Lettera ai Romani cap1

 

                                             Introduzione

“Il fatto che, rispetto alle altre lettere dell’Apostolo Paolo, quella scritta ai Romani sia ritenuta più difficile a capirsi, a me sembra dovuto a due motivi: uno, perché Paolo adopera dei periodi talvolta confusi e poco espliciti; l’altro, perché affronta in essa moltissime questioni e specialmente quelle sulle cui base gli eretici sono soliti sostenere che la causa delle azioni di ciascuno non deve essere attribuita all’intenzione, ma alla diversità di natura; e partendo da poche espressioni di questa lettera tentano di sconvolgere il senso di tutta la Scrittura, che insegna la libertà di arbitrio concessa da Dio all’uomo. Perciò noi, elevando innanzitutto la nostra preghiera a Dio “ che insegna all’uomo la scienza”, che dà “per mezzo dello Spirito la parola di sapienza” e che “illumina ogni uomo che viene in questo mondo”, perché si compiaccia di farci degni di comprendere le parabole e le espressioni oscure e i detti dei sapienti e gli enigmi, arriveremo così finalmente all’esordio del commento alla lettera di Paolo ai Romani, premettendo ciò che gli studiosi sono soliti osservare e cioè che l’apostolo in questa lettera sembra sia stato più perfetto che nelle altre...” ( Origene )

 

Questa breve introduzione di Origene al suo famoso commento ben ci dice la difficoltà che la chiesa incontra da sempre ogni volta che cerca di condurre un’esegesi chiara e sistematica delle parole dell’Apostolo. Molto si è scritto e molto si scriverà al riguardo.

Nell’opera si sono cimentate le menti più belle ed illuminate della chiesa: da Origene, a Tommaso d’Aquino, fino a Lutero e a Barth, per citare i nomi più famosi.

La nostra primitiva intenzione era quella di ripercorrere insieme ad essi la storia di un’esegesi.

La massa enorme del lavoro, ed il conseguente   appesantimento del prodotto finale, ci ha fatto optare per una soluzione più semplice e per una lettura più personale, che non ignorando e nulla scartando di quanto scritto, risulti alla fine di più facile comprensione, alla portata di tutti e non solo degli studiosi. 

La prima grande difficoltà che si incontra nell’esegesi della Lettera è data proprio dalla traduzione. Paolo salta spesso verbi ed articoli, dando molto per scontato e sottinteso… E questo mette subito in “crisi” chi vuol attenersi ad un’interpretazione rigida e fedele del testo. Il linguaggio paolino inoltre fa largo uso del paradosso, costringendo il lettore ad andare oltre per  intendere ciò che è nascosto sotto il velo della forma.

Ancor di più, la ferrea logica di un discorso è continuamente interrotta da un altro, per essere a sua volta ripresa più avanti, e non una sola volta.

Difficile pertanto un commento che non sia per certi aspetti ripetitivo e non si dimostri insistente su certi argomenti, sulla scia tracciata dall’Apostolo stesso.

Quando si gusta un cibo è la sostanza che conta, la forma assai meno. Nessuna paziente attesa e perseveranza nella lettura può esserci in chi non ha fame della Parola di Dio e non sa apprezzarne il sapore.

La forma è assai poco invitante, ma nonostante questo l’ appetito è saziato ed anche il gusto ne esce appagato.

Scriveva Gerolamo “Non si vive di legumi, ma di pane”.  Non c’è altro pane che dia la vita se non quello che è Parola di Dio: in qualsiasi forma, diversamente trattato, salato e digerito, è sempre l’unico e medesimo pane.

A tutti gli amanti del Signore dedichiamo questa breve lettura del testo paolino. Qualcuno potrà trovare in essa elementi di novità e di provocazione.

Non è nel nostro intento creare una nuova teologia, in contrasto con quella cattolica. Siamo partiti dalla tradizione non per creare ed affermare una qualsiasi divisione o diversità, ma per evidenziare l’infinita ricchezza della Parola, il cui significato trascende sempre ed in ogni caso l’intelligenza umana.

Come lo scriba istruito nelle cose del regno dei cieli, di cui parla Gesù, noi abbiamo cercato di attingere cose nuove e cose vecchie, ad edificazione e consolazione di tutti quelli che cercano il Signore come l’unico bene e la perla preziosa, in confronto alla quale tutto il resto è nulla e degno pertanto di essere perduto. La traduzione è tratta dall’edizione San Paolo a cura di Alberto Bigarelli.

 

 

 

                     Lettera ai  Romani

 

                                       Cap. 1   

 

1,1 Paolo servo di Cristo Gesù, chiamato apostolo, separato per il vangelo di Dio,2 che fu preannunziato per mezzo dei suoi profeti nelle Sacre Scritture, 3 riguardo al Figlio suo, nato dalla discendenza di Davide secondo la carne,4 stabilito Figlio di Dio in potenza secondo lo Spirito di santità dalla resurrezione dei morti: Gesù Cristo nostro Signore,5 per mezzo del quale ricevemmo la grazia ed il mandato per portare l’obbedienza della fede fra tutte le genti, per il  suo nome, 6 tra le quali siete anche voi, chiamati di Gesù Cristo,7 a tutti coloro che sono in Roma amati di Dio, chiamati santi, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

8 Anzitutto quindi rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo per tutti voi, poiché la vostra fede è annunciata nel mondo intero. 9 Infatti mi è testimone Dio, al quale servo nel mio spirito nel vangelo del Figlio suo, 10 come incessantemente faccio ricordo di voi sempre nelle mie preghiere, pregando se forse ora finalmente riuscirò nella volontà di Dio a venire presso di voi.11 Desidero infatti vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché voi siate fortificati.12 Questo poi è per essere consolato insieme con voi per mezzo della fede degli uni e degli altri, di voi e di me.13 Ora non voglio che voi ignoriate o fratelli che molte volte mi proposi di venire da voi e fui impedito fino a qui, affinché qualche frutto abbia anche tra voi come anche tra i restanti gentili.

14 Ai Greci e ai barbari, ai sapienti e agli stolti sono debitore,15  c’è così da parte mia la prontezza ad annunciare il vangelo anche a voi che siete in Roma.

16 Non mi vergogno infatti del vangelo. Infatti è potenza di Dio per la salvezza per ogni credente, per il Giudeo prima e per il Greco. 17 La giustizia di Dio infatti in questo viene rivelata: da fede a fede, come è scritto: Ora il giusto vivrà di fede.

18 Si rivela infatti l’ira di Dio dal cielo su ogni empietà ed ingiustizia degli uomini che trattengono la verità nell’ ingiustizia, 19 perché il conoscibile di Dio è manifesto tra loro. Dio infatti ad essi si è manifestato.

20 Infatti le cose invisibili di lui dalla creazione del mondo per mezzo delle opere essendo percepite sono osservate: la sua eterna potenza e divinità, così da essere essi inescusabili, 21 poiché conoscendo Dio non come Dio resero gloria o resero grazie, ma diventarono vuoti nei loro ragionamenti e fu oscurato il loro cuore insensato. 22 Ritenendo di essere sapienti divennero stolti e 23 cambiarono la gloria dell’incorruttibile Dio in immagine ad effigie corruttibile di uomo e di volatili e di quadrupedi e di rettili.

24 Perciò Dio li consegnò nelle brame dei loro cuori all’impudicizia così da disonorare i loro corpi fra loro: 25 essi che cambiarono la verità di Dio in menzogna ed adorarono e servirono la creatura anziché il creatore, il quale è benedetto nei secoli. 26 Per questo Dio li consegnò a una passione di vergogna, infatti le loro femmine cambiarono l’uso naturale in quello contro natura, 27 similmente anche i maschi avendo lasciato l’uso naturale della femmina si accesero nella loro brama gli uni verso gli altri, maschi con maschi operando turpitudine e ricevendo in se stessi il salario che conveniva del loro traviamento

28 E poiché non stimarono di avere conoscenza di Dio, Dio li consegnò ad una mente riprovevole per fare le cose non convenienti, 29 ripieni di ogni ingiustizia, perversità, avidità, cattiveria, pieni di invidia, di omicidio, di contesa, d’inganno, di malignità, di mormorazione, 30 calunniatori, odiatori di Dio, insolenti, tracotanti, smargiassi, inventori di mali, disobbedienti ai genitori, 31 ottusi, perfidi, insensibili, senza pietà, 32 che, conoscendo il decreto di Dio, che sono degni di morte coloro che fanno tali cose, non solo fanno queste cose, ma anche approvano quelli che le fanno.

 

1,1 Paolo servo di Cristo Gesù, chiamato apostolo, separato per il vangelo di Dio,

Nessuno si fa portatore di un messaggio altrui senza prima presentarsi. Giova dire innanzitutto il proprio nome, in quale rapporto siamo con colui che ci manda e quale ministero svolgiamo per lui, per concludere nella proclamazione e nell’esaltazione della Sua bontà, per la grazia e la pace che riversa nei nostri cuori.

Paolo è dunque colui che scrive, servo la sua dignità ed il suo stato, Cristo il suo Signore.

Nessun servo parla ed opera per se stesso, ma solo per compiacere al suo padrone. Ogni servo di Dio è consapevole della dignità del proprio stato, ma anche di ogni obbligo che porta con sé.

E questo soprattutto quando non si nasce servi di Dio, ma tali si diventa dopo essere stati affrancati dal Maligno. Non c’è padrone che non abbia un disegno ed un progetto su coloro che Egli si è acquistato, ed è vero servo colui che in tutto si fa conforme alle aspettative del suo Signore.

Il primo problema che dobbiamo risolvere è proprio in questo appellativo di servo di Cristo Gesù che Paolo dà a se stesso. Altra è la dignità di un servo, altra quella di un amico, altra ancora quella di un figlio. Dove è mai la nostra adozione a figli di Dio, se ancora siamo considerati servi?

E perché mai Gesù ha detto ai suoi discepoli: “Non vi ho chiamato servi, ma amici?” L’adempimento della salvezza è forse un di meno  rispetto alla promessa? O  si è accorciato il  braccio del Signore? Niente di tutto questo! Paolo esordisce in maniera paradossale e provocatoria, premettendo da subito il motivo conduttore del suo discorso. Non c’è vera adozione a figlio, se non per colui che si riconosce servo di Cristo. E non si diventa servi di Cristo, se non in quanto da Lui riscattati dalla schiavitù del Satana.

Altro è essere figlio di diritto, altro è essere figlio per una grazia ricevuta. Per farci suoi Cristo ha dovuto pagare con la sua vita il prezzo del riscatto.

Ma tutto questo è per noi  soltanto nella consapevolezza che servi inutili siamo e che nulla è a noi dovuto, ma tutto è donato. “ Chi si umilia sarà esaltato, e chi si esalta sarà umiliato”. Quanto più si è vicini a Dio, tanto più bisogna stare sottomessi, per non cadere nell’illusione di una bontà e di una libertà che non ci appartengono in proprio, ma sono semplicemente date e create in noi dal Signore.

chiamato apostolo...

Non c’è chiamata che non venga da un altro e non c’è vera sequela se non quella che è conforme alla chiamata. Se la parola servo indica lo stato e la dignità di Paolo, con apostolo si dice la sua vocazione. Ogni servo ha una sua chiamata,  così come è deciso dal suo Signore.

separato per il vangelo di Dio

Tutti coloro che servono l’unico Signore hanno pari dignità e pari condizione, ma sono destinati ad un servizio diverso. Così nella sua famiglia, che è la chiesa, Dio deve fare separazioni e divisioni di ruoli: ogni ruolo è accompagnato da un carisma e da una particolare benedizione. In virtù di questo, Paolo è stato trovato nel novero degli apostoli; segregato per il vangelo, cioè messo da parte, liberato da ogni altro ufficio, perché abbondi sulla sua bocca la parola della sapienza divina, in essa istruito ed in essa illuminato. E tutto questo viene da Dio e non dall’uomo.

Non è vero apostolo se non colui che è mandato da un altro e non è dovuto l’ascolto se non a colui che è mandato da Dio.

2 che fu preannunziato per mezzo dei suoi profeti nelle Sacre Scritture

Dopo essersi presentato come servo di Cristo e apostolo del suo vangelo, Paolo spende due parole su questo vangelo. Perché non si pensi a chissà quale novità,  al di fuori della tradizione e di ciò che Dio ha fatto di sé conoscere.

E’ giustificata la diffidenza per un annuncio che presuma di ogni novità, senza offrire alcuna garanzia di verità. Nessuna novità per la vita eterna può essere annunciata in tutta chiarezza, senza un qualche preavviso e senza che i cuori siano stati preparati. Presentando il suo vangelo, Paolo vuol prevenire ogni lecito dubbio. Non è un colpo di testa dell’ultima ora, ma semplicemente la manifestazione piena e definitiva di quanto già promesso da Dio, per mezzo dei suoi profeti nelle Scritture sante.

E’ liberato dal confronto chi non crede alle Scritture: Paolo non vuole con lui contendere. E’ messo al corrente della novità chi vive della parola di Dio, perché si è adempiuta ogni promessa.

3 riguardo al Figlio suo, nato dalla discendenza di Davide secondo la carne

Il Figlio di Dio, per quel che riguarda la sua natura umana, è stato fatto dal seme di Davide. E’ generato nel tempo colui che prima non esisteva, se non nel progetto eterno di Dio. Ma in quanto alla sua natura divina, il Figlio da sempre è presso il Padre. Non c’è ragione che non abbia in sé la propria parola e non c’è Logos eterno se non nell’eterna generazione del Figlio da parte del Padre.

4 stabilito Figlio di Dio in potenza secondo lo Spirito di santità dalla resurrezione dei morti: Gesù Cristo nostro Signore,

 Gesù  è stabilito Figlio di Dio in potenza dall’eternità, ma per il Padre e per il Suo Spirito; per noi, solo dalla resurrezione dei morti. Soltanto dopo di essa ed in virtù di essa noi possiamo conoscere quale potere o potenza sia in Cristo Gesù,  non solo di risorgere dai morti, ma di far risorgere noi stessi dalla morte. Forse Paolo vuol escludere un qualche potere del Figlio sull’uomo, prima della Sua venuta in Israele? Niente affatto! Perché il Padre tutto ha messo nelle mani del Figlio. Ma non sempre chi ha potere lo manifesta in ogni tempo in tutta la sua pienezza. Quale potenza più grande di Colui che è resuscitato dai morti, secondo lo Spirito di santità? E quale manifestazione più grande di questa potenza se non in coloro che egli conduce dalla morte alla vita?

“ Nella risurrezione il nuovo mondo dello Spirito Santo viene in contatto col vecchio mondo della carne… Nella misura in cui Gesù si rivela e viene scoperto come il Messia, egli è già prima del giorno di Pasqua “insediato come Figliuolo di Dio” così come lo è dopo il giorno di Pasqua. Il significato di Gesù è appunto questo: insediare il Figliuolo dell’uomo come Figlio di Dio… In quanto egli era egli è; ma in quanto egli è, quello che egli era appare trascorso. Nessun connubio, nessuna confusione tra Dio e l’uomo, nessuna ascesa dell’uomo nel divino e nessuna infusione di Dio nella essenza umana, si compiono qui, ma quello che in Gesù Cristo tocca l’uomo, in quanto non lo tocca, è il Regno di Dio, creatore e redentore. Esso è diventato attuale. Esso si è avvicinato a noi. Questo Gesù Cristo è il “nostro Signore”. Per mezzo della sua presenza nel mondo e nella nostra vita, noi siamo negati come uomini e fondati in Dio, guardando a lui siamo fermati e posti in movimento, come coloro che aspettano e si affrettano. Egli sta, come il Signore, al disopra di Paolo e dei Romani: perciò Dio, nella lettera ai Romani, non è una vana parola. ( Barth )

5 per mezzo del quale ricevemmo la grazia ed il mandato per portare l’obbedienza della fede fra tutte le genti, per il suo nome, 6 tra le quali siete anche voi, chiamati di Gesù Cristo,7 a tutti coloro che sono in Roma amati da Dio, chiamati santi, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

Non c’è vera grazia se non quella del Figlio e nessun mandato ha valore se non quello che viene da Cristo. Se la grazia passa attraverso la morte di Gesù, il mandato passa attraverso la Sua grazia. Nessuno può chiamarsi apostolo se non in quanto mandato da Dio. E non  è mandato se non colui che è stato graziato, per l’ obbedienza della fede.. Si è graziati non per una qualsiasi obbedienza, ma soltanto per quella che viene dalla fede, e si è mandati per riportare tutti all’unica fede… per il suo nome, perché in nessun altro nome vi è salvezza. 

“Da Gesù Cristo, la grazia e l’apostolato” di Paolo. Grazia è il fatto inconcepibile che Dio si compiace in un uomo, e che un uomo può rallegrarsi in Dio. Soltanto quando è riconosciuta come inconcepibile, la grazia è grazia. Appunto perciò vi è grazia soltanto nel riflesso della risurrezione, come dono di Cristo, che copre la distanza tra Dio e l’uomo, nell’atto stesso che l’allarga. Ma non appena Dio conosce l’uomo da lontano ed è conosciuto dall’uomo nella sua inscrutabile altezza, l’uomo viene a trovarsi inevitabilmente, verso i suoi compagni in umanità, nei rapporti di un “messaggero”. “Sono costretto. Guai a me se non annunciassi la buona novella.” ( 1 Cor. 9,16) La differenza tra Paolo e gli altri cristiani può essere soltanto di un più e di un meno. Ovunque è la grazia di Cristo, l’uomo partecipa, sia pure con la più grande ritrosia e scepsi, all’annuncio della svolta dei tempi e di tutte le cose e della risurrezione…

In quanto sono chiamati alla santità, non appartengono a se stessi né al vecchio mondo che passa, ma a colui che li ha chiamati. Anche per essi il Figliuolo dell’uomo è insediato come Figlio di Dio, mediante la potenza della risurrezione. Anch’essi sono, qui ed ora, prigionieri della conoscenza della grande miseria e della grande speranza, anch’essi sono, a modo loro, prescelti ed isolati per Dio… Anch’essi partono dalla nuova premessa “grazia e pace da Dio nostro Padre e dal Signore Gesù Cristo”. Possa questa premessa accadere sempre di nuovo! Possa la loro pace essere il loro turbamento ed il loro turbamento essere la loro pace! Questo è il principio e la fine e il contenuto della lettera ai Roman”i. ( Barth )

…tra le quali siete anche voi, chiamati di Gesù Cristo, 7 a tutti coloro che sono in Roma amati di Dio, chiamati santi, grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

Qualcuno si è dimenticato della sua chiamata? Forte è il richiamo di Paolo. Non invano siamo detti cristiani… perché fatti oggetto dell’amore di Cristo, che nessuno trascura e nessuno abbandona.

chiamati di Gesù Cristo. Non c’è sposa che non porti il nome dello sposo. E non è sposato se non colui che è separato da tutti gli altri per un diverso rapporto d’amore. chiamati santi Non si è detti di Gesù Cristo se non in quanto si è chiamati ad una separazione e ad una diversità da tutti coloro che di Cristo non sono. Per uno sposo santo ci deve essere una sposa santa. Voglia il cielo che non sia una semplice parola…., ma grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.

L’unico vero sposo porta con sé “ogni ben di Dio”, perché la nostra gioia sia piena ed il nostro cuore dimori nella sua pace.

Quale introduzione più bella e più illuminata per una lettera ai fratelli ? Ci dia consolazione la consapevolezza di esseri amati da Dio, ci colmi di grazia il matrimonio con il suo Figlio, ci dia eterna pace la comunione con Il Padre ed il Figlio nel loro Spirito.

8Anzitutto quindi rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo per tutti voi, poiché la vostra fede è annunciata nel mondo intero.

La gioia più grande per un apostolo è sapere che l’annuncio ha dato i suoi frutti e che l’eco della fede arriva lontano e passa di bocca in bocca, fino ai confini del mondo. E di questo si deve rendere grazie a Dio, che per mezzo di Gesù Cristo si è reso manifesto ai molti. L’annuncio del Vangelo non ha bisogno di pianificazione alcuna; passa attraverso la bocca di pochi, ma arriva alle orecchie di tutti. Tanto grande è lo stupore che la fede in Cristo porta con sé. Ed è singolare un rapporto d’amore vissuto in maniera esclusiva con il proprio Dio, che al contempo cerchi e si rallegri per una dilatazione ed un allargamento all’infinito del suo cerchio. L’amore umano è esclusivo soltanto perché esclude chi non è nel novero dei due, l’amore di Dio è esclusivo soltanto perché inclusivo di tutta l’umanità. Non solo ama il Signore al di sopra di tutto e di tutti, ma al contempo tutti vuol rendere compartecipi del proprio Bene. Tanto è grande l’amore del Signore che ce n’è per ogni uomo ed ogni uomo invita al banchetto nuziale. I beni e le ricchezze terrene conoscono un limite ed una fine:  bisogna custodirli gelosamente e tenerli nascosti perché altri non ne abbiano parte. I beni del cielo non hanno misura e non hanno termine: arricchiscono  tutti  e creano un vincolo che è per la vita eterna.

“La risurrezione ha dimostrato la sua potenza: anche in Roma vi sono dei cristiani. Essi non lo sono diventati per opera di Paolo. Ma chiunque sia colui che ha portato loro la chiamata di Cristo, essi sono chiamati. Motivo sufficiente per ringraziare: la pietra è stata tolta dal porta del Sepolcro, la Parola circola, Gesù vive, egli è anche nella capitale del mondo… Non è per la pietà religiosa dei cristiani romani, o per altre doti umanamente evidenti che Paolo ringrazia il suo Dio, ma semplicemente per il loro esserci come cristiani. Le qualità particolari, o le azioni singolari sono meno importanti del fatto che la bandiera è piantata, il nome del Signore è pronunciato e confessato, il Regno di Dio è atteso ed annunciato. In ciò consiste la fede, la fedeltà dell’uomo che ricambia la fedeltà di Dio. Dove questo fatto si verifica, la crisi iniziata dalla risurrezione di Gesù è in corso: qui si rivela ch’egli è insediato come figlio di Dio; qui il servo del Signore ha motivo di ringraziare. E poiché le porte, in Roma, sono aperte al Signore, sono aperte anche a lui, al servo. ( Barth )

Da Origene “Ma neppure l’espressione “al mio Dio” deve essere interpretata con trascuratezza. Infatti tale espressione non può essere pronunciata se non da santi, di cui egli è detto Dio, come è detto Dio di Abrahamo, di Isacco e di Giacobbe … ( Origene )

9 Infatti mi è testimone Dio, al quale servo nel mio spirito nel vangelo del Figlio suo, 10 come incessantemente faccio ricordo di voi sempre nelle mie preghiere, pregando se forse ora finalmente riuscirò nella volontà di Dio a venire presso di voi.11 Desidero infatti vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché voi siate fortificati.12 Questo poi è per essere consolato insieme con voi per mezzo della fede degli uni e degli altri, di voi e di me.13 Ora non voglio che voi ignoriate o fratelli che molte volte mi proposi di venire da voi e fui impedito fino a qui, affinché qualche frutto abbia anche tra voi come anche tra i restanti gentili

Chi ha sempre il Signore nel cuore, nel cuore ha sempre i fratelli di fede. Rende lode incessantemente a Dio, ma nel contempo lo supplica per i bisogni propri ed altrui. Ogni amore terreno ha i suoi testimoni, l’amore di Dio è pago della sola testimonianza dello Spirito Santo. Nulla importa se gli uomini non vedono nel nostro cuore: un altro testimonia in noi, per noi: lo Spirito di verità che ci è dato in Cristo Gesù. Basta a Paolo la testimonianza del Signore per sentirsi accreditato presso i fratelli che sono in Roma. L’Apostolo da tempo desidera vederli, per comunicare loro qualche dono spirituale. E’ qualcosa di diverso e molto di più del bisogno umano di parola: è la sovrabbondante grazia dell’amore divino che ci spinge ogni giorno a cercare il volto dei fratelli, dopo che nel Figlio abbiamo visto il volto del Padre. Perché la fede dell’uno è fortificata dalla presenza dell’altro. Altro è la parola che ci arriva da lontano, altro è la parola viva che è da noi udita allorché esce dalla bocca del fratello.  Grande è in Paolo il desiderio di fare visita alla comunità che è in Roma, ma tutto questo deve essere vagliato dal Signore, per essere trovato conforme alla sua volontà. Anche il sentimento più puro e più santo va rimesso nelle mani del Signore. Le scelte affrettate e precipitose non vengono mai da Dio, anche se appaiono buone e sante. Ora, finalmente, sembra che sia volontà di Dio che Paolo incontri i fratelli di Roma. Altre volte ed in altri tempi questo proposito non è stato approvato dal Signore e ha trovato un impedimento da parte Sua. Non per questo l’Apostolo si è scoraggiato, ma ha accettato serenamente la volontà di Dio, ben sapendo che una propria iniziativa non avrebbe portato frutti. E’ benedetto e dà frutto soltanto ciò che è volontà del Signore; piaccia o non piaccia al nostro cuore. E chi non si lascia prendere dai sentimenti forti e non vorrebbe in qualche modo appagarli? Non c’è fuoco purificatore che non passi attraverso il tempo della paziente attesa e della consapevole rinuncia a tutto quello che ci è più caro. Nessuno si scoraggi: Se il Signore ci proibisce oggi gli affetti più buoni ed innocenti è soltanto perché vuol ridarceli più grandi e più puri. Dopo la consolazione dello Spirito Santo avremo anche la consolazione dei fratelli.

“Coloro che si conoscono in Dio, si capisce che desiderino conoscersi anche di persona, se è concesso. Ma sarà concesso? E’ necessario che lo sia? Per nulla affatto: questo desiderio non ha nulla a che fare col Regno di Dio. La volontà di Dio deve compiersi prima di ogni cosa; forse in seguito, vi si potrà aggiungere l’adempimento dei desideri umani, forse anche no . Ciò che deve avvenire, in connessione con quello che Dio vuole, avverrà… Quel desiderio ha un buon fondamento. Gli uomini che si incontrano sulla via di Dio, hanno qualche cosa da comunicarsi a vicenda. L’uno può essere qualcosa per l’altro, non certo in quanto vuole essere qualcosa per lui, non dunque per una sua ricchezza interiore, non per quello che egli è, ma per quello che egli non è, per la sua povertà, per il suo gemere e sperare, per il suo attendere e tendere, per tutto quello che nel suo essere rinvia a qualcosa di diverso, che è oltre il suo orizzonte e oltre la sua forza... Lo Spirito dà grazia per mezzo di lui, appunto, appunto perché non tiene a farsi valere positivamente. E in questo, colui che comunica, riceve, e riceve quanto più comunica, e colui che riceve, comunica quanto più riceve... Il desiderio di bussare così insieme, alle porte del Regno dei cieli, di essere così mossi insieme dallo Spirito, può ben sorgere in noi; mentre è certo che la compagnia in sé è qualcosa di vuoto e insignificante… ( Barth )

“Vediamo poi cosa significa l’espressione: “A cui servo nel mio spirito”. “Servire nello spirito” mi sembra che sia simile - anzi indichi qualcosa in più – ad “adorare nello spirito”, come anche il Signore stesso diceva alla donna samaritana: “Viene l’ora, ed è adesso, quando i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”. Paolo però non solo adora in spirito, ma anche serve fedelmente nello spirito. Infatti uno può adorare anche senza affetto; invece il servire con fedeltà è proprio di colui che è vincolato dall’affetto. Dunque l’apostolo serve fedelmente a Dio, non nel corpo e neppure nell’anima, ma nella parte migliore di se stesso, cioè nello spirito. Infatti, scrivendo ai Tessalonicesi, egli indica  come nell’uomo vi siano queste tre componenti quando dice: “Affinché si conservi integro il vostro corpo e l’anima e lo spirito nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo”. E Daniele dice: “Lodate il Signore o spiriti ed anime dei giusti”. Pertanto l’apostolo dà la preferenza dovunque allo spirito e ripudia la carne o ciò che è della carne. Anzi, anche della legge stessa loda lo spirito, mentre disprezza la lettera come carne quando dice: ”La lettera uccide, lo spirito invece vivifica”… La Legge è spirituale; chi dunque comprende che la legge è spirituale, questi serve a Dio con lo spirito: Onde anche altrove dice: “Se infatti vivrete secondo la carne, morirete”, se vivrete cioè secondo la lettera che uccide; “Se invece mortificherete con lo spirito le azioni della carne, vivrete”. Bisogna certo ricercare se anche degli antichi padri, patriarchi o profeti, i quali essi pure furono perfetti, si debba ritenere che abbiano servito a Dio nello spirito, dal momento che anche “Abrahamo desiderò vedere il giorno del Signore e lo vide e ne fu lieto”, e “Mosè ed Elia apparvero nella gloria “parlando insieme con Gesù sul monte. In ciò si dimostra che la legge e i profeti concordano con i vangeli e rifulgono nella medesima gloria propria della visione e comprensione spirituale”. ( Origene )

14 Ai Greci e ai barbari, ai sapienti e agli stolti sono debitore,15  c’è così da parte mia la prontezza ad annunciare il vangelo anche a voi che siete in Roma.

Chi ha ricevuto doni da distribuire agli uomini si sente in debito non soltanto verso Colui che glieli ha dati, ma anche verso coloro a cui deve darli. Paolo dopo aver reso grazie al Signore, tutti vuol far

compartecipi del Vangelo che gli è stato rivelato. A cominciare da coloro che ne hanno più bisogno, da quelli che hanno il nome di Greci e di sapienti, per concludere con coloro che sono considerati barbari e stolti. Non c’è uomo più insipiente di quello che si considera sapiente. A lui si deve innanzitutto la parola di verità, perché abbandoni ogni inganno ed ogni illusione. Per costruire un nuovo edificio, bisogna prima abbattere il vecchio e, certamente, quanto più grande e solida è la vecchia costruzione, tanto più difficile e problematica ne è la demolizione. E’ più facile costruire su di un terreno povero, ma vergine. Il cuore dei barbari e degli stolti è privo di quelle sovrastrutture che ostacolano l’opera della fede. La loro salvezza non ha quell’urgenza che è richiesta per una mente ben costruita e ben strutturata. Ai Giudei e ai Greci innanzitutto è dovuto l’annuncio del Vangelo, non in quanto i migliori degli uomini, ma i peggiori agli occhi di Dio, in quanto presuntuosi di una diversità e di una sapienza che operano in proprio e non attingono al  Creatore. Se ci può essere qualche preferenza agli occhi del Signore, nessuna preferenza da parte dell’apostolo, semplicemente l’urgenza di un messaggio per coloro che per ragioni diverse si credono i primi.

16 Non mi vergogno infatti del vangelo. Infatti è potenza di Dio per la salvezza per ogni credente, per il Giudeo prima e per il Greco. 17 La giustizia di Dio infatti in questo viene rivelata: da fede a fede, come è scritto: Ora il giusto vivrà di fede.

Si prova vergogna davanti agli uomini per ciò che non è gradito ai loro occhi e alla loro intelligenza. Qualsiasi novità di vita è accolta con una certa diffidenza ed ostilità. Il mondo è pieno di ciarlatani che hanno la bocca piena di lusinghe e di promesse e anche l’apostolo di Cristo può passare per uno dei tanti. Quando poi entra in ballo la religione… c’è veramente di tutto e molti provano fastidio e ripulsa per le stravaganze e le assurdità che vengono sfornate in continuazione. Se il rapporto con gli uomini non è certo incoraggiante, l’apostolo trova l’ardire dell’annuncio  in una retta coscienza che è approvata e confermata dal Signore.  Dagli uomini può venirci la vergogna, da Dio sicuramente ci viene ogni gloria. Tanto basta perché Paolo annunci il Vangelo a tutti,  non solo ai fratelli ebrei, ma anche ai pagani che sono in Roma. Non ci può essere annuncio della salvezza se non da parte di chi si sente un salvato e soltanto per chi desidera essere salvato. Cerchi la salvezza da una vita che è morte? Hai capito che  non puoi farcela da solo senza l’aiuto di Dio? Eccoti il suo Vangelo! Se tu non puoi salire in cielo per prendere consigli…  il cielo è disceso in terra, per dirti tutto quello che devi sapere e per farti conoscere tutto ciò che si deve conoscere. Se non sei nel novero di quelli che credono nella salvezza, non c’è nulla che possa interessarti e che tu possa comprendere. L’annuncio del Vangelo non viene fatto in maniera indiscriminata a tutti gli uomini, ma soltanto a tutti coloro che cercano e vogliono la vita eterna. Non c’è spazio per gli scettici e per i cuori tiepidi. Bisogna crederci e non si crede se non in quello che si desidera fortemente. La via della salvezza è innanzitutto la via della potenza. A nulla giova conoscere un cammino di salvezza se nessuno garantisce che si possa percorrere. Con poche parole Paolo ha già presentato il suo vangelo. Non è un semplice annuncio di salvezza per coloro che la cercano, ma è l’annuncio di una salvezza che è resa possibile… non dall’uomo, ma da Dio stesso. Certo le vie della potenza divina possono essere altre: vi è anche la voce della coscienza.  Nel Vangelo non vi è qualcos’altro, ma qualcosa di più. La Parola si è fatta carne ed è venuta ad abitare in mezzo a noi. Nella coscienza dell’uomo non ogni parola è voce di Dio, nel Vangelo di Cristo non c’è parola che non sia voce del Signore. E tu vorresti continuare a percorrere le vie della tua coscienza?  Se la via della salvezza è semplicemente data ad ogni uomo e non da esso costruita, nessuno può scegliere quella che più gli aggrada. Si deve cogliere ogni pienezza del proprio tempo e la pienezza dei tempi. Ma non c’è pienezza che vada oltre il Vangelo. Riflettano coloro che credono in un sincretismo religioso e mettono tutte le fedi sullo stesso piano. La salvezza non è da noi costruita, ma semplicemente a noi offerta. Chi è interessato ad un’offerta deve prenderla al volo, quando viene fatta e così come viene fatta. Si contratta e si discute su ciò che ha un prezzo, non su ciò che viene dato gratuitamente. Tante domande e tanti processi a Dio ed alle sue vie vengono dal Maligno e dalla volontà di non salvezza.

“L’Evangelo non ha bisogno di cercare né di fuggire il conflitto delle religioni e delle visioni del mondo…Esso non è una verità accanto ad altre verità, esso pone in questione tutte le verità. Esso è il cardine, non la porta. Chi lo comprende in quanto impegnato nella lotta per il tutto, per l’esistenza, è liberato da ogni lotta. Non vi è apologetica, non vi è preoccupazione per la vittoria dell’Evangelo. In quanto è la negazione e la fondazione di ogni dato, esso è la vittoria che piega il mondo. Esso non ha bisogno di essere patrocinato e sostenuto, anzi, difende e sostiene coloro che lo ascoltano e lo annunciano.

L’Evangelo della risurrezione è “potenza di Dio”. Esso è la sua “virtus” ( Volgata ), la rivelazione e la conoscenza della sua importanza, la dimostrazione della sua eccellenza sopra tutti gli dei. Esso è l’azione, il miracolo dei miracoli, in cui Dio si dà a conoscere come quello che è, cioè come il Dio sconosciuto che abita in una luce inaccessibile, il Santo, il Creatore, il Redentore. “Quello che voi avete adorato senza conoscerlo, io ve l’annuncio!” ( Atti 17,23 ).

Tutte le divinità che rimangono al di qua della linea segnata dalla risurrezione, che abitano in templi fatti d’opera di mano, e che sono serviti da mani d’uomini, tutte le divinità che hanno “bisogno di qualcuno” cioè dell’uomo che pensa di conoscerle ( Atti 17:24-25), non sono Dio. Dio è il Dio sconosciuto…

Pura ed eccelsa sta la forza di Dio, non accanto e non “sopranaturalmente” sopra, ma al di là di tutte le forze condizionate- condizionanti, né deve essere scambiata con esse né messa in linea con esse, né senza estrema cautela può essere confrontata con esse…

Se tutto quello che è cristiano non venisse riferito all’Evangelo, non sarebbe altro che un prodotto secondario umano, un pericoloso residuo religioso, un deplorevole equivoco…

Se mirasse a questo, se ponesse al posto di Cristo il cristianesimo, se pervenisse a un trattato di pace o anche solo ad un modus vivendi con la realtà del mondo in sé rivolgentesi al di qua della linea della risurrezione, non avrebbe più niente da fare con la potenza di Dio. Il cosiddetto Evangelo, in questo caso non sarebbe fuori concorso, ma sarebbe gravemente impegnato nella ressa delle religioni del mondo e delle visioni del mondo. Poiché nel soddisfare i bisogni religiosi, nel produrre efficaci illusioni sulla nostra conoscenza di Dio e particolarmente sulla nostra vita con lui, il mondo se ne intende certo meglio di un cristianesimo che si fraintende..

La presunzione religiosa deve sparire, se deve subentrare ad essa la conoscenza che viene da Dio. Quando circolano monete false, anche le buone sono sospette. L’Evangelo offre la possibilità di questa conoscenza ultima. Ma perché divenga realtà, essa deve mettere fuori corso tutte le concezioni penultime. L’Evangelo parla di Dio come è, esso intende Lui stesso, Lui solo. Esso parla del Creatore che diventa il nostro Salvatore e del Salvatore che è il nostro Creatore. Esso tende a rinnovarci in tutto e per tutto. Esso ci annuncia la trasformazione della nostra creaturalità in libertà, la remissione dei nostri peccati, la vittoria della vita sulla morte, il rinvenimento di tutto ciò che è perduto. Esso è il grido di allarme, il segnale d’incendio di un mondo nuovo che viene…

Il prigioniero diventa una sentinella, che confinata al suo posto, come quello nella sua cella, attende il grigiore dell’alba. “Qui me ne sto in vedetta, e salgo sulla torre a scrutare, affinché io venga a sapere quello che egli mi dirà, e quello che risponderà al mio lamento. Allora il Signore mi rispose e disse: Scrivi la rivelazione e incidila sopra una tavola, affinché la si possa leggere chiaramente”. La rivelazione aspetta ancora il suo tempo, ma s’affretta verso la fine, e non ingannerà: Se tarda, aspettala, perché per certo verrà e non mancherà” ( Habacuc 2:1-3). L’Evangelo richiede “fede”. Soltanto per colui che crede, esso è “potenza di Dio per la salvezza”. La sua verità non si comunica dunque né si discerne direttamente. Cristo è stabilito figliuolo di Dio (1:4) “secondo lo Spirito”. Lo spirito è la negazione della diretta immediatezza. Se Cristo è vero Dio, deve essere nell’inconoscibile. La conoscibilità diretta è la caratteristica degli idoli” ( Kierkegaard )…

L’Evangelo non si spiega né si raccomanda, non domanda il permesso e non entra in trattative, non minaccia e non promette. Esso non si concede dove non trova ascolta per se stesso. “La fede si rivolge alle cose invisibili. Affinché vi sia occasione per la fede, tutto ciò che deve essere creduto deve essere nascosto. Ma è nascosto nel modo più profondo, quando è proprio opposto all’apparenza, ai sensi e all’esperienza. Quando dunque Dio vivifica, lo fa uccidendo; quando giustifica, lo fa rendendoci colpevoli; quando ci conduce in cielo, lo fa trascinandoci nell’inferno” ( Lutero ). L’Evangelo è soltanto credibile, esso può soltanto essere creduto. La sua serietà consiste in questo, che si offre come una alternativa: per colui che non è capace di sopportare la contraddizione e di attendere nella contraddizione, è motivo di scandalo; per colui che sa di non poter evitare la contraddizione, è oggetto di fede. La fede è questo: il rispetto dell’incognito divino, l’amore di Dio nella coscienza della differenza qualitativa tra Dio e l’Uomo, Dio e il mondo, l’affermazione della resurrezione come rovesciamento del mondo…

Ma questa scoperta è, in tutto e in ogni attimo, pura scelta tra lo scandalo e la fede. E quando si viene alla fede, il calore del sentimento, la forza della convinzione, l’elevatezza dei principi e della morale, sono sempre soltanto segni concomitanti dell’avvenimento vero e proprio, appartenenti all’al di qua, e perciò in sé privi di importanza…. Appunto per questo la fede non è mai identica con la pietà religiosa, fosse anche la più pura e la più delicata. E se anche la pietà è in qualche misura un indizio della presenza della fede, lo è in quanto è la negazione di altre positività mondane e anzitutto di se stessa. La fede vive di se stessa perché vive di Dio. Questo è il “Centrum Paulinum” ( Bengel )…

Ognuno deve credere e può credere. Nei riguardi dell’Evangelo “il Giudeo come il Greco” ha un diritto di voto. Esso pone in questione l’esserci e l’esserci così del mondo, e perciò si rivolge direttamente ad ogni uomo…. Anche se il “Giudeo”, l’uomo religioso, l’uomo di Chiesa è chiamato “prima” al voto, perché egli, per così dire sta di casa in quel margine del nostro mondo, ove la linea di intersezione del piano di nuova dimensione ( 1:4 ) dovrebbe propriamente essere veduta, questo vantaggio iniziale non costituisce un privilegio. La domanda: “Religioso o non religioso?” non è più essenzialmente un problema, per non parlare dell’altra: Ecclesiastico o mondano?” La possibilità di udire l’Evangelo è universale come la responsabilità del fatto che venga udito, e come la promessa data a coloro che lo odono. Poiché quello che in esso si svela è il grande, universale mistero della “giustizia di Dio” gravante su ogni uomo di qualsiasi statura morale. La conformità di Dio con se stesso, estremamente problematica nel mondo intero, tra i Giudei e tra i Greci, viene in luce e si rivela gloriosa in Cristo…

Ma in Cristo parla Dio, come è, e convince di menzogna il non-Dio di questo mondo. Egli afferma se stesso, in quanto nega noi come siamo e il mondo com’è. Egli si fa conoscere come Dio, al di là della nostra decezione, al di là del tempo, delle cose e degli uomini, come il liberatore dei prigionieri, e appunto per questo come il significato di tutto quello che esiste, come il Creatore. Egli si presenta a noi nell’atto stesso in cui pone e mantiene le distanze tra noi e lui. Egli ci fa grazia nell’atto in cui dà inizio alla nostra crisi e ci trae in giudizio. Egli ci garantisce la realtà della nostra salvazione, in quanto in Cristo vuole essere Dio ed essere riconosciuto come Dio. Egli ci “giustifica” nell’atto in cui giustifica se stesso. “Dalla fedeltà” si rivela la giustizia di Dio, dalla sua fedeltà verso di noi. Il vero Dio non ha dimenticato l’uomo. Il Creatore non ha abbandonato la creazione.

 “Alla fede” si svela quello che Dio per fedeltà rivela. Ne viene data comunicazione a coloro che hanno rinunciato ad una comunicazione diretta. A coloro che osano avvicinarsi a lui, Dio parla come egli è… Gli affaticati e gli aggravati sono ristorati. Coloro che consentono sinceramente a porsi in vedetta, riconoscono in quella posizione, che ad essi è dato aspettare, che devono e possono aspettare la fedeltà di Dio… Per essi si adempie la promessa: “Il giusto vivrà per fedeltà!” ( Habacuc 2:4). Il giusto è il prigioniero diventato sentinella, il guardiano alla soglia della realtà divina. Non vi è altra giustizia che quella dell’uomo, che si presenta al tribunale di Dio, dell’uomo che trema e spera. Egli vivrà: egli è un candidato alla vera vita poiché ha riconosciuto la nullità di questa vita, ed in questa vita non è mai senza un riflesso della vera vita, nel transitorio non è mai senza la prospettiva del permanente. La grande impossibilità gli ha annunciato la fine ed il fine delle piccole impossibilità. Egli vivrà per la fedeltà di Dio. Si dica: per la fedeltà di Dio o per la fede dell’uomo, la cosa non cambia. Già la tradizione di questa parola profetica tende a svolgersi in queste due direzioni. La fedeltà di Dio è in questo, che egli ci viene incontro e ci segue in modo così inevitabile col suo “No” come il totalmente Altro, come il Santo. E la fede dell’uomo è il timore reverenziale di chi acconsente a questo “No”, la volontà del vuoto, l’appassionato permanere nella negazione. Dove la fedeltà di Dio incontra la fede dell’uomo, ivi si rivela la sua giustizia. Ivi il giusto vivrà. Questo è il tema dell’Epistola ai Romani. ( Barth)

17 La giustizia di Dio in questo viene rivelata: da fede a fede, come è scritto: Ora il giusto vivrà di fede.

Dopo aver detto che il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chi crede, Paolo aggiunge che in esso viene rivelata la giustizia di Dio, da fede a fede. Che Dio sia giusto in sé e per sé è fuori discussione e poco ci interessa. Quel che ci tocca da vicino e sulla pelle è la sua giustizia nei nostri confronti. E’ giusto chi rende all’altro ciò che gli è dovuto. Se crediamo che Dio è giusto in questo senso, non si vede che cosa debba essere rivelato prima del giorno del giudizio. Ma è proprio la diversità della sua giustizia  che rende necessaria, in anticipo ed in tempo opportuno, una vera e propria rivelazione. Non per testimonianza dell’uomo, ma per la testimonianza che Dio dà di se stesso per bocca del Figlio.

E’ escluso innanzitutto che nel Vangelo si possa manifestare ed esaltare una qualche giustizia dell’uomo. La nostra giustizia non è neppure presa in considerazione, perché di fatto non esiste. Una volta che è stato ben definito il campo d’indagine va pure precisato che la giustizia divina non si può comprendere se non nel momento in cui si fa conoscere. Non è una congettura o una conquista della ragione: è una realtà che si fa manifesta e si rivela all’uomo, perché nascosta ai suoi occhi. Il Vangelo quindi dà luce ai nostri occhi perché possiamo vedere e comprendere la giustizia di Dio, ma soltanto nella misura in cui ci lasciamo da essa attirare e coinvolgere verso una novità di vita che è prima di tutto novità della nostra mente. Se la giustizia è propria ed esclusiva di Dio, la fede è propria ed esclusiva dell’uomo. Non c’è punto d’incontro tra l’uomo e Dio se non quando la sua giustizia incontra la nostra fede. Qualsiasi altra strada per andare al Signore, se pur lusinghiera, è falsa ed ingannevole. Un po’ di fede bisogna pur averla, anche se piccola, come un granello di senapa.

18 Si rivela infatti l’ira di Dio dal cielo su ogni empietà ed ingiustizia degli uomini che trattengono la verità nell’ ingiustizia,19 perché il conoscibile di Dio è manifesto tra loro. Dio infatti ad essi si è manifestato.

Se la giustizia di Dio si rivela pienamente soltanto nel Vangelo e interessa la vita nuova, la verità, che è Dio, è già data con la vita vecchia. Non c’è bisogno di rivelazione alcuna, 19 perché il conoscibile di Dio è manifesto tra loro. Dio infatti ad essi si è manifestato. Prima dell’annuncio del Vangelo ci possono essere attenuanti alla colpa per l’uomo che non crede alla giustizia divina, così come deve essere creduta. E come credere in ciò che ancora non si conosce e non si è reso pienamente manifesto? Nessuna attenuante per l’uomo che non crede nell’esistenza di Dio, perché a tutti è rivelata, dall’inizio del tempo. Il Vangelo dunque da un lato rivela la giustizia divina verso tutti quello che credono in Dio, dall’altro rivela la Sua ira contro coloro che neppure credono all’ esistenza del Creatore. E’ l’ incredulità la radice di quella empietà e di quella ingiustizia, che trattengono, cioè tengono legata, la verità che è Dio impedendole di farsi manifesta. Nel Vangelo e con il Vangelo c’è il vaglio della nostra fede in Dio; in quanto all’incredulità è condannata in partenza. Nessuna forza di salvezza e di cambiamento troveranno nella Parola di Dio, coloro che non credono nel suo nome. Il Vangelo di Cristo non è dato perché crediamo all’esistenza di Dio; per questo basta il vangelo del creato, ma è annunciato perché, credendo nell’esistenza di Dio, noi crediamo pure alla sua giustizia, così come si è storicamente rivelata col Cristo.

“L’invisibilità di Dio può essere contemplata”. Noi abbiamo dimenticato questo e dobbiamo lasciarcelo dire. Non corrisponde allo stato necessario delle cose tra Dio e noi, che la nostra immodestia, spensieratezza, intrepidezza di fronte a lui sia così naturale. La sapienza platonica ha da gran tempo riconosciuto come l’origine di ogni dato, quello che non è dato. La più sobria sapienza della vita ha da lungo tempo stabilito che il timore dell’Eterno è il principio della conoscenza. Occhi aperti, incorruttibili come quelli del poeta di Giobbe e dell’Ecclesiaste, hanno da lungo tempo ritrovato nello specchio del visibile, il suo archeologo, l’invisibile, la non investigabile altezza di Dio. E’ sempre percepibile la voce dell’Eterno che parla nella tempesta ( Giobbe 3,8)… Che cosa sono dunque le “opere” di Dio nella loro assoluta enigmaticità se non puri interrogativi, ai quali non vi è nessuna risposta diretta, a cui Dio solo, soltanto Dio è la risposta?… La linea di intersezione tra il tempo e l’eternità , tra il mondo presente ed il mondo futuro scorre effettivamente attraverso tutta la storia, è da “lungo tempo annunciata”, e avrebbe sempre potuto essere veduta… “Cosicché essi non hanno nessuna scusa” , quando non lo vedono e non lo odono; poiché essi hanno occhi che vedono ed orecchi che odono. La loro empietà è inescusabile, perché le opere di Dio, “contemplate razionalmente” parlano della sua eterna potenza”… Se abbiamo incapsulato la verità di Dio e provocato la sua ira, non è perché non avessimo altra possibilità. “Dio non è lontano da ciascuno di noi, poiché in Lui viviamo, ci muoviamo e siamo ( Atti 17:27-28). Barth

20 Infatti le cose invisibili di lui dalla creazione del mondo per mezzo delle opere essendo percepite sono osservate: la sua eterna potenza e divinità, così da essere essi inescusabili,21 poiché conoscendo Dio non come Dio resero gli gloria o resero grazie, ma diventarono vuoti nei loro ragionamenti e fu oscurato il loro cuore insensato. 22 Ritenendo di essere sapienti divennero stolti e 23 cambiarono la gloria dell’incorruttibile Dio in immagine ad effigie corruttibile di uomo e volatili e quadrupedi e di rettili.

Il discorso di Paolo mette in evidenza come l’esistenza di Dio sia di per sé palese a tutti gli esseri razionali. Dovremmo di conseguenza pensare che tutti gli uomini dotati di razionalità non possono non credere in Dio. Maggiore è la nostra razionalità, maggiore è la nostra fede. In realtà le cose non vanno in questo modo: al contrario l’empietà si annida più spesso nell’uomo intellettualmente dotato e la fede trova la sua espressione più autentica nelle persone semplici e di scarsa intelligenza. E’ quindi escluso che il problema della nostra fede sia innanzitutto di ordine razionale e non si può affrontarlo innanzitutto dal punto di vista della ragione. Sbagliano coloro che si affannano a cercare e a dimostrare la razionalità del nostro credere, come se fosse di fondamentale importanza e fosse di qualche aiuto nel confronto con coloro che si manifestano atei con la loro stessa parola. Non è questo l’intento di Paolo, di voler cioè avventurarsi in una diatriba con chi non crede, contrapponendo ad un ateismo irrazionale una fede razionale. Paolo vuol semplicemente dire che ad ogni uomo è data l’intelligenza per comprendere l’esistenza di Dio; non con una razionalità complessa ed articolata riservata a pochi, ma grazie al dono di una razionalità semplice, che coglie l’esistenza di Dio in modo immediato. Tale ragione è data a tutti, anche ai subnormali.

Altro è essere creatura dotata di pensiero, altro è la capacità di sviluppo formale del pensiero. C’è un pensiero di per sé formalmente povero, c’è un pensiero che è in grado di arricchirsi e di accrescersi in virtù di una forma che è pur sempre dono di Dio, ma che non è data a tutti in uguale misura. Non si approda alla fede semplicemente attraverso un uso corretto della ragione. E’ troppo poco e le persone intelligenti ne risulterebbero avvantaggiate. Che il cristiano usi poi correttamente la propria ragione, questo è un altro discorso! Nessuno crede semplicemente perché segue i dettami della ragione. E che ne sarebbe di chi possiede poca o addirittura scarsa razionalità? Ci troveremmo di fronte ad una umanità inferiore, non degna di essere presa in considerazione, e che entra nella nostra vita per sbaglio. Con facilità e volentieri ci si libera dal confronto con un malato di mente. Mette in crisi il nostro essere razionale e voglia il cielo che non ne subisca danno la nostra stessa fede. In realtà una ragione che non sa accettare il confronto con una razionalità povera, se pur manifesta la propria fede in Cristo, tradisce un uso sbagliato del dono di Dio. Né vale rifugiarsi in un confronto esasperato con i dotti e i sapienti di questo mondo, per tacitare la propria coscienza e per giustificare la nostra fuga da una ragione che innanzitutto è povera e semplice. Perché è proprio questa ragione formalmente povera che è data a tutti, che a tutti dice: Dio esiste. Ed è a questa ragione che è chiesto innanzitutto di dar lode a Dio, in qualsiasi tempo della storia e in qualsiasi vita. Il momento di riflessione non rappresenta affatto il momento della crescita, ma il momento in cui la ragione,  abbandonata la via luminosa del dono di Dio, dato a tutti gratuitamente e senza distinzione, ripiega su se stessa, per contemplare non il Creatore, ma  la propria somiglianza con il Creatore.

21...conoscendo Dio” scrive l’apostolo, creati cioè con la conoscenza del loro Creatore , e non certo per i loro meriti o sacrifici, dal momento che tale conoscenza non è innanzitutto un fatto, ma semplicemente un dato, “non come Dio gli resero gloria o resero grazie, ma diventarono vuoti nei loro ragionamenti e fu oscurato il loro cuore insensato. Se hanno un merito questi uomini è proprio quello di aver svuotato con i loro ragionamenti quella pienezza che gratuitamente a tutti è data. Per ritrovarsi alla fine con il cuore, cioè con lo spirito, oscurato da Dio, perché fattosi insensato. Nessun cuore è insensato se non quello che abdica al proprio ruolo di guida e di luce, per lasciarsi guidare dalla luce della propria ragione. Ringraziamo il  Signore per coloro che innanzitutto credono, anche se non conoscono le ragioni della propria fede. Ma che dire a coloro che non credono in Cristo, con un ateismo non razionalmente infondato, ma razionalmente costruito? Ha senso discutere con loro e cercare di riportare una razionalità corrotta ad una razionalità integra, usando semplicemente gli strumenti della stessa ragione?  E’ tempo perso ed un’offesa al Signore, perché la ragione di Dio non ha bisogno di essere difesa dalle nostre ragioni, se pur giuste e sante. Non è possibile un ritorno a Dio, se innanzitutto non si dà lode a Dio. E non ha senso parlare di Dio con coloro che prima vogliono capire e comprendere. Non c’è nulla da capire che già non ci sia stato dato, perché possiamo e dobbiamo rendere gloria a Dio. Riflettano coloro che amano confrontarsi con i dotti e i sapienti di questo mondo, magari nelle stesse università per difendere le ragioni della  fede. Tradiscono la loro fiducia in Dio e nella Sua parola, danno al mondo un’immagine sbagliata del cristianesimo, perdono nella loro capacità di comunicare con i piccoli e i semplici. Non si arriva alla fede attraverso la ragione, ma solo attraverso il rendimento di grazie al Creatore dei cieli e della terra. Meglio moltiplicare la lode al Signore, piuttosto che moltiplicare i nostri pensieri sul Signore.

Non la ricerca di un ragionamento vero né di una mente assennata portano a Dio, ma solo il rendimento di grazie e la lode all’artefice della vita. Non si possono dire parole di luce là dove è stata rifiutata la luce, né portare la sapienza là dove è stata scelta la stoltezza. Non esiste un problema della conoscenza di Dio che non sia nell’ottica e nello spirito di ciò che ci è già dato, a partire dalle sue forme più immediate ed intuitive. Ciò che innanzitutto si deve dire è che innanzitutto si deve dar lode a Dio, così come a tutti e ad ognuno si fa conoscere. Solo in questo modo possiamo entrare in quel cammino che procede da conoscenza a conoscenza fino alla visione eterna di Dio. Se non c’è questa disponibilità è tempo perso e facciamo un pessimo servizio al Signore. Vano è il ragionamento che si autofonda come verità, non riconoscendo  il proprio essere fondato; non porta alla vita eterna ma alla perdizione. Insensata è la mente che cerca la luce in se stessa e non in Colui che è la luce: è destinata alle tenebre eterne. E i frutti della vanità e delle tenebre sono a tutti ben noti.

22 Ritenendo di essere sapienti divennero stolti e 23 cambiarono la gloria dell’incorruttibile Dio in immagine ad effigie corruttibile di uomo e di volatili e di quadrupedi e di rettili.

Le radici dell’ateismo sono nella  presunzione di una  sapienza che, invece di riconoscere il proprio essere fondato e di aprirsi verso la luce del proprio fondamento, si rinchiude in se stessa, autofondandosi come verità. Ritenendo di essere sapienti: Non davano lode alla Sapienza divina, ma proclamavano la propria sapienza. Chi dice di essere sapiente non dice parole sapienti, ma manifesta a tutti la propria insipienza. Sapiente è l’uomo che apre la propria mente e il proprio cuore a Dio e non proferisce parola se non nella Parola e per la Parola.

Se il problema del nostro rapporto con Dio non è innanzitutto di ordine razionale, non è neppure di ordine morale. Non è detto che una coscienza che segue i principi della morale necessariamente porti alla fede in Cristo Gesù. Come vi è una parola che è data a tutti che non si riconosce nel Verbo divino, così vi è una conoscenza del bene e del male che non si apre al dono della grazia divina e che non attinge mai al Bene eterno, ma semplicemente rincorre se stessa in un processo di autocreazione e autoaffermazione. Può arrivare a compiere qualcosa di buono, non arriva a cogliere Colui che è  Bene. E’ del tutto ingiustificata una cristiana reverenza  per coloro che hanno dedicato la loro vita alla speculazione filosofica o alla lotta per una giustizia terrena. Se pur appaiono belli agli occhi del mondo, non piacciono a Dio, perché non danno lode al suo nome. E non si deve credere che sia innocente una mancanza di fede che si ammanta di una rigida moralità. E’ opera del demonio: non va amata né esaltata, ma deve essere smascherata, senza dubbi ed esitazioni.

Perché inescusabile è l’uomo che non crede in Dio Creatore. Non innalza statue di marmo per onorare gli dei? Peggio ancora: innalza se stesso come Dio. L’eccezione conferma la regola. Chi rifiuta le manifestazioni dell’ateismo comune è reo di un ateismo ancor più grande. Non gli basta di affermare se stesso come dio, ma pone il proprio dio al di sopra di tutti gli altri. L’uomo che innanzitutto non riconosce il proprio essere creato e non ricerca il proprio Creatore si crea degli idoli a propria immagine e somiglianza, per esaltare se stesso, anche nelle forme dell’animale. L’ateismo ha manifestazioni diverse, ma un'unica radice. Vi è un ateismo di bassa levatura, che innalza idoli con le sembianze dell’animale, e neppure riconosce la natura qualitativamente diversa dell’uomo. Vi è un ateismo che identifica l’uomo con Dio e lo rappresenta a propria immagine e somiglianza. Non comprende di essere creato ad immagine di Dio, ma crea un Dio a propria immagine e somiglianza. Ancora peggiore l’ateismo dei filosofi e di certi “liberi pensatori”, che rifiutano e ridicolizzano la religiosità comune, a cominciare dagli dei fatti di pietra, in nome di una imprecisata verità che non si può conoscere, ma soltanto immaginare. Sono capaci di impegno etico e civile, fino all’eroismo. Si proclamano non credenti, ma nello stesso tempo non indifferenti al problema dell’esistenza di Dio. Sono i peggiori e i più subdoli. Tutto contestano e niente abbracciano, perché non si credono semplicemente dio, ma un dio superiore a qualsiasi altro. Si può obiettare che i pagani in quanto credevano negli dei, non possono considerarsi atei. Ma è proprio perché ci si rivolge verso una direttrice sbagliata che si diventa atei, e non semplicemente per una incolpevole ignoranza dei tempi, ma per un deplorevole e colpevole rifiuto di quella luce che a tutti è innanzitutto data, per cui tutti siamo tenuti a dar lode a Dio creatore dell’universo.

Bisogna comprendere l’eterna attualità della storia nel nostro essere in Dio e per Dio. Si affannino altri a investigare e a giustificare una storia fatta da tempi e situazioni diverse. Noi proclamiamo la nostra fede in Cristo Salvatore. Perché non c’è storia se non innanzitutto in Lui e per Lui. Certo altro è credere in Dio Creatore, altro è conoscere Dio Creatore. E a questo punto è di fondamentale importanza la Parola rivelata. Ma come annunciare il vangelo di Cristo a chi afferma di non credere in Dio? L’unica medicina è il silenzio e la preghiera a Dio Padre.

L’ateismo non è mai innocente, ma colpevole rifiuto di un rapporto con Dio, che non va innanzitutto costruito, ma accolto, così come a tutti è dato in una forma che è strutturale alla creatura razionale. E’ la superbia che ci allontana da Dio e ci fa suoi nemici. Superbo è l’uomo che si rinchiude nel proprio essere ad immagine di Dio e con ciò fa di se stesso dio. Parla di Dio, ma solo per mettere in discussione la Sua parola, si impegna eticamente, ma solo per esaltare la propria giustizia e non la Sua.

“Assurdamente fondato su se stesso, l’uomo sta di fronte alle forze del mondo imperanti senza significato. Poiché la nostra vita riceve significato in questo mondo soltanto dalla sua relazione col vero Dio. Ma questa relazione non può essere ristabilita, finché il nostro pensiero ed il nostro cuore ( nella “visione razionale”) non sono spezzati dal ricordo dell’eternità. Non esiste vera relazione col vero Dio che quella che si incontra sulla via percorsa da Giobbe. Finché questa rottura non si verifica, il pensiero è vuoto, formale, soltanto critico, sterile, incapace di dominare la molteplicità dei fenomeni, di concepire il singolo in connessione con il tutto; il pensiero che non è stato spezzato rinuncia alla sua reale relazione con le cose. E inversamente il cuore che non è stato spezzato, la sensibilità non vigilata da una visuale ultima, si sottrae alla signoria del pensiero: oscura, cieca, acritica, in balia del caso, rappresenta una essenza per sé. Senza cuore, concetto senza intuizione e perciò vuoto è diventato il pensiero; senza pensiero, intuizione senza concetto e perciò cieco è diventato il cuore… Questa è la causa della notte nella quale andiamo vagando, la causa dell’ira di Dio, che è rivelata sopra di noi. ( Barth).

“Essi hanno scambiato la gloria dell’incorruttibile Iddio con l’immagine del corruttibile”, cioè hanno perduto il senso di quello che vi è di specifico in Dio: il pensiero del crepaccio di ghiacciaio, della regione polare, della zona desertica, che deve essere attraversata, se il passo dal corruttibile all’incorruttibile deve essere veramente compiuto… L’esperienza religiosa, a qualunque grado di altezza si compia, non appena è qualche cosa di più che spazio vuoto, non appena intende essere contenuto, possesso e godimento di Dio, è la sfrontata ed inetta usurpazione di ciò che può essere e diventare vero, soltanto a partire dal Dio sconosciuto. Nella sua storicità, materialità e concretezza, essa è sempre un tradimento verso Dio. Essa è la nascita del non-dio, dell’idolo. Poiché in mezzo a quella nebbia si dimentica che ogni cosa caduca è bensì una similitudine, ma anche soltanto una similitudine. La gloria dell’incorruttibile Dio viene scambiata con l’immagine (Salmo 106:20) di essenze corruttibili. Una qualsiasi delle relazioni dell’uomo con gli oggetti del suo timore o del suo desiderio, con uno strumento utile della sua esistenza, con un prodotto del suo pensiero o della sua attività o con un fenomeno impressionante della natura o della storia, viene assunta come importante in sé, così importante, come se anche questa relazione non dovesse essere spezzata dal suo ultimo riferimento al Creatore, allo Sconosciuto la cui gloria non può non può essere confusa con la gloria conosciuta di una immagine, per quanto bella e pura, perché questo non è comparabile a Lui… E dovunque quella qualificata distanza tra l’uomo e l’Ultimo, che è il suo fondamento, è trascurata e disprezzata, ivi deve prodursi il feticismo, che fa l’esperienza viva di Dio negli “uccelli e quadrupedi e vermi” e finalmente e anzitutto nella “figura dell’uomo corruttibile”, ( La personalità, il fanciullo, la donna ) o nelle sue creazioni, raffigurazioni, estrinsecazioni spirituali-materiali ( famiglia, popolo, stato, chiesa, patria ecc. )- e fa getto di Dio che abita al di là di ogni oggetto concreto. Così è creato il non-dio, così sono eretti gli idoli. ( Barth )

24 Perciò Dio li consegnò, nelle brame dei loro cuori, all’impudicizia, così da disonorare i loro corpi fra loro: 25 essi che cambiarono la verità di Dio in menzogna ed adorarono e servirono la creatura anziché il creatore, il quale è benedetto nei secoli.

26 Per questo Dio li consegnò a passione di vergogna, infatti le loro femmine cambiarono l’uso naturale in quello contro natura, 27 similmente anche i maschi avendo lasciato l’uso naturale della femmina si accesero nella loro brama gli uni verso gli altri, maschi con maschi, operando turpitudine e ricevendo in se stessi il salario che conveniva del loro traviamento

28 E poiché non stimarono di avere conoscenza di Dio, Dio li consegnò ad una mente riprovevole per fare le cose non convenienti, 29 ripieni di ogni ingiustizia, perversità, avidità, cattiveria, pieni di invidia, di omicidio, di contesa, d’inganno, di malignità, di mormorazione, 30 calunniatori, odiatori di Dio, insolenti, tracotanti, smargiassi, inventori di mali, disobbedienti ai genitori, 31 ottusi, perfidi, insensibili, senza pietà, 32 che, conoscendo il decreto di Dio, che sono degni di morte coloro che fanno tali cose, non solo fanno tali cose, ma anche approvano quelli che le fanno.

Il cuore che non brama solo Dio si riempie di  altre brame; allarga i suoi tentacoli in ogni direzione: tutto vuol sperimentare e alla fine tutto distrugge.

La stoltezza di coloro che rifiutano Dio non può rimanere nascosta . Essi non solo disonorano la propria anima, perdendosi nelle loro vane cupidigie, ma anche il proprio corpo. Il peccato ci rende brutti nel corpo e nell’anima e ci allontana sempre di più dallo Spirito di Dio. E questo va detto di tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni popolo, compresi i primitivi. E’ un errore pensare che l’idea di  un Dio Creatore sia un prodotto della storia e non una realtà strutturale dell’uomo. Appare come realtà ultima semplicemente perché  nulla sappiamo del prima. Dei primitivi ci rimangono resti che attestano una religiosità più semplice ed ingenua rispetto a quella dei tempi moderni. Ma in base a che cosa si può escludere che l’idea di un Dio Creatore  accompagni ogni vita dai suoi primi albori? E chi può dire che la voce di Dio non sia intesa da sempre da tutti coloro che vogliono ascoltarla? Il rapporto con la verità è solo del singolo e per il singolo. La conoscenza  delle religioni dei popoli ci dice tutt’al più quale sia stata la cultura e la mentalità di massa, non entra nel rapporto tra Dio e l’individuo. E’ questo un mistero chiuso negli arcani segreti dell’amore celeste. Solo la Bibbia ci svela una vita divina, che innanzitutto è nell’individuo e per l’individuo. La Sacra Scrittura attesta l’originale ed universale peccato dell’uomo, ma anche l’originale ed universale misericordia di Dio , che da sempre accompagna l’umanità. Da Adamo in poi la grazia del Signore si stende su coloro che lo temono. Certo essi rappresentano l’eccezione, ma ciò non attesta l’eccezionalità dell’amore divino, semplicemente la durezza del cuore umano, che raramente si apre al Creatore e al suo dono. La storia dell’umanità va letta e capita in un’ottica diversa, che non è semplicemente quella di una comprensione e di una conoscenza delle diverse culture, quanto nell’intelligenza di una diversità che fin dai primordi si manifesta in pochi uomini. E in questo è di fondamentale importanza la lettura e la meditazione della Bibbia. Perché solo la Bibbia ci aiuta ad entrare nel mistero di una vita aperta a Dio e al suo dono. Certo la Bibbia tutto non dice, ma dice tutto quanto è necessario per la salvezza. Molto si affannano gli uomini nello studio delle civiltà e si illudono di uscirne arricchiti. In realtà cresce soltanto la conoscenza del peccato dell’uomo, non si accresce la capacità e la volontà di bene. Bisogna cogliere la storia in una diversità che non è conosciuta dall’uomo, ma soltanto da Dio.

C’è una storia scritta dagli uomini ed incisa sulla pietra e c’è una storia nascosta dei cuori, conosciuta solo da Dio. Per conoscere una storia diversa bisogna mettersi alla sequela di un maestro diverso, non leggere i soliti libri, ma il libro di Dio. Non cercare la vastità della cultura, ma la sua profondità! C’è chi ha letto tanto e crede di sapere tanto, in realtà nulla conosce di ciò che è utile alla vita. Abbandona o uomo insensato la lettura di libri vacui, chiuditi nel silenzio della tua stanza e leggi e medita la parola del Signore. Non c’è altra fonte ed altra via per attingere alla Sapienza. Non lasciarti prendere dalla tentazione di un confronto con la storia scritta dall’uomo, né per confermare né per contraddire le Sacre Scritture. Hai imboccato la strada della diversità: una diversità tracciata da Dio che va compresa soltanto in Lui e per Lui. Gli uomini ti diranno che chiudendoti al mondo sei un arrogante ed un presuntuoso, ma è proprio ciò che è gradito a Dio: l’arroganza di chi non crede più nell’uomo, e la presunzione di chi confida solo nel Signore. Impara dal popolo eletto che leggeva e conosceva un solo libro. Soffri il confronto culturale? Sei benedetto dal Signore. Non lasciarti prendere dalla tentazione di altre letture per un miglior rapporto con gli uomini e per una maggiore capacità di comunicazione. Sprechi inutilmente le tue energie e il tuo tempo e metti in pericolo la tua stessa fede. Una conoscenza approfondita della storia, così come è stata scritta dagli uomini, mette in crisi una lettura superficiale della Bibbia. Viceversa una conoscenza profonda della Scrittura mette in crisi la storia scritta dall’uomo, ne evidenzia la vacuità e l’inutilità. Coloro che molto leggono e molto studiano, all’infuori della parola di Dio, non solo perdono in sapienza, ma perdono anche nella capacità di comunicare con tutti gli uomini che cercano la salvezza. E cos’altro è il dono delle lingue se non la capacità di comunicare le cose di Dio anche a coloro che ci appaiono diversi? Non gli altri devono imparare a comunicare con te, ma tu devi saper parlare agli altri. Questa sapienza viene solo dall’alto: percorre vie proprie e diverse da quelle tracciate dall’uomo. Ogni giorno si accresce  nella sua profondità, ma anche nella sua capacità di espressione e comunicazione verso gli ultimi e i più piccoli. L’intellettuale, pieno di cultura mondana, emargina ed è emarginato anche  dai simili, il profeta di Dio entra nel cuore di tutti.

“ cambiarono la verità di Dio in menzogna “

La menzogna è una nostra creazione: non esiste se non come prodotto della disobbedienza a Dio. Giustamente dice l’apostolo “cambiarono la verità in menzogna”, perché nessuna menzogna ci viene proposta dal Signore, se non quella che è frutto del nostro peccato.

Alla radice della  vita c’è un fondamentale cambiamento nel rapporto con la verità. Rincorrendo la propria parola gli uomini hanno perso la verità che è Dio .

…e adorarono e servirono la creatura: hanno messo il proprio essere creato al primo posto. Per questo invece di seguire il loro Signore rincorrono se stessi e sono servi della propria falsità e nullità. Benedicono colui che vive nel tempo e per un tempo, non danno lode al Creatore che è benedetto nei secoli.

26Per questo Dio li consegnò a passione di vergogna, infatti le loro femmine cambiarono l’uso naturale in quello contro natura, 27similmente anche i maschi avendo lasciato l’uso naturale della femmina si accesero nella loro brama gli uni verso gli altri, maschi con maschi operando turpitudine e ricevendo in se stessi il salario che conveniva del loro traviamento.

L’uomo è fatto per la gloria di Dio e nella gloria di Dio trova la propria esaltazione e la propria gioia. Abbandonata la strada gloriosa dell’obbedienza alla parola di Dio, l’uomo diventa schiavo delle passioni, cioè di tutte le sofferenze che conseguono alla perdita del Signore. Se la passione è frutto della perdita di Dio, essa non si manifesta nell’uomo se non in relazione a ciò che nel suo cuore ha preso il posto del Creatore.

Cambia la passione soltanto in rapporto a ciò che è fatto oggetto del cuore, non cambia la passione in rapporto a ciò che la genera e la sostiene. Così la fine di una passione altro non è che l’inizio di un’altra passione. Allorché il cuore ha perso ciò in cui aveva preso dimora, cerca casa altrove. Di brama in brama, consuma ogni sorta di empietà e di scelleratezza. Mentre Adamo era stato chiamato a crescere di conoscenza in conoscenza, fino all’eterna visione del Creatore, dopo il peccato si fa sempre più piccolo, di passione in passione fino alla completa rovina di ciò che lo fa simile a Dio. Chi distrugge il rapporto con il Creatore non può non distruggere alla fine anche il rapporto con la creazione. Cerca la felicità in una direzione sbagliata, appagando le passioni e non rigettandole dal proprio cuore. Dopo aver distrutto ogni cosa creata, distrugge anche il suo rapporto con la donna: quello che c’è di più grande e di più bello, per cui è detto “ad immagine di Dio”. La sodomia è l’ultima ed estrema consumazione del rapporto uomo-donna. Dapprima si deturpa il rapporto con l’altro sesso, alla fine si deturpa il rapporto con il proprio sesso.

“La naturalità altera e ribelle non è pura.. All’empio baratto di Dio col mondo, poiché significa un dar libero corso alla natura, corrisponde lo scambio dell’indispensabile, dell’inevitabile con la sua caricatura demoniaca, che sta sostanzialmente sulla stessa linea. Quello che già di per sé stesso è discutibile, scivola verso l’assurdo. La libido diventa tutto, la vita diventa eroicità senza limiti. Poiché la frontiera tra “il normale” ed il perverso si apre, quando non vi è tra Dio e l’uomo una frontiera chiusa, un’ultima barriera ed una inesorabile inibizione”. ( Barth)

e ricevendo in se stessi il salario che conveniva del loro traviamento.

Salario di chi procede sulla retta via è la conoscenza del Creatore, salario di chi si lascia traviare dal Maligno è l’ignoranza di Dio ed una conoscenza falsa e corrotta di tutto ciò che è creato.

28E poiché non stimarono di avere conoscenza di Dio, Dio li consegnò a mente riprovevole per fare le cose non convenienti, 29ripieni di ogni ingiustizia, perversità, avidità, cattiveria, pieni di invidia, di omicidio, di contesa, d’inganno, di malignità, di mormorazione, 30calunniatori, odiatori di Dio, insolenti, tracotanti, smargiassi, inventori di mali, disobbedienti ai genitori, 31ottusi, perfidi, insensibili, senza pietà, 32che conoscendo il decreto di Dio, che sono degni di morte coloro che fanno tali cose, non solo fanno queste cose, ma anche approvano quelli che le fanno.

La mente dell’uomo è fatta per la conoscenza di Dio, ma allorché stima un nulla tale conoscenza è abbandonata dalla luce del Signore e da Lui riprovata.

E’ così che nell’uomo entra il peccato in tutte le sue forme ed in tutta la sua gravità. E non a caso Paolo usa il tempo passato per indicare ciò che ha portato al peccato, mentre usa il presente per indicare lo stato del peccato. 28E poiché non stimarono di avere conoscenza di Dio, Dio li consegnò a mente riprovevole per fare le cose non convenienti . Tutto questo è posto in un passato remoto, allorché eravamo in Eden, mentre i frutti del peccato sono al presente, nell’attualità della nostra vita, prodotto di una mente riprovevole e in quanto tale riprovata da Dio. Il peccato entra nel mondo per colpa dell’uomo, contro la volontà del Signore. Una volontà violata, nulla può fare all’inizio che prendere atto del tradimento che è stato consumato alle sue spalle. Ci abbandona ad una mente perversa che fa cose non convenienti, cioè contro il proprio bene, dopo che ha abbandonato l’unico Bene. L’elenco di Paolo è lungo e dettagliato e manifesta il proposito di nulla tralasciare e di nulla nascondere.

Nulla di conveniente si trova in ciò che è operato dall’uomo. La pienezza della santità cede il posto alla pienezza del peccato. Ripieni di ogni… , pieni di… e chi più ne ha più ne metta. A Dio appartiene ogni pienezza di bene, all’uomo ogni pienezza di male.

E, quel che è peggio, non solo l’uomo commette peccato, ma ama il peccato e giustifica chi lo compie, a cominciare da se stesso.

32che conoscendo il decreto di Dio, che sono degni di morte coloro che fanno tali cose, non solo fanno queste cose, ma anche approvano quelli che le fanno.

Alla radice del peccato non è l’ignoranza del bene, ma l’amore per il male che è disobbedienza alla legge di Dio. L’uomo che entra nell’esistenza, non semplicemente è già peccatore, ma è contento di esserlo e pensa di trovare la propria felicità andando contro la volontà di Dio. Se Dio vuol educarci al bene e riportarci al suo amore, l’intento nostro è quello di confortarci e di istruirci in ogni male. Nulla di buono può venirci dall’uomo, se non l’incitamento e l’istigazione al male. Così il fratello mette a morte il fratello ed i padri condannano i figli alla dannazione, dopo aver rifiutato la parola di Dio. Ma chi ha giudicato la Parola, sarà giudicato dalla stessa Parola.

Diventata irragionevole la ragione stessa, rimangono prive di base aurea anche le idee del dovere e della solidarietà umana. Un mondo pieno di arbitrio personale e di iniquità sociale si spalanca – non soltanto nella Roma dei Cesari. La vera natura della nostra esistenza ribelle e inconvertita si manifesta. La nostra empietà ed insubordinazione è sotto l’ira di Dio… Questa è la sapienza della notte, che si riconosce da sé per follia. Essa è follia, perché si attiene imperturbabilmente ad una considerazione bidimensionale delle cose umane che è continuamente confutata dai fatti. Essa vede dove conduce la via inconvertita dell’uomo, essa non è all’oscuro sul significato della sua direzione e del suo fine. Essa vede la causa e conosce l’effetto ma non ardisce fermarsi. Lo strano lamento sulla caducità della esistenza terrena, e l’accusa altrettanto poco comprensibile sopra questo fondamento, contro la peccaminosità dell’uomo, accompagnano sempre la via dell’uomo che sta dimenticando il suo Creatore: ma la conclusione è sempre che essi fissano lo sguardo sopra questo terreno ed affermano, vogliono, promuovono e approvano tutto quello che hanno costruito sopra di esso – e lo difendono contro ogni protesta fondamentale. Perché dunque è così difficile ricordarsi del Dimenticato, quando l’effetto di questa dimenticanza, la fine del nostro vagolare nella notte, la morte, è così manifesto?” ( Barth )

 

 

 

 

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