Lettera ai Romani cap3

                                  Cap. 3

 

Cos’è dunque la superiorità del Giudeo o qual è l’utilità della circoncisione? 2 Molto sotto ogni riguardo. Anzitutto infatti perché furono affidate ad essi le parole di Dio. 3 Cosa infatti? Se alcuni non credettero, la loro incredulità non renderà inoperante la fedeltà di Dio? 4 Non sia. Ma sia Dio veritiero, ogni uomo invece menzognero come è scritto: Così che tu sia ritenuto giusto nelle tue parole e sia vincitore quando sei giudicato.

5 Ma se la nostra ingiustizia evidenzia la giustizia di Dio, cosa diremo? Forse che è ingiusto Dio che riversa l’ira?

Parlo secondo l’uomo. 6 Non sia! Altrimenti come  giudicherà Dio il mondo? 7 Ma se la verità di Dio per la mia menzogna ha abbondato per la sua gloria, perché ancora anch’io come peccatore sono giudicato?

8 E non come veniamo oltraggiati e come dicono alcuni che noi diciamo: Facciamo cose cattive, affinché vengano cose buone. Di loro il giudizio è giusto .

9 Che dunque? Siamo superiori? No affatto! Abbiamo accusato prima infatti Giudei e greci di essere tutti sotto peccato, 10 come è scritto: Non c’è giusto, neppure uno, 11 non c’è chi comprende, non c’è chi cerca Dio. 12 Tutti hanno deviato, insieme si sono resi inutili: non c’è il facente cose buone, non c’è fino a uno. 13 Tomba aperta la loro gola, con le loro lingue ingannavano, veleno di aspidi sotto le loro labbra; 14 la loro bocca è piena di maledizione e di acredine, 15 rapidi i loro piedi a versare sangue, 16 rovina e miseria nelle loro vie, 17 e via di pace non conobbero.

18 Non c’è timore di Dio davanti ai loro occhi.

19  Ora sappiamo che quanto dice la legge, lo dice per coloro che sono nella legge, affinché ogni bocca sia chiusa e colpevole sia tutto il mondo davanti a Dio. 20 Perciò da opere di legge non sarà giustificata alcuna carne di fronte a lui, infatti per mezzo di  legge si ha la conoscenza di peccato.

21 Ma ora senza legge si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti: 22 giustizia di Dio per mezzo della fede di Gesù Cristo verso tutti i credenti. Non c’è infatti distinzione: 23 infatti tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24 giustificati gratuitamente per la sua grazia per mezzo della redenzione in Cristo Gesù; 25 che Dio pose innanzi come propiziatorio per mezzo della fede nel suo sangue a dimostrazione della sua giustizia mediante la tolleranza dei peccati avvenuti in precedenza 26 nella pazienza di Dio, a dimostrazione della sua giustizia nel tempo presente, per essere lui giusto e giustificante colui che è da fede in Gesù.

27 Dov’è dunque il  vanto? E’ stato escluso. Per mezzo di quale legge? Delle opere? No! Ma per mezzo della legge della fede. 28 Riteniamo infatti giustificato per la fede un uomo senza opere di legge.

29 O è Dio soltanto di Giudei? Non  anche di Gentili? Sì, anche di Gentili, 30 poiché uno solo è il Dio che giustificherà  la circoncisione dalla fede e la incirconcisione per mezzo della fede.

31 Dunque rendiamo inoperante la Legge per mezzo della fede? Non sia! Anzi,  confermiamo la Legge.

 

 

 

Cosa dunque la superiorità del Giudeo o quale l’utilità della circoncisione? 2 Molto sotto ogni riguardo. Anzitutto infatti perché furono affidate la parole di Dio

Scrive Lutero “Questo modo d’esprimersi o è caratteristico di chi asserisce con forza e quasi giura, oppure intende alludere ai modi in cui la circoncisione è stata utile, modo che elenca più sotto, nel capitolo 9, quando dice: “Essi possiedono l’adozione, la legislazione, la gloria, l’alleanza, il culto, le promesse, i padri”. ( Lutero )

Quali sono dunque i vantaggi e i privilegi di Israele? Innanzitutto perché a loro furono affidate le parole di Dio. L’interesse di Paolo è rivolto dapprima alla sola Parola. Abbiamo visto come tutti gli uomini abbiano un rapporto con il Creatore tramite la voce della coscienza. Per l’obbedienza a questa voce tutti siamo resi partecipi della grazia che ci ha guadagnato il Cristo. Nessuno è escluso dalla possibilità di entrare nella vita eterna. Se vi è qualche diversità di trattamento essa non va ricercata in relazione al fine della vita, ma soltanto in relazione al cammino che ogni uomo deve percorrere. Non è la stessa cosa conoscere la volontà di Dio per via naturale, seguendo cioè l’unico cammino che è rimasto aperto per l’uomo dopo il peccato d’origine e conoscerlo per via soprannaturale. La via naturale è quella segnata o meglio lasciata libera dal peccato d’origine: passa immediatamente attraverso l’ascolto della voce della coscienza. La via soprannaturale è una via non contrapposta ad essa, ma semplicemente  sovrapposta: la rinsalda, la rinforza, la giustifica e la rende più agevole e sicura. E’ un dono che anticipa e prepara la venuta del Figlio: perché tutti ascoltino la voce del Padre, come si fa sentire per bocca del Figlio. La prima via è data a tutti e  garantisce la giustizia di Dio: la seconda è data al solo Israele e garantisce  l’amore di Dio per coloro che lo cercano. L’una è data per natura e con la natura, la seconda è data soltanto per elezione. Ma quale è questa seconda via più chiara e luminosa se pur riservata a pochi? E’ quella che passa attraverso il dono della parola rivelata. Qual è la differenza con la prima? La prima è soltanto in un rapporto immediato, che esclude ogni possibilità di riflessione critica e chiede la semplice obbedienza. La seconda ammette la possibilità di un dialogo e di un confronto secondo le categorie dell’anima create ad immagine di Dio. L’obbedienza alla semplice voce di Dio è prerogativa di un cuore puro, non ancora offuscato dal peccato. Ma allorché il rapporto tra il Creatore e la creatura viene incrinato dalla disobbedienza d’Adamo le vie dell’ascolto si fanno più oscure e difficili per l’uomo. Certo Dio, continua a far sentire la sua voce, ma diminuisce la capacità e la volontà di ascolto da parte dell’uomo. Dove vi è una perfetta sintonia di volontà ed intenti, non c’è bisogno della parola, basta la sola voce a garantire dell’amore dell’altro. Ma quando il rapporto è rotto tutto si complica. Bisogna ricucire lo strappo e ciò non è possibile se non seguendo un’altra via: più lunga e complessa rispetto alla prima, a tratti addirittura divergente, perché il legame sia restaurato, in maniera più forte ed efficace. E’ questo il senso della rivelazione: la volontà di Dio di ricreare un rapporto d’amore più facile con l’uomo e più immediatamente comprensibile. E tutto questo seguendo le vie della Parola. Ma allorché Dio decide di parlare all’uomo non può farlo se non adottando quella forma della parola che l’uomo stesso ha creato. Scrivevano i Padri della chiesa che la forma stessa della parola rivelata è un grande mistero. E ciò si deve intendere in relazione al popolo di Israele. Questa e non altra lingua Dio ha scelto per rivelarsi, perché  Israele e non altro popolo ha scelto a cui rivelarsi. La complicazioni intervenute in un rapporto non si possono ricondurre alle forme semplici dell’amore se non seguendo le vie complesse della parola. E’ la parola che illumina, chiarisce, approfondisce il rapporto tra due… soprattutto quando le cose vanno male e si deve fare un cammino difficile, per tornare indietro e ricominciare da capo. Bisogna intendersi, dare spiegazioni e chiarificazioni. Chi è più in alto deve abbassarsi alla condizione dall’altro e fare da maestro, usando un linguaggio comprensibile a tutti. Certo Dio rimane al di sopra dell’uomo e non si può intendere la parola rivelata come una sorta di mediazione tra la mentalità del Signore e la nostra. Dio la fa da padrone, ma come un buon pedagogo si siede accanto a noi e ci istruisce in tutto quel che riguarda il nostro bene. Ma come può Dio istruire i suoi figli, se non c’è chi ascolta? In Abramo e con Abramo, la volontà di Parola di Dio si incontra con la volontà di ascolto dell’uomo. Riguardo al prima non si può dire che nessuno abbia ascoltato la voce di Dio, ma non c’è memoria storica, se non quella che è passata attraverso le maglie della tradizione orale, con le inevitabili dimenticanze ed alterazioni. Abramo credette in Dio, cioè ascoltò la sua voce, e ciò gli fu imputato a giustizia. E’ l’inizio di una nuova storia. Il Signore trova finalmente aperto uno spiraglio ed entra di prepotenza nel cuore dell’uomo per creare un rapporto nuovo, dove la voce della coscienza viene guidata ed illuminata dalla parola rivelata, in un modo all’inizio drammaticamente conflittuale. Tanto grande è il muro di silenzio che separa l’uomo da Dio che il suo abbattimento ha conseguenze traumatiche. Ad Abramo è chiesto di sacrificare il proprio figlio prediletto, quello che era stato a lui promesso e ciò lo pone in conflitto con la coscienza naturale. L’obbedienza di Abramo non si può comprendere se non come un superamento della voce della coscienza nella sua immediatezza naturale. La coscienza non è solo un dato, è anche un fatto, non semplicemente il rapporto con Dio, ma il risultato del nostro rapporto con Dio. C’è una buona coscienza e c’è una cattiva coscienza. Buona coscienza è quella che tale diviene nell’obbedienza al Signore, cattiva coscienza quella che è indurita da una disobbedienza reiterata e protratta nel tempo. E’ semplicistico e sbagliato identificare tout court la voce della coscienza con la voce di Dio. Non è sempre così. Nel cuore dell’empio non parla il Signore, ma il Maligno sotto le vesti di angelo di luce. Quale dunque il merito ed il vanto di Abramo? Quello di aver creato a se stesso una buona coscienza, in grado di ascoltare la volontà di Dio, anche quando si presenta come qualcosa di assolutamente irrazionale, contro qualsiasi sentire e pensare, così come è dato dal buon senso naturale, dalla tradizione e dalla cultura in cui viviamo. In Abramo non è semplicemente recuperata la voce della coscienza, ma quella che passa attraverso un’obbedienza assoluta ed incondizionata al Signore. E non deve stupire più di tanto che anche alla sua discendenza venga fatta la promessa di un Salvatore. Perché anche Isacco fu coinvolto nella fede di Abramo e ad essa e per essa fu sacrificato. Il Signore si è scelto in Abramo e nei suoi figli un popolo di sua particolare proprietà per dare una svolta nuova al rapporto con l’umanità. Quale dunque il vantaggio della parola rivelata rispetto alla parola che è voce della coscienza? Grande sotto ogni riguardo. La parola rinchiusa nella coscienza individuale non conosce altra luce se non la propria. L’individuo rimane chiuso nei propri conflitti interiori, non ha altra garanzia di verità all’infuori della propria verità. Si cerca Dio da soli e ci si trova soli con lui. Manca il sostegno dei fratelli e di una  famiglia. Nei momenti di dubbio e di oscurità non c’è alcuna luce che si ponga al di sopra delle nostre incertezze. Tutto è rimandato al solo Dio. Certo Dio nessuno esclude, ma smarrita la sua strada non c’è alcuna traccia per ritrovare la via del ritorno. Un rapporto immediato con Dio esclude la possibilità di capitalizzare i tesori e i doni che ci ha dato. Con la parola rivelata tutto cambia. La Parola diventa patrimonio di un intero popolo che la custodisce tramite la tradizione orale e la lettera scritta, perché tutti i suoi figli siano in essa nutriti ed accresciuti. Ogni dubbio ed ogni incertezza vengono dissipati alla luce dell’unica parola. La coscienza che si è smarrita ha un punto di riferimento chiaro e sicuro. Non c’è alcun dubbio ed alcuna incertezza, se non per chi  non si lascia istruire dalla Parola, così come è custodita dalla tradizione del popolo eletto. Per Israele vi è una grande luce ed ogni consolazione. Il fratello conforta il fratello e l’intera comunità sostiene i suoi figli. Ma tutto questo per creare una buona coscienza, perché si accresca in tutti ed in ognuno la capacità di ascolto della voce di Dio. Il dono della Legge va compreso, come dirà più avanti Paolo, in una prospettiva pedagogica, come strumento di educazione e di crescita dei cuori perché riconoscano ed accolgano nel Cristo la voce del Padre. Dunque non  invano fu data ad Israele la Legge: vero è che alcuni hanno reso vano il dono di Dio. Rinchiudendosi nei dettami della Legge e rifiutando colui che è adempimento della Legge hanno indurito il loro cuore, creando a se stessi una cattiva coscienza. Non basta essere dotati di uno strumento di salvezza: bisogna anche saperlo usare per lo scopo per cui è stato creato. Ma se alcuni si sono serviti male ed in modo sbagliato della Legge, questo nulla toglie alla bontà e all’importanza della medesima.

3 Cosa infatti? Se alcuni non credettero, la loro incredulità non renderà inoperante la fedeltà di Dio? 4 Non sia. Ma sia Dio veritiero, ogni uomo invece menzognero come è scritto: Così che tu sia ritenuto giusto nelle tue parole e sia vincitore nell’essere tu giudicato.

Se l’uomo è infedele, Dio rimane fedele, se l’uomo è menzognero Dio rimane veritiero. Scopo della Legge è quello di far risaltare una verità che è solo di Dio, ed una menzogna che è propria ed esclusiva dell’uomo. Certamente se Dio è veritiero non c’è bisogno che tale sia fatto: lo è in qualsiasi caso. Ma questo è detto per l’uomo che crede nella propria verità e non in quella di Dio. La Legge da un lato pone le fondamenta  di un uomo nuovo, dall’altro segna la fine dell’uomo vecchio. In quale modo? Gettando una luce sulla nostra vita, perché possiamo vivere un’altra vita. Non possiamo conoscere Dio, se prima non conosciamo noi stessi. La Legge innanzitutto ci convince di peccato e soltanto allorché convinti di peccato possiamo comprendere la giustizia divina.

“Con questa frase non si esprime tanto la veracità di Dio, quanto piuttosto la confessione della sua veracità. Il senso dunque è questo: è giusto che tutti confessino e che da parte di tutti si ammetta che Dio è verace. Dunque “sia”, cioè lo si ritenga e lo si stimi fedele nelle sue parole, anche se quelli non credono”. ( Lutero )

5 Ma se la nostra ingiustizia evidenzia la giustizia di Dio cosa diremo? Forse che è ingiusto Dio che riversa l’ira?

Parlo secondo l’uomo. 6 Non sia! Altrimenti come Dio giudicherà il mondo? 7 Ma se la verità di Dio per la mia menzogna ha abbondato per la sua gloria, perché ancora anch’io come peccatore sono giudicato?

Ancora una volta Paolo vuol prevenire una lettura superficiale e sbagliata di quanto è venuto affermando. Se è vero che la nostra ingiustizia esalta e fa risaltare la giustizia divina, allora perché mai Dio riversa su di noi la sua ira allorché pecchiamo? Non vi è in tutto questo una ingiustizia nei nostri confronti, dal momento che soltanto la nostra malvagità rende manifesta la Sua bontà? “Parlo secondo uomo” risponde Paolo, cioè secondo la logica di chi, nato dal peccato di Adamo,  invece di comprendere la ragione divina vuol imporre a Dio la propria. Certo se Dio per essere glorificato avesse bisogno del nostro peccato, qualunque giudizio da parte sua sarebbe ingiustificato. Ma il fatto è che è la gloria di Dio non ha assolutamente bisogno del nostro peccato. Le cose potevano andare diversamente: se Adamo non avesse rifiutato il Signore, la Gloria dell’Eterno avrebbe rifulso accanto alla gloria delle sue creature e non in contrapposizione alla loro miseria. E’ soltanto per una nostra e non Sua necessità che Dio fa rifulgere la sua giustizia nella nostra ingiustizia: per riportarci ad una gloria perduta, non per il timore di perdere la propria. La gloria di Dio passa necessariamente attraverso il peccato dell’uomo per volontà nostra. Il Signore non può far altro che prenderci in mano così come siamo, per salvare ciò che era perduto. Nessuna fatale necessità nella caduta umana; nessuna fatale necessità nella salvezza. Da parte di Dio è tolto ogni impedimento per la vita eterna, ma non da parte nostra. Rimane una volontà umana ostile alla salvezza e con ciò rimane il giudizio di Dio Salvatore. Nel giudizio eterno il Signore prende semplicemente atto di una scelta che l’uomo ha fatto per o contro di Lui. Nonostante il proprio amore, Dio deve dare non solo un giudizio di salvezza, ma anche un giudizio di condanna. Se il Signore vuole che tutti gli uomini siano salvi, ( e come potrebbe essere altrimenti? ) non tutti gli uomini vogliono essere salvati.

8 E non come veniamo oltraggiati e come dicono alcuni che noi diciamo: Facciamo cose cattive, affinché vengano cose buone. Il giudizio di loro è giusto.

Ci sono uomini che addirittura oltraggiano gli apostoli del vangelo addebitando loro ogni sorta di falsità. Noi non insegniamo affatto che bisogna necessariamente fare cose cattive perché ci vengano da Dio cose buone. Chi fa tali affermazioni è in malafede, calunnia la parola di Dio ed è giusto nei suoi confronti un giudizio di condanna.

9 Che dunque? Siamo superiori? No affatto! Abbiamo accusato prima infatti Giudei e Greci di essere tutti sotto peccato, 10 come è scritto: Non c’è giusto, neppure uno, 11 non c’è chi comprende, non c’è chi cerca Dio. 12 Tutti hanno deviato, insieme si sono resi inutili: non c’è il facente cose buone, non c’è fino a uno. 13 Tomba aperta la loro gola, con le loro lingue ingannavano, veleno di aspidi sotto le loro labbra; 14 la loro bocca è piena di maledizione e di acredine, 15 i loro piedi rapidi a versare sangue, 16 rovina e miseria nelle loro vie, 17 e via di pace non conobbero. 18 Non c’è timore di Dio davanti ai loro occhi.

Dopo aver affermato una superiorità dei Giudei in virtù del dono della legge e della circoncisione, Paolo corre ai ripari, per non essere frainteso. Che dunque? Siamo superiori? No affatto! Innegabile una superiorità dei Giudei rispetto agli altri popoli, ma soltanto in virtù del dono, non certamente per i loro meriti. Un dono più grande non attesta una migliore natura, semplicemente una vita rivestita in maniera diversa della naturale miseria. La grandezza ed il primato di Israele vanno intesi in relazione ad una superiore chiamata, che si giustifica soltanto in virtù di un dono più grande. Ma in quanto a ciò che appartiene ed è proprio dell’uomo…Abbiamo accusato prima Giudei e Greci di essere tutti sotto peccato, come è scritto.

Una precisazione è dovuta dall’Apostolo, per non sembrare smentire non solo quanto da lui detto, ma ancor più e ancor prima quanto è scritto: Non c’è giusto, neppure uno, non c’è chi comprende, non c’è chi cerca Dio.

Se ne facciamo una questione di giustizia dell’uomo, nessun dubbio e nessuna incertezza: Non c’è un solo giusto all’infuori dell’unico giusto. Potremmo anche spostare il problema ed affermare che seppure non vi è alcun giusto, vi è pure qualcuno che comprende il proprio stato in virtù di luce propria, a lui dovuta, perché da lui meritata. Niente di più falso. Non c’è nell’uomo intelligenza di se stesso e tanto meno di Dio. Paolo va ancor oltre: Se non vi è nessun giusto e nessuno che comprenda ci può essere almeno qualcuno che cerca Dio. Ancor peggio!

L’uomo non cerca Dio, al contrario cerca di mettere se stesso al posto di Dio. Si può invece affermare che se nessun uomo cerca Dio, non c’è uomo che non sia cercato da Dio. Ci può essere qualche eccezione, come Abramo: Ma l’eccezione conferma la regola: se qualcuno ha cercato Dio, ha compreso il proprio peccato, è stato giustificato da Lui, ciò è avvenuto soltanto in virtù di quella diversità che ha nome di fede. Prima di comprendere la fede di Abramo ognuno comprenda e riconosca il proprio peccato.

Tutti hanno deviato,

Non si può dire di una persona che ha deviato senza intendere che prima era incamminato in una giusta via. Ma dove e quando? Se tutto ciò è attribuito all’esistenza è fatta salvo il libero arbitrio dell’uomo rispetto al fare. Ancor di più, chi è libero di fare il bene o il male è dotato della capacità di autodeterminazione ed in questo senso se pur segue il male, manifesta una natura creata di per sé buona.

In quest’ottica Pelagio affermava una sostanziale bontà dell’uomo, da lui stesso rovinata tramite un cattivo uso del libero arbitrio. In altre parole, l’uomo pur essendo creato buono, diventa cattivo per sua libera scelta. Perché poi tutti abbiamo peccato in questa vita, al punto da diventare malvagi, questo è un mistero difficilmente spiegabile e che Pelagio chiaramente neppure intende affrontare. Potremmo semplicemente dire che è un dato di fatto e basta. Resta l’assurdità di un peccato che è scelto e voluto a livello individuale, che tutti coinvolge e nessuno esclude. In questo caso il rapporto tra il peccato dell’uno ed il peccato di tutti gli altri è puramente casuale, o meglio non esiste affatto. Tutti abbiamo peccato, perché ognuno di noi ha peccato, indipendentemente gli uni dagli altri, e ognuno con la propria volontà. In questo modo si aggiunge mistero a mistero, errore ad errore. Paolo smonta subito un’idea così balzana. Insieme si sono resi inutili.

Non abbiamo peccato tutti individualmente in tempi e modi diversi, ma tutti insieme ci siamo resi inutili. La nostra realtà di peccato è omogenea non soltanto rispetto alla natura che ne consegue, ma anche rispetto al modo ed al tempo in cui diventa attuale. E’ d’obbligo il tempo passato, non prossimo, ma remoto. Perché bisogna riandare alla nostra condizione in Eden per comprendere come il peccato di uno sia in realtà il peccato di tutti e come il peccato di tutti sia il peccato di uno. Paolo sembra voler prevenire l’errore di Pelagio, non solo affermando che eravamo tutti insieme allorché abbiamo peccato, ma mettendo subito in chiaro la conseguenza di questo peccato. In virtù ed in conseguenza di esso noi tutti diventiamo inutili.

Si dice non utile ciò che non serve allo scopo per cui è stato creato, peggio ancora lo intralcia. Colui che è inutile non viene in qualche modo riadattato, ma viene messo da parte per un uomo diverso, utile per la propria chiamata e per la propria vocazione. L’uomo vecchio non entra nel regno dei cieli, e neppure è in grado di comprendere la novità dell’annuncio. L’eresia di Pelagio non è storicamente superata e neppure è superabile dall’uomo in virtù delle proprie forze. Non è semplice prodotto di una certa mente, o di un cultura o di un tempo lontani. È qualcosa di strutturale dell’anima umana, ed in quanto tale è sempre in atto. Finchè ci sarà chiesa terrena, ci sarà in essa la feccia e l’odore nauseabondo di coloro che si credono giusti, anche se ammettono di fare peccati. Per chi non vuol comprendere il senso di questa inutilità Paolo replica: Non c’è il facente cose buone, non c’è fino a uno.

Ascolta  tu che confessi i tuoi peccati e sei pur convinto di fare qualcosa di buono, insieme a poco o tanto male. Non esiste uomo che faccia ciò che è bene… fino ad uno. Puoi intendere: neppure uno…, fino all’uno od unico che è Gesù Cristo…, fino all’uno che è rinato in Lui.

Se pensi poi che non può essere considerato completamente malvagio un uomo che pur facendo il male, sa anche parlare di bene… allora sappi chiaramente che tomba aperta è la loro gola. Dalla bocca dell’uomo escono solo parole di morte, per quanto piacevoli e lusinghiere. Se poi sei così ostinato e mi replichi che la bocca non sempre è in grado di esprimere chiaramente e pienamente quello che c’è nel cuore e che questo in definitiva può essere più bello delle parole che escono dalla sua bocca, allora ti dirò che tali parole non escono semplicemente dalla bocca, ma dalla gola. Se il cuore è più profondo della parola, c’è anche una parola che arriva dalla gola e porta tutto il fetore che c’è nel cuore.

con le loro lingue ingannavano, veleno di aspidi sotto le loro labbra;

C’è stato un tempo in cui l’uomo ha avuto fiducia nella propria lingua, ma si ingannavano l’una l’altro. Folle la presunzione di Eva di dare con le sue labbra vita eterna ad Adamo: gli ha inoculato nel cuore veleno mortale. 14la loro bocca è piena di maledizione e di acredine,

Le bocche che dovevano dar lode a Dio nella pienezza della Parola si sono riempite di ogni maledizione contro il loro Signore. Acredine e non gioia è stata trovata nei loro cuori. La dolcezza del frutto proibito si è riempita di ogni amarezza. 15i loro piedi rapidi a versare sangue, L’umanità che prontamente doveva crescere ed allargare il cerchio dell’esistenza secondo il precetto divino: crescete e moltiplicatevi, non mostra alcun zelo, se non nell’uccidere la vita, prima ancora che venga alla luce. 16rovina e miseria nelle loro vie, Tutte le vie dell’uomo vengono da un’unica rovinosa  caduta e portano alla miseria, alla più completa e desolante povertà.17e via di pace non conobbero. Né in terra né dal cielo, perché non hanno accolto l’autore di ogni pace. Per questo

18Non c’è timore di Dio davanti ai loro occhi. Quale immagine più desolante e quadro più squallido dell’uomo, se non per concludere che l’uomo non possiede il timore di Dio?

Non solo non c’è timore di Dio nel loro cuore, ma neppure nei loro occhi. Non l’hanno e non lo desiderano neppure.

Per quanto le parole dell’Apostolo siano assolutamente chiare, alcune considerazioni vanno fatte relativamente all’interpretazione della chiesa o degli uomini di chiesa. La consapevolezza di una fondamentale malvagità dell’uomo in rapporto a Dio, così forte e marcata nei primi cristiani, con il tempo assume toni e sfumature sempre più sbiadite e confuse al punto che il messaggio evangelico ne risulta completamente snaturato e deviato. Non c’è fede là dov’è non c’è consapevolezza di peccato. La via della salvezza passa necessariamente attraverso la confessione della propria colpa. Mentre nel primo millennio vi è nella chiesa un rapporto assiduo con le Scritture, nei secoli successivi l’ascolto della Parola si affievolisce e nel seno della cristianità riemergono sempre più una cultura ed una filosofia di matrice pagana, mai sopite completamente.

Perché il satana è sempre all’opera e tutto opera per confondere e perdere le anime. Ciò che appare indiscutibilmente vero negli scritti dei Padri della chiesa, ovvero la radicale malvagità dell’uomo nel suo essere contro Dio, cede il posto ad una natura buona in cui il peccato appare come un accidente o un incidente che ognuno può rimuovere da solo con le proprie forze.

Perde di spessore quindi la consapevolezza di peccato e con ciò anche la grazia divina e l’intervento di Cristo. Perché l’uomo deve essere semplicemente riparato e non rifatto ex novo dalla grazia. La fede si rinchiude in una dimensione etica in cui il libero arbitrio può ben operare da solo, nell’osservanza del bene e del male. Cristo da artefice della salvezza diventa sempre più coadiutore della nostra salvezza e nel peggiore dei casi semplice spettatore. Si abbandona  la luce delle Scritture e tutto ciò che la Parola rivelata apporta in più rispetto all’uomo naturale, di qualsiasi tempo e cultura. In questa rapporto ambiguo e non esclusivo con la parola, viene meno da parte degli uomini di chiesa la  proclamazione della potenza della Parola di Dio. E con ciò si fa più prepotente la proclamazione della parola dell’uomo che si maschera di verità e vuol convincere gli uomini di verità.

Rimane come rimarrà sempre la testimonianza dei pochi, perseguitati e condannati dai molti e da quelli che contano a questo mondo. Questa degenerazione dell’annuncio evangelico porterà a grandi mali e alla fine ad inevitabili divisioni tra gli stessi cristiani. Tutto ciò che divide il corpo di Cristo è sicuramente male e peccato: ma la colpe o le colpe in questo caso non sono a senso unico. Per poter dissipare le tenebre della vita bisogna attingere alla luce che viene dal Cristo e dalla Sua Parola, con una lettura assidua e costante, prioritaria rispetto a tutto il resto. E questo sicuramente era nelle intenzioni originarie dei Riformatori: il resto in definitiva ci interessa meno e spetta al giudizio di Dio. Se Lutero ha avuto la colpa di dividere la chiesa cattolica ha il merito di aver dato una scossa salutare a tutta la cristianità, per il suo richiamo all’autorità della Parola.

Nella polemica di Lutero la lettera ai Romani riveste un ruolo centrale, perché in essa soprattutto risalta la verità e la autenticità della vita cristiana. Ma con ciò anche qualsiasi possibilità di inganno e di interpretazione distorta in parole, pensieri, opere. La lettura che Lutero fa del testo paolino è complessa e circostanziata, non sempre chiara ed ineccepibile. Ma è stridente il contrasto con la povertà di altre letture. San Tommaso commenta le stesse parole in modo alquanto sbrigativo, formalmente corretto,ma assai povero di ispirazione. E questa la dice lunga riguardo alla chiesa di un certo tempo, che ha proprio nell’esegesi di Tommaso il suo primo punto di riferimento.

Ancor oggi la chiesa, riguardo al peccato d’origine ed alle sue conseguenze, si esprime, a nostro parere in maniera alquanto blanda.

( Dal Catechismo della chiesa cattolica). “Il peccato originale, sebbene proprio a ciascuno, in nessun discendente di Adamo ha un carattere di colpa personale. Consiste nella privazione della santità originale, ma la natura umana non è interamente corrotta: è ferita nelle sue proprie forze naturali, sottoposta all’ignoranza, alla sofferenza e al potere della morte, e inclinata al peccato ( questa inclinazione al male è chiamata “concupiscenza”). Il Battesimo, donando la vita della grazia di Cristo, cancella il peccato originale e volge di nuovo l’uomo verso Dio; le conseguenze di tale natura indebolita e incline al male rimangono nell’uomo e lo provocano al combattimento spirituale.

Il modo approssimativo, con cui viene affrontato il problema del peccato originale fa tutt’uno con il giudizio di condanna, sommario e sbrigativo che viene fatto nei confronti dei riformatori.

“Al contrario, i primi riformatori protestanti ( e perché non altri?) insegnavano che l’uomo era radicalmente pervertito e la sua libertà annullata dal peccato delle origini; identificavano il peccato ereditato da ogni uomo con l’inclinazione al male (“concupiscentia”), che sarebbe invincibile”.  ( Dal Catechismo della chiesa cattolica ).

La chiesa cattolica giustamente chiede a sè e pretende per sé una lettura ed una interpretazione  della Scrittura accreditata e voluta dallo stesso Signore, ma prima di condannare e di escludere dalla propria comunione, bisogna innanzitutto cercare di comprendere il punto di vista dell’altro ed agire e parlare nella consapevolezza che la verità tutt’intera appartiene alla chiesa tutt’intera e non a questo o a quel cristiano, né tanto meno a questo o a quel capo.

La verità è figlia  della santità e non dell’autorità. Anche Gesù parlava con autorità, ma con l’autorità che gli veniva dalla santità di Figlio di Dio, e non con quella che l’uomo dà all’uomo o che l’uomo si prende dall’uomo.

In quanto custode della Tradizione, la Chiesa deve continuamente riandare ad essa e confrontarsi con ciò che fin dall’inizio è stato detto, insegnato, scritto, pena di dover affrontare nel suo seno dilacerazioni e divisioni che possono anche venire da contestazioni non del tutto infondate.

Non illuminato e non corretto ci appare l’atteggiamento di Lutero nei confronti di chi nella Chiesa è stato costituito in autorità, di colui che deve salvaguardare l’unità delle varie membra, in carità ed  in verità.

Un rifiuto in toto della Tradizione ha portato i Riformatori ad un impianto dottrinale per molti aspetti sbagliato.

Giusto e santo il desiderio di un ritorno alla lettura della Parola di Dio così come veniva fatto nella primitiva chiesa,

per approfondire e meglio comprendere, non per rinnegare e rifiutare il santo deposito custodito dalla Tradizione.

Va in ogni caso riconosciuto ai fratelli protestanti il merito di aver dato una scossa salutare a tutta la cristianità, sottolineando da un lato la necessità di un recupero della Parola, dall’altro l’importanza di un’umile confessione della colpa, confessione fondata su una  consapevolezza di peccato, illuminata, agita e richiesta dalla fede in Cristo.

Molto incisivo e forte è il modo in cui Lutero parla del peccato d’origine e delle sue conseguenze. E non si può dire che Lutero in questo non attinga dall’insegnamento dei Padri.

Dalle tesi di Wittenberg:

“4. In verità l’uomo è un albero cattivo che può fare e volere solo il male.

5. E’ falso che l’uomo possa decidere liberamente il proprio comportamento di fronte ad un dilemma. Egli, anzi, non è affatto libero, ma servo.

6. E’ falso che la volontà possa adeguarsi per vie naturali al giusto comandamento.

9. La stessa natura è cattiva e perversa.

12. Non si deve dire che questo è contrario a quanto sostiene Sant’Agostino e cioè che su nulla la volontà può esercitare il proprio potere quanto su se stessa.

13. E’ assurdo concludere che il peccatore possa amare il creato, e perciò è impossibile che ami anche Dio.

17. Non si può affermare che l’uomo per sua natura può volere che Dio sia Dio, dato che è più ovvio che voglia egli stesso essere Dio e che Dio non sia Dio.

18. Amare Dio sopra ogni cosa è frase fatta, chimerica.

20. L’atto di amicizia non è un fatto di natura, ma di grazia.

30. Da parte dell’uomo vi è solo prima della grazia, l’indisponibilità, anzi di più: la ribellione alla grazia.

38. Non può esservi virtù morale senza superbia o cattiveria, cioè senza peccato.

39. Non è valida la frase: dal principio alla fine siamo padroni delle nostre azioni; perché siamo servi.

40. Non ha senso dire: diventiamo giusti operando azioni giuste, bensì: fatti giusti operiamo azioni giuste.

41. Quasi tutta l’etica di Aristotele è cattiva e nemica della grazia.

42. Sbaglia chi sostiene che l’opinione di Aristotele non contrasta con la dottrina cristiana.

43. E’ errore dire: senza Aristotele è impossibile diventare teologi.

44. Meglio è dire che non si diventa teologi se non lo si diventa senza Aristotele.

50. In breve, Aristotele è per la teologia quello che le tenebre sono per la luce.

97. Dobbiamo volere che tutto quanto ci riguarda sia comunque conforme alla volontà di Dio.

99. Non solo dobbiamo volere ciò che vuole Dio, ma anche dobbiamo volere per il futuro ciò che sempre Dio vuole.

“Abbiamo accusato prima infatti Giudei e Greci di essere tutti sotto peccato, come è scritto: Non c’è giusto, neppure uno…

“Tutto questo brano deve essere inteso come detto nello Spirito: esso non parla degli uomini come sono ai loro propri occhi e davanti agli uomini, ma come sono davanti a Dio, presso il quale tutti sono sotto il peccato: sia quelli che risultano palesemente cattivi anche agli uomini, sia quelli che sembrano buoni a se stessi ed agli uomini. La ragione è questa: coloro che sono manifestamente cattivi peccano secondo i due aspetti della realtà umana e sono privi d’ogni parvenza di giustizia anche ai loro propri occhi. Coloro invece che esteriormente appaiono buoni a se stessi ed agli uomini peccano secondo l’uomo interiore. Infatti anche se esteriormente fanno opere buone, le fanno per timore della pena o per amore di lucro, di gloria o di qualche altro bene creato: non le compiono con buona volontà ed ilarità. In questo modo l’uomo esteriore è certo tutto impegnato nelle buone opere, ma l’uomo interiore trabocca di concupiscenze e di desideri opposti. Infatti, se fosse lecito fare il male impunemente, o se sapesse che dal bene non consegue affatto gloria o tranquillità, egli preferirebbe trascurare il bene e farebbe il male come gli altri. Invero quale differenza c’è davanti a Dio tra colui che fa il male e colui che vuole fare il male, benché se ne astenga, costretto dalla paura o sedotto da un bene temporale? Uno però si qualifica come peggiore di tutti, quando pensa che sia sufficiente tale giustizia esteriore ed oppone resistenza a coloro che insegnano la giustizia interiore; è il caso di chi, accusato si difende, oppure ritiene che la cosa non lo riguardi, perché lo si accusa, non già perché non lo faccia, ma perché non agisce con cuore semplice e non corregge anche la sua volontà, con cui brama ciò che è contrario alle sue opere. Allora le sue opere buone sono già cattive da un duplice punto di vista: in primo luogo , perché non sono state fatte con buona volontà e perciò sono cattive; in secondo luogo, perché – con inaudita superbia – vengono fatte passare per buone e difese come tali. E’ ciò che si dice in Geremia, al capitolo 2: “Il mio popolo ha commesso due iniquità”. Perciò noi siamo sempre sotto il peccato, a meno che questa nostra volontà non sia guarita dalla grazia di Dio ( quella grazia che egli ha promesso ed elargisce ai credenti in Cristo ), affinché siamo liberi e ci disponiamo con ilarità a compiere le opere della legge, non cercando nient’altro che di piacere a Dio e di fare la sua volontà, e non agendo per timore della pena o per amore di noi stessi. Perciò dice:

Non c’è  giusto, neppure uno

Ma qui ognuno osservi se stesso, apra gli occhi e presti la massima attenzione. Raramente infatti si trova un giusto tale, quale l’Apostolo qui lo cerca. Ciò accade perché noi raramente ci esaminiamo così profondamente, da riconoscere questa debolezza, anzi questa rovinosa malattia della nostra volontà. Proprio perché non ce ne rendiamo conto – come appunto dice qui -, raramente ci umiliamo e raramente chiediamo, nel modo conveniente, la grazia di Dio. Infatti, questa malattia rovinosa è talmente sottile, da non poter essere perfettamente scovata neppure dagli uomini più spirituali. Perciò coloro che sono veramente giusti implorano con gemiti la grazia di Dio, non solo perché s’avvedono d’avere una volontà cattiva e d’essere perciò in peccato davanti a Dio, ma anche perché s’accorgono di non potere mai scorgere, in modo perfetto, quanto e fino a che punto di profondità sia malvagia la loro volontà. Perciò credono sempre d’essere peccatori, come se la profondità della loro cattiva volontà fosse infinita. Così umiliano se stessi, piangono e gemono, finchè siano perfettamente guariti, ciò che si verifica solo con la morte. In breve da ciò deriva che noi pecchiamo sempre. “Manchiamo in molte cose”. E “se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi”.

.. Così dice Giobbe: “Anche se fossi innocente, la mia anima non lo saprebbe!”. Ed ancora: “Io temevo tutte le mie opere”, per il fatto cioè, di non aver potuto sapere se le avesse compiute con doppiezza di cuore o se, animato da segretissimo desiderio, non avesse per caso cercato il suo tornaconto…

E’ tuttavia vero- lo concedo- che si possa fare e volere qualcosa di buono… non tutto però! Infatti, non siamo inclini al male al punto che non resti in noi nessuna parte propensa al bene, com’è appunto manifesto nella sinderesi ( interno conoscimento del bene e del male, rimorso di coscienza )…

L’uomo, infatti, non può cercare se non ciò che è suo e non può amare se non se stesso sopra tutte le cose. Questa è l’anima di tutti i suoi vizi. Perciò tali persone cercano se stesse anche nelle opere buone e nelle virtù, cercano cioè di piacere a se stesse e d’applaudirsi da sé. Dunque:

“Non c’è nessun giusto, nemmeno uno

Infatti, nessuno di sua iniziativa è ben disposto nei confronti della legge di Dio; invece, tutti (almeno nel cuore) si oppongono alla volontà di Dio; mentre giusto è soltanto “colui che si compiace nella legge del Signore”. Ugualmente:

Non c’è nessuno che sia intelligente

In effetti la sapienza di Dio è nascosta, è ignota al mondo. “Infatti la Parola di Dio si è fatta carne”, la sapienza si è incarnata, e proprio per questo resta nascosta e non può essere attinta, se non con l’intelligenza, appunto come Cristo non è conosciuto se non per mezzo della rivelazione. Perciò coloro che sono sapienti a proposito delle cose visibili ed in merito ad esse ( quali sono appunto tutti gli uomini al di fuori della fede e coloro che ignorano Dio e la vita futura ) non comprendono, non sanno (niente), cioè non sono intelligenti né sapienti, ma stolti e ciechi; ed anche se ai loro propri occhi sembrano sapienti, tuttavia sono diventati stolti. Essi, infatti, non sono sapienti della sapienza che è nascosta, ma di quella che si può scoprire con mezzi umani.

Non c’è nessuno che cerchi Dio

Ciò vale tanto per quelli che in modo palese non cercano Dio, quanto per quelli che lo cercano, o meglio, che si immaginano di cercarlo, poiché non lo cercano nel modo in cui egli vuol essere cercato e trovato, cioè mediante la fede, in umiltà, non certo mediante la propria sapienza, con presunzione. Come il detto: “Non c’è nessun giusto, nemmeno uno” deve essere inteso a proposito di queste categorie d’uomini, cioè di coloro che hanno piegato a sinistra e di quelli che hanno deviato a destra, così dev’essere intesa anche quest’altra espressione: Non c’è nessuno che sia intelligente”, e quest’altra ancora: “Non c’è nessuno che cerchi Dio”. Infatti, queste affermazioni ben s’addicono ai primi, perché, venendo meno ai loro doveri ed a causa della loro trascuratezza, non sono giusti, non comprendono, non cercano Dio; ma anche ai secondi, perché esagerano e si impegnano con zelo eccessivo. Essi, infatti, sono troppo giusti, troppo intelligenti, troppo cercatori ( di Dio ), fino al punto da risultare incorreggibili nel loro modo di pensare. In questo senso dice appunto un comico: “A furia di capire, non finiscono forse per non capire niente?” E dice ancora: “Spesso la massima giustizia è massima stoltezza”; sì, c’è ingiustizia, quando si rimane irremovibilmente fermi nella propria convinzione e non si concede assolutamente nulla alla parte avversa. Perciò s’è diffuso tra il popolo anche questo detto: Le persone più sagge sragionano in modo più grossolano. L’Apostolo dice: “Non c’è nessuno che sia intelligente”, prima di dire: “Non c’è nessuno che cerchi Dio”. La precedenza dipende dal fatto che il conoscere sta prima del volere e dell’operare. Il cercare” (Dio) esige dedizione ed impegno. Ma questo, appunto, viene dopo il comprendere. Perciò gli empi che stanno dalla parte sinistra non comprendono, poiché nella vanità della loro concupiscenza sono accecati dalle cose che si vedono. Invece gli empi che stanno dalla parte destra non comprendono, perché trovano un impedimento nel loro proprio modo d’intendere la loro sapienza e la loro giustizia. Così sono d’ostacolo a se stessi nel ricevere la luce divina. ..

Da questa duplice considerazione risulta dunque che l’uomo si dice propriamente giusto se è intelligente e cerca Dio in modo conforme a questa intelligenza. Altrimenti un’intelligenza che non ricerchi (Dio) è morta, com’è morta la fede senza le opere: essa non fa vivere, né giustifica. E viceversa: un uomo è ingiusto, se non comprende e non cerca (Dio). Perciò ha anche premesso: “Non c’è nessun giusto”, e poi, quasi spiegando che cosa significhi non essere giusto, dice: uno è tale, perché non comprende e non cerca Dio.

L’intelligenza di cui qui si parla è la fede stessa, cioè la conoscenza delle cose che non si vedono e si possono solo credere. Si tratta perciò di un’intelligenza che attinge realtà nascoste, poiché riguarda ciò che l’uomo non può conoscere da sé, com’è detto in Giovanni, al capitolo 6: “Nessuno viene al Padre, se non per mezzo di me”;  ancora: “Nessuno viene a me, se il Padre mio non lo attira”; e a Pietro viene detto: “beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’ hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”. Come potrebbero riconoscere questo gli empi che stanno alla sinistra ed i sensuali, che apprezzano soltanto le cose visibili? E come potrebbero ammetterlo gli empi della parte destra, che tengono in considerazione e apprezzano soltanto il loro proprio modo di vivere? Gli uni e gli altri si sbarrano la strada da sé e si precludono irrimediabilmente il cammino, opponendosi alla luce di questa intelligenza. Ma il desiderio appassionato, ovvero la ricerca di Dio, è l’amore stesso di Dio, l’amore che ci fa volere ed amare ciò che l’intelligenza ci ha fatto comprendere . Poiché, anche ammesso che si comprenda e si creda, non si può però, senza la grazia di Dio, amare e fare volentieri ciò che si è creduto e compreso. Dice bene però l’Apostolo: “Non c’è nessuno che cerchi (Dio)”. Infatti, la condizione di questa vita non si svolge nel possesso di Dio, ma nella ricerca di lui. Egli deve essere sempre cercato e ricercato, cioè deve essere sempre di nuovo cercato. Come si dice nel Salmo 103: “cercate sempre il suo volto”. Ed anche: “Là infatti sono salite le tribù” ecc. Così si passa di potenza in potenza, di splendore in splendore, si avanza nella medesima forma. Infatti non chi inizia a cercare, ma “chi persevera” e ricerca “fino alla fine, questi sarà salvo”; chi incomincia sempre da capo e sempre cerca e sempre rinnova la sua ricerca. Chi infatti non avanza sulla via di Dio perde terreno, e chi non cerca ciò che ha acquisito, poiché sul cammino che conduce a Dio non ci si deve fermare. “E – come dice S. Bernardo – quando incominciamo a non voler diventare migliori, smettiamo di essere buoni”.

Tutti hanno deviato, tutti sono diventati inetti

“Tutti”, cioè i figli degli uomini, quelli che non sono ancora figli di Dio per la fede, nati “dall’acqua e dallo Spirito Santo”. Di questi, alcuni deviano a sinistra: quelli che diventano schiavi delle ricchezze, degli onori, dei piaceri, dei poteri di questo mondo. Altri, invece, deviano a destra: sono coloro che si occupano intensamente della loro propria giustizia, virtù e sapienza, e che, trascurata la giustizia di Dio e l’obbedienza che bisogna prestargli, combattono con superbia spirituale l’umile forma assunta dalla verità. Perciò, dice la Scrittura, in Proverbi, al capitolo 4: “Non deviare né a destra né a sinistra”; cioè, non deviare dalla via che sta a destra, poiché prosegue: “Il Signore conosce le strade che stanno a destra, mentre sono perverse quelle che stanno a sinistra”. Infatti, stando a destra, deviare a destra significa trasmodare nel sapere, nell’agire giustamente ecc. Quell’”insieme” deve essere preso in senso collettivo, come se significasse: tutti sono diventati inetti, cioè vani e bramosi di cose inutili. A buon diritto, infatti, quelli che cercano cose inutili diventano essi stessi “inetti”, vani per l’occuparsi di cose vane. Come, dal punto di vista di ciò che si possiede, i ricchi sono detti tali dalle ricchezze; così gli inetti sono chiamati con questo nome dalle realtà che non giovano a nulla. Infatti noi diventiamo tali, quali sono le realtà che amiamo. “Se ami Dio, sei dio; se ami la terra, sei terra”, dice il beato Agostino. L’amore infatti  è una forza unitiva che genera una sola ed identica realtà risultante dall’amante e dall’amato”. Anche in un altro senso sono dichiarati “inetti”, poiché essi sono tali per Dio e per se stessi. Ma il primo modo d’intendere è migliore, perché vuole provare che essi sono diventati vani per il fatto di essersi volti alla loro propria verità e giustizia, girando le spalle alla verità ed alla giustizia di Dio. Tuttavia, queste tre proposizioni possono essere intese come una ripetizione per ottenere un crescendo nell’espressione. Così avremmo che la frase: “Non c’è nessun giusto, nemmeno uno” sarebbe identica a quest’altra: “Tutti hanno deviato”; la proposizione: “Non c’è nessuno che sia intelligente” equivarrebbe a: “Tutti sono diventati inetti”, e l’espressione”: “Non c’è nessuno che cerchi Dio” sarebbe uguale a: Non c’è nessuno che faccia il bene ( 3,12 ). Infatti “deviare” significa diventare ingiusti. E diventare vani equivale a perdere  la verità nella mente e meditare cose vane. Perciò, in molti luoghi, alla loro intelligenza vengono attribuiti vani pensieri. Inoltre, “non fare il bene” significa non cercare Dio. Poiché, anche se esteriormente fanno il bene, tuttavia non agiscono col cuore, e perciò non cercano Dio, ma piuttosto la gloria, il proprio guadagno o – se non altro – di schivare la pena. E perciò non fanno il bene, ma piuttosto ( se fosse lecito dirlo ) lo subiscono, cioè sono costretti dal timore o dall’amore a fare quel bene che di loro libera iniziativa non farebbero. Coloro, invece, che cercano Dio fanno il bene in modo disinteressato e gioioso, solo per Dio, non per avere un certo possesso su qualche creatura, spirituale o corporale che sia. Ciò, tuttavia, non è opera della natura, ma della grazia di Dio. Una tomba aperta è la loro gola

Con questi tre versetti si mostra come essi si comportano male anche nei confronti degli altri, dal momento che, in ciò che precede l’Apostolo aveva descritto come costoro siano cattivi ed empi in sé. Essi sono tali in sé, perché si sono allontanati da Dio; sono poi cattivi ed empi verso gli altri, perché hanno attratto a sé anche gli altri, allontanandoli da Dio, così come anch’essi si sono allontanati da Dio. Si tratta anzitutto di quelli che danno loro ascolto e li imitano. Essi agiscono nei loro confronti in un triplice modo. In primo luogo, divorano questi uomini (che sono) già morti. Perciò dice: “Una tomba aperta è la loro gola”. La tomba è il ricettacolo dei morti, di coloro che sono morti in modo tale che per essi non c’è più nessuna speranza di risurrezione, - speranza che, invece, c’è ancora per quelli che dormono soltanto. Perciò si dice nel salmo: “Coloro che dormono nei sepolcri, dei quali tu non conservi il ricordo e che la tua mano ha abbandonato”. Allo stesso modo la loro dottrina, la loro bocca e la loro gola ( cioè il discorso che esce dalla loro bocca e dalla loro gola ) non divora altri al di fuori di quelli che, nella loro infedeltà, sono morti alla fede, e li divora in modo tale che per loro non c’è più nessuna speranza di ritorno dalla morte consistente in questa infedeltà, a meno di tener conto che, per un intervento del tutto straordinario della potenza di Dio, essi possono essere richiamati, prima di scendere all’inferno. E’ ciò che il Signore ha prefigurato con la risurrezione di Lazzaro sepolto già da quattro giorni. Dice però tomba “aperta”, perché essi divorano e seducono molti. “La parola di costoro infatti si propaga come una cancrena”; com’è detto più sotto: “Forse non lo comprendono quelli che divorano il mio popolo come un pezzo di pane?”. Cioè: come non si avverte nessuna nausea a mangiare il pane, che viene invece assunto in modo più abbondante e frequente rispetto a tutti gli altri cibi, così essi non smettono di ingoiare i loro discepoli morti, né mai sono sazi, poiché la “bocca della vulva” ( cioè della dottrina infernale ) è insaziabile”. Anzi si verifica addirittura che, come il pane si trasforma in colui che se ne ciba, così anch’essi si trasformano nell’empietà dei loro maestri. Ma questo paragone viene  proposto  anche per sottolineare una differenza. Infatti, questi stessi empi divorano anche i giusti, non però come un pezzo di pane, dal momento che non se li incorporano come il pane, ma li deglutiscono vivi e crudi; pertanto neppure li trasformano, ma succede piuttosto che o muoiono loro stessi o vengono corretti dai giusti. Perciò l’eresia, cioè una dottrina empia, non è nient’altro che una specie di peste e di lue che infetta ed uccide un grandissimo numero di persone, come avviene nel caso d’una peste che colpisce il corpo. Dice, però, gola, piuttosto che bocca, per esprimere l’efficacia e la persuasione della loro dottrina, poiché essi hanno il sopravvento e li divorano, come appunto ciò che è già in gola è subito ingoiato, non invece ciò che si ha in bocca, poiché può essere ancora vomitato e sputato. La loro dottrina è poi efficace, perché dice cose belle e piacevoli, come attesta l’Apostolo: “Si circonderanno di maestri, per il prurito di udire”. In quanto gola, essa non ha denti, come li ha la bocca; infatti la bocca mastica con i denti, mentre la gola inghiottisce dolcemente senza masticare. S’aggiunge anche un altro motivo: proprio perché tali dottori non masticano, neppure ruminano, né triturano, cioè non li accusano né li umiliano, non li inducono alla penitenza, non li distruggono né li spezzano; ma, nella loro empietà, li ingoiano interi, così come sono, come è detto nelle Lamentazioni, al capitolo 1:

“I tuoi profeti non ti hanno svelato le tue iniquità, per provocarti alla conversione”. Infatti, accusare un peccatore con le parole e castigarlo significa macinarlo con i denti, finché non diventi minuto e tenero ( cioè umile e mite ). Invece blandire, sminuire la gravità dei peccati oppure mostrarsi subito indulgenti significa divorarli con la gola, cioè lasciare che i peccatori restino superbi, dal cuore duro e incapace di conversione, insofferenti di qualsiasi osservazione. Perciò nel Cantici dei Cantici si dice della sposa, che ha “i denti come un gregge di pecore tosate”, ha cioè parole di correzione prese dalla Scrittura, pronunciate senza il piacere della vendetta ecc. Perciò qui l’Apostolo prosegue con le ultime due proposizioni, come per esporre che cosa voglia significare il detto: “Una tomba aperta è la loro gola”, ovvero come avvenga che essi li divorino. In secondo luogo: essi insegnano con inganno. Per questo, infatti, la tomba è aperta, per questo ne divorano molti, perché essi insegnano con inganno. Il motivo, però, per cui essi divorano e per cui la loro gola è una tomba aperta è questo: la loro gola inocula segretamente veleno. Così, mediante il veleno, uccidono e procurano la morte, mentre con l’inganno procurano la morte di molti. Infatti le parole lusinghiere e la persuasione subdola adescano e attraggono molti, il veleno poi uccide coloro che si sono lasciati attrarre. Perciò, in modo molto conveniente è stato detto: “una tomba” ( a motivo dei morti ) “aperta” ( poiché essi li uccidono dolcemente e con inganno ). Dunque la precedenza è stata giustamente data a ciò che è più importante. “Usare la lingua” significa insegnare, ammonire, esortare ed in generale servirsi di questo strumento per rivolgersi ad un’altra persona. Invece, “con inganno” significa: insegnare una gradita e che faccia piacere, facendola passare per santa, salutare e proveniente da Dio, a tal punto che gli uomini, tratti in inganno, l’ascoltano come se Dio parlasse e credono d’ascoltare proprio lui, dato che il discorso sembra loro buono, verace e d’origine divina. Perciò questo desiderio di piacere, questo blandimento, grazie a cui un discorso di tal genere risulta gradito a chi lo ascolta, è abbastanza ben colto nel segno dall’espressione “con le loro lingue”, come ben colto nel segno dall’espressione “con le loro,lingue”, come accadde sopra con l’espressione: “nella loro gola”. La lingua infatti è molliccia, senza ossa e lambisce delicatamente. Così ogni loro parola non fa altro che blandire il cuore degli uomini che si compiacciono di sé, nella loro propria sapienza o nella loro propria giustizia, nelle loro opere o nelle loro parole. Come si dice in Isaia, al capitolo 3: “Diteci cose piacevoli, non scoprite per noi ciò che è giusto!”; cioè: non diteci ciò che è contrario al nostro modo di pensare. Sì, è proprio così, essi hanno solo in orrore la parola della croce ( ad opera della quale il loro modo di vedere avrebbe dovuto essere mortificato e – per così dire – lacerato coi denti) e vogliono ascoltare ciò che asseconda il loro modo di pensare. Com’è terribile questa parola! Dunque questo inganno chiama a raccolta un gran numero di persone, mentre il veleno uccide il gran numero di persone radunate. Perciò la loro gola è una tomba aperta ed ampia ecc. Ne viene, in terzo luogo, che essi uccidono coloro che hanno indottrinato nel modo detto. Infatti: sotto le loro labbra c’è il veleno. E’ appunto questa dottrina blanda e piacevole, che non solo non fa vivere coloro che prestano fede ad essa, ma li uccide. Anzi, li uccide in modo irreparabile, poiché al veleno degli aspidi non si può porre rimedio. L’aspide, infatti, è una specie di serpe che si trova in Africa, il cui morso, come dice Aristotele, è incurabile. Così un popolo perfido ed eretico non può più essere ricondotto sulla retta via. Tuttavia di questo veleno, di questa morte dell’anima, non se n’avvedono gli sventurati. Perciò dice: “Sotto le loro labbra”, cioè la morte è nascosta sotto, è proprio nascosta là dove, fermandosi all’apparenza esterna, stando alle parola dei loro ammaestramenti, non appare altro che verità e vita a quelli che li ascoltano. Dunque in modo opportuno ha parlato di “sepolcro”, poiché il veleno degli aspidi è incurabile e mette irreparabilmente fine alla vita. Infatti, un’apparenza esterna, adescante, di verità e giustizia fa sì ch’essa diventi una tomba aperta, un veleno da cui non si può guarire, assolutamente privo di rimedio. Invero noi tutti amiamo la verità e la giustizia. Perciò si aderisce tenacemente ( alla verità ), quando essa appare attraente, mentre la si disprezza, non appena appare urtante, come del resto sempre si presenta. Ciò è appunto evidente in Cristo, che “non ha né forma né bellezza”; così è anche per ogni verità che contrasta con il nostro modo di pensare.

La loro bocca è piena di maledizione

Ecco, quando si tratta di quelli che non li limitano, essi hanno una “bocca”. In questo caso non hanno né una gola, né una lingua, ma una bocca ben fornita di denti, come si dice in seguito. Perciò, in secondo luogo, ( ci chiediamo ) come si comportano nei confronti di coloro che non li seguono, ma piuttosto oppongono loro resistenza e li ammaestrano in ciò che è buono e giusto, per convertirli dalla morte di cui sopra s’è detto? Osserva come li ricompensano! Essi reagiscono nei loro confronti in un triplice modo, come sopra. In primo luogo, hanno una bocca piena di maledizione. E’ una espressione appropriata, poiché la loro maledizione non passa in coloro che essi maledicono, ma resta in loro. Non danneggiano se non se stessi, in modo conforme a ciò che è stato detto a Cristo: “Chi ti maledirà, sarà maledetto”. Così pure in un altro Salmo si dice: “Dio spezzerà loro i denti in bocca”. Non si tratta né di ferire né di recare danno al corpo d’altre persone. Infatti egli permette loro di mordere in modo tale, però, da non nuocere a nessuno, dunque spezza i denti nella loro bocca. In tal modo, certo, non mancano loro né i denti né le maledizioni, ma essi le tengono solo in bocca, essa infatti ne è “piena”. Questo “maledire” significa colpire in pubblico ( qualcuno ) con insulti, imprecazioni e bestemmie, ed augurargli del male. Fanno così tutti coloro che avvertono che ci si oppone al modo di pensare da loro stabilito ( poiché ad essi il loro modo di pensare sembra giusto e vero), e fanno ciò, come se fossero pronti a difendere la verità ed a prestare ossequio a Dio, certo con zelo ammirevole, ma non “conforme a retta conoscenza”. E non fanno ciò con indolenza, ma – come ho detto – con grande zelo. Perciò egli dice: “la loro bocca è piena”, vale a dire: essi maledicono senz’alcun ritegno. In secondo luogo: è piena d’amarezza, cioè di maldicenze gonfie d’invidia. L’invidia infatti è l’amarezza del cuore, come, al contrario, la carità ne è la dolcezza. Così i superbi e gli empi non solo dicono male dei giusti, ma, con parole piene d’amarezza, giungono anche a calunniarli presso quelli della loro cerchia o agli occhi di altri. Ma anche quell’invidia, che rimane nella loro bocca, non nuoce affatto a coloro di cui essi hanno invidia. Perciò dice: certo la loro bocca è piena di amarezza, ma all’esterno essa non rende amari e cattivi gli altri. In terzo luogo: i loro piedi sono veloci…

Si tratta, ancora una volta, d’un’espressione appropriata. Infatti, non sempre possono adempiere ciò che vogliono con le mani, tuttavia agiscono in modo da riuscirci sempre. Perciò, quando con le loro ingiurie e maldicenze non possono averla vinta sugli araldi della verità, procurano di annullarli uccidendoli, affinché il loro proprio modo di pensare non ne esca sconfitto. Infatti, i Giudei ( dei quali appunto si parla stando al senso letterale) hanno fatto questo con la massima determinazione, come risulta chiaro dagli Atti degli Apostoli. Ma, anche adesso, ogni nemico della verità, per amore del suo modo di pensare, si comporta, si comporta in maniera simile, in vista di farlo valere, poiché ha una “buona intenzione” e fa questo per amore di Dio.

Distruzione

Qui descrive la loro sorte. Essa è in primo luogo la distruzione: vengono distrutti, menomati ed umiliati, tanto secondo il corpo quanto secondo l’anima, com’è evidente nel caso dei Giudei. Essi, infatti, “sono come polvere al vento”, come si dice nel Salmo 1, poiché coloro che erano grandi e potenti sono stati distrutti, ed anche adesso non cessano d’essere ridotti in polvere e “sono calpestati come il fango delle strade”. Ma quale, agli occhi degli uomini, è lo stato di rovina del loro corpo, tale, anzi molto più miserabile, è lo stato di rovina del loro corpo, tale, anzi molto più miserabile, è lo stato di rovina spirituale, procurato loro dai demoni che li opprimono e che “non lasciano in loro pietra su pietra”. Al tempo stesso, però, percorrendo queste loro vie, deperiscono sempre di più; finchè perseverano in esse, diventano sempre peggiori e più duri. Del resto vale anche il contrario: coloro che camminano nelle vie di Cristo crescono sempre di più e diventano sempre più forti. Perciò in questi ha luogo un processo di consolidamento e di crescita; in quelli, invece, di distruzione e di deperimento. In secondo luogo c’è sventura cioè: esito infelice. Come Cristo riesce bene in tutto ciò che fa, così, al contrario, essi non riescono mai bene in nessuna cosa cui pongono mano. Ciò è affatto evidente nel caso dei Giudei: per quanto facciano progressi nella loro empietà, sono per altri aspetti sempre considerevolmente oppressi da molte contrarietà.

Non hanno conosciuto la via della pace

Perché non l’ hanno conosciuta? Perché è nascosta, essendo una pace spirituale, ed è nascosta dal velo di molte tribolazioni. Chi, infatti, penserebbe che questa è la via della pace, se vedesse che i cristiani sono tribolati nei beni, nel buon nome, nell’onore e nel corpo e che, durante tutta la vita, non hanno la pace, ma la croce ed il dolore? Gli altri, invece, con le loro opere di giustizia , cercano d’ottenere la pace nella carne. Perciò essi perdono l’una e l’altra. Sotto questi tormenti, però, è nascosta la pace, che nessuno conosce, a meno che non creda e non ne faccia esperienza. Essi, però, non hanno voluto credere, ed hanno piuttosto provato orrore per questa esperienza. “Infatti grande è la pace”, ma “ per quelli che amano la tua legge, per essi”, cioè per quelli che la amano “non c’è nessun ostacolo”. Come? Sì, soltanto per quelli che odiano la legge, solo per loro essa diventa un ostacolo. La causa, però, di tutto ciò ch’è stato detto è la superbia, la quale rende totalmente inetti. Infatti, il timore di Dio umilia tutto, l’umiltà però rende capaci di tutto. Per questo essi non comprendono nulla, perché sono superbi; per questo poi si insuperbiscono, perché non temono Dio. Ma essi non temono Dio, è perché presumono che Dio approverà il loro modo di pensare e le loro opere, poiché egli appare loro giusto e retto, mentre non considerano che, se Dio dovesse giudicare, non troverebbe in noi nulla di giusto e di puro. Il giudizio di Dio è invero d’una sottigliezza infinita. E non c’è nulla che sia stato fatto in modo tanto accurato, che non sia trovato trasandato davanti a lui; non c’è nulla di tanto giusto che non sia ingiusto davanti a lui; nulla di tanto verace che non sia menzognero, nulla di tanto puro e santo che non sia impuro e profano. Oppure, se ci fanno caso, è senza dubbio per pretendere che ci sia “accezione di persone” presso Dio, affinché egli non giudichi e non condanni le loro opere giuste e vere: Dio, per un favore straordinario, dovrebbe concedere che essi, pur essendo impuri, siano considerati puri. Perciò, se temessero Dio, saprebbero che solo Cristo, solo la sua giustizia e la sua verità non possono essere giudicati da Dio, dal momento che tutto ciò è anch’esso infinito. Ma in eterno siano rese lode e gloria a Dio, che in lui e con lui ci ha donato tutto ciò, affinché per mezzo di lui noi fossimo giusti e veraci ed evitassimo il giudizio. Invece, per quanto riguarda ciò che è nostro ( visto che non sappiamo mai bene quando si tratti di ciò che è “nostro” ), dobbiamo sempre rimanere con timore davanti a Dio. Nondimeno a loro pare di possedere al massimo grado il timore di Dio. Infatti quale virtù non si arrogano i superbi? Perciò, come si reputano giusti, intelligenti, ricercatori di Dio, così pensano di avere anche il timore di Dio e tutto ciò che qui l’Apostolo non riconosce loro, e presumono di essere assolutamente lontani da ciò che l’Apostolo attribuisce loro. Perciò, se non si crede con fede nelle parole dello Spirito contenute in questo salmo, se non si crede che esse sono vere e che non c’è nessun giusto davanti a Dio, nessun uomo che si ritenga giusto giungerà a pensare questo da se stesso. E’ perciò necessario ritenere sempre che ciò che è vero a nostro proposito e che di ognuno di deve dire che è ingiusto e senza timore, affinché, dopo esserci umiliati in questo modo ed avere confessato di essere empi e stolti al cospetto di Dio, meritiamo di essere giustificati da lui. ( Lutero )

 

Il discorso della salvezza non si comprende se prima non si comprende il senso e la portata di una caduta. Paolo afferma in modo radicale l’universalità del peccato umano. L’uomo non semplicemente commette dei peccati, ma ancor più e ancor prima si trova in uno stato di peccato. Il peccato non rappresenta quindi una sorta di accidente o di incidente che offusca il cammino della nostra vita, ma è all’origine stessa di questa vita. Bisogna tener ben distinto il piano dell’esistenza da quella dell’essenza: quello che eravamo in Eden, e quello che siamo dopo Eden, la vita che è prima del peccato originale, da quella che viene dopo. Se la prima vita è assolutamente buona in quanto creata esclusivamente da Dio, la seconda non può dirsi tale, se non in vista del Cristo, in quanto non semplicemente creata da Dio, ma originata dal peccato di Adamo. All’origine dell’esistenza è il rifiuto di gustare unicamente dell’albero della vita che è in Eden  per entrare in un’altra, che è conoscenza del bene e del male. Tale conoscenza non si pone affatto in un punto neutro, al di fuori e al di sopra del bene e del male, ma è conseguenza del rifiuto di Dio. Si conosce il bene ed il male solo perché si partecipa di entrambi, non perché si è al di sopra di entrambi. Non c’è conoscenza se non per esperienza. L’uomo destinato a conoscere solo il bene, conosce anche un male che ad esso si oppone. E’ questo il conflitto etico: una sorta di dilacerazione interiore in cui l’io si sente diviso e conteso da una forza che gli appare buona e da una forza che gli appare cattiva.

Nel conflitto etico non c’è alcuna garanzia di vittoria del bene sul male, semmai l’esperienza che il bene ed il male non sono mai conciliabili, se non per l’uomo che ama ingannare se stesso. Ma qual è in definitiva quel bene che l’uomo conosce? E’ l’unico ed eterno bene o piuttosto una manifestazione della sua bontà infinita, che benché degni di dannazione eterna ci concede un’ultima possibilità di salvezza in Cristo e per Cristo? Conoscere il Bene è conoscere Colui che è Bene. Ma non si può conoscere Dio se non ascoltando la sua parola. Perché Dio prima ancora di farsi vedere dall’uomo si fa conoscere attraverso la sua voce. E’ questa la vera conoscenza del Bene, quella che si rapporta direttamente al suo fondamento ed al suo fine. Non vi è conoscenza di Dio se non in Dio e per Dio. Ma l’uomo per poco ha voluto godere di questo stato di grazia. Affascinato ed accecato dall’idea di diventare come Dio, non nell’ascolto della sua Parola, ma nella disobbedienza alla Sua Parola, si è trovato nelle tenebre del peccato dove la voce che viene da Dio gli giunge insieme a quella che gli viene dal Maligno, in maniera confusa e non sempre ben distinta. L’uomo che non ascolta perde nella sua capacità di ascolto e di intendere chiaramente quale voce. E’ questo quello che la Scrittura chiama indurimento di cuore. Non semplicemente quando l’uomo perde la capacità di fare il bene, ma quando perde la capacità e la volontà di ascolto di colui che è Bene. Nessun uomo che abbia il cuore indurito si rende conto del proprio stato. Perché l’ascolto è semplicemente rivolto altrove, non rifiutato. Nessun uomo vive fuori ed al di sopra di qualsiasi ascolto. Allorché non ascolta la voce di Dio ascolta la propria parola. E questa gli può apparire così bella giusta santa e ragionevole da prendere il posto di quella del Creatore. L’uomo si illude di far esperienza e conoscenza di Dio, in realtà vive di un ascolto chiuso nella propria interiorità che mai esce dall’io per aprirsi al suo Creatore. Ma a questo punto che senso ha parlare di libero arbitrio? La mentalità comune, molta diffusa tra gli stessi cristiani, crede in una libertà che attinge direttamente a Dio o al Satana tramite la conoscenza del bene e del male. In realtà il bene che noi conosciamo non attinge immediatamente a Dio, ma è conseguenza del rifiuto di Dio, non in un senso puramente negativo,  ma in un senso positivo, come un residuo della grazia originale, qualcosa che ci è lasciato da Dio, perché possiamo intraprendere l cammino della conversione e del ritorno. Se il peccato d’origine ci avesse tolto qualsiasi idea di bene e coscienza di male non sapremmo dove cominciare e non avremmo neppure stimolo ad operare per la salvezza. La conoscenza del bene e del male non ha in sé nulla dell’assoluto che è proprio di Colui che è Bene e di Colui che è Male. E’ soltanto l’inizio di un percorso di vita, che sin dall’inizio non è mai a senso unico, ma è posto di fronte ad un bivio, nella consapevolezza che percorsi diversi portano a mete e ad esiti diversi. Non è esclusa la possibilità di una scelta immediata, nel senso di una risposta  più facile e non faticosa, ma non è garantito un futuro felice, se non nell’immediato. Una scelta infelice porta con sé un futuro infelice.

L’uomo che imbocca la strada della conoscenza del male, sperimenterà tutta la potenza del Maligno e crescerà di male in male fino alla dannazione eterna. L’uomo che imboccherà la conoscenza del bene crescerà di bene in bene fino al possesso di Colui che è bene nell’eterna visione del Suo volto. Non basta intraprendere un cammino per essere sicuri di giungere alla meta, ma bisogna perseverare fino alla fine. Finchè si è in viaggio è sempre possibile un’inversione di marcia e un ritorno sui vecchi passi. E non si è mai soli. Chi segue le vie del male è consigliato e traviato dal Satana che vuol rendere definitivo ed irrevocabile il nostro distacco dal Signore Chi segue le vie del bene conosce l’intervento del Signore che ci dona la grazia e gli strumenti perché giungiamo alla vita eterna. Ma bisogna anche comprendere il punto di partenza che è già in caduta libera. Nessuno può arrestare la propria caduta se non attraverso uno sforzo o una violenza fatta a se stessi.  La caduta è frutto di una violenza nei riguardi di Dio, ora bisogna accettare che Dio usi violenza al nostro io con drastici interventi, di potatura, ma anche di rinforzo. Se all’origine della vita è la volontà di una nostra vita, il primo intervento di Dio è proprio sulla nostra volontà. Chi è stato rifiutato una volta come può proporsi un’altra volta se non accrescendo il dono del suo amore? Iddio quindi ci colma ancora e ancor più di doni, fino all’ultimo estremo dono. Innanzitutto attraverso una conoscenza del bene che si accresce di giorno in giorno a seconda dell’età , dell’intelligenza della cultura, del tempo in cui viviamo. Chi cerca il bene purifica la propria volontà da ogni desiderio di male e apre la strada per la conoscenza di Colui che è Bene.

Abbiamo visto come Paolo descriva in maniera mirabile il cammino di ogni uomo nella strada della salvezza. Tutti gli uomini possono arrivare alla vita eterna, anche se in maniera e in misura diversa.

Vi sono gli uomini che vivono fuori dal tempo e dallo spazio della rivelazione, che pur tuttavia perseverando nel bene ascoltano la voce di Dio, quale si fa sentire alla coscienza ed entrano perciò nella vita eterna. La salvezza che viene da Cristo si manifesta in forme diverse ma nessuno dimentica. Ogni uomo può sperimentare nella propria vita l’intervento di Cristo.

Questa breve introduzione al problema della libertà dell’uomo, seppur frammentaria e non esauriente, ci è parsa tuttavia necessaria per mettere in rilievo la complessità del discorso, che non può procedere a senso unico ma deve affrontare aspetti diversi della libertà umana. Ha  torto Lutero nell’affermare l’assoluta malvagità dell’uomo e la sua assoluta incapacità ad operare per il bene se il problema della libertà viene affrontato semplicemente dal punto di vista etico. Perché dal punto di vista della morale l’uomo non si può rinchiudere in una sorta di fatale necessità, dove ogni sua scelta cade in virtù di una forza e di una potenza a lui estranea e da lui non controllabile.  Se per libertà dell’uomo intendo la possibilità di scelta tra azioni più o meno buone o più o meno cattive, allora dobbiamo riconoscere che vi è un libero arbitrio. Si tratta però di una libertà chiusa nell’interiorità dell’uomo, non il riflesso immediato del nostro essere in Dio, ma piuttosto quanto resta del nostro essere stati in Dio. E’ una libertà che può operare a prescindere da Dio, non necessariamente in obbedienza a Dio. E’ quanto ci rimane dello stato di grazia originale, per amore divino. Se Dio ci avesse tolto qualsiasi nozione di bene e qualsiasi possibilità di bene, noi non sapremmo in nessun modo come cercare la salvezza. Per cercare Colui che è buono, bisogna avere almeno la consapevolezza di ciò che è bene. Questa libertà che abbiamo definito morale si presenta quanto mai ambigua. Fondata in una creatura divisa dal suo Creatore è incapace di compiere da sola un salto di qualità, da una vita fuori di Dio, a una vita in Dio e per Dio. L’uomo in definitiva si muove come in una sorta di circolo vizioso in cui non rincorre Colui che è bene, ma se stesso come bene. Ed è indubbiamente il giorno della grazia quando si rende conto del terribile inganno in cui vive ed opera. Perché nonostante tutta la  buona volontà e tutto l’impegno il peccato riaffiora continuamente ed appare non debellato, ma semplicemente sopito o mascherato. Come può l’uomo operare il Bene se non in Colui che è bene? Viene il momento in cui l’uomo è costretto a rivedere il senso della propria vita non semplicemente in rapporto a ciò che gli appare buono, ma innanzitutto in confronto a Colui che è bene. Ma bisogna prima dichiarare la propria capitolazione e riconoscere la propria sconfitta. E non si arriva a questo in modo immediato, senza alcun impegno etico, al contrario, l’uomo prende consapevolezza della propria impotenza a ben operare quando ce l’ ha messa tutta e nonostante tutto si ritrova al punto di partenza. Da questo punto di vista l’impegno etico non è di per sé deplorevole e non viene disprezzato da Dio, ma è semplicemente il punto di partenza, finché non si arriva alla confessione del proprio peccato e non si ricerca una giustizia diversa, non quella che dall’uomo va a Dio, ma quella che da Dio, viene all’uomo. E da questo momento comincia un cammino diverso, non più da soli verso la salvezza, ma guidati e sorretti da colui che è salvezza. Una novità di vita che altro non è se non il ritorno all’Eden originario, dove l’uomo era destinato ad un cammino di crescita fino alla visione di Dio, non da solo, ma guidato dalla luce del Cristo e sorretto dall’ascolto della sua Parola. Tutto è bene quel che finisce bene. Ma non sempre le cose vanno così. Vi è anche l’uomo che si rinchiude in un conflitto etico falso e menzognero. Non scopre la propria malvagità ma convince se stesso di bontà. E tutto questo non perché il conflitto etico sia di per sé inutile e malvagio, ma perché è cercato e vissuto da un cuore falso e malvagio che non vuole la luce, ma le tenebre. Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire e non c’è peggior cieco di chi non vuole vedere. Così nonostante le ripetute sconfitte l’uomo presume di una giustizia che non gli appartiene. La coscienza etica non vive in comunione con la voce dello Spirito, ma si dissocia da essa, fino al punto del non ascolto e del silenzio assoluto da parte di Dio. Tutto questo è ben delineato nella figura dei farisei i quali non rappresentano affatto il disimpegno etico, ma la non serietà dell’impegno etico ed il rifiuto e l’ostinazione ad andare oltre e a vedere oltre. Il fariseo ha una sua indiscutibile giustizia, ma è piena di ambiguità e contraddizioni, che egli non vede e non vuol vedere. In apparenza tutto sembra vada bene, ma basta mettere il dito sulla piaga ed allora un sepolcro spalancato è la sua bocca. Bello di fuori, ma dentro è solo putredine e marciume. Gesù riconosce all’uomo della legge la giustizia che gli è dovuta, ma nulla di più e solo per affermare la Sua giustizia. Paradossalmente vediamo che uomini dediti alla ricerca della giustizia rifiutano il Cristo, mentre uomini irretiti nel peccato accolgono la salvezza che viene dal cielo. Bisogna però vedere oltre le apparenze e leggere nel cuore dell’uomo in modo non superficiale. Perché la grazia di Cristo non è data in modo arbitrario agli uni e negata agli altri, nell’ottica di una fede che è solo dono e non anche ricerca e volontà del bene. Se è vero che la salvezza viene dalle fede e non dalle opere è anche vero che non si arriva alla fede mangiando e bevendo, finchè non si è afferrati dall’Altro. Certamente anche la fede è un dono di Dio, perché nulla ci appartiene e nulla è nostro se non il peccato. Ma  non è data la fede a chi non cerca e non vuole il suo Signore. Se è apparente ed ingannevole la giustizia dei farisei, altrettanto ingannevole può essere la malvagità di coloro che accolgono il Cristo. Solo il Signore conosce il pensiero dell’uomo e solo lui è in grado di discernere la buona volontà. Il degrado morale di alcune persone può nascondere un cuore che si sta aprendo all’amore del Signore, come l’apparente giustizia esteriore può nascondere un cuore ribelle al suo Salvatore. Così non si può dire che il ladrone o la Maddalena non abbiano mai cercato il bene; più semplicemente può essere che alla fine si siano trovati schiavi del male. E’ così che gli ultimi diventano i primi quando per primi confessano il loro peccato davanti a Gesù e si lasciano afferrare dalla sua mano potente per essere da lui sorretti e da Lui guidati. Soltanto in Cristo e per Cristo la nostra libertà fa un salto qualitativo in virtù del quale trova il proprio fondamento ed il proprio fine. L’uomo dopo il peccato di Adamo, vive separato da Dio, non può autofondarsi nel Bene, rinchiudendosi nel conflitto etico. Bisogna spalancare la porta del proprio cuore al Signore e camminare in novità di vita. Quando Lutero interpreta i versetti dell’Apostolo nel senso di una radicale e totale malvagità dell’uomo non vuol certo negare una qualche libertà a ben operare, ma l’assoluta impossibilità ad operare per la propria salvezza. Vi è un libero arbitrio, soltanto nella dimensione morale, ma solo per far risaltare un servo arbitrio che ha bisogno di un liberatore. “Voi sarete liberi se vi libererà il Figlio dell’uomo”. Perché la vera libertà non è quella che opera con gli occhi della carne, ma è quella che opera nelle tenebre che hanno accolto la luce.

Per concludere : Il problema della libertà non può essere affrontato in maniera semplicistica; non si può dire che l’uomo è libero o al contrario che è schiavo rispetto al peccato. Bisogna innanzitutto considerare la sua natura creata e con ciò una libertà che non gli appartiene in proprio, ma è semplicemente donata. Una libertà donata può procedere in maniera autonoma rispetto al suo Creatore, ma non può prescindere dal proprio fondamento e dal proprio fine. Una libertà fondata è anche una libertà condizionata. Condizionata rispetto alla fonte e prevenuta e precorsa rispetto al proprio fine. E tutto questo grazie al dono di quella Parola che non solo ci ha fondati in Dio, ma che continuamente ci fonda e ci radica in Lui. Ma bisogna passare attraverso le vie dell’ascolto e non illudersi di una libertà che può ben operare senza l’aiuto del Creatore. La libertà non è semplicemente un dato, ma è anche un fatto, una conquista e una crescita che l’uomo fa proprie insieme con il suo Signore. Se è vero che Dio non può o meglio non vuole fare niente senza il nostro aiuto è altrettanto vero che nulla di ciò che è bene noi possiamo o vogliamo senza il suo aiuto. La libertà non è innanzitutto rispetto all’operare, ma rispetto all’ascoltare. Non ubbidisce chi opera semplicemente ma chi ascolta la Parola di Dio. E in questo certo siamo liberi: non c’è indurimento di cuore che non ci veda pienamente responsabili e colpevoli. Per ogni uomo la libertà non si colloca in un punto neutro della  vita, se non all’origine che è in Eden. Ma questa è storia passata. Nell’esistenza l’uomo porta con sé non semplicemente la  libertà, ma solo quella libertà che in cui è liberamente cresciuto. E questo ben ci fa comprendere le parole di Gesù: “Voi sarete liberi se vi libererà il Figlio dell’uomo”. La libertà in senso proprio, come autodeterminazione per il bene appartiene all’ultimo uomo, a colui che ha già raggiunto la statura perfetta e con ciò viene riconosciuto degno di entrare nel regno dei cieli, in Cristo e in virtù di Cristo. Non è attuale se non quella libertà che è risposta del singolo al richiamo di Dio. Uguale per ogni uomo rispetto al proprio fondamento e al proprio fine, ma diversa per ogni uomo rispetto a quella voce o Parola, che continuamente ci cerca per riportarci al Suo amore. Non tutti possiamo e non tutti dobbiamo le stesse cose. Né spetta a noi decidere per gli altri e neppure ci è dato di conoscere i tempi e i momenti che Dio ha riservato in suo potere. Ognuno troverà il senso della libertà soltanto nel proprio cuore. A nulla giova confrontarsi con il prossimo e perdersi in vane disquisizioni sul libero arbitrio. Il libero arbitrio ed il servo arbitrio non sono se non nell’individuo e per l’individuo. Tutti siamo liberi rispetto all’ascolto della Parola, non semplicemente rispetto alla Parola, ma a quella Parola che Dio rivolge a noi, in ogni istante della nostra vita. Nello stesso tempo siamo tutti schiavi del Satana, perché da Lui ostacolati ed impediti nell’ascolto dell’Unica parola, ingannati e fuorviati da un’altra parola.  Liberi e schiavi nello stesso tempo, mai liberi in assoluto o schiavi in assoluto. Non si deve strumentalizzare la parola di Paolo per giustificare e confermare i propri assiomi. Secondo lo spirito ed il linguaggio tipici della Parola di Dio, Paolo ama molto esprimersi nella forma del paradosso. Ma un’affermazione paradossale non si può comprendere se non in un contesto e secondo un determinato scopo. Di fronte alla presunzione dell’uomo che confida in se stesso, quale via più efficace per smascherare l’inganno che far risaltare l’universale schiavitù del genere umano al Satana ed alla sua opera? Ma neppure è giustificato il fatalismo di chi pensa che tutto debba cadere dal cielo con o senza la nostra volontà. “Molto sarà richiesto a colui al quale molto è stato dato”. Prima c’è il dono e poi la richiesta.  Non c’è nessun dono d’amore che non abbia una sua richiesta. Non si dona se non a colui che innanzitutto è oggetto d’amore e non si richiede se non a colui che è libero di rispondere o meno ad una proposta d’amore.

Ci sembra che la lettura di Lutero ricalchi il linguaggio paradossale di Paolo. Non si vuole affatto negare la libertà dell’uomo rispetto alla chiamata di Dio, così come si determina storicamente per ognuno di noi, ma semplicemente far risaltare l’assoluta incapacità ad operare per la vita eterna senza la grazia di Cristo. E questo perché non cadiamo nell’inganno di una salvezza senza Salvatore.

A questo punto ci sembra che il discorso di Paolo sia più chiaro. La salvezza  viene solo dal Cristo ed è data a tutti gli uomini, di tutti i tempi e di tutte le culture. Parte dalla conoscenza del bene e del male, non perché sia fondata tra il Bene ed il Male, ma perché dopo il peccato d’origine si è storicamente determinata come tale.  L’inizio dell’esistenza non si può collocare se non alla fine dell’essenza. Ma con ciò è solo tracciato l’inizio di un percorso e non certo il suo fine o la sua fine. Il fine della vita è il ritorno all’ascolto di quella voce che è dono e grazia di Dio: presenza santificante del Cristo, luce e guida attraverso le tenebre. La fine della vita altro non è che il passaggio ad un’altra vita, in cui vedremo finalmente la Parola, ma solo nella misura in cui l’abbiamo ascoltata. Tutti gli eletti vedranno Dio, ma non tutti avranno gli stessi occhi. C’è luce e luce: altro è lo splendore di una stella ed altro è lo splendore di un’altra stella. Una sola è la luce, ma la sua gloria brilla diversamente in specchi diversi. E’ soltanto l’obbedienza alla Parola di Dio che ci rende degni di vita eterna. Ma questa obbedienza proprio perché cade in persone diverse deve cadere in modi, in tempi e in spazi diversi.  Prima della Rivelazione su tutta la terra, si può soltanto ascoltare la Sua voce, così come si fa sentire nel silenzio della coscienza individuale: non semplice conoscenza del bene e del male, ma una conoscenza del bene e del male, ripresa da Dio. Non c’è immediatezza naturale che non sia frutto del peccato d’origine, e non c’è frutto del peccato d’origine che non sia rivisitato dal Signore. Con la Rivelazione dell’Antico Testamento la Parola si manifesta in modo più immediato nel proprio fondamento e nel proprio fine, come espressione di un Dio personale, non solo per il singolo, ma per l’intera comunità di Israele. La Legge mosaica, in quanto incisa nella pietra non si può identificare sic et sempliciter con la legge naturale incisa in ogni uomo. E’ superata ogni lettura ed ogni interpretazione individuale ed è ribadita l’assoluta unicità ed esclusività della sua fonte. Con la venuta di Cristo siamo all’epilogo finale: la Parola si fa carne e si manifesta e si palesa chiaramente nell’Unico Amore, che tutti abbraccia e nessuno dimentica. La Parola è Dio, Dio è amore, l’Amore è per tutti. Non c’è Parola di Dio all’infuori di quella che si è manifestata in Israele. Non c’è amore se non quello che si manifesta col Figlio. Non c’è salvezza se non quella che a tutti è donata. Prima della rivelazione ogni uomo è chiesa per se stesso. Con l’Antico Testamento vi è una sola chiesa: in Israele e per Israele. Con la venuta del Cristo vi è un’unica chiesa, che abbraccia l’intera umanità e che non vive in templi fatti dalla mano dell’uomo. Sbagliano e sono strumento del Satana coloro che dissertano su di una salvezza universale per ogni uomo e per ogni tempo, senza considerare che ogni uomo ha il suo tempo. Allorché è arrivata la pienezza dei tempi non si può guardare e non si può vedere se non con gli occhi che Cristo ci dona. Perché ti interessa tanto capire come tutti gli uomini giungano a salvezza e non vedi e non comprendi la salvezza che viene dal cielo? “Tutti gli dei delle genti sono demoni”. Le religioni non sono affatto un modo diverso di attingere allo stesso divino. Al contrario sono un modo diverso di sprofondare nell’abisso del Satana. C’è un solo Dio e ha parlato ad Israele, e in Israele . Prima di Israele e fuori da Israele l’uomo attinge alla Sua voce soltanto nell’interiorità del proprio io, non adeguandosi alla parola che gli viene da fuori, ma soltanto lottando contro di essa e camminando contro di essa. Un musulmano tanto per intendersi non si salva vivendo da buon musulmano, ma soltanto andando contro la Parola dell’Islam, fino a ritrovare la voce dell’unico Dio, non in sintonia con il suo popolo, ma  in quella solitudine e in quel silenzio, che è rottura con il proprio popolo. Ciò non significa che si debba ripudiare in assoluto ogni legame con la cultura del proprio tempo. Noi tutti siamo figli del nostro tempo e del nostro paese, ma fino ad un certo punto; oltre deve esserci la rottura, così come è chiesto dalla voce di Dio. Nessun peccato si può giustificare in nome dei tempi e della cultura. Da sempre vi è Colui che è oltre ogni tempo ed ogni cultura. E questo non va detto solo per le altre religioni, ma anche e soprattutto per il cristianesimo. Con troppa facilità si giustificano e si comprendono i misfatti della Chiesa. Non è semplicemente una questione di tempi, c’è la mano del Satana. Piaccia o non piaccia questo è quello che ci dice la Parola di Dio ed è questo in cui crediamo noi cristiani: non c’è salvezza se non in Cristo e nell’unico Dio. Considera gli antichi patriarchi? Perché si Dice di Noè che fu trovato giusto davanti a Dio? Perché era un buon osservante della religione del suo tempo e del suo popolo, o non per il contrario, perché ascoltava soltanto la voce di Dio? Certo le religioni nella loro parola strutturata e codificata, sembrano andare oltre la semplice voce della coscienza. Ma questo è l’inganno del Satana, che va smascherato. Ti meravigli che il giudizio di Dio investa interi popoli ed intere generazioni? E’ fatto salvo l’individuo che non si conforma al secolo presente, ma  va oltre la potenza della sua parola, per ascoltare la voce di Dio. Nessun delitto o peccato si può giustificare per ignoranza. L’ignoranza è semplicemente un fatto culturale. Al di sopra di ogni parola che si fa cultura vi è innanzitutto la voce di Dio, così come si fa sentire alla coscienza di ogni uomo. Al di sopra della voce di Dio, vi è soltanto la Sua Parola, così come si è udita e manifestata in Israele. Non c’è confronto e non c’è paragone se non per l’uomo che ama ingannare se stesso. Se cerchi la Parola, la troverai solo in Israele e nella Chiesa.. E non è giustificato chi si accontenta della sola Voce. Perché la voce si è fatta Parola. Chi ama veramente si accontenta della voce dell’amato, quando può udire la Sua parola? Ciò è detto per chi crede in una salvezza che procede a ritroso. La Parola è ormai donata e non è giustificato il suo rifiuto ed il ritorno alla voce della coscienza. Perché leggere la Bibbia, perché i Sacramenti e la Chiesa? Non basta seguire la propria coscienza? Sei cieco e guida di ciechi. Non comprendi L’amore di Dio e rifiuti il suo dono. La salvezza che passa per le vie della voce di Dio ha avuto il suo tempo e ha già fatto il suo tempo. Ora ti è chiesto l’ascolto della Parola. San Paolo ti dice con chiarezza che cosa abbiamo in più noi cristiani. E chi ha il più non cerca il meno. Rischia di smarrire la retta via e di essere ripudiato dal Signore. “Molto sarà richiesto a colui che molto ha ricevuto” E’ tempo  di luce e di una pienezza anticipatrice di quella celeste. La nostra libertà ha una portata ed un valore diverso: è la capacità di operare ciò che è bene… in Cristo ed in virtù di Cristo. Se Cristo è il fondamento ed il fine della nostra libertà, non si è liberi se non di volere o non volere lui. Questo è il senso vero della libertà.

19 Ora sappiamo che quanto dice la legge, lo dice per coloro che sono nella legge, affinché ogni bocca sia chiusa e colpevole sia tutto il mondo a Dio. 20 Perciò da opere della legge non sarà giustificata ogni carne di fronte a lui, infatti per mezzo di  legge si ha conoscenza di peccato.

 “Tutto quello che dice la legge, lo dice per coloro che sono sotto la legge”. Una lettura superficiale ed affrettata del testo può portare alla conclusione che esiste qualcuno in una particolare condizione che non conosce alcuna legge. In questo senso sembra interpretare Origene.

“Pertanto questo è ciò che la legge naturale dice a tutti coloro che sono sotto la legge e credo che dai suoi precetti risultino esclusi solo i bambini nei quali non c’è ancora il discernimento del bene e del male. Se poi a questi debbano essere affiancati anche coloro che per un motivo qualsiasi sono dementi, vedilo tu. A me sembra che, senza dubbio eccettuati costoro, nessun uomo sfugga a tale legge”. (Origene)

Se così fosse realmente non si comprende proprio come tali persone si rapportino o siano rapportate al loro Creatore.

In precedenza Paolo ha dimostrato come vi sia legge e legge. Ciò che ogni legge dice lo dice per tutti coloro che sono sotto la stessa legge.  E’ escluso in assoluto che qualcuno non sia sotto la legge, ma è ammesso che non tutti siamo sotto la stessa legge.

Vi è la legge mosaica e vi è la legge naturale. Non solo: il fatto di essere sotto la stessa legge non significa che vi sia un’unica conoscenza ed una sola intelligenza della legge. Altra è la legge quale può apparire e farsi sentire al bambino ed al minore, altra è la legge che parla ad un’intelligenza adulta e cresciuta. La legge prescrive a tutti le stesse cose, ma non nello stesso modo e nella stessa misura.

E’ fatta salva una diversità che non si deve intendere nel senso di un bene ed un male diversi, ma di un diverso rapporto con lo stesso bene e lo stesso male.

La diversità va intesa altrimenti: non che qualcuno sia escluso dalla Legge, ma nel senso che ad alcuni è stato dato un rapporto con Dio che scavalca quel rapporto che passa attraverso la legge. Con la venuta di Cristo,  possiamo ben dire che la sua giustizia si manifesta indipendentemente da quella legge, che è pur posseduta da tutti. 

Ci permettiamo di dissentire e di dissociarci dall’eccessiva sicurezza con cui Origene esclude dal possesso della legge naturale i bambini piccoli e i subnormali.

Che essi possano apparire come diversi è fin troppo chiaro, ma nessuna diversità può considerarsi esclusiva rispetto al dono di Dio, ed al suo amore se non per quel che riguarda il modo e la misura. Con troppa facilità e leggerezza persone in una determinata condizione psichica sono considerate diverse e non ammesse a far parte a titolo pieno di quell’umanità che ha un solo Signore ed un solo Padre. Certo è più facile escludere che comprendere. E’ più facile relegare ai margini della comunità che tenere in considerazione colui che agli occhi di tutti appare piccolo.

Qualsiasi eccezione rispetto al dono di Dio, non va semplicemente rilevata, ma ancor più e ancor prima spiegata. Perché l’amore di Dio è bensì esclusivo, ma per ogni uomo e non di questo o di quell’uomo. Da un punto di vista cristiano non c’è eccezione che non debba rientrare nella norma, perché nessun uomo è escluso dall’amore di Dio e la salvezza è data a tutti.

Ci rattrista rilevare ancora una volta come le persone di grande cultura ed intelligenza siano poco disponibili ad affrontare il discorso di una salvezza che è donata non con l’esclusione dei più piccoli ma proprio a partire dai più piccoli.

E’ poi così certo e così sicuro che i bambini piccoli e i subnormali non abbiano conoscenza del bene e del male? “A me sembra che, senza dubbio eccettuati costoro, nessun uomo sfugga a tale legge”. Affermazione apparentemente indiscutibile, se a ciò aggiungiamo che anche le leggi umane nessuna condanna prescrivono a coloro che sono incapaci di intendere e volere.

Ed è ben giusto che l’uomo non entri con i suoi giudizi in ciò che è al di sopra della propria intelligenza. Vero è che il giudizio di Dio non esclude alcun uomo: a tutti è donata la salvezza, ma nello stesso tempo tutti saremo giudicati. E questo ci costringe a rivedere e a comprendere in maniera diversa la coscienza dei piccoli. Certamente essi non possiedono quella conoscenza del bene e del male che è tipica dell’adulto e dell’uomo logicamente cresciuto.

Questo non significa che essi non abbiano alcuna conoscenza del bene e del male. La vita dell’uomo è certamente nel suo rapporto col Logos divino. Ma dobbiamo distinguere il possesso del Logos dal possesso della logica.

Il Logos è la presenza stessa di Dio nei nostri cuori, la logica una forma attraverso la quale Dio si comunica e si manifesta a noi. Chi non ha logica non può allora comunicare con Dio ed essere in rapporto col Creatore? Si può affermare che esiste un uomo o un’età dell’uomo in cui non c’è assolutamente alcuna logica? Non è più giusto pensare ad una logica diversa? Ed ancora: non è riduttivo intendere per logica solo il pensiero che si determina e si manifesta attraverso la parola? Non vi è anche un pensiero che precede la parola ed un pensiero che è senza parola?

Altrove abbiamo sottolineato come il rapporto del bambino e del piccolo con Dio abbia un carattere immediato che è al di sopra della legge, così come è codificata dalla parola umana. Per comprendere basta leggere con attenzione quanto scritto in Genesi. Il rapporto di Adamo con Dio, passa innanzitutto attraverso il comando divino: “tu puoi…, ma non devi”. Come Dio ha parlato ad Adamo, quando Adamo ancora non possedeva la parola? La parola è creata da Adamo nel suo rapporto con Eva. Eppure Dio sin dall’inizio pone la sua coscienza di fronte ad un puoi, contrapposto ad un non devi. E non si dica che Adamo seppur non conosceva ancora la parola, possedeva però la logica che porta alla parola.

Il comando di Dio, non ha in sé alcuna logica evidenza: non è preceduto e neppure è seguito da alcuna spiegazione e giustificazione: è dato e basta. Ciò significa che ancora prima della legge, così come è compresa dalla logica, vi è una legge di Dio che è assolutamente prelogica, viene data prima ed indipendentemente da ogni logica.

E’ la voce di Dio che previene ed accompagna qualsiasi coscienza. Che tu abbia poca o tanta logica; nulla importa. E’ innanzitutto la voce di Dio che parla al cuore dell’uomo, non necessariamente nella forma della parola, ma in una forma che viene prima di qualsiasi parola.

E’ un errore pensare che per i piccoli non esista alcuna legge ed alcuna conoscenza del bene e del male. E’ la voce di Dio sic et simpliciter che garantisce tale legge. Certo ogni uomo sarà giudicato per quello che gli è stato dato, ma come nessuno è escluso dal giudizio, così nessuno è escluso dal dono di una legge naturale.

Giustamente noi ci asteniamo dal giudicare i minori, ma è un errore ed un’infamia considerarli da meno, come una sorta di umanità inferiore. “Gli ultimi saranno i primi e i primi saranno gli ultimi”. Così Dio ribatte e respinge i cuori insipienti.

La legge naturale si presenta alquanto complessa e non riducibile ad un’unica formula. E’ molto condizionata dal tempo, dalla cultura, dall’intelligenza dell’individuo e in quanto tale è ambigua, fatta salva quella voce di Dio che la previene e la segue. Di per sé non è strumento di salvezza se non in quanto rimanda essa stessa al Cristo. La salvezza opera lo stesso, ma la conoscenza del Salvatore è alquanto parziale, non definita e non definibile nei termini della parola. La legge mosaica va oltre i condizionamenti della legge naturale, proprio in quanto codificata nella parola scritta, dal dito stesso di Dio e,  non modificabile dall’uomo: è una sola per tutti. Ma, come la legge naturale, di per sé non è strumento di salvezza, se non in quanto rimanda al Cristo, così come è ampiamente dimostrato da Paolo.

Cosa vi è di più allora nella Legge mosaica, rispetto a quella naturale? Innanzitutto la certezza della mano di Dio che mai abbandona l’uomo, non come l’altro io, ma come l’altro dall’io.

E’ superato quel senso di solitudine che accompagna l’uomo che segue la legge naturale. E’ vero che la voce della coscienza si presenta sempre come un imperativo categorico che è altro dall’uomo, ma non è facile avvertire nella sua voce la presenza stessa dell’unico Dio e dell’unico Creatore. E’ sempre il riflesso del mio rapporto con Dio e in quanto tale confondibile col mio io. Proviene dal cuore del singolo e non va oltre il singolo. Viceversa la Legge di Dio, è iscritta nel cuore dell’uomo dal di fuori, da Dio stesso. A tutti è noto il suo autore. Ci è comunicata come membri di una comunità e ci relaziona con gli altri in modo diverso come figli dell’unico Dio. Non c’è vera fraternità se non a partire dalla Legge e con la Legge. Come possono gli uomini sentirsi fratelli, quando non si riconoscono in un unico Padre? E come si può credere in un Padre se non quando si fa conoscere, in maniera aperta e conclamata? Ma anche la Legge mosaica di per sé è insufficiente per la salvezza.

Ci fa sapere finalmente che abbiamo lo stesso Padre, crea in noi il desiderio dei figli, ma non ci fa diventare tali se non in virtù di Cristo. Dire che la Legge di per sé non salva, non significa affatto sminuire la sua importanza.

La Legge è buona e santa, ma bisogna collocarla al punto giusto, dove è stata messa da Dio. Non solo: bisogna anche interpretarla in Dio e con Dio. E’ solo parte della parola rivelata e in quanto parte si deve leggere ed interpretare alla luce del tutto.

Così la Legge, intesa come l’insieme dei comandamenti, non può essere scissa dall’insieme della Parola rivelata.

La Legge segna l’inizio di un percorso di salvezza. Chi si ferma alla sua osservanza  intraprende certamente  un cammino, ma a metà. Si ferma proprio sul più bello…, prima che arrivi il Salvatore.

La Legge non si può comprendere se non alla luce del prima e del poi, non come è visto dall’uomo, ma come è visto e conosciuto da Dio.

Non è fatta per esaltare una lettura che venga dall’uomo: al contrario è data perché ogni bocca sia chiusa . Nessuno presuma di una giustizia che non gli appartiene, né davanti a Dio né davanti agli uomini e tutto il mondo divenga colpevole davanti a Dio. Non perché fatto tale dalla Legge, ma perché riconosciuto tale da Essa. Perciò ogni carne non sarà giustificata davanti a Dio dalle opere della legge. Per mezzo della legge infatti si ha la conoscenza del peccato. E’ tolta l’illusione di una obbedienza a Dio, che passi attraverso la semplice osservanza del suo comandamento. Ma si comincia pure a far luce nel cuore dell’uomo. Prima di conoscere Dio, l’uomo deve conoscere l’uomo, non come vede se stesso, ma come da Lui è veduto e conosciuto. Per intraprendere un cammino di salvezza non basta conoscere la meta ed il percorso. Bisogna predisporre i mezzi, essere consapevoli delle  reali difficoltà ed impossibilità, lasciarsi guidare ed aiutare da chi può più di noi. Se la salvezza è solo questione nostra, siamo fritti in partenza.

21 Ma ora senza legge si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti: 22giustizia di Dio per mezzo della fede di Gesù Cristo verso tutti i credenti. Non c’è infatti distinzione: 23infatti tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione in Cristo Gesù; 25che Dio pose innanzi come propiziatorio per mezzo della fede nel suo sangue a dimostrazione della sua giustizia mediante la tolleranza dei peccati avvenuti in precedenza 26nella pazienza di Dio a dimostrazione della sua giustizia nel tempo presente, per essere lui giusto e giustificante colui che da fede in Gesù.

Prima della venuta di Cristo la giustizia di Dio si è manifestata solo attraverso la legge. Ma ora che è giunta la pienezza dei tempi questa giustizia rifulge in Cristo senza legge, ovvero indipendentemente dalla legge che uno possiede e senza bisogno alcuno del suo appoggio e del suo rinforzo. E’ posto fine per sempre a quell’approccio individualistico a Dio che passa attraverso leggi diverse.

Non si può neppure dire che ora vi è una sola legge per tutti. Bisogna invece dire che per tutti è venuto colui che è il compimento, l’adempimento finale di ogni legge divina. Se Cristo è l’adempimento della legge mosaica, lo è pure della legge naturale, che è stata iscritta nella coscienza di ogni uomo, così come abbiamo ampiamente spiegato.

Certamente solo la testimonianza della legge e dei profeti fa esplicito riferimento alla giustizia di Dio, ma ciò che ivi è detto esplicitamente è implicitamente contenuto e significato nella stessa legge naturale.

Ogni uomo è posto in rapporto a Dio, non in modo più o meno vero, ma in modo più o meno chiaro rispetto al Logos, alla sua logica, ed alla Sua Parola.

Benché tutti gli uomini siano agiti e prevenuti dalla stesso amore, non vi è sempre la stessa la consapevolezza di questo amore.  C’è il tempo in cui l’amore opera in segreto e c’è il tempo in cui l’amore si dichiara apertamente… e si arriva a parlare di nozze e lo sposo è a noi donato…, nella chiesa e davanti alla chiesa, perché con noi si rallegri e gioisca il cuore di tutti.

Non c’è matrimonio carnale che non veda qualcuno triste… perché escluso: vi è un solo matrimonio che tutti rende felici.  Viene il tempo in cui l’amore si manifesta e si fa conoscere, agli occhi di tutte le creature. Non solo e non necessariamente in questa vita. C’è chi conosce Cristo  nell’altra vita.

E perché mai dovrebbe attendere anche nel regno dei cieli chi ha già atteso su questa terra? Forse che il Cristo che opera in terra non è lo stesso Cristo che opera nei cieli?

E’ indiscutibilmente sicura l’assoluta necessità di una attesa nella speranza e nel possesso della legge, solo per coloro che sono venuti prima di Cristo.

Nulla ci dice che i tempi del cielo siano gli stessi della terra. Ma che giovano simili disquisizioni? Ora che il Verbo si è fatto carne tutto è già compiuto non solo in cielo, ma anche in terra.  La via della salvezza passa attraverso un necessità diversa: quella della fede in Cristo.

Non è più tempo di disquisire e di indagare sul significato e sull’importanza della Legge e delle leggi: il nostro interesse e il nostro cuore sono ora rivolti altrove, non verso qualcos’altro, ma verso qualcun altro. Con ciò chiaramente non si vuol disprezzare la Legge, ma semplicemente significare che vi è Colui che è più della Legge e ci porta oltre la Legge. La storia della salvezza conosce un prima ed un poi: la linea di demarcazione è data solo dal Cristo e non da altro.

Con ciò è confutata la convinzione di una diversità che è data ad Israele dalla Legge mosaica. La Legge mosaica rappresenta certo un di più rispetto alla legge naturale, ma non va oltre essa se non per il fatto che porta più luce riguardo al nostro peccato.  In quanto alla liberazione dal Maligno, il salto di qualità è dato solo dal Cristo e dalla fede nella potenza della sua resurrezione.

Non vi è infatti distinzione: infatti tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione  in Cristo Gesù”.

Israele è forse diventato migliore in virtù della legge di Mosè? semplicemente ha avuto per essa una maggiore consapevolezza di peccato. E questo non è poco, ma solo per chi arriva alla fede in Cristo.

Non vi è infatti distinzione afferma Paolo, per quel che riguarda il peccato. Tutti abbiamo peccato e tutti siamo privi della sua gloria. Nessun uomo è riconosciuto giusto per i meriti propri. Ma niente è perduto, se non una presunzione di giustizia falsa ed ingannevole. In Cristo siamo fatti giusti, anche se non abbiamo nulla da offrire all’infuori della nostra malvagità. Gratuitamente è data la salvezza, in virtù di quella redenzione che Egli ci ha ottenuto versando il suo sangue.

Che Dio pose innanzi come propiziatorio per mezzo della fede nel suo sangue, a dimostrazione della sua giustizia, mediante la tolleranza dei peccati avvenuti in precedenza nella pazienza di Dio, a dimostrazione della sua giustizia nel tempo presente, per essere lui giusto e giustificante colui che è da fede in Gesù.

Nessuno può conoscere e godere della “propiziazione” che è in Cristo Gesù, se non in virtù della fede. Il sangue del Figlio è già stato versato ed è questo l’unico sacrificio accetto al Padre. In virtù di esso si manifesta la giustizia di Dio “in questo tempo”. Nessuno  presuma dei propri sacrifici e della propria giustizia. La salvezza ci viene dall’opera di un altro.  Per essere lui giusto e giustificante. Non ai propri occhi, ma ai nostri, perché rendiamo attuale ed operante nella nostra vita, ciò che Egli ha fatto una volta per sempre. E tutto questo non è possibile se non in virtù della fede in Gesù Cristo.

Cerchiamo dunque dove Paolo avrà trovato il titolo di “propiziatorio” e da dove avrà ripreso tale termine. Mi ricordo che nell’Esodo il Signore, parlando a Mosè e prescrivendogli quello che doveva fare, per prima cosa gli comandò che fosse costruita l’arca e le sue stanghe e gli anelli lungo i suoi lati; dopo ciò disse: “Farai anche un propiziatorio di oro puro, di due cubiti e mezzo di lunghezza e di un cubito e mezzo di larghezza. E farai due cherubini d’oro ben torniti, e li porrai sopra ciascuno dei lati del propiziatorio, un cherubino da un lato e uno dall’altro del propiziatorio; e farai in modo che i due cherubini stiano ai suoi due lati estendendo le loro ali e ricoprendo il propiziatorio: e le loro facce saranno l’una verso l’altra sopra il propiziatorio. E farai i cherubini e porrai il propiziatorio sopra l’arca e in essa metterai le tavole della testimonianza che io ti darò: ed io mi farò conoscere da te lì e ti parlerò dall’alto, da sopra il propiziatorio, tra i due cherubini che stanno sopra l’arca della testimonianza, a proposito di tutto ciò che ti comanderò per i figli d’Israele”. Appare evidente che l’apostolo ha trovato il termine “propiziatorio” – di cui stiamo trattando – in questi passi e l’ ha posto ora nelle sue lettere. E sembra che questo propiziatorio di cui si parla nell’Esodo, egli non l’abbia riferito a nessun altro se non al Salvatore Signore quando dice che Dio lo ha posto “quale propiziatorio mediante la fede …

 “Ora, se tutta la comunità d’Israele avrà peccato per inavvertenza, e la parola si sarà nascosta ai suoi occhi e avrà commesso una cosa che non è permesso compiere secondo i comandamenti del Signore e avrà peccato e le si sarà fatto conoscere il peccato commesso, la comunità offrirà un vitello preso dai buoi in espiazione del peccato” e poco dopo: “E il sacerdote che è consacrato dall’unzione porterà parte del sangue del vitello nel tabernacolo della testimonianza” e poco dopo ancora: “E farà – dice – del vitello come fece di quello offerto per il peccato, e il sacerdote farà l’espiazione per loro e sarà loro perdonato”. Il sacerdote dunque compie l’espiazione a favore di tutta la comunità mediante il sangue, perché sia loro perdonato. Esaminiamo ora ciascuno dei titoli che sono stati scritti del Salvatore e osserviamo con più cura, nelle singole denominazioni, quali siano gli aspetti che vengono indicati. Troverai allora che, poiché davvero piacque che in lui abitasse in modo corporeo tutta la pienezza della divinità, egli stesso è propiziatorio e pontefice e offerta che viene presentata a favore del popolo. E certamente a proposito del propiziatorio è già stato detto abbastanza. Ma anche del pontefice scrive con chiarezza David nel salmo e l’apostolo Paolo agli Ebrei. Cosa sia poi l’offerta lo attesta Giovanni dicendo: “Questi è l’agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”. Pertanto, in quanto è offerta, diventa propiziazione mediante l’effusione del suo sangue per il fatto che dà la remissione delle colpe passate, e tuttavia questa propiziazione raggiunge ciascuno dei credenti attraverso la via della fede. Infatti la propiziazione non potrebbe giudicarsi avvenuta se non desse la remissione delle colpe passate. Quando invece viene concessa la remissione dei peccati, è certo che si è compiuta la propiziazione mediante l’effusione del sacro sangue: infatti “ senza effusione di sangue”, come dice l’apostolo “non vi è remissione dei peccati”. ( Origene)

“Dov’è dunque il vanto? E’ stato escluso. Per mezzo di quale legge? Delle opere?  No! Ma per mezzo di una legge di fede. 28 Riteniamo infatti giustificato per la fede un uomo senza opere di legge.

Nessun uomo può vantare una superiorità sul proprio simile semplicemente per la legge che gli è stata data. Non solo per quanto concerne la legge naturale, ma anche per quel che riguarda la legge mosaica. Se la Legge di Mosè è migliore, non per questo rende migliori.

Semmai la giustizia di Dio si fa presente all’uomo in miglior modo. Potremmo anche scavalcare il problema e trasferirlo dalla legge in sé e per sé alla sua osservanza, per concludere che se non vi è vanto per alcuno nella legge, vi è però vanto per chi la osserva. L’uomo che osserva la Legge di Mosè non è migliore semplicemente per questa  Legge, ma solo per il fatto che la mette in pratica. Invero Paolo ha già dimostrato che chi osserva la legge naturale può arrogarsi il diritto di giudicare l’ebreo che non osserva la  Legge.

E questo può essere inteso in maniera sbagliata, come se la salvezza procedesse semplicemente dall’ubbidienza di una legge, naturale o rivelata che sia. Bisogna andare oltre lo spirito della legge, e questo è detto per tutti gli uomini di ogni tempo e cultura.  Quanto al senso dell’unica e vera giustizia, non può esservi dubbio alcuno: non ci appartiene in proprio, ma ci è donata.

Noi possiamo farla nostra solo in virtù della fede in Cristo. Che Cristo parli alla coscienza di ogni uomo, con qualsiasi legge, ciò è chiaramente significato in Genesi, allorché la coscienza di Adamo non è  rinchiusa nella conoscenza del bene e del male, se non nella misura di una sua scelta, ma ancor prima e anche dopo è prevenuta e seguita dalla voce di Dio. Per entrare nello spirito della salvezza bisogna ben comprendere la necessità di questo passaggio ed ancor più di un salto dall’ascolto della legge, all’ascolto della voce stessa di Dio.

Non giova perdersi in inutili approfondimenti riguardo a questa voce, perché la voce si è fatta carne in Cristo. Ciò che non aveva prima una sua chiarezza nella coscienza del singolo, ora è ben chiara e ben comprensibile nella Parola di Gesù. L’uomo che si affida alla “voce della coscienza”, ben più deve fidarsi della Parola di Gesù. Non sono due realtà distinte, ma il completamento l’una dell’altra. La prima anticipa la seconda, la seconda manifesta, adempie in pienezza ciò che è nascosto e non pienamente realizzato nella prima.

Ma siamo ben oltre lo spirito della legge. A meno che per legge tu intenda semplicemente l’imperativo categorico della voce che si è fatta Parola, il fatto che deve essere ascoltata, pena la morte. In questo caso certo, potremmo parlare ancora una volta di legge, ma di una legge diversa che procede non secondo le categorie delle opere, ma secondo quelle della fede. In questo senso va inteso: “Dov’è dunque il  vanto? E’ escluso. Mediante quale legge? Delle opere? No! Ma per mezzo di una legge di fede.

Se proprio non riesci a pensare in termini diversi da quelli della legge, allora sappi che la salvezza viene da un’unica legge: quella della fede. Una legge non è dichiarata decaduta e superata se non quando è già stata soppiantata da un’altra superiore.

Il linguaggio di Paolo si adegua anche a quello delle teste più dure, nel contempo ribadisce una salvezza che passa unicamente ed esclusivamente attraverso la fede in Cristo.

29O è Dio soltanto di Giudei? Non anche di Gentili? Sì, anche di Gentili 30poiché uno solo è il Dio che giustificherà  circoncisione da fede e  incirconcisione per mezzo della fede.

Non vi è altro Dio all’infuori di quello che si è manifestato ad Israele, ma non è altro dall’unico e solo Dio. Se vi è un solo Dio, vi è anche una sola giustizia, se vi è una sola giustizia vi è una sola giustificazione per tutti: mediante la fede.

Se unica è la fonte della fede, diversi sono i suoi destinatari. Il dono di Dio si cala in situazioni diverse e deve vagliare condizioni diverse. Così la circoncisione della carne praticata dagli ebrei, in osservanza della Legge, trova la sua giustificazione e legittimazione soltanto nella fede ed in virtù della fede.

Nulla vale la circoncisione senza la fede, ma se c’è la fede risulta gradita la circoncisione della carne, in quanto obbedienza allo stesso Dio.

Viceversa l’incirconcisione è giustificata per mezzo della fede, in quanto da essa superata e scavalcata. Il fedele che si è circonciso non ha nulla di che dolersi e di che rimproverarsi: il fedele che non si è circonciso non necessita più di circoncisione. L’immagine cede il posto alla realtà: la realtà supera, ma non rinnega ciò che è sua immagine.

31 Dunque rendiamo inoperante la Legge per mezzo della fede? Non sia! Anzi, confermiamo la legge.

Nessuna ambiguità e contraddizione nell’operare di Dio, se non per l’uomo di dura cervice che non comprende il Suo dono e stravolge i Suoi giudizi. Giusta e santa la legge in ogni sua prescrizione. Non solo la fede non abolisce la legge, ma unica la giustifica e la legittima. Nella fede la legge trova il suo fondamento ed il suo fine.

L’inizio della fede coincide quindi con l’inizio di una vita nuova e di un superamento del peccato, in virtù di Cristo.

Vi sono anche coloro che compiono opere buone pur non essendo ancora pervenuti alla fede. Ora la fede sopraggiunta non vanifica le opere buone compiute prima di essa, ma le giustifica, le legittima, fondandole in Cristo. Non solo: la fede rende perfetti chi già faceva opere buone.

Non è ripudiata quella buona volontà ad operare bene che alla fine si riconosce nella fede in Cristo: semplicemente trova la sua natura fondata, e con ciò la possibilità di una vera crescita. In questo senso si interpreta che mediante la fede noi non aboliamo la legge: non togliamo ad essa il suo valore e la sua importanza, semplicemente la riportiamo a Colui che è suo fondamento.

 

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