Lettera ai Romani cap7

 

 

                            Cap. 7

 

1 O ignorate, fratelli, parlo infatti a uomini conoscenti  legge, che la legge ha potere sull’uomo per quanto tempo vive?

2 Infatti la donna maritata è legata al vivente marito per legge; qualora invece muoia il marito è sciolta dalla legge del marito.

3 Perciò dunque, vivente il marito, viene chiamata adultera qualora diventi di un altro uomo. Se invece muore il marito è libera dalla legge, così da non essere essa adultera divenendo di un altro uomo.

4 Così, fratelli miei, anche voi siete  morti alla legge a causa del corpo di Cristo, per diventare voi di un altro, di quello risuscitato da morti, affinché portiamo frutti per Dio.

5 Quando infatti eravamo nella carne, le passioni dei peccati quelle per mezzo della legge, agivano nelle nostre membra per portare frutti per la morte.

6 Ora invece siamo stati sgravati dalla legge essendo morti in ciò a cui eravamo tenuti, così che noi serviamo in novità di spirito e non in vecchiezza di lettera.

7 Che cosa dunque diremo? La legge è peccato? Non sia! Ma  non conobbi il peccato se non per mezzo della legge. Infatti  non avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non dicesse: Non bramerai!

8 Ora il peccato avendo preso occasione per mezzo del precetto ha operato in me ogni concupiscenza; infatti senza legge il peccato è morto

9 Ora io vivevo una volta senza legge, ma essendo giunto il precetto il peccato riprese vita,

10 io invece morii e si trovò che per me il precetto per la vita era per la morte .

11 Il peccato, infatti, avendo preso occasione a motivo del precetto, mi ingannò e per mezzo di esso mi uccise.

12 Cosicché davvero la legge è santa ed il comandamento santo e giusto e buono.

13 Il bene dunque per me divenne morte? Non sia!

Ma il peccato, affinché apparisse peccato, per mezzo del bene a me è operante morte, affinché il peccato divenisse peccaminoso ad eccesso per mezzo del precetto.

14 Sappiamo infatti che la legge è spirituale, io invece sono carnale venduto sotto il peccato.

15 Infatti  non so ciò che opero.  Infatti non faccio  ciò che voglio, ma ciò che odio, questo faccio

16 Se invece faccio ciò che non voglio, convengo con la legge che è buona. 

17 Ora dunque non più io opero ciò, ma  il  peccato che abita in me.

18 So infatti che non abita in me, cioè nella mia carne, il bene. Infatti il volere giace presso di me, ma l’operare il bene, no. 19 Infatti non faccio ciò che voglio: il bene, ma ciò che non voglio: il male, questo faccio. 20 Se poi ciò che non voglio io questo faccio, non più io opero esso, ma il peccato che abita in me.

21 Trovo pertanto la legge volendo io fare il bene, che  a me il male giace presso.

22 Infatti mi compiaccio  per la legge di Dio secondo l’uomo di dentro: 23 ma vedo un’altra legge nelle mie membra che combatte contro la legge della mia mente e mi fa prigioniero nella legge del peccato, che è nelle mie membra.

24 Infelice io uomo!  .Chi mi libererà dal  corpo di questa morte? 25 Ma grazie  a Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro.

Perciò dunque proprio io con la mente davvero servo alla legge di Dio, con la carne invece alla legge del peccato.

 

 

 

1 O ignorate, fratelli, parlo a conoscenti infatti legge, che la legge ha potere sull’uomo per quanto tempo vive?

Sposi della legge, finché in noi vive l’uomo vecchio siamo sotto il potere della legge, non possiamo rompere il suo vincolo. Morti e risorti a vita nuova in Cristo la Legge non ha più alcun potere su di noi.

2 Infatti la donna maritata è legata al vivente marito per legge; qualora invece muoia il marito è sciolta dalla legge del marito. 3 Perciò dunque, vivente il marito, viene chiamata adultera qualora diventi di un altro uomo. Se invece muore il marito è libera dalla legge, per non essere essa adultera divenendo di un altro uomo.

Intendi: il marito è l’uomo e la Legge la donna. Ora per “legge” la donna è legata al marito per tutto il tempo in cui questo vive. Perciò è chiamata adultera se passa ad un altro uomo, “vivente il marito”, cioè quando il marito è ancora in vita. Se invece il marito muore è libera da quella “legge” imposta da lei stessa che è Legge, di modo che non si può considerare adultera se passa ad un altro uomo.

Attenzione dunque!

Non si vuol dire che siamo liberi dalla Legge perché essa è morta, ma più semplicemente che siamo liberi, perché noi siamo morti ad essa, perchè passati ad altra vita con Cristo.

Non abbiamo rinnegato la Legge per passare a Cristo, ma siamo passati a Cristo semplicemente perché già morti alla vita che segna il  cammino con la Legge.

Morti alla vita della Legge, è pienamente giustificato il nostro sposalizio con Cristo.

Parimenti si può dire che, se noi siamo morti alla Legge, la Legge, rimanendo in vita, è libera di sposare chi vuole e di passare ad altri uomini. La Legge dunque non è fatta morta con il nostro passaggio alla vita di Cristo. Conserva intatta la sua realtà, come dono di Dio, ma non ha più alcun potere su chi è passato ad altra vita.

Sereni dunque. Non è adultero chi sposa Cristo e neppure fa adultera la Legge.

Non noi ci siamo liberati dalla Legge, né la Legge si è liberata da noi: il vincolo è rotto perché uno dei due è morto.

Tutto regolare quindi. Non c’è adulterio alcuno: né nostro in confronto della legge né della legge in confronto nostro.

In Cristo e per Cristo siamo morti alla vita vecchia; se morti, liberati dal vincolo coniugale con la Legge, pienamente giustificati dunque a convolare a nuove nozze.  

Ma se noi siamo passati ad altre nozze, la legge rimane in vita  con e per altri sposi, come vincolo santo ed indissolubile fra l’uomo e Dio.

4 Così, fratelli miei, anche voi siete  morti alla legge a causa del corpo di Cristo, per diventare voi di un altro, quello risuscitato da morti, affinché portiamo frutti per Dio

Con la sua morte in croce Cristo ha crocifisso la nostra carne e con ciò ci ha fatti morti alla legge, affinchè siamo di un Altro.

Morti con lui nel vincolo della Legge, rinasciamo con Lui nel vincolo dello Spirito Santo. Gesù ci ha fatti suoi sposi a caro prezzo, ma non invano.

Nota bene: Paolo non dice che la legge è a noi morta, ma che noi siamo morti alla legge. Fatto salvo il diritto della Legge di continuare ad essere sposa dell’uomo che vive con lei, è fatto salvo anche il diritto dell’uomo che è morto alla Legge di passare ad altre nozze e di godere di doni nuovi e di una diversa gioia.

5 Quando infatti eravamo nella carne, le passioni dei peccati per mezzo della legge, agivano nelle nostre membra per portare frutti per la morte.

Sposi della legge, eravamo da essa rimproverati riguardo al peccato. Benché ci volesse bene e fosse dono del Padre, la legge non poteva liberarci dal male: semplicemente ci richiamava in continuazione, fino ad esasperare il nostro animo e ad indurci a peccare. La Legge chiede all’uomo ciò che per lui è impossibile ed in questo modo lo spinge ancor più a rinunciare a qualsiasi volontà di cambiamento, per lasciare libero sfogo alle proprie passioni.

Ora che siamo passati ad altre nozze, respiriamo meglio, ma non possiamo guardare alla vecchia sposa, se non con simpatia e sentimento di gratitudine. Ci ha voluto bene, ci ha illuminato riguardo alla nostra colpa, ci ha consegnato nelle mani del Cristo, senza rancore e senza perderci. Ora possiamo guardarci l’uno con l’altra in modo diverso. E’ stato un bene per entrambi che finisse così. Felice la sposa adottiva che cede il posto all’unico vero sposo! Felici noi che siamo stati uniti al Cristo e vediamo la Legge con occhi diversi.

6 Ora invece siamo stati sgravati dalla legge essendo morti in ciò a cui eravamo tenuti, così che noi serviamo in novità di spirito e non in vecchiezza di lettera.

Morti in Cristo, “sgravati”, sciolti dal vincolo pesante con la legge, serviamo Dio secondo quella novità che è lo Spirito Santo e non più in quella vetustà che è la lettera della legge.

Da un rapporto e da un matrimonio impersonale, quale è dato dalla lettera della Legge, siamo passati ad un matrimonio personale, quale è dato dalla nostra unione col Cristo Figlio di Dio.

7 Che cosa dunque diremo? La legge è peccato? Non sia! Ma  non conobbi il peccato se non per mezzo della legge. Infatti  non avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non diceva: Non bramerai! 8 Ora il peccato avendo preso occasione per mezzo del precetto ha operato in me ogni concupiscenza; infatti senza legge il peccato è morto

E’ riaffermata la bontà della legge, come colei che ci ha fatto conoscere il peccato. Se il peccato è male, è bene conoscerlo, ed è buono chi ce lo fa conoscere. Non Dio direttamente ci fa conoscere il male, ma ciò che è da lui donato. Dio che è bene non conosce il male, se non come l’altro da sé. Non può esservi pertanto conoscenza del male in un rapporto immediato con Dio, ma soltanto tramite una mediazione da Lui creata. La conoscenza immediata del male, altro non è che esperienza del male. Manifesta un nostro rapporto col Satana. Come può Dio entrare in un rapporto con noi, quando siamo ancora schiavi del Satana? Non in modo diretto, perché dovrebbe prima scacciare il Diavolo. Ma soltanto in modo indiretto tramite una legge che è messa nel nostro cuore come di traverso e di intralcio alla presenza del Maligno. La legge non è ancora Dio, ma mette in discussione l’opera del diavolo. Con la legge si rimane schiavi di Satana, ma è aperta la porta verso una realtà ed una vita diversa. Chi cammina secondo la Legge, non cammina già in Dio e per Dio, ma verso Dio e in vista di Dio. Dall’osservanza della legge all’accettazione del Cristo il passo è breve. La legge apre la via al Salvatore, ma bisogna pur pronunciarsi per Lui o contro di Lui.

8 Ora il peccato avendo preso occasione per mezzo del precetto ha operato in me ogni concupiscenza; infatti senza legge il peccato è morto

Non si deve intendere che è proprio il precetto della legge il responsabile del mio peccato. Come dire: la mia natura è di per sé buona, ma allorché mi è stata data la legge, questa ha suscitato in me ogni concupiscenza ed ogni desiderio di trasgressione. Al contrario si deve intendere: la mia natura malvagia non si è manifestata tale se non quando mi è stata data la legge. Dove non vi è legge non è  morto il peccato, ma la coscienza del peccato. Si può essere peccatori senza esserne consapevoli. Anzi si è veri peccatori solo quando non se ne ha alcuna consapevolezza.  La coscienza di peccato, non è certo opera di Satana, ma è un dono di Dio, grazie alla legge, per contrastare il Maligno. E’ interesse del Diavolo assopire le coscienze, è opera del Signore destarle dal sonno che è morte. Allorché sopraggiunge la Legge di Dio, il peccato si manifesta in tutta la sua gravità e forza. Non c’è più alcuna scappatoia o possibilità di giustificazione. La disobbedienza a Dio da nascosta diventa palese: ciò che sembrava morto riprende vita e prende posizione contro il Signore. E’ tolto l’inganno di chi vuol illudere se stesso di una giustizia che non gli appartiene.

9 Ora io vivevo una volta senza legge, ma essendo giunto il precetto il peccato riprese vita, 10 io invece morii e si trovò che per me il precetto  quello per la vita esso era per la morte

Qual è il tempo in cui Paolo viveva senza Legge? Possiamo diversamente intendere.  Altro è non avere una legge, altro è vivere senza legge. Si può interpretare nel senso di un’umile confessione della propria vita passata, allorché L’Apostolo viveva da nemico di Dio, come se la sua Legge non esistesse. Ciò non toglie che avesse una propria legge come ogni uomo: semplicemente non seguiva quella mosaica, data al suo popolo. Altri ritengono che Paolo percorra a ritroso la propria e la nostra vita e che voglia alludere ad un tempo in cui non c’è legge per l’uomo. Difficile delineare questo tempo in maniera precisa e con contorni netti. L’Apostolo parla del tempo dell’ infanzia, quando ancora non avevamo l’uso della ragione. Non si può parlare di legge, là dove non c’è ancora la parola. La legge altro non è che parola codificata nella lettera. Ma è propria di un’età in cui siamo già cresciuti. Una simile interpretazione molto cara tra gli altri ad Origene e da lui ampiamente illustrata pone alcuni interrogativi. Se esiste un periodo della nostra vita in cui siamo senza legge, qual è in questo tempo il nostro rapporto con Dio? Ne abbiamo già parlato in precedenza. Nei primi tempi di vita quando la nostra ragione non è ancora giunta ad una certa maturità vi è una sorta di rapporto immediato con Dio in cui l’imperativo della parola adulta è sostituito dall’imperativo di una parola informale che è avvertita dall’uomo come semplice potenza. Tale condizione è simile a quella dell’Adamo originale, allorché gli è detto: “Tu puoi… ma non devi”. Adamo non ha ancora maturato e creato un linguaggio, ma Dio si fa ugualmente sentire a Lui, come forza o potenza che lo induce a comportarsi in un determinato modo e a rifiutarne un altro, pena un malessere interiore che gli manifesta la disapprovazione da parte del Signore. Quando ubbidisce al contrario tutto fila liscio e nulla turba la gioia della vita. Bisogna per altro aggiungere che all’inizio dell’esistenza, benché già peccatori perché fatti da noi tali in Adamo, non vi è ancora indurimento di cuore. Il peccato appena nato non è ancora cresciuto e da noi accresciuto. L’esistenza del bambino non conosce gli scossoni morali che sono propri della vita dell’adulto. Conserviamo ancora per natura una certa bontà, benché siamo avviati a sperimentare e a conoscere le conseguenze estreme del male. Una vita legata ad un suo motore, allorché perde questo motore non perde immediatamente il suo moto, perde la sua fonte e la possibilità di andare avanti all’infinito allo stesso modo. Per un certo tempo si procede quasi per inerzia sull’onda di un vecchio rapporto con Dio. Ma a poco a poco comincia a manifestarsi il nostro distacco da Dio. Di questa perdita e di questo distacco noi non possiamo renderci conto se Dio non crea in noi le condizioni e le capacità di autocritica. Perduto il rapporto immediato con la Parola di Dio, il Signore ci dona una parola ad immagine di quella divina che è in grado di rivelarci le ambiguità e le contraddizioni dell’esistenza. Tale ragione allorché si rapporta al suo fondamento si manifesta come legge naturale. La legge naturale, proprio in quanto legata all’individuo, cresce con lui ed è da lui accresciuta, in modi ed in misura diversi. C’è chi è aperto all’ascolto della voce di Dio e si crea con ciò una buona coscienza ed una buona legge. C’è anche chi indurisce il proprio cuore e si crea una cattiva coscienza ed una legge a proprio uso e consumo che tutto giustifica e niente mette in discussione. Il possesso di una legge, di per sé non è garanzia di giustizia. Non rappresenta necessariamente una crescita in Dio, ma una crescita della nostra ragione, che si viene sempre più determinando come parola. Non c’è uomo che non abbia una  legge, per così dire naturale, cioè che si afferma e si accresce in virtù di un dono insito nel dono stesso della vita. Ma se tutti abbiamo una legge, non è detto che ogni legge si determini e si affermi nella coscienza conforme alla volontà di Dio. Ha nel suo cuore la Legge di Dio chi ascolta la sua voce e fa la sua volontà. C’è anche chi non ascolta e si crea in modo del tutto naturale una propria legge. E’ questa la linea di demarcazione tra una buona coscienza ed una cattiva coscienza, tra l’opera della fede in Cristo e l’opera del Diavolo.  Certamente la Legge appartiene ad un’età adulta, non all’infanzia dell’umanità... Ma ritorniamo al nostro bambino che ancora non conosce e ancora non ha sperimentato il male in tutta la sua gravità. Il rapporto per così dire immediato con Dio si viene sempre più allentando. Il Signore si ritira a poco a poco sempre di più, in conseguenza di un distacco da noi operato che si fa sempre più grande. Se il Signore fosse intenzionato a lasciarci per sempre non vi sarebbe speranza. Ma il Padre nella sua infinita misericordia da sempre ha pensato ad un antidoto contro il male, nell’eventualità che le cose non andassero bene, come da Lui auspicato. Prima ancora di mandare il Salvatore ci dona la legge naturale che apre e prepara la strada alla venuta del Cristo. Benché si sia staccato dal Signore, l’uomo è destinato ad una crescita come detto in Eden: Crescete e moltiplicatevi. Tale crescita avrebbe un significato puramente negativo se il Signore da noi messo da parte non si mettesse in mezzo di prepotenza, con un richiamo forte ed indiscutibile. E’ questa la legge di cui parla Paolo. Essa cresce con noi, perché più cresciamo come ragione più ci è dato e più ci è chiesto di comprendere in rapporto a Colui che abbiamo perduto. Crescendo in noi il peccato, cresce anche la consapevolezza del peccato, quale ci è data dalla legge. Se non ci fosse legge il peccato crescerebbe ugualmente, ma non ne avremmo coscienza. Per questo Paolo scrive che il peccato per mezzo del precetto ha suscitato in me ogni concupiscenza, non nel senso che il precetto suscita il peccato, ma nel senso che lo manifesta in tutta la sua gravità. Senza legge non c’è coscienza alcuna di peccato: è come se non esistesse. Senza legge infatti il peccato era morto: morto nella nostra consapevolezza, non in quanto alla sua opera.

ma essendo giunto il precetto il peccato riprese vita,

Allorché prende radice e si fa più chiaro nella nostra ragione il precetto divino, il peccato torna in vita, non nel senso che ritorna a vivere, quasi prima fosse morto, ma nel sempre che si fa a noi più vivo. io invece morii: cominciai cioè a gustare il sapore della morte, dal momento che questa vita altro non è che un continuo morire a quella divina. Quanto più si cresce in questa vita tanto più si muore a quella vera. Si cresce nel possesso della legge, si decresce nel suo adempimento, perché più diventiamo grandi più diventa grande il peccato. Se in Adamo si cresceva da santità a santità, ora cresciamo da delitto a delitto. La nostra condizione si viene a noi delineando in maniera sempre più chiara “e si trovò che per me il precetto quello per vita, esso per morte”.

E’ spenta sempre di più l’illusione che la semplice osservanza del precetto possa dare la vita. Prende radice e si afferma la convinzione che il precetto sia stato dato semplicemente per manifestare la morte e creare una coscienza di peccato. L’impulso primo dell’uomo è cercare la giustizia nel semplice adempimento della legge, ma proprio in questo tentativo fa cilecca ed è costretto ad andare oltre e a cercare più in là.

11 Il peccato, infatti, avendo preso occasione a motivo del precetto, mi ingannò e per mezzo di esso uccise.

Allorché la legge si mette di mezzo tra noi ed il peccato, questo fa un’azione di forza per rimuovere l’intralcio, travolge la legge e nell’impeto e nella violenza che ne segue mi uccide, induce cioè in me un’esperienza di morte. Per sottrarmi alla legge, il peccato, mi seduce cioè mi trascina con sé, mi strapazza in ogni modo. Non uccide la legge, ma uccide ogni speranza che io in lei riponevo. E’ nella legge e per la legge la coscienza della nostra morte. Ma non c’è inizio di vita se non nella coscienza della morte: per questo la legge è buona e mi fa bene: suscita l’ira del diavolo, ma mi spinge verso l’amore del Padre.

12 Cosicché davvero la legge è santa ed il comandamento santo e giusto e buono. 13 Il bene dunque per me divenne morte? Rimane forse in noi ancora qualche dubbio al riguardo? E’ la legge la causa della mia morte?

Non sia!  Ma il peccato, affinché apparisse peccato per mezzo del bene a me è operante morte. E’ nell’interesse del Diavolo operare di nascosto ed addormentare le coscienze, fino alla morte. Ma deve vedersela con l’intervento di Dio, che donando all’uomo la legge, costringe il Satana ad uscire allo scoperto. Il Diavolo deve prendere posizione contro la Legge, ma contrastando la legge, cioè spegnendo ogni mio tentativo di osservarla, mi rende sempre più peccatore non solo agli occhi di Dio, ma anche ai miei occhi. E’ proprio a causa della Legge che il peccato deve manifestarsi in tutta la sua potenza e gravità. Ora c’è qualcosa e qualcuno che lo sbugiarda. Per riaffermare se stesso deve spegnere ogni anelito ad una vita diversa, così come richiesto dalla legge. Ma facendo ciò esaspera il conflitto etico, ci allontana sempre più dalla vita, ma ci rende consapevoli del nostro stato e ci fa meglio conoscere chi è responsabile del nostro stato. L’uomo che dapprima vede il problema del bene e del male come tutto suo, ora comincia a vederlo in relazione a Satana ed in relazione a Dio. Comprende la sua condizione di schiavo ad uno che non vuole il suo bene, ma la sua morte, desidera un altro padrone che lo faccia vivere. E’ il precetto che costringe il peccato ad una lotta ad armi corte. Lo fa uscire dalla sua tana, lo costringe a far vedere il suo volto e a manifestare tutta la sua cattiveria in un duello estremo.

Vince il peccato peccando con tutte le sue forze, ma è proprio questa vittoria che apre la strada ad un Altro più forte di lui. La completa vittoria del peccato sulla legge, segna l’inizio della sua fine. Non c’è rinascita là dove non c’è coscienza di questa disfatta. Certo c’è anche chi non si impegna più di tanto nel conflitto etico e non arriva alla disfatta, ma neppure a lui arriverà il Cristo. C’è anche chi si chiude in un conflitto etico falso ed ingannevole, non convincendo se stesso di peccato, ma illudendo se stesso di giustizia. Ma questa è un’altra storia, non fa parte della salvezza.

Possiamo dire che la grazia di Cristo è stata riversata su ogni uomo che ascolta la voce del Padre, indipendentemente dalla Legge mosaica, indipendentemente dal tempo della sua vita terrena. Una buona coscienza è opera esclusiva del Cristo. Che poi non tutti gli uomini abbiano uguale intelligenza del Cristo: questo è un altro discorso. Non c’è intelligenza piena di Gesù se non nell’altra vita. Per tutti e per ognuno c’è solo esperienza della sua grazia. Ma allora se la grazia del Cristo è riversata su tutti gli uomini,  quale è il senso della rivelazione e dell’elezione di Israele?  Tutto questo non si può intendere se non nell’ottica di una manifestazione estrema dell’amore di Dio. L’amore del Padre, che è da sempre per le sue creature, non solo non cessa di operare, ma opera in un crescendo continuo del dono, finchè non ci manda il Figlio stesso e non lo consegna nelle nostre mani. Abramo credette in Cristo prima ancora della sua venuta e ciò gli fu imputato a giustizia. Ma come potè credere se non seguendo le vie di una buona coscienza? Nessuna rivelazione si è ancora storicamente determinata, se non quella che passa attraverso il  cuore. Tanto basta per essere salvi e per conoscere Cristo e la potenza della sua resurrezione. Tanto basta per mettere a tacere coloro che non credono in una salvezza per tutti gli uomini, perché non fanno parte della chiesa o perché non conoscono la parola di Dio. Ma se la storia dell’uomo in rapporto a Dio ha un suo tempo ed un suo corso, anche la storia di Dio in rapporto all’uomo ha un suo tempo ed un suo corso. Non scorre in maniera monotona e neppure “omotona”, ma scandisce l’ansia di un amore che  tutto opera per il bene dei suoi figli, finchè non ha dato fondo ad ogni risorsa.

La Bibbia ci conduce sui passi di questo amore, dall’inizio alla fine. Dal primo Adamo, all’ultimo Adamo. Ogni amore ha i suoi eccessi ed i suoi momenti critici. In grazia di Cristo a nessuno è tolta la possibilità della salvezza. Certo Dio non sta a guardare inoperoso la morte dei suoi figli. Interviene sempre ed in modo diverso. Dapprima e per sempre a livello del singolo, nell’interiorità della coscienza individuale, da poi e per un tempo a livello di un intero popolo e di una coscienza collettiva. Soltanto in quest’ottica possiamo intendere la rivelazione quale ci è data attraverso le Scritture. Certo essa si presenta come esclusiva per un tempo e per un popolo, ma solo per abbracciare in sé ogni tempo ed ogni popolo. Non chiederti perché a questi e non a quelli. Credi piuttosto che è stato fatto per questi e per quelli. L’amore che si manifesta in Israele non è diverso se non per il modo e per la misura. Invece di scrutare l’operare di Dio, cogli la pienezza di vita che ridonda da esso. Ripercorri con il Signore le tappe del suo amore: dalla Legge a Cristo. Con il dono della Legge Dio si pone al di fuori e al di sopra delle coscienze del singolo. La Legge mosaica è una per tutti, senza possibilità alcuna di discussione e di riflessione critica. Allorché Dio incide su pietre la sua Legge, nessuno può rifugiarsi negli oscuri meandri della propria ragione, per confondere le cose e cambiare le carte in tavola.

14 Sappiamo infatti che la legge è spirituale, io invece sono carnale venduto sotto il peccato.

E’ fuori discussione che la legge venga dallo spirito di Dio. Ora ciò che è spirituale viene messo a confronto con un uomo che tale non è. Carnale è l’uomo non perché fatto di carne, ma perché non possiede più lo Spirito Santo. Tutto questo perché l’uomo ha venduto se stesso al Maligno. Giustamente Paolo dice “venduto” e non dato, perché è Adamo stesso che ha pattuito col diavolo il prezzo di questa vendita. “Sarete come Dio, acquistando la conoscenza del bene e del male”. Ora chi appartiene ad un altro non può vendere se stesso ad un nuovo padrone, se non sottraendosi e rubando la propria vita al suo legittimo proprietario. Non è certo Dio che ci vende in potere del Maligno, ma siamo stati noi stessi. E tutto questo perpetrando una violenza ed un furto nei confronti di Dio. La nostra schiavitù al Satana è frutto di una scelta consapevole e responsabile, non voluta da Dio, ma da lui rispettata. Chi ama non risponde ad un atto di violenza con un altro atto di violenza. Dio non ci strappa al Maligno di forza, nonostante noi e contro la nostra volontà, semplicemente ci lascia aperta la porta del ritorno e ci indica la strada per un inversione di marcia. Noi dobbiamo innanzitutto vedercela con il Signore, perché a Lui abbiamo fatto torto. In quanto al prezzo del riscatto nulla possiamo dare al Maligno, perché tutto già gli abbiamo dato. Sarà Cristo a pagare il riscatto per noi. Mi chiederai. Perché l’uomo ha potuto vendere se stesso al Maligno e una volta che è schiavo del Diavolo non può vendere di nuovo se stesso al Signore? Perché è caduto in mani diverse: diversi sono i due padroni. L’uno che è amore e bontà ci ha creati liberi nei suoi confronti, perché liberamente rinunciassimo ad ogni libertà ed  essere così suoi schiavi nell’eternità. L’altro che è malvagità e peccato, una volta che siamo suoi, non ci lascia più andare via. Si fa padrone della nostra vita, di forza, privandoci di ogni libertà e rinchiudendoci nella prigione del peccato.  Dio ha riguardo della nostra libertà anche se va contro di Lui. Satana non ha alcun riguardo per noi, ci vuole semplicemente per se stesso, con o senza il nostro consenso.

15 Infatti  non so ciò che opero. 

Non vi è in me intelligenza del mio operare. Se l’operare è conseguenza del pensare, frutto ed espressione di ciò che è prima nella mente, allora tutto ciò che si fa dovrebbe essere conforme alla nostra ragione. In realtà dopo il peccato d’origine avviene una dissociazione tra le nostre diverse facoltà: non facciamo quello che vogliamo, ma facciamo quello che odiamo.

Infatti non  ciò che voglio questo faccio, ma ciò che odio questo faccio

La mia volontà razionale mi spinge ad operare in una certa direzione, ma poi faccio esattamente il contrario. Non faccio quello che voglio, in quanto lo riconosco come il mio bene, ma faccio quello che non voglio, nonostante lo odi, cioè lo riconosca come il mio male. E in questo do ragione alla legge, allorché mi vuol convincere di peccato, e devo riconoscere la sua bontà.

16 Se invece ciò che non voglio questo faccio, convengo con la legge che è buona. 

Arrivati a questo punto ormai non posso più negare a me stesso che sono schiavo del peccato e che la mia libertà è stata presa da un altro. Se in Eden allorché fondato nel Bene ero rimasto libero rispetto al male, ora che sono passato al Male, rinnegando il Bene ed abusando del mio stato di libertà provvisoria, non mi è più possibile tornare indietro. Non sono più libero di fare quello che voglio, al contrario faccio proprio quello che non voglio. Se il Signore ci ha a Lui uniti senza catene e senza prigione, Satana ci tiene legati a Lui in carcere, e con quali catenacci! Il Signore ci ha aperto gli occhi, facendo entrare nel nostro carcere la sua legge.

17 Ora invece non più io opero ciò, ma  il  peccato abitante in me.

E’ Satana il responsabile del mio stato , Colui che mi impedisce ogni possibilità di cambiamento e di allontanamento dalla sua schiavitù. Colui che è Bene ormai non abita più in me, perché io ho scelto di abitare con un altro, lontano da Lui. Ma il Signore dandomi la sua legge, mi ha di nuovo visitato, mi ha fatto capire come sono andate le cose, mi ha illuminato riguardo al mio stato presente. Posso ancora volere il bene, ma c’è qualcuno che mi trattiene e mi impedisce di operare in esso.

18 So infatti che non abita in me cioè nella mia carne il bene. Infatti il volere giace presso di me, ma l’operare il bene no. 19 Infatti non faccio ciò che voglio: il bene, ma ciò che non voglio: il male, questo faccio. 20 Se poi ciò che non voglio io questo faccio, non più io opero esso, ma il peccato abitante in me.

Satana si è a tal punto impossessato della mia vita che io devo fare tutto quello che vuole lui: non mi è possibile operare diversamente, per quanto lo voglia. Sono diventato come un burattino nelle sue mani,  mi muove a suo gradimento, mi piaccia o non mi piaccia

21 Volendo io fare il bene, trovo pertanto la legge che  a me il male giace presso.

Ogni volta che voglio fare il bene trovo pertanto in me, come una legge, che il male giace saldamente presso di me.

22 Infatti mi compiaccio  per la legge di Dio secondo l’uomo di dentro: 23 ma vedo altra legge nelle mie membra combattente contro la legge della mia mente e facente me prigioniero nella legge del peccato, che è nelle mie membra.

Ogni volta che intravedo in me, grazie alla legge di Dio, uno spiraglio di bene, ecco che mi devo confrontare con un’altra legge, un principio interiore, una forza che mi trascina come schiavo verso il peccato.

24 Infelice io uomo!  Non riesco a liberarmi da questa schiavitù se qualcuno non viene in mio aiuto.

Chi mi libererà dal corpo di questa morte? Ma grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro.

La morte è mia padrona in tutti i sensi, ha affondato le sue radici in tutto il mio essere. In me non c’è semplicemente il peccato, ma un vero e proprio corpo, che è morte, strutturato dal peccato, in funzione di se stesso. E’ importante comprendere che il peccato nella nostra vita è qualcosa in noi di strutturale. E’ lui che forma e plasma la struttura del nostro essere spirituale.. Il peccato ha in me un vero e proprio corpo. E come ogni corpo funziona secondo determinate leggi e criteri, con modalità proprie, indipendentemente da una nostra volontà. Nessuno può intervenire sul proprio corpo materiale se non in misura limitata. Si può cercare di abbellirlo e di ritardarne la morte, ma fino ad un certo punto. Non possiamo sottrarlo al suo destino ed alla sua intrinseca necessità. Così è del nostro corpo spirituale. Come venirne fuori e liberarci di esso, se non veniamo liberati da un altro, attraverso una morte e risurrezione? Nessuno vince la morte e rinasce a nuova vita se non Colui che è morto e risuscitato per noi. Siano rese grazie a Gesù Cristo Signore nostro.

Perciò dunque proprio io con la mente davvero servo alla legge di Dio, con la carne invece alla legge del peccato.

Con la mia volontà razionale e con il mio desiderio servo la legge di Dio; ma con il mio corpo carnale, sono schiavo della legge del peccato. Altra è la legge quale appare alla ragione, altra è la legge che si manifesta in noi. La volontà è dissociata dal nostro essere. Siamo quello che non vogliamo essere, se pur vogliamo il vero essere. Paolo sta ragionando in positivo. Ripercorre il cammino della salvezza. C’è anche chi non vuole il bene, ma desidera rimanere nel male. Niente di assolutamente necessario nel conflitto etico. C’è anche chi lo scansa o lo risolve in maniera falsa ed ingannevole, come i farisei.

 

 

 

 

 

 

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