nostre scelte spirituali, la storia dell’uomo sarebbe pura finzione. Vana ogni preghiera ed ogni speranza di novità di vita, in quanto tutto è fisso ed immutabile fin dall’eternità. Non è questo il Dio delle Scritture, ma il Dio dei filosofi, che identificano l’irrazionale con il sovrarazionale. Tante cose non si capiscono perché al di sopra della nostra ragione, ma ciò che appare manifestamente irrazionale non si può condurre ad una razionalità superiore, perché non sarebbe più per noi, ma contro di noi. Certamente Dio sa tutto fin dall’eternità della nostra dimensione materiale e della nostra anima intesa come psiche, e come potrebbe essere altrimenti? Ma vi è una dimensione spirituale dell’uomo in cui non ancora tutto è definito e in cui tutto può ancora accadere. Se così non fosse già saremmo al giudizio universale e alla conclusione della nostra storia, e non ci sarebbe più speranza. Il fatto che Dio preconosca tutto ciò che accadrà sulla terra, comprese le nostre azioni, non comporta di necessità che conosca la nostra sorte finale. Il giudizio viene fatto sul cuore dell’uomo e sull’ubbidienza alla volontà di Dio. Certamente le azioni malvagie non vengono dall’obbedienza a Dio. Ma finchè c’è vita c’è speranza: è sempre possibile il pentimento e la conversione. Il giudizio non si risolve in calcoli laboriosi e complessi riguardo alle nostre azioni buone e  cattive. E’ qualcosa di più: arriva al cuore dell’uomo fino a considerare la sua volontà per o contro Dio. Non c’è cuore così malvagio che sia escluso in assoluto dall’amore del Signore. Certo è difficile ed improbabile la conversione finale e tardiva di un cuore indurito nel peccato, ma non è impossibile. Se Dio conosce ogni azione dell’uomo non è detto che conosca quale e come sarà trovato il suo cuore nell’ultimo giorno, quando Egli chiuderà per sempre la porta della salvezza. D’altro lato la preconoscenza delle azioni buone di per sé non significa preconoscenza del nome degli eletti. Fermo restando che ogni bene viene da Dio ed è sua grazia, rimane il fatto che si può operare il bene con un cuore malvagio, cioè ribelle a Dio, non credendo nel Cristo e non riconoscendo la giustizia divina. Si può anche essere portatori di un bene rubato e strappato al Signore, senza rendimento di grazie, ma con presunzione di giustizia. Come Dio preconosce ogni male, in quanto altro da sé, preconosce ogni bene, in quanto proveniente da se stesso. Ma ciò che proviene da Dio in quanto da Lui donato non sempre ritorna a lode del Signore. La lode di ogni cuore al Signore si viene determinando storicamente e non è detto che sia da Lui preconosciuta. E’ nella libertà dello spirito dell’uomo, che può atteggiarsi in maniera diversa di fronte ad ogni giustizia: affermando la propria e rinnegando quella di Dio, affermando quella di Dio e rinnegando la propria. Leggiamo in Matteo 7, 22-23  “Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore! Non abbiamo noi nel tuo nome profetato? E nel nome tuo non abbiamo cacciato dei demoni ? E nel tuo nome non abbiamo fatto molte opere potenti? E allora dirò a quelli manifestamente:  Non vi ho mai conosciuto: allontanatevi da me, voi che  operate iniquità”. Eppure avevano fatto cose grandi e buone, ma il loro cuore alla fine non è stato trovato conforme alla volontà di Dio. Non ci è chiesto semplicemente di operare ogni bene, ma quel bene che Dio vuole da noi, e nessun bene Dio vuole da noi se non quello che è conforme al Suo spirito. Ogni azione buona è preconosciuta da Dio: ciò non significa che Dio preconosca con quale spirito sarà fatta. Se per la sua gloria o se per la gloria dell’uomo. Il Signore non rigetta le opere di questi tali, ma il loro spirito:  le opere passano, lo  spirito rimane. Non sono condannati per quello che hanno fatto, ma per come si presentano davanti a Lui. Gesù non dice che hanno operato iniquità, ma che sono operatori d’iniquità, perché iniquo è trovato il loro cuore nel giorno del giudizio. Dal lato opposto vediamo uno dei due ladroni, che così risponde alle maledizioni del compagno: “Non temi tu Dio, tu che soffri la stessa condanna? E per noi con giustizia, perché riceviamo degna pena dei nostri delitti; ma lui non ha fatto niente di male”. Poi, soggiunse: “Gesù ricordati di me, quando ritornerai nel tuo regno!” E Gesù gli rispose: In verità ti dico: Oggi sarai in Paradiso con me”. Il ladrone non viene certo elogiato per le opere passate, ma nonostante esse, il suo spirito è trovato conforme all’amore del Signore e per questo è considerato degno di entrare nella vita eterna. Il giudizio è sospeso da parte di Dio fino al tempo opportuno. Nessun pregiudizio, anche se ben conosce le azioni dell’uomo, quelle che ha fatto e quelle che farà. Non è assurdo che Dio chieda all’uomo di non giudicare il fratello, se Lui stesso ha già giudicato? Mi dirai che la prescienza divina esclude di per sè qualsiasi pregiudizio da parte di Dio. Ma in tutto questo non c’è logica. Ti risponderò che è proprio la mancanza di pregiudizio che esclude la prescienza divina. Riguardo allo spirito certo, non per quanto concerne le azioni. Sbagliano coloro che credono che ognuno sarà giudicato solo per le sue  opere. Certo le azioni manifestano il cuore, ma solo agli occhi di Dio e nel momento che sono in atto. L’attualità del cuore ovvero così com’è trovato da Dio, nel momento del giudizio non è il risultato della somma delle azioni buone e cattive che siano. Resta sempre aperta la porta del pentimento e della fede in Cristo. A meno che tu voglia sostenere che siamo salvi in virtù dei nostri meriti. Non v’è salvezza alcuna se non per i meriti del Cristo e per la fede nel suo nome. Certamente l’attualità del nostro cuore, ovvero com’è trovato da Dio, non può prescindere dal passato, da ciò che abbiamo in esso fatto. Il peccato indurisce il cuore e lo fa nemico di Dio, ma non secondo una logica necessità che scavalchi la dimensione spirituale dell’uomo, che è fatto libero innanzitutto di volere o non volere il Signore. Finchè c’è vita c’è speranza, ovvero c’è speranza finchè non è consumato il peccato contro lo Spirito Santo. Vi è una parvenza di male che alla fine si risolve per Dio, e vi è una parvenza di bene che alla fine si risolve contro Dio. Non è questo l’insegnamento della parabola del figliuolo prodigo? Questi abbandona la casa paterna e agli occhi del Padre può sembrare ormai perduto, l’altro resta e  fa ben sperare di sé . Ma quale sorpresa finale! Nel momento in cui si deve dar lode all’amore ed alla misericordia di Dio, confessando il proprio peccato ed esaltando il Suo nome, chi è vicino si dimostra falso, e rimane fuori; l’altro, il lontano, il ritrovato, dà gloria allo Spirito del Padre, rinnegando il proprio spirito. Le opere così come appaiono agli occhi dell’uomo, non necessariamente sono meritevoli di salvezza o di dannazione eterna. Certo il bene sarà sempre bene ed il male sempre male. Ma la libertà del nostro spirito non si colloca tra l’operare il bene e l’operare il male, ma tra il volere Colui che è Bene ed il volere Colui che è Male. Non basta operare il bene se non si vive per Colui che è Bene. Non è ancora perduto colui che opera il male, se si apre a Colui che è Bene. Se Dio preconosce ogni opera non è detto che preconosca con quale spirito sarà fatta. Perché lo spirito dell’uomo si viene determinando nel tempo e col tempo nel suo essere per o contro Dio, per o contro Cristo. Dio può riporre molta speranza in coloro di cui preconosce le buone azioni, ma il loro cuore sarà da Lui giudicato di giudizio eterno ed irrevocabile soltanto alla fine. Così pure Dio può aver scarsa fiducia in coloro di cui preconosce le azioni malvagie, ma non è detto che alla fine non ci siano anche per il Signore delle sorprese e veda i primi diventare ultimi e gli ultimi diventare primi. L’esito finale della vita è soltanto nel rinnegamento del proprio spirito, per accogliere in noi lo Spirito Santo. Non rinnega il proprio spirito chi operando il bene convince se stesso di bontà. Rinnega il proprio spirito chi pur cercando il bene, alla fine si riconosce schiavo del male e con ciò rifiuta una gloria dovuta ai propri meriti ed accoglie in sé la gloria di Dio, data gratuitamente. Il regno dei cieli non è fatto per l’esaltazione della creatura, ma del Creatore. L’uomo può godere di tale gloria soltanto per partecipazione e per riflesso, allorché rinnegato il proprio spirito  si identifica con lo Spirito di Dio, lasciandosi completamente illuminare e pervadere dalla sua luce. Chi si aspetta una qualsiasi gloria in proprio si troverà tagliato fuori e gettato nelle tenebre eterne. Se poi possa arrivare alla consapevolezza piena di peccato chi non si è mai impegnato a cercare il bene, vedilo tu. Si può confessare i propri peccati, facendo salva la consapevolezza della propria fondamentale e sostanziale bontà. Perché in definitiva quello che è mancato ed è venuto meno è stato soltanto il nostro impegno, ma in quanto alla nostra natura è di per sé buona e può ben meritare la vita eterna. Nessuna forma di confessione e di umiltà è gradita a Dio se non quella che è pienamente consapevole del proprio nulla. E si può ben pensare che non arriva a comprendere la propria nullità se non l’uomo che ha cercato il Signore con tutto il cuore con tutta l’anima e con tutta la mente. Soltanto per questo ed in conseguenza di questo alla fine si riconosce peccatore. Non c’è opera buona che non venga da Dio, ed il peccato non è tolto se non dal Figlio. Ma chi può comprendere, se non l’uomo che nonostante tutti i propri sforzi, tocca il fondo della propria miseria? Soltanto per esso è detto: Felice colpa. Perché Dio converte in bene ogni male, creando innanzitutto la coscienza del male. Il discorso può sembrare più complesso se si considera il giudizio di Dio su coloro che non  hanno conosciuto Cristo. Sembra che in questo caso non ci sia altra via se non quella delle opere. Ma anche chi non ha conosciuto Cristo possiede pur sempre uno spirito fondato e relazionato allo Spirito di Dio. E non è detto che Dio non vada oltre le apparenze delle opere fino a toccare la realtà dello spirito. Certo nessuno conosce il metro del giudizio divino: uomini diversi saranno giudicati con un metro diverso, ma sempre secondo lo spirito e non semplicemente secondo le opere. Quella falsità che Gesù condanna nei farisei non è prerogativa esclusiva dell’uomo della Legge, ma può essere propria di ogni uomo, di qualsiasi tempo e di qualsiasi popolo: come abbiamo visto non c’è uomo che non abbia avuto da Dio una legge. Un’attenta lettura del testo di Matteo ci porta a considerare il giudizio eterno su coloro che non hanno conosciuto Cristo, in un’ottica che esclude ogni rilevante diversità, ma alla fine si dimostra congruente rispetto a quella di Israele.

“Quando poi sia venuto il Figlio dell’uomo nella sua gloria e tutti gli angeli con lui, allora siederà sul trono della sua gloria e saranno riunite davanti a lui tutte le nazioni e separerà essi, gli uni dagli altri, come il padrone separa le pecore dai capri, e porrà le pecore a destra di lui, i capri invece a sinistra. Allora dirà il re a quelli a destra di lui: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi dalla fondazione del mondo. Ebbi fame infatti e deste a me da mangiare, ebbi sete e faceste bere  me, ero forestiero e accoglieste me, nudo e vestite me, fui malato e visitaste me, in carcere ero e veniste da me. Allora risponderanno a lui i giusti dicendo: Signore, quando ti vedemmo affamato e nutrimmo, o assetato e dissetammo? Quando poi ti vedemmo malato o in carcere e venimmo da te? E rispondendo il re dirà a loro: Amen, dico a voi, in quanto faceste a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, a me l’avete fatto. Allora dirà anche a quelli a sinistra: Andatevene da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e gli angeli di lui. Ebbi fame infatti e non deste a me da mangiare, ebbi sete e non faceste bere me, forestiero ero e non accoglieste me, nudo e non vestiste me, malato e in carcere e non visitaste me. Allora risponderanno anch’essi dicendo: Signore, quando ti vedemmo affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere e non servimmo te? Allora risponderà a loro dicendo: Amen dico a voi, in quanto non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, neppure a me l’avete fatto. E andranno questi al castigo eterno, i giusti invece alla vita eterna”. ( Matteo 25, 31-46 )

Altrove abbiamo spiegato come queste parole si debbano intendere innanzitutto in relazione al popolo eletto. Cerchiamo ora di comprendere il discorso in quanto detto per tutte le genti. Noteremo dapprima come Gesù sia chiamato il Re. Nessuna conoscenza di Dio Padre ci può essere al di fuori della rivelazione. Il Dio che si manifesta attraverso il creato, non è direttamente collegabile all’idea di un Padre, ma a quella di un Signore, padrone dell’universo e dominatore su di esso. Come in Israele è il Figlio che ha manifestato l’amore del Padre, nel giorno del giudizio sarà lo stesso Gesù a manifestare a tutte le genti che Dio è Padre. “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi dalla fondazione del mondo”. Non c’è Padre che non porti con sé per i suoi figli ogni sorta di bene, fino al giorno in cui li farà eredi e coeredi con Cristo del suo stesso regno. Di tale regno non si dice che è dovuto all’uomo per i propri meriti, ma semplicemente che è dato in eredità. Chi è Figlio per natura, può ben vantarsi della propria eredità, chi è figlio  per adozione, può soltanto ringraziare per ciò che gli viene dato gratuitamente. Ma veniamo al problema della giustizia. Il Figlio non dice loro: Venite, giusti del Padre mio, ma benedetti del Padre mio. Nessuno è fatto giusto dalle proprie opere, ma soltanto dalla benedizione di Dio, allorché siamo riconosciuti come figli suoi. Soltanto più avanti è scritto: “Allora risponderanno a lui i giusti”, cioè coloro che il Signore ha fatto giusti, non riconosciuti giusti. Non c’è giusto se non il Figlio, e nessuna riconoscenza è dovuta se non alla giustizia del Figlio. Ma allorché accogliamo il Figlio, siamo in Lui e da Lui giustificati, in virtù del suo sacrificio. “Ebbi fame infatti e deste a me da mangiare, ebbi sete e faceste bere  me, ero forestiero e accoglieste me, nudo e vestite me, fui malato e visitaste me, in carcere ero e veniste da me” Soltanto dopo averli riconosciuti come figli di Dio, Gesù entrerà nel merito delle loro opere, per riconoscere che tali opere sono state fatte in loro dal Figlio e da loro per il Figlio. Perché dal Figlio? Perché essi non hanno alcuna consapevolezza della propria giustizia, e proprio per questo hanno lasciato operare in loro la giustizia di Dio, ed hanno con ciò accolto il Salvatore. Certo non c’è stata nella loro vita quella conoscenza di Dio, che passa attraverso il dono della Parola rivelata. Ma la grazia di Cristo si è riversata anche su di loro, in virtù dell’ascolto della Sua voce o legge naturale. Si può fare la volontà del Signore anche senza conoscere il Signore, ma semplicemente ascoltando la Sua voce, come è data ad una retta coscienza. Ma qual è il carattere distintivo delle opere che vengono da Cristo? Le opere del Signore appaiono piccole agli occhi di chi le compie, tanto piccole che neppure le vedono.

“Allora risponderanno a lui i giusti dicendo: Signore, quando ti vedemmo affamato e nutrimmo, o assetato e dissetammo? Quando poi ti vedemmo malato o in carcere e venimmo da te”

Soltanto chi entra nel mistero della propria piccolezza conosce la grandezza di Dio. Povera cosa è la propria giustizia agli occhi dei santi, non la vedono neppure e proprio per questo essa è fatta grande. E’ soltanto la loro povertà e piccolezza che li rende degni di essere ricolmati di ogni giustizia e di ogni dono. Non si fa grande Dio, se non facendo piccoli se stessi. Non entra nella gloria di Dio chi glorifica se stesso e la propria anima.

Le opere piccole, sono fatte da uomini piccoli e soltanto per chi è piccolo.

“Amen, dico a voi, in quanto faceste a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, a me l’avete fatto”. Accogliendo il più piccolo, noi accogliamo Colui che, per salvarci, da grande si è fatto piccolo. L’amore falso si pone nell’ottica della grandezza, quello vero della piccolezza. Ama tutti gli uomini, ma innanzitutto i più piccoli, per essere amato dal Figlio e per riamare in Lui, con Lui e come Lui. Viene il tempo in cui ogni uomo vedrà la gloria del Figlio, ma il suo amore è da sempre e la sua salvezza per tutti coloro che lo cercano. Se la giustizia di Dio si manifesta solo alla fine, essa opera sin dall’inizio in tutti coloro che la vogliono. Non solo in Israele, ma in tutte le genti.

E quelli che sono stati posti alla sinistra del Figlio? Per essi la riprovazione eterna.

Allora dirà anche a quelli a sinistra: Andatevene da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e gli angeli di lui.

Non sono benedetti , ma  maledetti. E neppure è dato loro conoscere il nome del Padre. Benedizione e maledizione non vengono da Dio allo stesso modo: l’una è dono gratuito e svela l’amore eterno, l’altra è ciò che è dovuto al peccato e svela la nostra malvagità. Non sarà dato ai dannati di invocare il nome di Dio Padre. Come potranno invocare quella misericordia che non hanno voluto conoscere? Il loro stupore è ben altro rispetto a quello degli eletti. Gli uni si stupiscono per la bontà di Dio, gli altri si stupiscono della Sua severità.

Allora risponderanno anch’essi dicendo: Signore, quando ti vedemmo affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere e non servimmo te?  Perché in definitiva questi sono andati al giudizio confidando nella propria giustizia e non nella misericordia divina. Nessun uomo, se pur fa il male, è poi convinto di meritare la dannazione eterna, se non colui che,  convinto dallo Spirito Santo riguardo al proprio peccato, è anche convinto riguardo all’amore di Dio Padre. Non sono dannati semplicemente perché non hanno compiuto opere buone, ma perché non hanno compiuto quelle opere buone che Dio voleva da loro. Non opere di bene qualsiasi, ma quelle di un cuore umile, che, dopo aver fatto il proprio dovere, conclude col dire: Servo inutile sono. Il loro operare non li ha condotti ad accogliere Cristo Salvatore, ma al suo rifiuto, perché troppo piccolo ed indegno per essere preso in considerazione.

“Allora risponderà a loro dicendo: Amen dico a voi, in quanto non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, neppure a me l’avete fatto. E andranno questi al castigo eterno, i giusti invece alla vita eterna”. ( Matteo 25, 31-46 )

E questo, lo ripetiamo ancora una volta, non è detto solo per il popolo eletto, ma per tutti gli uomini. Perché dai tempi di Adamo l’uomo è inseguito dalla voce di Dio e raggiunto dal sacrificio del Cristo. Se non a tutti è dato di conoscere il Dio d’Israele, a tutti è dato sentirne la sua voce e sperimentarne la grazia vivificante. Vi è una fede aperta e conclamata nel Figlio, vi è una fede nascosta in Gesù, che opera nel silenzio della propria ignoranza. Una fede che non ha ragioni proprie, ma è guidata ed agita  dall’unica Ragione. Sperimenta e riconosce la malvagità del proprio cuore, ma è aperta alla speranza di un Dio misericordioso. Ma per coloro che non hanno cercato Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, non c’è nessuna speranza di salvezza, se non in una presunzione di giustizia falsa ed ingannevole che li lascerà alla fine col cuore amaro. Vedi ed intendi come lo Spirito di Dio è dato a tutti quelli che lo vogliono, in tempi, modi, coscienze, culture diversi. E’ sempre il medesimo ed unico Spirito e porta sempre il medesimo ed unico frutto: la fede in Cristo Salvatore. Una fede rapportata diversamente all’uomo, ma fondata nell’unico Dio.

Prima di chiudere il discorso sulla predestinazione qualche parola dobbiamo spendere anche riguardo alla preghiera. Non c’è preghiera se non nel presupposto che grazie ad essa si possa influire sulla volontà di Dio, al punto da indurlo a qualche cambiamento rispetto al progetto in atto. Se Dio tutto preconosce non si vede proprio quale importanza e quale significato si possa attribuire alla nostra supplica. Le cose andranno comunque per il loro verso: E non si dica che Dio preconosce anche la nostra preghiera e che ogni mutamento della volontà divina in virtù della preghiera è preconosciuto da Dio. E’ il colmo dell’assurdità che colui presso il quale non vi è ombra di mutamento preconosca ogni proprio mutamento. Quando si dice che presso Dio non vi è ombra di mutamento si deve intendere che Dio non si pente della propria volontà e che in ogni cosa altro non può volere se non ciò che è bene. Dio muta la sua volontà nei nostri riguardi perché noi mutiamo la nostra volontà nei suoi riguardi. La volontà di Dio è sempre finale, cioè persegue sempre lo stesso fine, la nostra invece è del tutto casuale ed occasionale e non diventa finale se non in quanto fatta tale da Dio. In Genesi vediamo che Dio è disposto a cambiare la sua volontà rispetto alla sorte di Sodoma e Gomorra, grazie alla preghiera di Abramo. Le cose sono andate per il loro verso. Questo non significa che la promessa di Dio ad Abramo di risparmiare le due città qualora avesse trovato dieci giusti, fosse del tutto fittizia, perché non conforme alla sua prescienza. Quando la preghiera è fatta nello spirito ed è conforme allo Spirito può indurre dei cambiamenti nella volontà di Dio.  Accadono cose che altrimenti non accadrebbero. Ogni mutamento spirituale ha un qualche risvolto nella realtà attuale. Può essere quindi che Dio nell’ambito di una prescienza globale di tutta la realtà , debba introdurre qualche cambiamento rispetto a ciò che è eternamente conosciuto. La novità dello spirito dell’uomo può accompagnare ed essere accompagnata da qualche “altra”novità.  Ma tutto questo non altera più di tanto il quadro complessivo preconosciuto. Si tratta in definitiva di qualche semplice aggiustamento e di interventi pro tempore per il bene degli eletti.  Non ti convince e non ti basta quanto detto? Ascolta e comprendi ciò che Paolo dice di se stesso: “Io dunque corro, non come alla ventura; faccio del pugilato, ma non come uno che dà colpi nell’aria: bensì tratto duramente il mio corpo, e lo tengo sottomesso, affinché, dopo aver fatto da araldo agli altri, non rimanga io squalificato”. Come puoi conciliare nell’Apostolo la convinzione di essere stato da Dio segregato fin dall’eternità per il Vangelo di Cristo, con il  timore di essere alla fine riprovato?  Nessuna chiamata e nessuna opera buona è di per sé garanzia di vita eterna. Bisogna perseverare fino alla fine … si può venire meno anche all’ultimo minuto.

 

 

 

 

 

Cerchiamo ora di comprendere perché non ci può essere libertà dello spirito che sia preconosciuta da Dio, mentre Dio preconosce ogni libertà legata al corpo ed all’anima. Abbiamo già ampliamente spiegato come l’uomo sia formato da tre dimensioni. La prima è lo spirito che viene soffiato direttamente nelle sue narici dallo Spirito divino. E’ il fattore fondante la nostra vita. In quanto non creato dal Nulla ma proveniente da Dio stesso ci mette direttamente in rapporto con Lui: è l’io semplice che ha coscienza di sé in quanto fondato e relazionato ad un tu Creatore. Se l’io è creato una volta per tutte, vive soltanto in virtù di Colui che lo fa vivere. Lo spirito dell’uomo è associato ad un’anima e ad un corpo. L’anima ed il corpo rappresentano la molteplicità di doni di cui Dio riveste il nostro spirito. Mentre lo spirito dell’uomo si rapporta direttamente a Dio, l’anima ed il corpo sono dati per la crescita dello spirito, per aiutarlo in un’obbedienza sempre più piena e totale a Dio, fino al possesso della vita eterna. I doni di Dio manifestano chiaramente il suo amore, aiutano lo spirito nel suo cammino di crescita. La libertà che viene data allo spirito dell’uomo investe direttamente la sua anima ed il suo corpo. L’anima e il corpo devono stare sottomessi allo spirito ed operare nel senso da lui voluto, pena una dissociazione di tutto l’essere dell’uomo. Può  accadere che lo spirito si assopisca, e si addormenti diventando sordo alla voce di Dio, ovvero a quel rapporto immediato che ha con il Creatore. In questo caso la libertà dell’anima e del corpo diventano preponderante e prevaricanti rispetto allo spirito. Mentre tutto si gioca riguardo allo spirito, quando lo spirito viene meno tutto sembra giocarsi intorno all’anima e al corpo. L’anima ed il corpo crescono e si fanno sentire a dismisura e vanno oltre ciò che compete loro. Per questo è detto : Svegliati o tu che dormi, sorgi di tra i morti e Cristo ti illuminerà: Se lo spirito è morto, l’anima dorme. E non si può far rinascere lo spirito se non svegliando la sua anima. L’anima in quanto agita da Dio può essere assopita, per la morte dello spirito, ma è sempre in vita. Mancando la guida dello spirito si fa luce a se stessa e si crea una propria giustizia scissa dalla volontà di Dio. Dorme sui propri allori e si fa centro della vita dell’uomo. Per ricondurre l’uomo sulla strada della verità Dio può agire direttamente sul suo spirito o indirettamente sulla sua anima. La via diritta è certamente la più sicura e la più semplice per l’uomo che possiede un’anima povera e non cresciuta, come vediamo nei malati psichici e in tutte le persone intellettualmente e culturalmente limitate. Il Signore alza semplicemente il tono della voce della voce della coscienza. Non c’è poi bisogno di tante spiegazioni e di tante parole per chi è povero di parola. Ma quando l’anima dell’uomo è cresciuta a dismisura per la morte dello spirito, è assai difficile arrivare direttamente allo spirito. Certo Dio può farlo e anche con violenza, ma trova una risposta altrettanto violenta da parte dell’anima, che non si riconosce più nella semplicità della voce divina, quale si fa sentire allo spirito. E allora Dio è costretto ad intervenire indirettamente sullo spirito, seguendo le vie dell’anima e percorrendo  le strade che essa stessa si è data. Il Signore non può più parlare in maniera semplice ad un uomo che semplice non è più.

Vi è un progresso della parola creata dall’uomo, che non è semplicemente rigettato da Dio, ma da Lui rivisitato e rivisto al fine della salvezza. In questo senso si deve intendere quanto detto da Paolo riguardo alla Legge. La Legge in quanto dono di Dio è data e legata all’anima ed alle sue facoltà razionali, crea un rapporto mediato tra la creatura ed il Creatore. Non viene data al primitivo ed al malato psichico, ma ad un’umanità già cresciuta per quel che riguarda la parola.

Certo a tutti è data la voce della coscienza: questa voce altro non è che eco della Parola divina. La Parola che esce dalla bocca dell’Altissimo porta con sé un’eco. L’eco differisce dalla Parola, quanto a chiarezza razionale, ma ne conserva intatto il fondamento ed il fine. L’intensità può addirittura essere rinforzata, per coloro che poco comprendono, per la pochezza della loro intelligenza. Ai subnormali non solo non è negata la voce della coscienza, ma proprio per la loro povertà intellettuale tale voce ha un timbro ed un suono più marcato. Quando uno capisce poco si alza il tono della voce, tanto quanto è necessario per farsi intendere. La storia dell’uomo non è però destinata a fermarsi alle sue forme più semplici, c’è pure una crescita e questa crescita deve essere conforme alla volontà di Dio, di bene in bene e non di male in male. La Legge dunque ci fa conoscere qual è la volontà di Dio, ci detta regole di giustizia, in senso generico secondo norme che sono valide per tutti: non può dire qual è la volontà di Dio per ogni singolo uomo, in ogni singolo istante. Questo è prerogativa dello spirito che unico nell’uomo è posto in un rapporto immediato con Dio tramite la voce della coscienza che è prima e al di sopra di ogni Legge. Ma allorché lo spirito dorme e non sente la voce di Dio, lo Spirito del Signore opera sulla anima, che è oggetto passivo dell’azione divina, da Lui agita e da Lui preconosciuta, perché si rimetta al proprio posto qualora sia andata oltre e soprattutto perché svegli lo spirito, e lo riporti all’ascolto della voce di Dio. Non basta un qualsiasi intervento dell’anima sullo spirito, deve essere guidato da Dio, per ottenere lo scopo. E’ escluso sin dall’inizio non solo qualsiasi processo di autoredenzione da parte dell’uomo, ma anche la semplice possibilità della ragione umana di essere luce a se stessa. Conosci te stesso diceva Socrate. Conosci te stesso quale sei conosciuto da Dio, replica la Parola. Non esiste un pensiero sufficiente a se stesso e neppure la guida di una ragione pura. Perché non esiste una ragione pura che pensa in astratto, esiste l’uomo che pensa nella concretezza della sua vita nel suo essere per Dio e contro Dio. Ed è proprio la nostra realtà di uomini segnati dal peccato, perché nati col peccato che rende necessaria la parola rivelata. Nella sua prima tappa la parola rivelata è Legge. Serve per illuminare l’uomo e per convincerlo di peccato. La sua fine coincide con la venuta del Figlio, allorché la Parola si fa carne e diventa voce del Padre. Ma con ciò l’uomo è riportato alla vita dello Spirito, reso capace di ascolto e di vita nuova.

Non la semplice osservanza della Legge, ma l’obbedienza alla volontà di Dio è garanzia di salvezza. E’ un percorso obbligato per ogni uomo e comporta un salto di qualità da un rapporto con Dio mediato  ad uno immediato. Quell’immediatezza che è estranea alla Legge è invece propria della fede in Cristo. Non c’è uomo che possa sottrarsi  al confronto con Cristo, in maniera diversa e a noi sconosciuta. Altrove riprenderemo il discorso alla luce della Scrittura. Per ora ci preme riportare la parola di Dio al suo reale significato, rifiutando ogni tentativo di andare oltre, fino al punto da fare dire alla Bibbia ciò che non dice.

 

 

Così le frasi riportate da Origene in cui si afferma, non solo di Paolo, ma anche dei dannati , che sono stati segregati fin dall’utero materno, si possono interpretare più semplicemente nel senso che la nostra esistenza non può prescindere da un’opera di salvezza storicamente già avvenuta, prima ancora della nostra nascita, che divide e segrega ogni uomo, o conforme all’opera del Cristo, o conforme all’opera del Satana.    San Paolo dice di se stesso che è stato chiamato ad essere apostolo e segregato per il vangelo di Dio, non per affermare in via prioritaria una incomprensibile ed assurda predestinazione, ma per liberare subito il lettore da una convinzione falsa e sbagliata: che cioè ogni uomo, a cominciare da Paolo sia quello che è in virtù di se stesso. Noi siamo in virtù di un Dio che dalla condizione di servi, ci ha chiamati ad essere apostoli, e ci ha segregati per il Vangelo di Cristo da tutti coloro che servono il Satana essendo sordi al richiamo della parola di salvezza. Il Cristo ha creato nel mondo una divisione e una spaccatura tra coloro che accolgono la sua vita e coloro che la rifiutano. E questo è già un dato ed un fatto di cui ognuno deve prendere coscienza, per non affaticarsi invano e cercare la salvezza là dove non c’è salvezza.

Il pensiero di Paolo va ora ai vecchi fratelli di Israele che non hanno accolto la novità che è il Cristo, ma rimangono nell’attesa della salvezza, che viene dalla legge.

 

 

 

 

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