Lettera ai Romani cap5
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- Categoria: Lettera ai Romani
- Pubblicato Sabato, 30 Luglio 2011 08:31
- Scritto da Cristoforo
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Cap. 5
1 Resi giusti dunque dalla fede abbiamo pace presso Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo 2per mezzo del quale abbiamo anche avuto per la fede l’accesso a questa grazia in cui ci troviamo e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio.
3 Non soltanto poi, ma ci gloriamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, 4 la pazienza fedeltà provata, la fedeltà provata speranza. 5 La speranza poi non delude poiché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, quello dato a noi.
6 Infatti essendo noi ancora infermi Cristo ancora in tempo opportuno per empi morì. 7 Difficilmente infatti qualcuno muore per un giusto; forse qualcuno osa anche morire per il buono. 8 Ma Dio mostra il suo amore per noi, perché essenti ancora peccatori Cristo morì per noi. 9 Pertanto molto più ora resi giusti nel suo sangue saremo salvati per mezzo di lui dall’ira.
10 Se infatti essendo nemici siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più riconciliati saremo salvati nella sua vita. 11 Non solo però, ma anche gloriandoci in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo per mezzo del quale ora ricevemmo la riconciliazione.
12 Per questo come a causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte, e così la morte raggiunse tutti gli uomini, perché tutti peccarono; 13 fino a legge peccato era nel mondo, ma peccato non è computato non essendoci legge, 14 ma regnò la morte da Adamo fino a Mosè anche sui non aventi peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, che è figura del veniente.
15 Ma non come la colpa, così anche il dono. Se infatti per la colpa di uno solo i molti morirono, molto più la grazia di Dio ed il dono per la grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, per i molti abbondò.
16 E non come per uno solo avente peccato il dono.
Il giudizio infatti fu da uno solo per condanna, il dono invece da molte colpe per giustificazione. 17 Se infatti per la caduta di uno solo la morte regnò a causa di uno solo, molto più i riceventi l’abbondanza della grazia e del dono della giustificazione, in vita regneranno a causa del solo Gesù Cristo. 18 Pertanto dunque come a causa di una sola colpa per tutti gli uomini essa fu a condanna, così anche a causa di un solo atto di giustizia per tutti gli uomini esso fu per giustificazione di vita. 19 Come infatti per la disobbedienza di un solo uomo peccatori sono stati costituiti i molti, così anche per l’obbedienza di uno solo giusti saranno costituiti i molti. 20 Legge poi sopraggiunse 21 affinché abbondasse il peccato. Ma dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia, affinché come regnò il peccato nella morte, così anche la grazia regni per mezzo della giustizia per vita eterna attraverso Gesù Cristo nostro Signore.
1 Resi giusti dunque da fede abbiamo pace presso Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo 2 per mezzo del quale abbiamo anche avuto per la fede l’accesso a questa grazia in cui ci troviamo e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio.
Finalmente la terra è stata riconciliata con il cielo. E’ caduta l’antica inimicizia e l’ostilità che ci teneva divisi da Dio. La pace è venuta nei nostri cuori per opera del Figlio, che ci ha giustificati, cioè fatti giusti in virtù della fede. L’autore di ogni salvezza è anche l’autore di ogni pace: non c’è vera pace se non nel Figlio e per il Figlio. Se fosse solo questione delle nostre forze nessuna pace duratura è garantita, perché la nostra vittoria sul Satana è del tutto occasionale ed apparente.
Gesù ha distrutto il potere del Diavolo e nulla più ci divide da una comunione piena e stabile con il Padre, se non un cuore che confida in se stesso e nelle proprie opere e non nella potenza del Figlio.
L’opera di Gesù deve prendere il posto dell’opera dell’uomo perché possiamo non solo entrare, ma anche dimorare in uno stato di grazia.
Non è più semplicemente una questione di opere, ma di grazia e di perseveranza nella fede.
Bisogna rimanere nel Figlio secondo la sua parola: “Rimanete in me ed io in voi”. Non è saldo nella giustizia se non chi è saldo nella fede in Cristo. La fede in Cristo ci riconcilia con il Padre: riconciliati con il Padre entriamo nella Sua grazia.
La grazia di Dio suscita in noi il desiderio di rimanere in essa: il rimanere in essa ci fa pregustare la gloria divina: il pregustare la gloria divina alimenta e rafforza la speranza nella vita eterna. Dapprima dobbiamo trovare una vita fondata, poi rimanere e perseverare in essa…, per pregustare la vita eterna.
3 Non soltanto poi, ma anche ci gloriamo nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, 4 la pazienza fedeltà provata, la fedeltà provata speranza. 5 La speranza poi non delude poiché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, quello dato a noi.
Potrebbe esserci anche una fede che non ha i piedi per terra. Tutta presa dall’aspettativa della vita eterna ignora la croce e la sofferenza. Si gloria in Cristo, ma solo quando le cose vanno bene. Allorché giunge la prova viene meno e dimostra tutta la sua fragilità ed inconsistenza. Non così la vera fede: essa si gloria non soltanto di una felicità immediata, ma di tutto ciò che rafforza una felicità mediata. Una fede provata e tribolata crea in noi uno spirito di pazienza; la pazienza ci merita l’approvazione di Dio, perché a Lui fatti simili, l’approvazione di Dio rafforza la speranza: la speranza è caparra della vita eterna. Perché l’amore di Dio è già stato diffuso nei nostri cuori e noi possiamo gustare la sua dolcezza. Non resteremo delusi in ciò che già ci è stato dato, ma ancor più saremo saziati in ciò che ci sarà dato. Chi trova nella fede una felicità pronta ed immediata, troverà una delusione altrettanto facile e repentina. Bisogna perseverare nella prova per essere trovati degni davanti Dio, purificati nel crogiolo come l’oro. Vedi come Paolo confonde coloro che falsificano la sua parola. E’ negata la salvezza in virtù delle opere, ma è ribadita la necessità di un travaglio e di una perseveranza nella lotta. Colui che tutto ha fatto per te, nulla può senza di te, se rifuggi dal sacrificio. Certamente ora non si combatte da soli e la vittoria è sicura: ma se è garantita la vittoria, non è garantita l’immunità da qualsiasi ferita. Non c’è dolore e menomazione così grandi che ci impediscano di correre verso il Signore allorché siamo in Gesù Cristo.
S’ingannano coloro che credono di salvarsi soltanto per le loro opere, ma si ingannano pure coloro che creano a se stessi l’illusione della fede, menando vanto di una grazia che è semplicemente donata. Una fede autentica non si rallegra soltanto di ciò che è dato per grazia, ma anche di tutto quello che ne consegue.
Non c’è fede provata ed approvata senza tribolazione, pazienza, speranza ed infine senza quella carità o amore di Dio che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, quello dato a noi.
“Qualora abbia tutta la fede tanto da spostare montagne, ma non abbia l’amore ( di Dio ) nulla sono” ( 1 Cor. 13, 2 )
6 Infatti essendo noi ancora infermi Cristo ancora in tempo opportuno per empi morì. 7 Difficilmente infatti qualcuno muore per un giusto; infatti forse qualcuno osa anche morire per il buono. 8 Ma Dio mostra il suo amore per noi, perché essenti ancora peccatori Cristo morì per noi.
Per comprendere l’amore di Cristo bisogna sperimentarlo attraverso la fede, non c’è conoscenza di Dio che non sia esperienza di Dio. Ma non bisogna mai dimenticare il punto di partenza ed il punto di arrivo. Perché l’uomo facilmente si chiude nella vita che è in atto, dimenticando il passato ed il futuro, quel che è stato e quel che sarà. La fede in Dio può perdere la sua dimensione escatologica, e può perdere i presupposti del suo stesso credere. Una fede dimentica della vita eterna può facilmente relegarsi e ridursi in una dimensione orizzontale dell’esistere dove tutto si compie in questo mondo e dove tutto è fatto per questo mondo. Una fede dimentica della propria natura fondata si risolve in un’agire per Dio, dove tutto è fatto per Dio e nulla è fatto da Dio. In quanto al fondamento della nostra fede, nulla sembra essere più chiaro e più sicuro. Noi crediamo in Cristo che è morto e risuscitato per noi peccatori, per guadagnarci la vita eterna. Vero è che l’uomo come dimentica la dimensione eterna della fede, così dimentica facilmente il peso e la portata del proprio peccato. E’ intenzione di Paolo tenere ben desta in noi la reale consapevolezza della nostra colpa, non perché ci deprimiamo, ma perché non ci perdiamo in una fede falsa ed ingannevole. La morte redentrice di Gesù deve innanzitutto trovare la sua reale collocazione.
6 Infatti essendo noi ancora infermi Cristo ancora in tempo opportuno per empi morì.
La sua morte è stata assolutamente necessaria per la salvezza, dal momento che la nostra infermità non poteva in alcun modo guarire. Ci sono infermità da cui si guarisce per forza naturale, per buona volontà o per mezzi propri. Non così per il peccato: esso conduce inevitabilmente alla morte. Se questa vita necessariamente conduce alla morte, necessariamente ha bisogno di un Salvatore. Ma non basta comprendere l’importanza della salvezza. Nessuna opera o piano di salvezza può avere esito felice se non è chiaro il punto in cui si colloca colui che è perduto e Colui che salva. Innanzitutto vi è colui che è perduto. Non per questo o quel peccato, ma per una radicale e fondamentale malvagità che gli merita il titolo di empio. Un peccatore si può definire in vario modo, in relazione ai peccati che commette. La parole empio, più propriamente è quanto di più negativo si possa intendere al riguardo: è l’uomo non pio, cioè l’uomo che vive senza alcun timore di Dio e con ciò porta in sé ogni peccato e la totalità del peccato. Cristo è morto per noi non semplicemente perché siamo peccatori, ma ancor più e ancor prima perché siamo empi, cioè viviamo senza Dio e contro Dio.
7 Difficilmente infatti qualcuno muore per un giusto; infatti forse qualcuno osa anche morire per il buono.
Il Figlio di Dio è morto per l’uomo, non perché siamo in qualche modo degni del suo amore, ma proprio perché ne siamo completamente indegni. Nulla vi è di amabile nell’uomo e nessun debito ha Dio nei nostri confronti se non quello che ha voluto avere. Se noi dobbiamo tutto a Dio, Dio nulla deve a noi. Niente di più deprecabile e di più miserevole del giudizio dell’uomo nei confronti di Dio. E’ un ribaltamento ed un travisamento completo della realtà. Tu che giudichi l’operare di Dio nei tuoi confronti, impara a giudicare il tuo operare nei suoi confronti. Tu che dubiti dell’amore di Dio, comincia a dubitare del tuo amore. L’amore si misura dai fatti e per i fatti.
8 Ma Dio mostra il suo amore per noi, perché essenti ancora peccatori Cristo morì per noi.
9 Pertanto molto più ora resi giusti nel suo sangue saremo salvati per mezzo di lui dall’ira.
L’amore si giudica e si palesa per quello che fa. Deve dar prova di se stesso e non semplicemente proclamare la propria bontà. Quale amore più grande di Colui che è morto per noi, quando eravamo ancora peccatori? E quale speranza di salvezza più grande per noi, ora che siamo giustificati nel suo sangue? Il suo sangue ci ha purificati e liberati dal peccato. Se siamo stati accolti da Dio, quando eravamo ancora macchiati dal peccato, quanto più lo siamo ora che il Cristo ci ha lavati da ogni sozzura! Vi è un amore di Dio che viene dall’ira e vi è un amore che viene dalla grazia. Se Dio ci ha voluto far salvi quando eravamo peccatori, quanto più ci vuol salvi ora che siamo fatti giusti nel sangue del suo Figlio diletto!
Se vi è speranza per l’uomo perduto, quanto più per l’uomo che si è fatto ritrovare dal Cristo!
10 Se infatti essenti nemici siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più riconciliati saremo salvati nella sua vita. 11 Non solo però, ma anche gloriandoci in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo per mezzo del quale ora ricevemmo la riconciliazione.
Ad una speranza non senza timore è subentrata una speranza gioiosa che ci fa pregustare la gloria di Dio… e tutto questo in grazia del Signore nostro Gesù Cristo.
12 Per questo come a causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e a causa del peccato la morte, e così la morte raggiunse tutti gli uomini, perché tutti peccarono; 13 fino a legge peccato era nel mondo, ma peccato non è computato non essendoci legge, 14 ma regnò la morte da Adamo fino a Mosè anche sui non aventi peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, che è figura del veniente.
Abbiamo già spiegato come in Adamo fossimo tutti presenti in un’anima sola ( non un’unica grande anima, che tutti abbracciasse, ma come tanti individui, ognuno cosciente della propria identità, legati in un’anima sola, cioè in una sola volontà, in un solo modo di rapportarsi al Creatore ed alle creature): il peccato quindi è entrato per un solo uomo dal momento che non eravamo ancora individui divisi l’uno dall’altro con volontà proprie e diverse. L’esistenza individuale è creata dal peccato, che non solo divide l’uomo da Dio, ma anche l’uomo dall’ uomo. A causa del peccato è entrata nel mondo la morte e così la morte ha attraversato tutti gli uomini, per il fatto che in Eden tutti gli uomini hanno peccato, in uno spirito di assoluta complicità dalla quale nessuno si è autoescluso. Questa morte originale è quella che abbiamo conosciuto in Eden. E’ la morte che chiude e conclude la vita nell’essenza e apre e dà inizio alla vita dell’esistenza. Tutti gli uomini hanno sperimentato e gustato questa morte. Come la vita in Eden finisce con la morte, così la vita fuori da Eden comincia con la medesima morte. Se noi ritorniamo al libro della Genesi vediamo che l’esistenza di Adamo, si collega direttamente alla sua vita nell’essenza. Ne è il naturale epilogo e la logica conseguenza. Tutto questo però non va inteso in senso temporale: sarebbe un controsenso ed una palese contraddizione con la parola di Dio la quale aveva predetto ad Adamo che qualora avesse mangiato dell’albero della conoscenza del bene e del male sarebbe morto. In realtà Adamo morì in Eden e dal momento che tutti eravamo in lui, in lui tutti siamo morti. La morte di Adamo al mondo di Eden non ha significato la fine del mondo, ma l’inizio di un altro mondo. Mentre prima il mondo non conosceva il peccato dell’uomo, dopo la trasgressione di Adamo è segnato e macchiato dal suo peccato. Continua ad esserci, ma secondo categorie diverse: non più quelle dell’essenza, ma dell’esistenza ( esistere vuol dire porsi, venire fuori, da exsistere ). E’ soggetto a profondi e radicali cambiamenti: cataclismi, eruzioni, disgregazioni, processi involutivi di ogni tipo, che pur tuttavia, nella prospettiva del Cristo, il Padre fa evolvere verso la formazione di una terra in grado di accogliere l’umanità decaduta. Da un punto di vista temporale vi è interruzione e sospensione soltanto della vita dell’uomo: in quanto all’universo continua ad esistere seppur in modo diverso. Non più segnato ed improntato dall’obbedienza dell’uomo al suo Creatore, ma profondamente sconvolto dalla sua disobbedienza. Allorché l’uomo si ribella al suo Creatore, l’universo si ribella alle sue creature e diventa per esse ostile ed inospitale, sancendo con ciò il giudizio di morte espresso dal Padre. Per un certo tempo, non importa quanto, l’universo dopo il peccato di Eden non ha conosciuto la vita dell’uomo. Ciononostante ha portato in sé le conseguenze del peccato di Adamo. Anche se non c’era ancora una legge, vale a dire nessun uomo, nel mondo era il peccato. Certamente il peccato non poteva essere ascritto al mondo e nessun peccato poteva essere imputato finchè sulla terra non comparve un uomo, unico portatore e destinatario della legge. Fatto sta che la morte ha regnato da Adamo, inteso come primo uomo apparso sulla terra (quell’Adamo che continuò a vivere fuori dal giardino, che è altro dall’Adamo che morì in Eden) fino a Mosè, anche su coloro che non hanno peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo. Paolo non dice che gli uomini da Adamo a Mosè non hanno peccato, ma che non hanno peccato a somiglianza di Adamo. Altro è il peccato che noi tutti abbiamo fatto in Eden, altro il peccato che l’uomo commette fuori da Eden. Il primo è un peccato originario, il secondo è un peccato originato. Il peccato dell’esistenza non è una reiterazione del peccato dell’essenza, ma ne è la sua logica conseguenza.
Ogni peccato porta con sé una colpa, ma altro è la colpa che abbiamo tutti in Adamo, altra la colpa dopo Adamo. La prima colpa porta con sé uno stato di peccato, la seconda colpa è frutto di uno stato di peccato. In Adamo un solo peccato ed una sola colpa, dopo Adamo tanti peccati e tante colpe, come conseguenza di un solo peccato e di una sola colpa. Tutti hanno peccato, ma in modo e in tempi diversi, vi è il peccato in Eden e vi è il peccato, o meglio vi sono i peccati dopo Eden. La morte ci è stata meritata dal primo peccato, tutti quelli che vengono dopo attestano semplicemente il nostro essere nella morte. La morte quindi ha regnato su tutta l’umanità da Adamo fino a Mosè, cioè fino a tutto il tempo della Legge, tempo che si conclude con la venuta del Cristo.
Una lettura superficiale può portare alla conclusione che fino a Gesù, adempimento e compimento della Legge non c’è salvezza. Questo si deve intendere solo nel senso della manifestazione storica dell’operazione divina, che comincia in terra con il dono di una legge data al primo Adamo, continua fino al tempo e per tutto il tempo della Legge mosaica, si conchiude e si rende conoscibile con la venuta del Salvatore. L’intervento di Dio a livello di popolo e di umanità tutta, non esclude il suo intervento Dio a livello del singolo. Il primo ha avuto un tempo storicamente determinato nel suo essere in Israele e per Israele, il secondo segue il tempo di ogni individuo. Da Adamo fino alla Legge e per tutto il tempo della Legge non c’è vita nell’uomo e per l’uomo. Questo vale dal punto di vista di ciò che è storicamente verificabile da tutti e per tutti, ma allorché il discorso si cala nella storia di ogni uomo assume un significato diverso. Perché non vi è soltanto la fede in ciò che Dio ha fatto in Cristo, vi è anche la fede in ciò che Dio farà in Cristo. Se fosse così non comprenderemmo la figura di Abramo e la salvezza per la fede in un Salvatore che deve ancora venire… sulla terra… non nel cuore di ogni uomo. Perché la sua grazia precede la sua venuta, così come è dimostrato dai santi e dai giusti dell’Antico Testamento. Distingui dunque tra la venuta di Dio sulla terra in sembianza di uomo, e la sua venuta nel cuore di ogni uomo che confida in Lui. Nulla vieta ed impedisce di credere in colui che ancora non è venuto, dopo che il cuore ha riconosciuto il proprio peccato e la necessità della misericordia divina. E’ un Cristo sconosciuto, ma operante nella fede , che è speranza ed aspettativa di un intervento dal cielo. Certo altro è conoscere il proprio Salvatore dopo che si è manifestato e rivelato tra gli uomini , altro è conoscerne la potenza vivificatrice in virtù di una fede che passa dalla legge del singolo, alla sua coscienza di peccato, all’invocazione di un Salvatore. Si può fare esperienza di Cristo ed essere posti in Lui, senza che ci sia conoscenza. Dal punto di vista dell’obbiettività storica di ciò che è operato dall’intervento divino per tutti e davanti a tutti, non c’è salvezza fino a Cristo. Dal punto di vista della soggettività storica, di ciò che è operato nel cuore di ogni uomo, non c’è tempo senza salvezza. Cambiano i modi, la misura, i tempi della salvezza, non la sua sostanza. Sotto ogni salvezza sta il medesimo e unico Cristo. Se la morte ha regnato da Adamo fino a Mosè, ha regnato anche da Mosè fino ai nostri tempi. Dove non c’è fede in Cristo vana è l’opera del Figlio, prima o dopo la sua venuta sulla terra. Il discorso di Paolo è difficile e non si può comprendere se non nella volontà di smontare e di dichiarare vana una salvezza che non passi necessariamente attraverso il Cristo. Non si può dire che c’è salvezza prima di Cristo, perché questo renderebbe vana la sua venuta. Non siamo salvi se non per una venuta del Figlio, storicamente determinata in un certo tempo e non in ogni tempo. Ma ciò che non si può dire apertamente per non vanificare l’opera della salvezza si può far intendere in maniera diversa ed in un modo indiretto. La verità di una salvezza che è solo in virtù della fede nella morte e resurrezione del Cristo non esclude, anzi comporta un’altra verità: quella della fede nel Salvatore che verrà. Siamo salvi soltanto in virtù della nostra fede nella salvezza che viene dal cielo, per quel che ci è dato conoscere nel tempo della nostra vita. Ogni fede ha una sua giustificazione in relazione all’uomo ed al suo tempo. Altra è la fede prima della venuta di Cristo, altra quella che la segue. L’ultima può stare senza la prima, la prima non può stare senza l’ultima. Per questo la salvezza così come storicamente si è determinata ha una sua logica necessità. La fede in un Cristo che è già venuto, non ha bisogno di altra venuta, la fede in un Cristo che verrà non si giustifica se non per la sua venuta, allorché è venuta. La salvezza necessariamente passa attraverso una dimensione storica obiettivamente manifesta a tutti. Ciò che si è consumato in un tempo è operante in ogni tempo. La grazia di Cristo si irradia dal Calvario in ogni direzione ed in ogni tempo. Non investe solo il poi ma anche il prima, non il solo Israele, ma tutti i popoli. Se qualcuno ha migliore interpretazione, ben venga… ma non si dica che si salvano soltanto quelli che sono venuti dopo Cristo e quelli che fanno parte della sua chiesa terrena. Vi sono nella Scrittura elementi sufficienti per affermare che non è proprio così.
…Adamo, il quale è figura del veniente.
E’ importante comprendere il significato che viene attribuito ad Adamo. A volte rappresenta l’umanità tutta che ha peccato, altre volte il primo uomo che entra nell’esistenza. Ma vi è anche un terzo significato chiaramente esplicitato da Paolo, allorché dice che è figura di Cristo. L’immagine dell’unico e del solo Adamo è semplicemente in funzione dell’unico e solo Cristo.
Come tutti siamo morti in Adamo tutti viviamo per il dono e la grazia di Cristo. Ma a questo punto però è necessaria una spiegazione, perché non si affermi e non si creda in un parallelismo banale e fuorviante.
Vi è una diversità che è sia quantitativa sia qualitativa.
15 Ma non come la colpa, così anche il dono. Se infatti per la colpa di uno solo i molti morirono, molto più la grazia di Dio ed il dono per la grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, per i molti abbondò.
Il peccato che da Adamo si riversò sui molti è quantitativamente inferiore alla grazia che Cristo ha fatto abbondare sugli stessi. Ciò significa che il rimedio non è semplicemente proporzionato al male, ma lo eccede: non ci riporta semplicemente al punto di partenza, là dove si è interrotto il nostro rapporto con Dio, ma ci fa fare un balzo in avanti e ci porta oltre. Il peccato di Adamo si colloca prima che l’uomo potesse gustare dei frutti dell’albero della vita. La grazia che ci è data in Cristo porta con sé i frutti del legno della vita. Cogliendo la grazia di Cristo non solo cogliamo la salvezza e la riparazione dal peccato, ma la vita eterna.
Ma la differenza è anche altra: in relazione alla colpa ed al merito.
16 E non come per uno solo avente peccato il dono.
Il giudizio infatti da uno solo per condanna il dono invece da molte colpe per giustificazione.
Un solo peccato dunque , ma molte colpe. Nel peccato del solo Adamo vi è la colpa di tutta l’umanità. Il giudizio sull’uomo venne fatto quando eravamo tutti uno in Adamo. La responsabilità è innanzitutto del genere: una sola condanna portò con sé la dissoluzione del genere, la nascita e la morte dei molti. La grazia è data per riparare un solo delitto, non il delitto di uno solo. In Adamo tutti siamo stati complici del peccato. La responsabilità è innanzitutto del genere, le conseguenze sono per gli individui che ne vengono generati. La colpa non è del solo Adamo, ma dei molti, perché tutti eravamo in Adamo. In quanto al merito della salvezza, è del solo Cristo. Se uno solo avesse peccato, vi sarebbe grazia per quel solo, non per i molti. Il giudizio venne da uno solo per condanna. E non poteva essere diversamente, perché non eravamo ancora individui, ma genere, ovvero unità indissolubile di tanti io, nell’unico amore. Il dono invece da molte colpe, ovvero dalla colpa dei molti, perché un solo peccato generò i molti. Non da uno solo venne il peccato sui molti, ma il peccato dei molti fu riversato sul solo Adamo, provocando la sua morte. Non l’uno fu responsabile della morte dei molti, ma i molti furono responsabili della morte dell’uno. Dalla dissoluzione dell’unico uomo vennero i molti. Solo allora il peccato di uno si palesò come la colpa dei molti. Come l’uno dà origine ai molti, così i molti sono originati secondo il peccato dell’uno. Il peccato originale ed il giudizio che ne è venuto, vanno considerati secondo le categorie dell’essenza ( quando eravamo uno ), il dono e la grazia di Cristo secondo le categorie dell’esistenza ( quando siamo diventati i molti ). Il giudizio fu fatto nella nostra dimensione essenziale, la grazia è data nell’esistenza. Cosa ci rende certi che tutti eravamo in Adamo e che tutti abbiamo peccato in Eden? La reiterazione del delitto dalla dimensione essenziale a quella esistenziale. Non continueremmo a peccare se il peccato svelasse la colpa di un altro, ma solo perché esso manifesta la nostra colpa. Siamo peccatori non perché ereditiamo il peccato da Adamo sic e simpliciter, ma ereditiamo il peccato da Adamo perché abbiamo peccato con lui ed in lui. La colpa che in Eden appare di uno solo, dopo Eden si manifesta di noi tutti. Intendi dunque: prima che il peccato di Adamo si riversi sui molti, è il peccato dei molti che si riversa sull’unico Adamo, provocando la sua morte. Ma come è assurdo pensare che Adamo avrebbe dovuto lamentarsi del peccato dei molti, perché mai i molti si lamentano e recriminano il peccato di Adamo: come se fosse una realtà a loro estranea, un’eredità imposta e non semplicemente meritata e dovuta? Quale inganno diabolico ci impedisce di riconoscere il peccato e la nostra colpa? Ma è la Bibbia stessa… mi dirai. Ognuno intende come vuol intendere e vede oltre il velo quel che vuol vedere. Beati i puri che confessano la loro colpa, guai agli immondi che perseverano nel gioco mortale di Adamo ed Eva, cercando attenuanti al proprio peccato e riversando su altri la propria colpa. Non siamo generati all’esistenza dal peccato di un altro, ma è proprio il nostro peccato che ci fa passare dalla dimensione dell’essenza a quella dell’esistenza, da Adamo, al dopo Adamo. Tutti siamo responsabili di un solo delitto, ma ad uno solo spetta il merito della salvezza dei molti. Se ereditiamo la salvezza per i meriti del solo Cristo, non si può dire che ereditiamo la morte per i demeriti del solo Adamo. La salvezza ci vede oggetti passivi del bene, la morte soggetti attivi del peccato. Il parallelismo tra Adamo e Cristo va inteso cum grano salis. Perché riconosciamo il peccato di noi tutti e la salvezza che viene dal solo Gesù . Perché confessiamo la nostra colpa e gioiamo nel Salvatore. Ma c’è chi continua a recriminare il peccato di Adamo, chi si sente vittima di una colpa che non gli appartiene e non vede e non comprende la grandezza del dono. Infelice quell’uomo: non conoscerà liberazione dal male, ma continuerà a vivere nella conoscenza del bene e del male, in un conflitto etico chiuso in se stesso, incapace di superare il male, perché incapace di accogliere colui che unico è bene. Certo il discorso di Paolo è velato: dice e non dice, spiega e non spiega. E non a caso. Ognuno comprende quel che gli è dato di capire e quel che vuole capire.
Adamo è semplicemente figura dell’umanità che ha peccato, non si può intendere come singolo se non per metterlo in relazione all’unico Salvatore. Come tutti moriamo in Adamo per colpa del solo Adamo, così tutti viviamo in Cristo in grazia del solo Cristo. Paolo crea quindi un parallelismo tra Adamo e Cristo. Due persone che procedono in parallelo sono poste sullo stesso piano ed alla stessa distanza. Le loro opere non si incontrano mai se non per coloro che sono presi in mezzo. E’ sottolineata la nostra vicinanza all’uno ed all’altro, in relazione a ciò che è in noi operato. Si può ricorrere ad un’immagine di questo tipo per evidenziare somiglianze ed analogie o al contrario per accentuare una diversità. Nell’immagine di Paolo la diversità prevale, rispetto ad ogni somiglianza. Se di somiglianza si può parlare è soltanto in un senso puramente formale, per fare risaltare ancor di più una sostanziale diversità. Come è diversa la morte dalla vita, così diversa è la caduta di Adamo dalla salvezza del Cristo. E la diversità è tutta nel superamento di quell’apparente parallelismo fra la colpa del solo Adamo e la grazia del solo Cristo. Perché in Adamo c’è la colpa dei molti che fanno morire l’uno, in Cristo c’è l’uno che dà vita ai molti. Non c’è quindi alcuna somiglianza tra Adamo e Cristo, se non nell’immagine iniziale dell’unico Adamo. Ma si tratta di un presupposto dato e non scontato che Paolo viene via via demolendo fino alla dimostrazione che non vi è alcuna analogia fra Adamo e Cristo. Non si può dire che come per la colpa del solo Adamo tutti moriamo, così in virtù del solo Cristo tutti viviamo; come se l’uomo nessuna parte e responsabilità avesse nella propria storia: il peccato lo eredita da Adamo, la salvezza da Cristo. Alla fine saremmo semplici spettatori della nostra storia, senza merito o colpa alcuna. Ben diversa è la conclusione che ne trae Paolo. In Adamo tutti abbiamo peccato. Non si può dire che lui ha peccato per tutti noi, perché in Adamo è presente l’umanità tutta e il peccato dell’uno altro non è che il peccato dei molti. In quanto al Cristo a ragione possiamo dire che Lui solo ha operato per la salvezza dei molti. Nessun merito da parte nostro per quanto concerne la salvezza, ma tutto il demerito ed ogni colpa per quanto concerne la caduta. Paolo fa proprio il linguaggio dell’immagine , ma solo per far risaltare la realtà e smascherare ogni falsa apparenza. Alla fine ogni parvenza di somiglianza cede il posto alla fondamentale diversità fra il peccato dei molti e la grazia del solo Cristo.
L’interpretazione più comunemente diffusa intende l’eredità del peccato di Adamo, secondo le categorie dell’eredità fisiologica e psicologica. Se ha peccato il nostro progenitore, il peccato si è da lui trasmesso ai suoi discendenti, come un carattere genetico. In quest’ottica sembra irrilevante il fatto che noi paghiamo per una colpa che non abbiamo commesso. La grazia di Dio di tanto supera il peso del peccato d’origine che è giustificato un peccato che è semplicemente ereditato, senza alcuna colpa o complicità da parte nostra. A noi non piace una simile interpretazione e ci sembra che ci siano giustificati elementi per interpretare le parole di Paolo in senso diverso. Ma non vogliamo con ciò prevaricare rispetto al comune modo di intendere. Se a qualcuno piace spiegare nella linea della tradizione, quello che sta bene a lui sta bene anche a noi. In definitiva non è questo che importa. Che il peccato sia arrivato a noi per una nostra complicità in Adamo, o semplicemente perché da lui ereditato, nulla cambia. Ciò che importa è riconoscerlo nell’umile confessione. E non si confessa innanzitutto il peccato di Adamo, ma il nostro peccato in Adamo. Questa e solo questa è l’umile confessione accetta a Dio. Non si gioca a scaricabarile perpetrando l’inganno di Adamo ed Eva, ma dobbiamo riconoscere la nostra malvagità senza concederci attenuante alcuna. Muta diventi la lingua ingannatrice che esalta la bontà della natura umana. Sia innalzata fino al cielo la bocca che confessa la malvagità dei figli di Adamo e proclama la bontà e la giustizia del Signore.
17 Se infatti per la caduta di uno solo la morte regnò a causa di uno solo, molto più i riceventi l’abbondanza della grazia e del dono della giustificazione, in vita regneranno a causa del solo Gesù Cristo.
Per la colpa di Adamo la morte ha instaurato il suo regno in noi tutti, ma molto di più coloro che accolgono la grazia ed il dono di Cristo vivranno in Lui solo. Intendi le parole dell’apostolo Paolo. Non c’è confronto tra il regno del Satana e quello di Dio. Il primo ha un inizio ed una fine, quello del Signore ha un inizio senza fine. L’uno nasce dalla perdita del dono, l’altro dall’abbondanza del dono. Quella vita che abbiamo perso per colpa nostra ci è ridata in Cristo, non semplicemente nella stessa misura, ma in un abbondanza che esclude qualsiasi possibilità di ritorno all’uomo vecchio. Perché ecco tutte le cose sono fatte nuove. Gesù non ha semplicemente restaurato il suo regno, ne ha creato un altro ancora più bello e più grande.
18 Pertanto dunque come a causa di una sola colpa per tutti gli uomini essa fu a condanna, così anche a causa di un solo atto di giustizia per tutti gli uomini esso fu per giustificazione di vita. 19 Come infatti per la disobbedienza di un solo uomo peccatori sono stati costituiti i molti, così anche per l’obbedienza di uno solo giusti saranno costituiti i molti. 20 Legge poi sopraggiunse affinché abbondasse il peccato. Ma dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia, 21 affinché come regnò il peccato nella morte, così anche la grazia regni per mezzo della giustizia, per vita eterna, attraverso Gesù Cristo nostro Signore.
La caduta di uno solo ha instaurato il regno della morte per tutti quelli che ne sono nati. Se pur abbiamo il nome di vivi noi tutti che siamo generati in Adamo e da Adamo siamo morti.
Per colpa di uno solo la condanna si è riversata sui molti. E non poteva essere diversamente: perché il peccato portò con sé la morte di Adamo e la nascita dei molti. Come si poteva condannare colui che più non esisteva? La condanna è per coloro che sono generati dalla sua morte e con la sua morte, per tutti coloro che sono diventati figli suoi.
Adamo peccò in Eden, quando era uno solo, ma morì fuori di Eden, quando ormai era diventato uno dei molti. Altro è Adamo allorché pecca, altro è Adamo allorché viene condannato. Dapprima è figura del genere umano quando era in Eden ( i molti posti nell’uno ), poi diventa semplicemente il primo uomo che dalla dimensione essenziale passa in quella esistenziale, quando è cacciato fuori di Eden ( uno dei molti generati dal peccato, il primo in senso temporale ).
19 Come infatti per la disobbedienza di un solo uomo peccatori sono stati costituiti i molti, così anche per l’obbedienza di uno solo giusti saranno costituiti i molti.
Per la disobbedienza del solo e dell’unico Adamo i molti che erano in lui sono stati costituiti peccatori, ovvero strutturati con quella forma spirituale che essi stessi si sono dati… così anche per l’obbedienza di uno solo giusti saranno costituiti i molti.
Per l’obbedienza del solo Cristo i molti ( gli stessi molti che erano nell’uno ) saranno costituiti giusti.
20 Legge poi sopraggiunse affinché abbondasse il peccato. Ma dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia, 21 affinché come regnò il peccato nella morte, così anche la grazia regni per mezzo della giustizia per vita eterna attraverso Gesù Cristo nostro Signore.
Il significato primo ed ultimo della nostra storia va dunque ricercato in due momenti ed in due eventi fondamentali: da un lato la caduta dell’uno che si riversa sui molti, dall’altro la salvezza dell’Uno che ridona la vita ai molti. Ma allora che senso ha tutto ciò che si colloca nel tempo tra Adamo e Cristo? Se la storia conosce soltanto due eventi centrali, la caduta e la salvezza, come interpretare il tempo restante e soprattutto qual è il significato della rivelazione nel suo tempo intermedio? Come intendere la chiamata di Israele, il significato e l’importanza della Legge? Il discorso di Paolo non è di poco conto se consideriamo la centralità della Legge nella mentalità ebraica. Paolo non vuol rinnegare l’importanza ed il valore della legge, ma riconosce ad essa una centralità puramente temporale in rapporto ad Adamo ed in rapporto a Cristo. In rapporto ad Adamo la Legge mette unicamente in evidenza la gravità e la serietà del peccato originale, in rapporto a Cristo la Legge prepara la sua venuta, creando una coscienza di peccato senza la quale non può esserci desiderio e volontà di salvezza.
20 Legge poi sopraggiunse affinché abbondasse il peccato.
Intendi: non la Legge ha fatto sovrabbondare il peccato, ma l’abbondanza del peccato è stata manifestata dalla Legge. La Legge non crea il peccato, semplicemente lo fa apparire in tutta la sua gravità. E’ tolta ogni illusione di una naturale bontà dell’uomo offuscata dalle conseguenze ereditate dal peccato d’origine. Si eredita ciò che è stato di un altro, ma in quanto al peccato d’origine ereditiamo semplicemente quello che è nostro e quello che ci spetta di diritto. Il peccato dell’esistenza si colloca in una sorta di continuità omogenea rispetto al peccato dell’essenza. E’ la sua reiterazione nel tempo fino al colmo di ogni misura. In Genesi è descritto chiaramente questo aggravamento del peccato dell’uomo, che spinge Dio al pentimento ed al rammarico per averci creato. Per nostra fortuna c’è di mezzo il Cristo e la sua opera. Solo questo distoglie il Padre dalla sua ira e dal suo proposito di distruzione. Più avanti Paolo descriverà ampiamente il significato e l’importanza della Legge. L’accento è ora posto su una caduta che non si limita ad essere tale quale era all’origine, ma si viene aggravando sempre più nel tempo. Un peccato che ogni giorno si accresce dovrebbe portare con sé un senso di colpa sempre più grande. Ciò è vero soltanto quando l’uomo si confronta con il Creatore e con la sua Parola. Ma allorché l’uomo perde nella capacità e nella volontà di ascolto della Parola, si crea una dissociazione tra il suo peccato e la sua coscienza di peccato. Chi non ha più orecchi di ascolto non sente più la voce della coscienza: è troppo flebile e basta poco per soffocarla. Il Signore nella sua infinita misericordia è costretto ad intervenire in modo diverso. Poiché l’uomo non intende più la sua parola quale si avverte nel silenzio della coscienza individuale, manda una parola che arriva nel cuore dell’uomo, non dal suo interno, ma dal di fuori: una parola forte, chiara, indiscutibile, incisa su pietra; perché nessuno possa dire di non sentire e di non sapere. La Legge ci libera da una coscienza debole e fiacca: debole nella capacità di ascolto, fiacca nella volontà di accusare se stessa di peccato. Si impara presto a scusare se stessi; basta guardare i bambini. C’è bisogno di qualcuno e di qualcosa che ci riprenda in continuazione. Non ascolti la voce del Padre, ascolta almeno la sua parola, quale si manifesta nella Legge. Certo la voce è prima e molto più della Parola. Solo la voce è riflesso ed espressione immediata della persona. La Parola altro non è che una mediazione della voce: ha bisogno di un suono e di un segno.
Ma per coloro che non sentono più la voce di Dio, non c’è altra via di ritorno al Signore… fino a quando non arriva il Cristo, che ci ridona orecchi di ascolto. “Le mie pecore conoscono la mia voce”: non c’è bisogno di tante parole. Ma con ciò siamo già all’epilogo della storia: la Legge segna soltanto l’inizio.
Ma dove ha abbondato il peccato ha sovrabbondato la grazia, affinché come regnò il peccato nella morte, così anche la grazia regni per mezzo della giustizia per vita eterna attraverso Gesù Cristo nostro Signore.
Una coscienza estrema di peccato dovrebbe portarci alla disperazione; per grazia di Dio non è così. Quanto più grande è la consapevolezza di peccato, tanto più grande è il dono di Dio. Abbonda il peccato nella tua vita? Sappi che la grazia del Signore sovrabbonda. Come il peccato di Adamo ha regnato in noi in una vita che è morte, così regni in noi la grazia che ci conduce alla vita eterna, per Gesù Cristo nostro Signore. Mi potresti dire che non sempre il senso di colpa apre i cuori alla fede ed all’amore di Dio. Non c’è senso di colpa che abbia il carisma della verità, se non quello che nasce dal confronto con Dio e con la sua Parola. Vi è anche una coscienza di peccato, chiusa in se stessa, non aperta al Signore, ma in comunione col Satana, da lui creata ed agita. E’ questa coscienza che porta Giuda al suicidio: non una qualsiasi coscienza di peccato conduce alla salvezza, ma soltanto quella che nasce e si alimenta dal confronto con la Parola.